mercoledì 30 novembre 2016

Debora Serracchiani sanzionata per violazione della par condicio.

Debora Serracchiani sanzionata per violazione della par condicio

E' finita nella bufera Debora Serracchiani che ha organizzato - a spese dei contribuenti, riporta il Fatto Quotidiano - un convegno dal titolo "Riforma costituzionale e Autonomie speciali" che si è svolto nella sede della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, a Udine, dove tutti gli invitati erano per il Sì al referendum.

A denunciare il fatto all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) è stato il Movimento cinque stelle del Friuli Venezia Giulia. L'Agcom ha poi sanzionato la vice segretaria nazionale del Pd per aver violato le regole della par condicio sul referendum. "Non solo questo spudorato manifesto per il Sì al prossimo referendum del 4 dicembre è stato pagato con risorse pubbliche - ha fatto sapere la portavoce del Movimento 5 Stelle regionale Elena Bianchi - ma si è svolto in piena violazione della par condicio e in totale assenza di contraddittorio".

L'Agcom ha anche ordinato alla Regione Friuli Venezia Giulia di pubblicare sulla home page del proprio sito istituzionale, per la durata di 15 giorni, l'indicazione che lo stesso convegno, "Riforma costituzionale e Autonomie speciali", non ha rispettato quanto previsto dall'art. 9 della legge 22 febbraio 2000 n. 28 in materia di comunicazione istituzionale

http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/12004526/debora-serracchiani-sanzionata-per-violazione-della-par-condicio.html

GUSTAVO ZAGREBELSKY: “COSTITUZIONE INDIFESA COME A WEIMAR. FERMIAMO GLI APPRENDISTI STREGONI”. - Giuseppe Salvaggiulo

Gustavo Zagrebelsky: “Costituzione indifesa come a Weimar. Fermiamo gli apprendisti stregoni”

