domenica 17 maggio 2015

STIGLITZ: ANCHE CON OBAMA AUMENTA LA DISUGUAGLIANZA. - Jonathan Fisher

Il premio Nobel Joseph Stiglitz, intervistato da Business Insider, parla del grave problema della disuguaglianza sociale negli Stati Uniti. La crescita della disuguaglianza è progredita fino a livelli esorbitanti durante gli ultimi tre decenni, e nemmeno Obama è servito a contrastarla, anzi: la sua gestione della crisi ha fatto sì che i vantaggi della ripresa andassero quasi tutti ai più ricchi. La crescita della disuguaglianza non è l’effetto di un presunto “normale funzionamento del mercato”, ma di scelte politiche ben precise, volte allo sfruttamento di una classe sociale a vantaggio di un’altra. 
Intervista a Joseph Stiglitz, di Jonathan Fisher, 6 maggio 2015.
Il premio Nobel, economista e professore Joseph Stiglitz la scorsa settimana si è seduto con noi a parlare dell’allarmante condizione della disuguaglianza dei redditi negli USA, poco prima di un discorso che aveva in programma presso il Commonwealth Club a Palo Alto.
Nel corso degli ultimi tre decenni la percentuale di ricchezza posseduta dall’uno percento più ricco della popolazione è cresciuto dal 7 fino a un esorbitante 22 percento.
Dal 1980 ad oggi la percentuale di reddito complessivo ricevuto dal 99 percento dei lavoratori americano è diminuito del 15 percento. Per di più, il compenso dati agli alti dirigenti delle maggiori compagnie è nell’ordine di 300 volte superiore a quello del lavoratore medio. Quaranta anni fa, gli stessi dirigenti ricevevano uno stipendio che era solo 40 volte superiore a quello del lavoratore americano medio.
Stiglitz ha parlato del preoccupante andamento della disuguaglianza dei redditi negli USA e ci ha riferito ciò che pensa riguardo i temi fondamentali dell’economia:
- Sul momento in cui le crepe della disuguaglianza hanno iniziato a farsi evidenti: “Riconduco la disuguaglianza a un ben preciso insieme di decisioni che furono prese quando si decise di abbassare la pressione fiscale dal 91 percento ad un livello molto basso sui redditi più elevati, abbiamo tolto delle regolamentazioni. Il risultato non è stata un’economia più dinamica, ma una società con più disuguaglianze. Abbiamo provato l’esperimento del ‘trickle-down’ [la teoria secondo la quale i benefici economici dati ai più ricchi aiuterebbero indirettamente gli strati inferiori della società, tramite un metaforico ‘gocciolamento’, NdT]. Dopo un terzo di secolo, possiamo dire in via abbastanza definitiva che è stato un fallimento.
- Sulla disuguaglianza di reddito negli Stati Uniti di oggi: “La disuguaglianza che vediamo non è solo il risultato del naturale funzionamento del mercato. C’è anche il potere monopolistico, l’indebolimento dei sindacati, c’è un amalgama del modo in cui strutturiamo la società, strutturiamo l’economia, paghiamo i massimi dirigenti. C’è anche lo sfruttamento, che abbiamo visto così chiaramente negli anni prima della crisi — il prestito predatorio — un gruppo se ne approfitta di un altro. Purtroppo, ci sono le persone al vertice che sfruttano le persone in posizione inferiore.
- Sulla crescita della robotica e dell’automazione, e dell’effetto che può avere sulla disuguaglianza: “Negli ultimi 40 anni la produttività è raddoppiata, mentre i salari sono stagnati e poi caduti. Perciò la preoccupazione è che queste cose possano aumentare ancora la produttività ma anche portare a più disuguaglianze e bassi salari.
- Sulla questione dell’istruzione via internet e se sostituirà il lavoro di insegnanti e professori: “Penso che il modello che vedremo in futuro prevederà senz’altro che le migliori lezioni del mondo siano disponibili in rete, e sarà poi supportato da molte persone che in classe offriranno interazioni più intensive, e la motivazione. Per quel che mi riguarda, spero che ciò migliori complessivamente la qualità, e non sono preoccupato che possa implicare meno posti per gli insegnanti.
- Sul blocco delle rette per l’istruzione superiore: “Penso sia un punto assolutamente essenziale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale eravamo un paese molto più povero di adesso e avevamo un rapporto debito pubblico/PIL al 130 percento. Allora ci dicevamo ‘Chiunque abbia combattuto la guerra deve poter avere un’istruzione superiore gratuita’. Ce lo siamo potuto permettere allora. Ce lo possiamo permettere anche adesso.
