giovedì 3 dicembre 2015

È realizzata da un architetto italiano la prima casa solare galleggiante (autosufficiente). - Antonio Carnevale

(Foto: Giancarlo Zema Design Group)

Giancarlo Zema ha ideato una struttura ecosostenibile, utilizzando materiali riciclati e riciclabili. Completamente autosufficiente, grazie a dei pannelli fotovoltaici posizionati sul tetto, WaterNest 100 si adatta ad ogni esigenza e vuole rappresentare il modello abitativo del futuro.
È italiana la prima casa galleggiante, riciclabile e totalmente autosufficiente. Si chiama WaterNest 100 ed è stata progettata dall’architetto romano Giancarlo Zema per l’azienda inglese EcoFloLife.
L’obiettivo dichiarato è quello di evitare il consumo di suolo e individuare così delle soluzioni abitative alternative, non dannose per l’ambiente. Per farlo, Zema ha puntato su una casa ad alta efficienza termica e a basso impatto, grazie all’utilizzo di materiali riciclati e riciclabili. 
Il suo nuovo modello abitativo si alimenta grazie all’energia solare: la superficie del tetto infatti, è interamente ricoperta da pannelli fotovoltaici.



Design elegante e materiali eco-friendly
A prima vista, l’abitazione somiglia ad un gigantesco uovo galleggiante. Infatti, WaterNest 100 è letteralmente “sospesa” sull’acqua. Quattro metri di altezza e dodici di larghezza per questo futuristico involucro abitativo a pianta circolare, di 100 metri quadrati. Zema ha realizzato la sua unità abitativa completamente in legno lamellare e alluminio riciclato. Ampie vetrate e comodi balconi circondano l’intera area della casa, regalando affascinanti affacci sull’acqua.
Anche gli arredi, dal design elegante e innovativo, sono ecologici e realizzati in materiale riciclato e riciclabile. Merito di un’altra azienda italiana particolarmente sensibile alle tematiche ambientali, la Origami Furniture, che ha progettato tutto in cartone alveolare riciclato e completamente riciclabile.
L’impiego di materiali e sistemi produttivi eco-compatibili  rende questa unità abitativa riciclabile per ben il 98%.
Infine, WaterNest 100 è dotata di un sofisticato sistema di micro ventilazione interna, nel quale l’aria condizionata si accompagna alla ventilazione naturale. Un vero e proprio habitat residenziale a basso consumo.

(Foto: Giancarlo Zema Design Group)
(Foto: Giancarlo Zema Design Group)

Casa, ufficio e bar: tutto in un’unica soluzione.
Ma Zema non ha voluto soltanto costruire una capsula abitativa bella, ecosostenibile e riciclabile. Il suo obiettivo era quello di renderla energeticamente efficiente. Ecco perché sono stati installati sulla copertura in legno 60 metri quadrati di pannelli fotovoltaici amorfi in grado di generare 4kWp utilizzabili per sostenere l’intero fabbisogno energetico dell’unità.
All’interno invece, troviamo due camere da letto, un ampio soggiorno, una cucina abitabile e due bagni. Ma trattandosi di una struttura adattabile, «WaterNest 100 può assumere diverse configurazioni, in base alle esigenze abitative o lavorative», come sottolinea il suo ideatore. L’idea è infatti che WaterNest possa agire da casa/resort elegante, ecologica e autosufficiente, oppure trasformarsi facilmente in un ufficio o laboratorio. Ma anche in un lounge bar galleggiante o un ristorante, in un negozio o in uno spazio espositivo, tutti completamente indipendenti dalla rete elettrica.

(Foto: Giancarlo Zema Design Group)
(Foto: Giancarlo Zema Design Group)

Autosufficienza, a contatto con la natura.
Il progetto WaterNest 100 mira a diventare il modello abitativo del futuro, promuovendo uno stile di vita eco-friendly.
La Terra è sempre più satura e gli esperti suggeriscono la possibilità sempre più concreta di dover colonizzare mari e specchi d’acqua.

Attualmente la casa galleggiante si trova a Londra, ma in futuro potrà essere collocata lungo il corso dei fiumi, nei laghi e nelle baie, grazie alla sua capacità di adattarsi senza rischi al territorio, alla flora e alla fauna presenti. «È la soluzione ideale per chi vuole vivere in modo completamente indipendente e autosufficiente», conclude il suo ideatore «In completa armonia con la natura».