«Parlamento illegittimo, non poteva cambiare la Carta. Ma i garanti tacciono Mourinho direbbe: riforma zero tituli. Col proporzionale torna la politica»
Il professorone che non t’aspetti. Nel pieno di una campagna incarognita, Gustavo Zagrebelsky sfoggia autoironia. Ride della «sublime imitazione di Crozza» e fa ammenda degli eccessi accademici in tv. Ma cala anche un argomento pesante contro la riforma: la violazione del primo pilastro della Costituzione, la sovranità popolare. Tra Platone e Mourinho, Weimar e De Gregori.
Che cos’è in gioco, la Costituzione più bella del mondo?
«Questa è un’espressione sciocca che non ho mai usato. Le Costituzioni non si giudicano dall’estetica, ma dai valori che esprimono e dal contesto che li può far vivere».
Cosa intende per contesto?
«Tra il ‘46 e il ‘48 c’erano i postumi d’una guerra civile, ma la Costituzione fu lo strumento della concordia nazionale. Oggi, al contrario, la riforma divide. Siamo in balia di apprendisti stregoni che ignorano quanto la materia sia incandescente. A chi vuol metterci mano, può prendere la mano. Non si sa dove si va a finire. Questa riforma, con annesso referendum, rischia il disastro. Chiunque vinca, perderemo tutti».
La riforma non tocca i principi, la prima parte della Carta.
«Davvero si tratta solo di efficienza dell’esecutivo e non anche di partecipazione di coloro che a quei principi sono interessati? A proposito: a me pare che sia stato violato proprio l’articolo 1».
In che modo?
«La riforma è stata approvata da un Parlamento eletto con una legge incostituzionale. Fatto senza precedenti».
Però la sentenza della Consulta sul Porcellum dice che il Parlamento resta in carica.
«La prima parte della sentenza dice che la legge è incostituzionale perché ha rotto il rapporto di rappresentanza democratica tra elettori ed eletti. La seconda che, per il principio di continuità dello Stato, il Parlamento non decade automaticamente. Bisognava superare il più presto possibile la contraddizione. Invece il famigerato Porcellum, che tutti aborrono a parole, non è affatto estinto: vive e combatte insieme a noi perché il Parlamento che abbiamo è ancora quello lì. La riforma costituzionale è stata approvata con i voti determinanti degli eletti col premio di maggioranza dichiarato incostituzionale. Ma i garanti della Costituzione fanno finta di niente e tacciono».
Chi sono i garanti?
«Dal presidente della Repubblica ai singoli cittadini. La Repubblica di Weimar, nella Germania degli Anni 30, implose anche per l’assenza di un “partito della Costituzione” che la difendesse oltre gli interessi contingenti dei partiti. Oggi accade lo stesso».
Perché è violato l’articolo 1?
«L’articolo 1 dice che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Ebbene, questo Parlamento non è stato eletto secondo le forme ammesse dalla Costituzione. C’è stata un’usurpazione della sovranità popolare. La riforma è viziata ex defectu tituli».
Professore, così diamo nuovo materiale a Crozza.
«Allora citiamo Mourinho: è una riforma “zero tituli”».
Ora, però, decide il popolo.
«Pensare che il referendum sia una lavatrice democratica che toglie ogni macchia è puro populismo. Anche perché è stato trasformato in un Sì o No a Renzi, e la povera Costituzione è diventata pretesto per una consacrazione personale plebiscitaria. Qualcuno s’è fatto prendere la mano».
Che cosa imputa a Renzi?
«Nulla. Però non c’è saggezza nel legare la sorte d’un governo al cambio di Costituzione. Non appartiene alla cultura liberale e democratica. La Costituzione non deve dipendere dal governo né viceversa. Sono su piani diversi, il governo sotto».
Qual è la concezione che Renzi ha del governo, del potere democratico? Perché lo contesta?
«In un dialogo del suo periodo tardo, “Il Politico”, Platone distingue il governante “pastore di uomini”, che conduce il popolo come un gregge, dal governante tessitore. Un sistema in cui il popolo, come si dice con enfasi, la notte stessa delle elezioni va a letto sapendo chi è il Capo nelle cui mani s’è messo, appartiene alla prima concezione. La democrazia è cosa molto più complicata».
Però questa riforma nasce dallo stallo politico del 2013, dalla rielezione di Napolitano. Renzi è venuto dopo.
«Il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale. Nel suo discorso d’insediamento al momento della rielezione, davanti a tanti parlamentari commossi e grati a chi li definiva incapaci, inconcludenti, nominati, corrotti e pure ipocriti (da riascoltare quelle parole!), riprese in mano il tema della riforma, trattandolo come un terreno di unità. Ma la storia ha dimostrato che non lo era affatto».
Ha ripensato al confronto in televisione con Renzi?
«Non mi sono mai sentito tanto a disagio. Sono cascato, per leggerezza, dal mio mondo in un altro. Non è stato un vero confronto. La comunicazione contro il tentativo di argomentare, surclassato dal diluvio verbale. Si è parlato, non dialogato. L’indomani mi ha telefonato un amico assennato, dicendomi “sei stato te stesso”. Cos’altro avrei dovuto essere?».
Lo rifarebbe?
«Mah! Cercherei comunque di non essere professorale: peccato gravissimo! D’altra parte, è difficile prevedere i colpi bassi e gli argomenti a effetto lanciati nell’etere senza alcuna verosimiglianza, anzi con molto cinismo. Come quello sui malati di cancro avvantaggiati dal Sì, che ricorda analoghe promesse berlusconiane».
Preparerebbe carte a sorpresa?
«Certo che no. I foglietti sottobanco sono stati la cosa peggiore, una meschinità che non mi sarei aspettata da un uomo delle istituzioni. Un’abitudine da talk show della peggior specie, dove ciò che conta non è chiarire, ma colpire».
C’è rimasto male per l’imitazione di Crozza?
«Tutt’altro! Quando l’ho vista la seconda volta, ho riso più della prima. Gli occhiali, la stilografica, i libri, il fazzoletto, il dittongo, il munus: davvero eccellente. Gli ho telefonato per farci altre quattro risate».
Che succede se vince il Sì?
«Non si apre la strada a una dittatura, ma alla riduzione della democrazia e all’accentramento del potere in poche mani. Non possiamo tuttavia sapere, oggi, quali saranno le poche mani di domani».
E se vince il No?
«Si potrà ricominciare a “fare politica”. La responsabilità sarà dei partiti e dei movimenti. Altrimenti, si correrà il rischio dell’affacciarsi dei cosiddetti governi tecnici o istituzionali.
E il salto nel vuoto evocato da Renzi? E i timori dei mercati?
«Agitare queste paure può essere controproducente: il sistema finanziario che adombra sciagure non è visto come benefattore dei popoli. Il referendum è lo strumento per scuotersi dal giogo della finanza. Decidano i cittadini e, come canta De Gregori, viva l’Italia che non ha paura».
Bisognerà riscrivere la legge elettorale.
«Molte ragioni militano per il ritorno al sistema proporzionale, quello che meno dispiace a tutti e mi pare più conforme all’attuale sistema multipartitico. Da lì si potrà, se si saprà, ricominciare a parlare di riforme anche costituzionali».
Che cosa farà il 5 dicembre?
«Questa campagna è stata estenuante. Non vedo l’ora che finisca. Mi sveglierò tranquillo perché il sole sorgerà ancora, comunque vada».
La Stampa, 29 novembre 2016