- Sul presidente Barack Obama: “Penso ci siano stati momenti in cui ha detto la cosa giusta, come quando ha detto che avrebbe dedicato gli ultimi tre anni del suo mandato per creare una società più equa… Ciò che mi preoccupa è che — non per dire che lui ne sia l’architetto — ma di fatto sta portando avanti delle politiche che, secondo me, sono a favore della disuguaglianza. ”
Quanto segue è una trascrizione della nostra conversazione con il premio Nobel e professore Joseph Stiglitz. Ci sono delle modifiche per ragioni di chiarezza e brevità.

BUSINESS INSIDER: Per iniziare, quanto è grave la disuguaglianza di reddito negli Stati Uniti di oggi?
JOSEPH STIGLITZ: Beh, è piuttosto grave. Il fatto che sia ampiamente maggiore che in altri grandi paesi ci dice qualcosa. E ha alcune caratteristiche che sono tipiche degli Stati Uniti, e che sono ben esemplificate dalle proteste a Ferguson e a Baltimora. C’è un elemento razziale. E questo elemento razziale mostra come la disuguaglianza non possa essere semplicemente descritta in termini di forze di mercato. L’oppressione che stiamo vedendo e abbiamo visto tante volte sugli afroamericani è il riflesso di una forza bruta di un tipo ben preciso. In un senso più sottile, quel tipo di forza — il potere — è esemplificata dal mercato. La disuguaglianza che vediamo non è solo il risultato del naturale funzionamento del mercato. C’è anche il potere monopolistico, l’indebolimento dei sindacati, c’è un amalgama del modo in cui strutturiamo la società, strutturiamo l’economia, paghiamo i massimi dirigenti. C’è anche lo sfruttamento, che abbiamo visto così chiaramente negli anni prima della crisi — il prestito predatorio — un gruppo se ne approfitta di un altro. Purtroppo, ci sono le persone al vertice che sfruttano le persone in posizione inferiore.
BI: Nel suo nuovo libro [“The Great Divide: Unequal Societies and What We Can Do About Them“], Lei dice che l’aumento della disuguaglianza è dovuto a una scelta. Quando a iniziato a vedere le crepe che si aprivano?
JS: Ogni società ha conosciuto la disuguaglianza, e anche noi abbiamo avuto degli episodi in passato in cui c’erano alti livelli di disuguaglianza — nell’Epoca d’Oro alla fine del 19esimo secolo, o nei Ruggenti Anni Venti — l’episodio attuale inizia nel 1980. Nei decenni che hanno seguito la fine della Seconda Guerra Mondiale il paese è cresciuto tutto insieme. Avevamo un livello di disuguaglianza molto più basso, comunque tu lo voglia misurare. E il paese cresceva unito. Riconduco la disuguaglianza a un ben preciso insieme di decisioni che furono prese quando si decise di abbassare la pressione fiscale dal 91 percento ad un livello molto basso sui redditi più elevati, abbiamo tolto delle regolamentazioni. Il risultato non è stata un’economia più dinamica, ma una società con più disuguaglianze. Abbiamo provato l’esperimento del ‘trickle-down’. Dopo un terzo di secolo, possiamo dire in via abbastanza definitiva che è stato un fallimento.
BI: Come possiamo contrastare un aumento così drastico della disuguaglianza dei redditi?
JS: Beh, non c’è la bacchetta magica. E non puoi nemmeno disfare un terzo di secolo o più di politiche sbagliate in una notte. Ma per prima cosa devi riconoscere che il problema esiste. In secondo luogo, devi provare a risolvere alcuni errori. Modificare il livello di dirigenza delle grandi società in un modo che lo limiti, frenare il settore finanziario, ridurre gli abusi del potere di mercato — queste sono alcune cose da fare. Un secondo aspetto importante è che deve esserci una decisa riduzione dei sintomi. Non risolveremo i problemi sottostanti in una notte, ma dobbiamo iniziare ad affrontare le manifestazioni più gravi di un sistema economico sbagliato. Pertanto vanno aumentati i salari minimi, ci dobbiamo assicurare di avere un mercato dei mutui che funzioni per tutti, un sistema di finanziamento dell’istruzione che vada bene per tutti, accesso al lavoro tramite mezzi pubblici, politiche sul congedo familiare e la cura dei figli — c’è un gran numero di cose che possiamo fare da subito e che allevierebbero il problema. E poi, certo, nel lungo termine dobbiamo fare qualcosa sulla trasmissione intergenerazionale dei benefici, specialmente riguardo il sistema dell’istruzione.
BI: Il sistema dell’istruzione, che è sempre più basato sulla trasmissione dei benefici, ha visto i livelli delle rette per l’istruzione superiore esplodere durante gli ultimi anni. Perché non abbiamo messo un freno?