DISASTRO AMBIENTALE IN BRASILE: IL GOVERNO FA CAUSA A SAMARCO, CHIESTO RISARCIMENTO DA 20 MLD DI DOLLARI. - Marta Albè

rio doce brasile samarco

La situazione in Brasile continua ad essere tragica. Il Governo inizia a pensare a come intervenire. Il presidente del Brasile Dilma Rousseff ha deciso di avviare una causa civile contro la società Samarco, responsabile del disastro ambientale che da un mese sta interessando il Rio Doce.
Verrà creato un fondo da 20 miliardi di dollari per il recupero del bacino del Rio Doce, inquinato dal fango tossico dopo il crollo di due dighe nella regione mineraria di Minas Geiras. Il fondo non sarà alimentato con i fondi pubblici. La Samarco e le sue due società madri, Vale e BHP, dovranno occuparsi di mettere a disposizione il denaro.
Finalmente sentiamo parlare di un intervento per cercare di arginare i danni ambientali in Brasile. Il Governo sta intervenendo in ritardo, a ben un mese dalla tragedia e dopo essere stato criticato dalle Nazioni Unite per la mancata attuazione di misure di emergenza.
Il piano d’azione è stato suddiviso in quattro fasi:
1) Contenimento dei danni ambientali per fermare la diffusione del fango tossico.
2) Interventi per la riduzione dei danni.
3) Rivitalizzare l’ecosistema del bacino del Rio Doce.
4) Risarcire le persone colpite dalla tragedia.
Si prevede che le condizioni di base del Rio Doce vengano ripristinate in dieci anni, ma il bacino sarà completamente recuperato soltanto dopo 25 anni. Secondo il ministro dell’Ambiente brasiliano Izabella Teixeira, il fondo da 20 miliardi di dollari faciliterà il rispetto di queste scadenze.
Ben 50 tonnellate di fango tossico stanno attraversando il percorso di 850 chilometri del Rio Doce e hanno ormai raggiunto il mare. Il fondo che Samarco dovrà mettere a disposizione sarà gestito per i prossimi dieci anni dalla Magistratura per il ripristino del Rio Doce.
La cifra potrà aumentare nel corso del tempo se non sarà sufficiente per riparare i danni. Se Samarco non dovesse collaborare, il Governo brasiliano si dichiara pronto a sequestrarne i beni.
Se tutto andrà secondo le previsioni, il denaro necessario per arginare i danni non arriverà da soldi pubblici e non sarà ottenuto attraverso il bilancio del Governo. La somma servirà per riportare in vita il bacino del Rio Doce, dalla valutazione dei danni alle azioni necessarie per la lotta all’inquinamento.
Inoltre, secondo il ministro dell’Ambiente brasiliano, Samarco potrebbe ritrovarsi a pagare multe per 250 milioni di dollari, per non aver risposto ai cinque avvisi di accertamento emessi nelle scorse settimane. BHP, società anglo-australiana casa madre di Samarco, ha dichiarato che valuterà i documenti relativi alla causa avviata dal Governo brasiliano. Ci chiediamo se l’azienda pagherà davvero per il grave disastro ambientale che ha provocato.

Marco Parma, scuola pubblica e laicità prese sul serio. - Paolo Flores d'Arcais




Marco Parma, preside dell’Istituto Garofani di Rozzano, non ha affatto abrogato il Natale, come una (dis)informacija corriva verso il pensiero unico Renzi-Alfano-Verdini-Salvini-Berlusconi-Meloni continua a propalare. 
Si è limitato a non accogliere la pretesa di due mamme che volevano utilizzare il tempo della mensa scolastica per insegnare ai bambini due canti natalizi religiosi [“Adeste fideles” esordisce così: “Adeste fideles læti triumphantes, venite, venite in Bethlehem. Natum videte Regem angelorum. Venite adoremus (ter) Dominum”].