Furbetti del cartellino, nessuna salvezza dalla Consulta (a differenza di quanto dice Renzi). Ma pioveranno ricorsi. - Luisa Gaita

Furbetti del cartellino, nessuna salvezza dalla Consulta (a differenza di quanto dice Renzi). Ma pioveranno ricorsi

Dopo la decisione dei giudici supremi sulla legge Madia si è diffuso il timore che i provvedimenti contro gli assenteisti del settore pubblico potessero finire al macero. Ilfattoquotidiano.it ha interpellato diversi esperti. Secondo i quali tutti gli strumenti per licenziarli c'erano già. L'effetto può esserci però sui tempi e sull'incentivo a impugnare.

Nessuna salvezza per i fannulloni e furbetti del cartellino. Si potranno ancora licenziare, al contrario di quanto dichiara il premier Matteo Renzi. Intervistato da Barbara D’Urso a Domenica live 48 ore dopo il verdetto della Consulta sulla riforma Madia, il premier ha infatti lamentato che “la Corte costituzionale con una sentenza ci ha impedito di licenziare quelli che fanno i furbetti a timbrare il cartellino”. Non è proprio così. In questo ambito le problematiche conseguenti alla bocciatura da parte della Consulta di quattro articoli della legge delega della riforma Madia sulla Pubblica amministrazione sono principalmente legate ai ricorsi che è prevedibile fioccheranno da parte di dipendenti pubblici sospesi e licenziati con tempi e modalità dettate dal decreto legislativo 116 del 2016 diventato poi legge. Fra i sei decreti attuativi che derivano dalla legge delega ritenuta incostituzionale e travolti dalla sentenza 251 della Corte Costituzionale c’è infatti anche il cosiddetto decreto fannulloni che prevede la sospensione in 48 ore del dipendente pubblico colto sul fatto (nel caso del cartellino timbrato da un collega, la norma colpiva anche quest’ultimo), il blocco dello stipendio e il licenziamento entro 30 giorni. Che cosa accadrà, dunque, ai dipendenti pubblici colti in flagrante e già licenziati? La sentenza della Consulta rappresenta davvero un enorme passo indietro, un dramma nella lotta all’assenteismo oppure, in fin dei conti, non cambia poi molto? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto ad alcuni esperti. Che concordano soprattutto su un punto: il decreto in questione non ribaltava in maniera così clamorosa la situazione precedente e, dunque, anche senza quello strumento le amministrazioni sono perfettamente in grado di licenziare i dipendenti infedeli. Nessun dramma.
IL CASO DI SIRACUSA. Eppure agli inizi di settembre la ministra della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, è stata la prima ad annunciare sui social ‘l’era del licenziamento sprint’ quando un’operazione della Guardia di Finanza ha portato a scoprire 29 dipendenti assenteisti del Libero consorzio comunale di Siracusa: “Si applica la riforma della Pa: licenziamento rapido a tutela di tutti i dipendenti onesti” sono state le sue parole. Nei 137 giorni presi in esame sono state documentate 1114 ore di assenze ingiustificate. Com’è finita? Diciannove lavoratori sono stati sospesi per due due mesi e, agli inizi di novembre (circa due mesi dopo il blitz ‘Quo vado’), ci sono stati i primi 4 licenziamenti dei dipendenti del Libero Consorzio di Siracusa, ex Provincia regionale. Un paio di giorni fa la stessa sorte è toccata a sei dipendenti di Siracusa Risorse, società partecipata dell’ex Provincia di Siracusa, sempre nell’ambito della stessa indagine.  Ora che cosa accadrà?
IL RITORNO AL PRE-RIFORMA. Secondo Lorenzo Zoppoli, ordinario di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ non c’è dubbio sul fatto che rimanga, nonostante la sentenza “la possibilità di licenziare il dipendente che viene colto in flagranza di infrazione perché non timbra il cartellino o non è puntuale, non l’ha certo introdotta la riforma Madia”. Cambiano i tempi, ma anche tutta la questione probatoria, il nodo della nozione di flagranza di comportamento di cui si è molto discusso in sede di approvazione e che non si è risolta in maniera pacifica e lineare. “I tempi sono infatti legati ad adempimenti e alla necessità di dare delle garanzie a chi viene incolpato di un certo comportamento” spiega Zoppoli. Discorso diverso sul fronte dei ricorsi: “È chiaro che la sentenza della consulta indebolisce i provvedimenti precedenti, ma non manda tutto al macero”. I ricorsi? “Rinunceranno solo i dipendenti che non ne trarrebbero convenienza e si tratta di casi piuttosto rari”. Qualcosa cambia con la sentenza della Consulta, ma che le regole ci fossero già dalla riforma Brunetta del 2009 e che alcune previsioni fossero state nel frattempo introdotte anche nei contratti collettivi di lavoro lo conferma anche Aurora Notarianni, avvocato specialista in Diritto del lavoro.
CHE COSA CAMBIA. “L’obbligo di avviare un procedimento disciplinare nel caso di un’alterazione (come il cartellino timbrato da un collega), per esempio, esisteva già” spiega l’avvocato. Dal punto di vista amministrativo, poi, era prevista anche la responsabilità di chi agevola, ma non quella del dirigente che si gira dall’altra parte. E se dal 13 luglio di quest’anno, data di entrata in vigore della legge, era possibile sospendere automaticamente (senza stipendio, salvo l’assegno alimentare), senza l’audizione del dipendente, ora il lavoratore colto in flagranza potrà essere sospeso, ma solo dopo essere stato sentito. Discorso a parte per i tempi di licenziamento che con la nuova legge erano ridotti a 30 giorni. “Succede che bisognerà seguire il vecchio iter – spiega Notarianni – che consente di scegliere se sospendere il procedimento in attesa dell’eventuale processo penale, oppure se concluderlo autonomamente”.
Le amministrazioni sceglievano spesso di sospenderlo (con i conseguenti ritardi) per una questione legata alla raccolta delle prove, a maggior ragione nei casi in cui l’accertamento era partito da una procura della Repubblica, con l’utilizzo di strumenti come le cimici, tanto per fare un esempio. “In ogni caso le regole sono sempre state chiare – spiega l’avvocato – il termine per la definizione del licenziamento è di 180 giorni e, se l’iter si sospende in attesa del procedimento penale, deve poi riprendere entro 60 giorni e concludersi entro 180”.
ROMAGNOLI: “GLI EFFETTI VENGONO STRUMENTALIZZATI”. Anche il giuslavorista Umberto Romagnoli, professore emerito di Diritto del lavoro dell’Università di Bologna sottolinea che “i licenziamenti nel settore pubblico si sono sempre potuti fare”. E va oltre: “Il problema è inventato, mi sembra che si strumentalizzino gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale e che si vogliano descrivere come molto più devastanti di quanto in effetti non siano”. Qualcosa cambia, però. I fannulloni sono salvi? “Ritengo sia una questione gonfiata ad arte per dimostrare che questo governo sta cambiando il Paese, mentre ci sono delle forze oscure che vogliono impedirlo”.

