domenica 28 giugno 2015

Travaglio. A qualcosa serviamo.


L’altro ieri, annunciando la sospensione di Vincenzo De Luca, Matteo Renzi ha detto con aria di sfida: “Abbiamo seguito l’iter previsto dalla legge, sarà una sorpresa per gli esperti del Fatto Quotidiano”. 
Fa sempre così: spaccia gli atti dovuti per graziose concessioni elargite dall’alto della sua magnanimità. L’aveva già fatto con le riforme costituzionali del Senato e del Titolo V, concedendo – bontà sua – ai cittadini il referendum confermativo, che naturalmente non è un suo beau geste, ma è previsto dalla Costituzione quando chi la cambia non raggiunge i due terzi del Parlamento. 
Curioso che un premier, quando obbedisce alla legge, se ne vanti come di un titolo di merito o di un gentile omaggio di cui dovremmo ringraziarlo. 
La verità l’hanno capita tutti: Renzi ha fatto di tutto per salvare De Luca, che aveva autorizzato a candidarsi a una carica che non può esercitare, con un decreto ad personam (aveva addirittura chiesto un parere ad hoc all’Avvocatura dello Stato); e si è fermato solo dinanzi alle minacce di denuncia delle opposizioni e agli interventi di Bruno Tinti e Gianluigi Pellegrino (“gli esperti del Fatto Quotidiano”) sui reati di abuso e omissione in atti d’ufficio che stava per commettere. Così si è messo in regola e al riparo da avvisi di garanzia, anche se non ha rinunciato a ipotizzare l’assurdità che ora De Luca si nomini il vicepresidente-prestanome e addirittura la giunta (cosa che non può fare: ogni suo atto sarebbe nullo). 
E, a suo modo, ha riconosciuto il ruolo del nostro giornale. Se ci avesse dato retta prima, avrebbe evitato tanti guai a se stesso e alla Campania. Già: perché non l’ha fatto? Perché non ha chiesto quel parere prima di candidare De Luca? Gli esperti – non solo del Fatto – gli avrebbero risposto che don Vincenzo, condannato in primo grado per abuso e sospeso da sindaco, per 18 mesi non potrà ricoprire alcuna carica negli enti locali. E lui avrebbe avuto buon gioco, anche nel caso in cui De Luca si fosse candidato per conto suo, a spiegare agli elettori che quello a lui sarebbe stato un voto inutile. E avrebbe anche dato un segnale forte alla classe politica e alla cittadinanza: tutti devono rispettare le leggi, anche se non le condividono, a cominciare da chi rappresenta le istituzioni e deve dare il buon esempio. Ora il Corriere fa sapere che il premier teme un presunto “assedio giudiziario”, una “resa dei conti” di fantomatiche “Procure” che marcerebbero compatte come falange macedone, per vendicare non si sa bene cosa.
Da Mafia Capitale alle inchieste di Trani su Azzollini (Ncd) e di Catania su Castiglione (Ncd), fino all’ultima indagine di Reggio Calabria su Rimborsopoli che ha decapitato l’intera nuova giunta regionale e portato alla richiesta d’autorizzazione all’arresto per il senatore Gianni Bilardi (ovviamente Ncd, uno degli ultimi ancora a piede libero)
Se Renzi volesse ascoltare il parere spassionato e gratuito degli “esperti del Fatto”, stavolta prima che sia troppo tardi, farebbe meglio a considerare la prevedibile conseguenza dei reati che la classe politica, anche quella del Pd, continua a commettere. Se uno – tipo Renzi – candida un vecchio arnese della politica calabrese come Mario Oliverio a governatore di Calabria e non muove un dito (non può: ha cinque sottosegretari indagati) quando quello nomina tre assessori inquisiti per Rimborsopoli su tre – mettendo in fuga l’ex ministra Lanzetta, pericolosamente incensurata – deve sapere che l’inchiesta proseguirà: infatti venerdì il vicepresidente pd Vincenzo Ciconte e l’assessore pd al Lavoro Carlo Guccione si son visti sequestrare la refurtiva e l’assessore pd ai Lavori pubblici Nino De Gaetano, già denunciato dalla Mobile per voto di scambio, è finito in manette per aver arraffato 400 mila euro di rimborsi indebiti. È una resa dei conti delle Procure o è un suicidio della politica che, non bastando la Campania, condanna un’altra Regione alle elezioni anticipate e la politica allo sputtanamento finale? Forse è il caso che Renzi dia una ritoccatina al suo cosiddetto “garantismo”: quello per cui sono tutti innocenti fino alla condanna in Cassazione. Questo possono dirlo i cittadini comuni, non i politici. Che, se vogliono evitare di trasferirsi in massa nelle patrie galere, devono tener lontani gli inquisiti dalle istituzioni. Finché è in buona, Renzi dia retta agli “esperti del Fatto”: chieda scusa a Rosy Bindi e le commissioni una bella black list di tutti i politici candidati al gabbio. E li mandi a casa, prima che arrivino i carabinieri a portarli dentro.
Ps. Grazie, cari lettori vecchi e nuovi, per averci scritto le vostre osservazioni, in gran parte positive ma anche critiche, sulla nostra nuova veste (grafica e non solo). Domani troverete in edicola il nuovo Fatto del Lunedì, ampiamente rinnovato e arricchito di nuove firme, rubriche e idee che speriamo vi piacciano. Colgo l’occasione per ringraziare Ferruccio Sansa che nel 2012, quando il Fatto usciva solo sei giorni a settimana, si inventò il Lunedì, animandolo fino all’altroieri con il suo talento e la sua passione. Dopo quasi tre anni, è venuto il momento di fare il “tagliando”: speriamo che anche la nuova versione vi soddisfi. In ogni caso, fateci sapere. Grazie di cuore.

Marco Travaglio FQ 28 giugno 2015

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