giovedì 21 maggio 2015

Il tragico e miope errore che Winston Churchill non avrebbe mai fatto. - Sergio Di Cori Modigliani

churchill

Sir Winston Churchill, un errore così marchiano, miope, ottuso e politicamente volgare, non lo avrebbe mai commesso. Mi riferisco a ciò che si è verificato il 9 maggio del 2015. Un evento geo-politico di fondamentale importanza strategica, che in Italia non ha suscitato alcun interesse ma che in Usa, Australia, Gran Bretagna, Argentina, Brasile, Cina, da quel giorno sta alimentando discussioni, forum, scambi di opinioni.
Vediamo di che cosa si tratta.
All’alba del 9 Maggio 1945, l’alto comando militare dell’esercito tedesco del Terzo Reich, firmava davanti ai plenipotenziari di Usa, Gran Bretagna e Urss, la propria resa incondizionata. Si concludeva così la più grande carneficina degli ultimi duemila anni, soltanto in Europa circa 45 milioni di morti (45.000.000 di persone scomparse) circa il 2% dell’intera popolazione planetaria di allora, corrispondente a circa 150 milioni di oggi. La resa venne firmata alle 7 del mattino. Alle 9, due ore dopo, veniva firmato un decreto surreale e folle, prova lampante della totale pazzia umana del concetto di guerra: americani, inglesi, russi e tedeschi furono d’accordo nel ricostituire e riconoscere da subito l’omicidio come reato, chiunque fosse la vittima, chiunque fosse l’omicida. Come dire, se alle 5 del mattino del 9 Maggio prendevate a randellate sulla testa (uccidendolo) il vicino di casa perché vi stava antipatico, ve la cavavate con una scusa qualunque, ma se lo facevate sei ore dopo venivate arrestati e condannati a morte. L’omicidio, infatti, veniva punito, in quel momento, in tutta l’Europa dell’est, in Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Danimarca, con la pena capitale. Basterebbe questo fatto per comprendere che cosa abbia rappresentato per l’immaginario collettivo il ventennio del nazifascismo: Adolf Hitler e Benito Mussolini sdoganarono l’omicidio, nascondendo l’assassinio e l’eliminazione fisica degli oppositori sotto la veste dell’ideologia. E’, quindi, incomprensibile come, ancora oggi, in Europa -e il numero sta aumentando in maniera allarmante anche in Italia- dei giovani e giovanissimi possano aderire a una interpretazione del mondo e della società che non contempla l’omicidio politico come reato.
Il 9 Maggio, per tutta l’Europa, è la giornata simbolo del ritorno alla pratica del Diritto Civile.
Quest’anno si celebravano i 70 anni da quei lontani e sanguinosi eventi.
Vladimir Putin, per l’occasione, aveva stabilito di organizzare una parata militare sulla Piazza Rossa, invitando tutti i più importanti leader politici del pianeta, con una zona vip destinata esclusivamente a russi, americani e britannici, i tre alleati vincitori di allora. 
Circa un mese prima, pare che Hollande avesse telefonato a Cameron per proporgli di fare il viaggio insieme e chiedere se aveva deciso di andarci anche la regina Elisabetta. Così aveva saputo che nessun inglese sarebbe andato a Mosca. Neppure la Merkel, neanche la regina d’Olanda, il re del Belgio, il re di Spagna. Naturalmente neppure gli americani. C’è stata (così ci informano i media statunitensi in genere molto ben informati) una lunga discussione tra francesi e inglesi, e alla fine Hollande si è arreso, non ci è andato neppure lui. Ma, da uomo di compromesso quale è, ha proposto una scelta che consentisse un minimo di decoro: ha mandato il suo ministro degli esteri accompagnato dal ministro degli esteri italiano, Gentiloni, i quali, sono stati fatti sedere da Putin (giustamente) in quarta fila. In prima fila i capi di stato, cinesi, indiani, pakistani, argentini, brasiliani, cileni, e un’altra cinquantina. Putin è riuscito addirittura a mettere insieme -seduti accanto- palestinesi e israeliani entrambi presenti; in seconda fila i generali e gli ufficiali dell’epoca ancora vivi e/o i loro figli; in terza fila i giovani ufficiali di oggi e in fondo, un po’ di lato, i francesi e gli italiani. Da soli, come hanno scelto di stare. Accanto a loro non era seduto nessuno.
Flavia Mogherini, che era stata invitata formalmente a partecipare a nome dell’Europa, ha declinato l’invito con un secco no grazie, senza ritenere opportuno indire una conferenza stampa, poiché dato il suo ruolo, può prendere anche iniziative, parlare, manifestarsi.
E così, la parata del 9 Maggio 2015 a Mosca, che celebrava la fine della seconda guerra mondiale, paradossalmente, per scelta degli europei occidentali, è diventata il macabro aperitivo che preannuncia quella che potrebbe essere la terza guerra mondiale.
Un gravissimo errore di miopia strategica e di ottusità da trogloditi della politica.
Churchill non l’avrebbe mai fatto, a costo di andarci da solo in visita privata, rassicurato dal fatto che sarebbe comunque finito in prima fila. Ma Churchill conosceva l’Europa e sapeva far politica. Non a caso è stato l’autore del primo gigantesco scandalo mediatico televisivo internazionale, nella primavera del 1952.