E perché mai avrebbe dovuto accettare? Chi vuole insegnare (e imparare) canti religiosi, vada in parrocchia, la scuola pubblica è di tutti e dunque laica. Il professor Marco Parma ha ragione, ha fatto benissimo, si è anzi comportato in modo esemplare, se vivessimo in una democrazia degna del nome (quindi laica per definizione) il ministro dell’Istruzione avrebbe già pronunciato un encomio. Mentre ci tocca l’obbrobrio di un primo ministro clericale che gargarizza un anatema per il tentativo di “affogare le identità in un politicamente corretto indistinto e scipito”, lui che di “politically correct” ha saturo il midollo. Quale sarebbe l’identità di cui conciona e sbrodola? L’unica identità che un primo ministro può esibire e curare è quella repubblicana della Costituzione e dei suoi valori, tra i quali la religione cristiana e il suo “adoremus (ter) Dominum” non è contemplata.

Un unico appunto al professor Parma: sembra che in una dichiarazione, per motivare il suo sacrosanto “non possumus” abbia invocato il carattere offensivo che il canto di una religione avrebbe potuto rappresentare per i bambini di altre religioni. No, caro Parma, questa è una motivazione inaccettabile, la scuola è laica perché pubblica, cioè di tutti, non di tutte le religioni ma di nessuna religione. Tanto è vero che se un programma scolastico suonasse offensivo per una fede (accade, in storia, scienza, perfino educazione fisica, e non solo per l’islam, sia chiaro), tanto peggio per quella religione, il programma andrebbe completato lo stesso.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/marco-parma-scuola-pubblica-e-laicita-prese-sul-serio/

Crimini e misfatti: la Turchia di Erdogan. - Angelo d’Orsi



Ciò che sta accadendo in Turchia ci riguarda molto da vicino. 

Un tiranno, Recep Tayyip Erdogan, non un semplice dittatore, bensì una sorta di satrapo ha il potere, tutto il potere nelle sue mani avide, sue e dei familiari, a cominciare dal figlio Ahmet, coinvolto in molti loschissimi affari. Egli ha creato un vero e proprio modello politico, secondo qualche analista: l'erdoganismo, che appare una sorta di bismarckismo iperautoritario, che prova a giocare sull'inclusione delle masse e sulla messa fuori gioco, con qualsiasi mezzo, di ogni forma non solo di opposizione, ma di dissenso. 

Le ultime elezioni, di cui la nostra ineffabile signora Mogherini ha certificato la democraticità, sono state stravinte da Erdogan, grazie alle azioni terroristiche contro le opposizioni: la strage dei giovani che marciavano per la pace ad Ankara del 9 ottobre scorso, con 95 morti, e centinaia di feriti, è un esempio mostruoso; saranno stati anche i kamikaze, ma come si sono comportate le autorità? Quali misure prima e dopo hanno preso? La polizia addirittura impediva i soccorsi, e aggrediva i superstiti. Le vittime sono diventate imputati, in sostanza, come in altri episodi assai meno gravi ma diffusi, sotto la tirannia di Erdogan: dopo l’attentato, costui ebbe l’insolenza di dichiarare che si trattava di un atto “contro l’unità del Paese”, lo stesso stucchevole, ma pericolosissimo, ritornello usato contro i partiti curdi. 

Tutto, in un clima di crescente intolleranza verso chi la pensava diversamente dal capo, verso magistrati che si permettevano di mettere il naso negli affari di famiglia, verso alti militari giudicati pericolosi per il potere del capo, e così via. Impressionante, la serie di chiusure di giornali e di siti internet, gli arresti e le pesanti condanne detentive di giornalisti, le intimidazioni d'ogni genere verso chi non è del partito del capo o verso chi si azzarda a esprimere, anche in modo sommesso, una critica: di questo passo in Turchia, la Turchia che vorrebbe aderire all’UE, neppure lo ius murmurandi sarà più concesso. L’attentato contro il corteo di giovani che chiedevano la pace, ossia la fine delle azioni militari del governo contro i curdi, essenzialmente, fu un episodio che colpì enormemente l’opinione pubblica internazionale, in qualche modo evocatore della strage dei giovani socialisti norvegesi da parte del neonazista Andres Breivik, nell’estate 2011. 