La storia dell'uomo che ha fatto la storia.

Referendum: Delrio, 'No' non e' catastrofe, ma instabilità.

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Il ministro dei Trasporti e infrastrutture Graziano Delrio.


Fallimento banche? No ad agitare drappi rossi in modo infondato.

 "L'Italia e' un grande Paese con istituzioni molto solide. In caso di vittoria del 'No' nessun catastrofismo. Tuttavia evidentemente avremo un periodo di relativa instabilità". Lo afferma il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio su Radio24, escludendo che un'eventuale sconfitta del 'Si' possa portare al fallimento di molte banche italiane. "Si tratta di interferenze, di chi agita drappi rossi - conclude Delrio - in modo infondato".

"In Alitalia, malgrado i bilanci siano peggiori del previsto, non mi hanno parlato di esuberi ma di un piano di rilancio".

Ma è sempre meglio avere l'instabilità governativa che una oligarchia dittatoriale.
Sempre meglio avere una Costituzione che salvaguardi i diritti indiscutibili dei cittadini che dare pieno potere ad un esecutivo che legiferi senza alcuna opposizione.
In ogni caso, meglio una Costituzione che possa essere interpretata e compresa da tutti i cittadini e non solo da chi l'ha scritta e che si presta a mille interpretazioni.
Vogliamo semplificazioni, non complicazioni.
Vogliamo che le leggi che fate vengano rispettate da tutti, anche da voi che le fate, vogliamo più giustizia e meno caos.
Avete creato solo confusione e precarietà, è ora che poniate rimedio al disastro che avete provocato.
Cetta.