Ecco cosa accadde allora, in occasione delle celebrazioni per il settimo anniversario della fine della guerra: un giornalista americano che, da autentico pioniere, era passato dalla carta stampata alla televisione, sostenendo che fosse un medium che avrebbe avuto un futuro, un certo Walter Cronkite, aveva convinto i dirigenti della NBC a produrre un ciclo di interviste con personaggi famosi della Storia, proprio quell’anno. La prima era stata Eleanor Roosevelt, la seconda Charles De Gaulle, la terza Pablo Picasso, la quarta era dedicata a Winston Churchill, co-prodotta insieme alla BBC. La trasmissione durava circa un’ora e mezza. Nel corso dell’intervista, a un certo punto il giornalista chiedeva a Churchill la sua opinione sui comunisti, su Stalin e sui sovietici. E la risposta di Churchill fu: considero Josif Stalin davvero un tipo simpatico, direi un vero e proprio amico. –  Il giornalista, piuttosto colpito, non si lasciò fuggire la preda e lo incalzò, chiedendogli di elaborare il concetto.  E Churchill spiegò: io sono inglese. Sono un liberale conservatore. Ho servito per tutta la vita la Corona cercando di svolgere il mio servizio pubblico per il bene comune della collettività, quindi, come inglese conservatore non posso che dire Stalin è mio amico, ed è amico degli inglesi. Ben altra cosa è il comunismo che considero una vera e propria truffa, una illusione che un gruppo di burocrati, che fanno affari con i nostri banchieri, alimenta per manipolare della povera gente che ha bisogno di credere in qualcosa. Un giorno si sveglieranno e capiranno. Sono quindi furiosamente anti-comunista. Ma difendo la mia amicizia con Stalin. Perchè sono inglese e fedele alla Union Jack. Tra il giugno del 1941 e l’aprile del 1945 la grande madre Russia ha perso 27 milioni di persone per fermare Hitler. E ci sono riusciti. Se non fosse stato per l’Armata Rossa, adesso a Buckingham Palace ci sarebbe Joseph Goebbels. Io sarei stato impiccato e Sua Maestà sarebbe in esilio, magari in Australia. Quei 27 milioni di morti hanno salvato la libertà della Gran Bretagna, e come inglese non lo dimenticherò mai. A parte la truffa del comunismo, a me i russi stanno anche simpatici. Sono i crucchi che non sopporto. Loro, sono sempre stati il problema dell’Europa. Ne riparliamo tra cinquant’anni quando avranno rialzato la testa: i gravi problemi per le future generazioni verranno da Berlino e non da Mosca, glielo dice uno che li conosce tutti come le proprie tasche.
Non appena finita l’intervista, Walter Cronkite era entusiasta del risultato. Ma non durò molto. Il mattino dopo, molto presto (si era allora in campagna elettorale) il comandante in capo dell’esercito americano, generale Dwight Eisenhower, telefona al presidente Harry Truman e gli racconta il succo dell’intervista. Il leader americano rimane indifferente. Il generale, che era ossessionato dall’idea di andare a bombardare Mosca, gli dice: dovrebbe telefonare al Re d’Inghilterra e far bloccare quell’intervista.  E Truman gli rispose: è’ un po’ tardi, poveretto. Il re è morto sei mesi fa d’infarto, non lo sapeva? Adesso c’è una regina, una giovane di 25 anni.  E Eisenhower di rimando: ebbene, chiami questa ragazzina e le ordini di non  mandare in onda il video.  Truman tentò di placare l’ira del generale, ma la telefonata si concluse male. Fu il presidente a chiuderla: generale –  gli disse – a lei sembra realistico il fatto che io telefono alla Regina d’Inghilterra per ordinarle di non mandare in onda una intervista al più importante eroe nazionale del suo regno ancora in vita? Non mi scocci con le sue paturnie, se vuole la chiami lei. – L’aspetto più esilarante fu che Eisenhower la chiamò. La giovanissima Elisabetta ascoltò e poi gli rispose: non ho la minima idea di che cosa lei stia parlando, dato che non ho la televisione e non la guardo. Lei è un ottuso maleducato. Qualunque cosa abbia detto sir Winston Churchill, per principio, mi trova d’accordo. Io sono la regina d’Inghilterra. Non si permetta mai più di telefonarmi e importunarmi con i suoi ridicoli isterismi. E gli sbattè giù il telefono.
L’intervista andò in onda a Londra, a Parigi, a Mosca, in tutta l’Europa dell’est. Venne trasmessa anche in Olanda, Belgio, Danimarca, Svezia e Norvegia. In Germania e in Italia no.
Da allora sono passati 70 anni.
Siamo ancora a quel punto.
A quel livello di stupidità militarista.
Chi mi conosce e mi segue sa che non sono affatto un sostenitore di Putin, ma non è questo il punto. E’ ben altro.
L’aspetto tragico, da cui l’esigenza di scrivere questo post, sta nel fatto di aver certificato la totale latitanza dei media europei riguardo questa informazione.
Tempi duri, non c’è che dire.
E poi la gente crede che ai tempi odierni si sa tutto di tutto.
Si sa soltanto ciò che vogliono che si sappia.
Il punto è questo.
E soltanto questo.
Winston Churchill, il 9 Maggio 2015, a Mosca, eccome se ci sarebbe andato! 
P.S. L’intervista si concludeva con un gustoso episodio di umorismo inglese. Il giornalista, commentando il fatto che negli ultimi sei mesi Churchill era andato a cinque funerali di suoi amici, gli chiese quale fosse il segreto della sua longevità. L’inglese si versò un’abbondante dose di whisky nel bicchiere e lo tracannò. Poi tirò due boccate di sigaro dal suo avana e disse: “No sport!”