Ma quali furono gli atti della “comunità internazionale” volti a chiedere conto dell’accaduto a Erdogan e al suo governo?  E che dire della brutale eliminazione, degna di un poliziesco, della giornalista e attivista britannica Jacky Sutton, all’interno dell’aeroporto Ataturk di Istanbul? Con tanto di suicidio inscenato, per impiccagione, nella toilette… La Sutton indagava sui possibili nessi tra governo turco e Is, guarda caso. Anche in questo caso non risultano inchieste serie all’interno, né proteste “vigorose” della solita comunità internazionale, a cominciare da quella europea. Ogni volta, insomma, Erdogan alza l’asticella, e ogni volta, regolarmente, incontra acquiescenza, connivenza, al massimo imbarazzati silenzi. 

E stupisce anche l’assenza della stampa di inchiesta su un caso che, anche con lo sguardo cinico del professionista della comunicazione, è dannatamente “interessante”. E il rullo compressore erdoganiano procede, schiacciando tutto ciò che incontra sul proprio cammino.

Nel disegno politico di colui che si considera il nuovo Ataturk, Racep Erdogan appunto, la "sua" Turchia – sua in senso proprio, proprietario, si direbbe – deve diventare potenza egemone nell'area mediorientale, per poi sedere al banchetto dei "grandi", forte di un esercito potentissimo, e di una crescita economica che finora ha sostenuto le sorti governative; finora, ma le cose stanno cambiando. 

Per raggiungere lo scopo, Erdogan non ha esitato a stabilire rapporti, più o meno coperti, con Daesh, mentre conservava e rafforzava i suoi legami con Usa e Nato: non buoni invece quelli con l'Unione Europea, che stenta ad accogliere uno Stato come questo nel suo seno (con notevole ipocrisia, d'altronde). E, soprattutto, Erdogan, con straordinario cinismo, stabilisce e rompe intese ed alleanze: il suo attacco alla Russia (l'abbattimento di un aereo della Federazione impegnato in azioni contro l’Isis è stata una dichiarazione di guerra, evidentemente compiuta con l'assenso della Nato e degli Usa) e l'eliminazione dell'avvocato Tahir Elci, uno dei più noti difensori della causa del popolo curdo, è stata un'altra dichiarazione di guerra, contro un intero popolo, la cui esistenza in Turchia neppure viene riconosciuta (i curdi sono chiamati "turchi del Nord"!). Un vero e proprio "caso Matteotti" in salsa turca. 


Ci si sarebbe aspettato una generale levata di scudi, specie dopo aver visionato il video dell’azione: gli assassini scappano verso gli agenti di polizia che sparano verso di loro senza mai colpirli, al punto che vien da pensare che le loro armi fossero caricate a salve. “L’uccisione rimarrà un mistero”, si è subito bofonchiato. Lo rimarrà perché le autorità vogliono che nulla trapeli della verità, perché esse sono implicate direttamente nell’omicidio, che con la solita faccia tosta Erdogan ha attribuito al PKK ossia il partito curdo di sinistra estrema, che Elci difendeva sia in tribunale, nelle tante cause in corso, sia nelle pubbliche occasioni, in una delle quali era egli stesso incappato nell’accusa di tradimento e quant’altro, ed era stato arrestato. Ma un altro video è da guardare, con estrema attenzione, quello dei suoi funerali. Esso costituisce un bellissimo quanto dolente omaggio al combattente caduto, che è anche una dimostrazione di coraggio per chi vi ha partecipato, e una lezione per chi, nelle nostre tepide case, lo guarda, ammirato della sua grandiosa semplicità, e della sua forza. 

Ma il potere di Erdogan e del suo cerchio magico non si lascia condizionare, come non lo aveva smosso l'ondata di proteste dello scorso anno di piazza Taksim in difesa del Gezi Park, ma in realtà di quel poco di libertà che ancora rimaneva nel Paese. Proteste represse, come le precedenti e le successive, con durezza estrema dalla polizia: feriti, morti, e centinaia di arresti. 

Tutto ciò, ribadisco, nella silenziosa acquiescenza delle "democrazie occidentali", che si stanno rendendo complici del tiranno. L'odio per i "comunisti" (del PKK), da un canto, la russofobia dall'altro giocano sempre un ruolo importante. La democratica Europa tace. La democratica Italia, balbetta. I democraticissimi Stati Uniti, invece, si schierano a fianco del tiranno. E così costui, nel suo megagalattico palazzo presidenziale da 1200 stanze - il più gigantesco del mondo - una reggia fortificata, per giunta edificata in zona vietata (il diritto che nasce dalla forza, non viceversa...), sogna come Il Grande Dittatore, aggirandosi per saloni, corridoi, scale, parco... Sogna di avere, nelle sue avide mani adunche prima il Medio Oriente, e poi? 