JS: Penso sia un punto assolutamente essenziale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale eravamo un paese molto più povero di adesso e avevamo un rapporto debito pubblico/PIL al 130 percento. Allora ci dicevamo ‘Chiunque abbia combattuto la guerra deve poter avere un’istruzione superiore gratuita’. Ce lo siamo potuto permettere allora. Ce lo possiamo permettere anche adesso. Tu potrai dire ‘proprio gratuito no’, ma se non tutti sono adatti per studiare a Stanford, tutti dovrebbero però avere accesso alle migliori qualifiche per le quali hanno i requisiti.
BI: Quale candidato (o potenziale candidato) pensi che sia il migliore per l’economia, alle elezioni del 2016?
JS: Per quanto ne so tutti e tre i candidati annunciati dai democratici — Bernie Sanders, Hilary Clinton — e… O’Malley è stato annunciato? Tutti e tre hanno dichiarato che sono molto attenti al problema. E hanno cominciato a scrivere i loro programmi. Bernie Sanders è il più progressista e da tempo si è espresso nel modo più articolato, stabilendo un programma per una maggiore equità. Penso che tutti sperino che ora ci sia più pressione su Hillary perché lo eguagli.
BI: Cosa dice dell’attuale presidente? Come pensa che se la sia cavata con l’economia?
JS: Penso ci siano stati momenti in cui ha detto la cosa giusta, come quando ha detto che avrebbe dedicato gli ultimi tre anni del suo mandato per creare una società più equa. Purtroppo però non ha dato seguito a questo. Se guardo all’intero periodo di otto anni della sua presidenza, una cosa l’ha fatta, e importante: attraverso l’ObamaCare ha esteso l’accesso al sistema sanitario. Non è tanto quanto avrebbe voluto e non è tanto quanto la maggior parte dei progressisti speravano, ma l’ha fatto. Però penso che il modo in cui ha gestito la ripresa — i programmi di salvataggio, per esempio — abbia portato ad una ripresa dove il 91 percento dei guadagni sono andati all’uno percento più ricco. Questo è un fallimento. L’accordo di libero commercio che ora sta portando avanti produrrà maggiore disuguaglianza. Ciò che mi preoccupa è che — non per dire che lui ne sia l’architetto — ma di fatto sta portando avanti delle politiche che, secondo me, sono a favore della disuguaglianza.
BI: Ci sono molti fattori che sembrano contribuire ad un rapido aumento della disuguaglianza in questo paese. Cosa pensa della robotica e dell’automazione?
JS: La cosa sorprendente dell’America è che — è straordinariamente insolito dal punto di vista storico, non ho altri esempi — è che la produttività dei lavoratori e i loro salari non si muovono all’unisono. Negli ultimi 40 anni la produttività è raddoppiata, mentre i salari sono stagnati e poi caduti. Perciò la preoccupazione è che queste cose possano aumentare ancora la produttività ma anche portare a più disuguaglianze e bassi salari.
BI: Molto si è detto sull’aumento degli orari di lavoro degli americani rispetto al calo dei loro salari. Lei è d’accordo ad aumentare i giorni di ferie e di congedo per i lavoratori americani?
JS: Sì, per molti motivi. Proprio ora siamo un un momento di transizione critica riguardo il problema della produttività. Non sappiamo se l’economia riuscirà a creare abbastanza posti di lavoro per tutti. Sembra quasi un’eresia, perché l’idea degli economisti è che l’economia possa sempre creare posti di lavoro, e anche ottimi posti di lavoro. Ma la nostra economia non ci sta riuscendo. E c’è la preoccupazione che le nostre innovazioni tecnologiche non vadano di pari passo con la nostra capacità di gestire l’economia in modo da creare posti di lavoro. Abbiamo già avuto un episodio in cui abbiamo abbassato le ore settimanali da 60 a 40 ore. A questo punto la migliore risposta potrebbe essere, invece che abbassare le ore settimanali, aumentare i giorni di ferie. Dare più tempo ai congedi familiari. Penso che potrebbe essere una parte importante della risposta da dare al problema.
BI: Lei è professore alla Columbia University, e così l’ultima domanda riguarda in un certo senso anche lei. La proporzione tra produttori e consumatori sta calando, e questo è vero specialmente per l’istruzione online. Pensa che l’istruzione online possa sostituire il lavoro tradizionale di insegnanti e professori?
JS: Non sono molto preoccupato per questo, perché l’istruzione formale è data da due parti fondamentali. Una parte è ciò che potresti dire la trasmissione — cioè le lezioni. Ma l’apprendimento attivo prevede sempre anche l’interazione tra insegnanti e studenti, il metodo socratico, e così via. Penso che il modello che vedremo in futuro prevederà senz’altro che le migliori lezioni del mondo siano disponibili in rete, e sarà poi supportato da molte persone che in classe offriranno interazioni più intensive, e la motivazione. Per quel che mi riguarda, spero che ciò migliori complessivamente la qualità, e non sono preoccupato che possa implicare meno posti per gli insegnanti. Aumenterà invece l’accessibilità e la qualità.

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