lunedì 3 ottobre 2016

Alfano, indagine della Corte dei Conti sul fratello Alessandro assunto in Poste. - Marco Lillo e Valeria Pacelli



L’assunzione di Alessandro Alfano, fratello del ministro dell’Interno, nel gruppo Poste nel 2013 è al vaglio della Corte dei conti. La Procura di Roma ha infatti inviato ai magistrati contabili una relazione di sei pagine (ma con centinaia di pagine allegate) per mettere in fila tutte le tappe della carriera di Alfano jr, emerse dagli atti dell’inchiesta penale che vede indagato tra gli altri, l’uomo vicino al ministro dell’Interno, Raffaele Pizza, arrestato il 6 luglio.
In una delle conversazioni intercettate nel gennaio del 2015, Pizza si vantava con Davide Tedesco, collaboratore del ministro Alfano, di aver facilitato, grazie ai suoi rapporti con l’ex amministratore di Poste Massimo Sarmi, l’assunzione del fratello del ministro in una società del Gruppo, Postecom. Pizza diceva: “Lui come massimo (di stipendio, ndr) poteva avere 170 mila euro e io gli ho fatto avere 160 mila. Tant’è che Sarmi stesso gliel’ha detto ad Angelino: ‘Io ho tolto 10 mila euro d’accordo con Lino’ (Pizza, ndr), per poi evitare. Adesso va dicendo che l’ho fottuto perché non gli ho fatto dare i 170 mila”. Pochi mesi dopo quelle presunte lamentele, Alfano jr (laurea triennale a 34 anni in Economia) viene trasferito in un’altra società del gruppo – Poste Tributi – e lo stipendio supera i suoi desiderata: 180 mila euro lordi all’anno.
Quando la vicenda emerge sui giornali nel luglio del 2016 con gli arresti, Repubblica chiede a Sarmi se sapesse dell’assunzione del fratello del ministro. E lui risponde: “Secondo lei l’Ad di un gruppo da 150 mila persone può occuparsi anche delle assunzioni nelle controllate?”. Ora si scopre che la risposta giusta è sì, a sentire il capo del personale dell’epoca di Poste. Un tipo del quale Sarmi si fida perché lo ha portato con sé alla società Milano Serravalle, dove la Lombardia di Maroni (Ncd è in maggioranza) lo ha nominato amministratore nell’ottobre del 2014.
Al Fatto risulta che tra le carte più interessanti inviate alla Procura della Corte dei conti c’è proprio la testimonianza del febbraio scorso alla Guardia di finanza del capo delle risorse umane di allora di Poste, Claudio Picucci, che tira in ballo il suo capo. Picucci ha raccontato che il curriculum di Alessandro Alfano gli fu recapitato da Sarmi e ha aggiunto di ritenere che l’Ad sapesse che quello era il fratello del ministro. Una versione opposta a quella di Sarmi.
La Procura della Corte dei conti dovrà ora decidere se archiviare o chiedere conto ai manager del gruppo responsabili dell’assunzione. I pm ordinari non hanno indagato nessun manager ma hanno segnalato i fatti riscontrati ai colleghi della Corte perché verifichino l’esistenza di un eventuale illecito contabile, cioé di un danno erariale. Il nucleo valutario della Guardia di finanza guidato dal generale Giuseppe Bottillo, partendo dalla “confessione-outing” di Pizza al telefono con Tedesco, ha ricostruito l’iter che ha consentito al fratello del titolare del Viminale di essere assunto in Postecom, controllata al 100 per cento da Poste Italiane, dal settembre 2013 con uno stipendio di 160 mila euro l’anno.
Dopo il trasferimento con aumento a 180 mila Alfano jr è rientrato in Poste a maggio scorso. È stato proprio Francesco Caio, l’uomo scelto da Matteo Renzi per risanare le Poste, a vistare per l’occasione l’ennesimo aumento fino a 200 mila euro. L’amministratore di Postecom Vincenzo Pompa è oggi amministratore delegato di un’altra società del gruppo, Postel. Evidentemente Caio non trova nulla di male in quell’assunzione effettuata tre anni fa senza concorso. La legge 133 del 2008 all’articolo 18 dispone: “Le società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”.
Poste si era data un modello per ottemperare a questa normativa ma Postecom, secondo gli investigatori, potrebbe avere saltato alcuni passaggi. La difesa di Poste Spa è quella accampata in casi simili anche dalla Rai: la legge prevede un’eccezione per le società pubbliche quotate in Borsa che possono fare le assunzioni come vogliono. Il punto è che Rai e Poste hanno emesso solo obbligazioni quotate e non sono mai state quotate a Piazza Affari in quanto società. Inoltre Postecom, come notano gli investigatori, ha assunto Alfano jr senza concorso anche se – a differenza della capogruppo – non ha emesso nessuna obbligazione quotata. Insomma la partita è aperta.

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