La sua corsa tuttavia rischia di fargli fare passi falsi: colpire con un missile un aereo russo è stato un gesto a dir poco spregiudicato, volto a far schierare tutto l’Occidente al suo fianco, in nome dell’antica paura e odio per i russi; l’arroganza con cui Erdogan ha, con toni truculenti, rivendicato il “diritto” della Turchia a “difendere i propri confini”, perché un aereo che in teoria combatte dalla stessa parte turca contro l’Is, aveva sconfinato (per 27 secondi, ossia, 2,7 km), è apparso quasi grave quanto quel missile. Ma quando preso ormai da una sorta di delirio di onnipotenza, Erdogan ha sentenziato: “La Russia scherza col fuoco”, allora l’inquietudine è cresciuta. Non v’è dubbio che oggi, vi sia un solo soggetto politico-militare che possa fermare Erdogan: la Federazione Russa di Vladimir Putin: piaccia o non piaccia. Così come è chiaro che soltanto la Russia oggi sta combattendo l’Is, seriamente, al di là delle motivazioni, e che solo la Russia può impedire alla Turchia di impadronirsi di un quarto del territorio siriano, di un quinto di quello iracheno e così via. Solo la Russia, in definitiva, può impedire la terza guerra mondiale, verso la quale, invece, la Turchia di Erdogan sembra voler trascinare il mondo. 


http://temi.repubblica.it/micromega-online/crimini-e-misfatti-la-turchia-di-erdogan/

Letterina a Babbo Natale.



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Energia: petrolio e carbone, fonti in discesa. Ora il mondo si libera dei suoi killer. - Maurizio Ricci.

Energia: petrolio e carbone, fonti in discesa. Ora il mondo si libera dei suoi killer

Siamo diventati più efficienti, quindi ne consumiamo meno. E quella che usiamo viene da fonti alternative.

UNO: avete messo i doppi vetri alle finestre. 
Due: la vostra auto è una Euro6. 
Tre: quando andate al mare notate che la campagna è piena di file di pannelli solari. Adesso, fate uno più due più tre. Risultato: 45 dollari, quanto costa oggi un barile di petrolio. Spiccioli, rispetto a quanto costava poco più di un anno e mezzo fa. Ma la notizia importante è che il prezzo è crollato perché è caduta la domanda. Siamo diventati più efficienti a consumare l'energia, quindi ne consumiamo meno e quella che consumiamo viene da fonti alternative. Sembrava una scommessa azzardata, e invece no. Quello che gli esperti stanno raccontando in questi mesi — alcuni a bocca storta, altri con sollievo — è che stiamo assistendo al crepuscolo del petrolio e del carbone. Siamo solo all'inizio e non sarà un processo breve. Anzi, sono in tanti, nei corridoi della conferenza sul clima di Parigi, a dire che arriva troppo tardi. Però, arriva. Dieci anni fa pensavamo che il tramonto del petrolio sarebbe arrivato perché erano finite le riserve e ci saremmo disputati il poco rimasto. Invece, è il contrario: ce n'è troppo. In questo momento, ci sono 100 milioni di barili (l'equivalente di un giorno intero di consumi mondiali) stivati nelle petroliere ormeggiate al largo, perché a terra non c'è più spazio nei depositi. Non sappiamo che farcene.

Per le sostanze che hanno avviato e alimentato due secoli di rivoluzione industriale è una situazione inedita. Chi racconta meglio la svolta è l'ultimo rapporto della Iea, l'agenzia dell'Ocse, cioè i paesi ricchi, che si occupa di energia. Spiega che c'è una transizione epocale in corso, che si appoggia su due fattori. Si è esaurita la singola spinta alla domanda di energia più esplosiva della storia recente, perché si sta spegnendo la sete della Cina. Ma, contemporaneamente, cambiano anche gli strumenti. Il carbone, il combustibile più inquinante e anche quello che emette più CO2, oggi la prima fonte di elettricità, sta per perdere il suo predominio.

A prima vista, non si direbbe. L'India difende con i denti il suo diritto ad alimentare a carbone il suo sviluppo economico. La Cina sta facendo shopping di miniere nel mondo: ieri Xi Jinping ne ha, praticamente, comprata una in Zimbabwe. Gli ambientalisti di Climate Action Tracker hanno calcolato che, se tutti i progetti di costruzione di nuove centrali a carbone andassero in porto, l'obiettivo di contenere il riscaldamento mondiale a 2 gradi andrebbe, letteralmente, in fumo. Ma, se alziamo gli occhi e guardiamo un po' più in là, la prospettiva cambia. È improbabile che tutte quelle centrali vengano costruite davvero. I petrolieri hanno rotto i ponti con i loro colleghi del carbone. Giappone e Usa hanno tolto i sussidi all'esportazione. Banche, assicurazioni, fondi fuggono dagli investimenti in carbone come fosse la peste. Finanche una delle più grandi società minerarie al mondo gli ha girato le spalle. Anche se India e Cina insisteranno nell'energia a basso costo assicurata dal carbone, l'egemonia del combustibile più inquinante, globalmente, è finita. La Iea calcola che in 15 anni sarà scavalcato: le centrali a carbone saranno sempre di meno. E chi ne prenderà il posto? Le rinnovabili. Già oggi, una nuova centrale su due funziona con il sole, il vento, l'idroelettrico. Nel 2040, assicura la Iea, sarà la prima fonte di elettricità: il 50% del totale in Europa, il 30 in Cina e in Giappone, il 25 negli Usa.

Ma Re Petrolio? Sapevamo già che il carbone era una vittima designata, ma che ne sarà dell'oro nero? D'ora in avanti, calcola la Iea, la domanda mondiale di energia crescerà più o meno l'1 per cento l'anno: dal 1990 in poi, andavamo ad una velocità doppia. Merito dei miglioramenti nell'efficienza energetica. E, specificamente per il petrolio, aggiunge la Iea, il boom è finito. Da qui al 2020, sostiene il direttore esecutivo, Fatih Birol, la produzione di greggio aumenterà del 5 per cento. Poi, ci vorranno venti anni, fino al 2040, perché aumenti di un altro 5 per cento o poco più. Che succede? L'Occidente, i paesi ricchi dell'Ocse voltano le spalle all'oro nero. Da qui al 2040, America, Europa, Giappone ridurranno i consumi di 11 milioni di barili al giorno, l'equivalente di un quarto dei consumi attuali. Il problema è che quei barili ricompaiono nei consumi dei paesi emergenti, come Cina e India che ne utilizzeranno, appunto, 11 milioni in più. Saldo zero, insomma.

Al di là degli impegni presi da tutti per contenere le emissioni di CO2, dunque, il mondo appare ancora spaccato in due, fra paesi ricchi sempre più lontani dai combustibili fossili e paesi emergenti dove lo sviluppo è ancora intrecciato all'energia tradizionale. Ma qualcosa è cambiato in profondità. L'idea che non sia possibile immaginare un mondo prospero e capace di sviluppo, lontano dai combustibili fossili, non sta più in piedi. Il senso della storia che racconta la Iea è chiaro. Il mondo si sta liberando del petrolio. La svolta inizia nei paesi sviluppati, ma i paesi emergenti seguiranno, ancora una volta, il sentiero tracciato, con l'efficienza e le rinnovabili, da quelli che, oggi, sono più ricchi. E' solo questione di tempo.

Il problema è che il tempo è esattamente quello che non c'è. Ecco perché quella della Iea è, per ora, una storia confortante, ma non a lieto fine. I consumi di petrolio rallentano vistosamente, anche le emissioni proporzionalmente diminuiscono, rispetto all'uso di energia. Ma non basta. Nel 2040 centrali elettriche e automobili sputeranno comunque globalmente nell'atmosfera il 16 per cento di tonnellate di anidride carbonica in più, rispetto al 2013. Il mondo, dicono gli scienziati, non se lo può permettere. La battaglia per contenere l'uso dei combustibili fossili, contro interessi potenti e convinzioni radicate, resta difficile. Però, se la transizione alla nuova energia è già in corso, spingere in discesa è più facile.


http://www.repubblica.it/ambiente/2015/12/02/news/petrolio_e_carbone_fonti_in_discesa_ora_il_mondo_si_libera_dei_suoi_killer-128592752/