giovedì 31 agosto 2017

India: strage di bambini, in due ospedali ben 1.414 morti.



Solo nel 2017 centinaia decessi per encefalite e altre malattie.

Le polemiche per le morti di bambini, e soprattutto di neonati, nell'ospedale di Gorakhpur, nello Stato di Uttar Pradesh (India settentrionale), hanno fatto emergere oggi i contorni di una vera e propria 'strage degli innocenti', la cui dimensione si presenta già ora enorme: si tratta di ben 1.414 decessi quest'anno in due soli ospedali pediatrici. La dimensione di questa tragedia, sottolineano gli operatori sociali, potrà essere valutata concretamente soltanto con il passare dei giorni grazie alle verifiche in corso in altri centri medici indiani specializzati nel trattamento dei minori.
Così, dopo giorni di silenzi e mezze ammissioni, il dottor P.K. Singh, direttore del Baba Raghav Das Medical College di Gorakhpur, ha ufficialmente ammesso oggi all'agenzia di stampa Pti che i bimbi deceduti per encefalite e per altre patologie nel mese di agosto in vari reparti della sua struttura non sono stati 131, come si era detto finora, ma ben 290. "Di questi - ha precisato - 213 sono morti nell'unità di rianimazione del reparto neonatale, e altri 77 in quello riservato agli affetti di encefalite". Da gennaio, ha ricordato, i decessi di bambini, specialmente per encefalite, "da noi sono stati 1.250".

mercoledì 30 agosto 2017

Senza casa.

Risultati immagini per coppie senza casa
Leggo di "Persone senza casa, uomini e donne che vivono una condizione drammatica ed estrema di povertà, gente che in un attimo si trova fuori da tutto, fuori dal circuito dei diritti e dalle relazioni."

E penso che mi è capitato di vederne qualcuno, ma non mi è mai capitato di vedere qualche ricco prelato dar loro aiuto, solo gente comune, caritatevole. 
Sorge, quindi, spontanea una domanda: Che se ne fa la chiesa di tutte le ricchezze che possiede?
Come e a chi destina le proprietà immobiliari delle quali ha il possesso?

Reddito di inclusione, nasce il REI: 20 milioni all'anno per la lotta alla povertà estrema. - Anna Maria De Luca

Reddito di inclusione, nasce il REI: 20 milioni all'anno per la lotta alla povertà estrema

Reazioni al momento tutto sommato positive delle organizzazioni umanitarie italiane e dal Terzo Settore.

ROMA - Si registrano le prime reazioni positive - sebbene con qualche critica relativa a presunte insufficienze - nel mondo delle organizzazioni umanitarie italiane del Terzo Settore, all'indomani della decisione del Governo che ieri ha approvato il decreto attuativo che definisce finalmente anche in Italia il REI, Reddito di Inclusione Sociale come misura strutturale nel Piano Nazionale di Lotta alla Povertà:  20 milioni per le povertà estreme, a partire dal 2018. Il ministro Poletti:  “Per la prima volta il nostro Paese ha uno strumento permanente di contrasto alla povertà fondato sul sostegno al reddito e sull’inclusione sociale. Uno strumento che impegna tutte le istituzioni e le comunità locali a stare a fianco dei più deboli“.
 
Chi sono i beneficiari

Le persone senza casa, in Italia,   sono  oltre 50 mila (secondo l'ultima indagine ISTAT del 2014) e sono lontane dallo stereotipo con cui spesso vengono rappresentate.   “Sono uomini e donne - dice Cristina Avonto, Presidente della Federazione Italiana Organismi per le persone senza dimora –  che vivono una condizione drammatica ed estrema di povertà, gente che in un attimo si trova fuori da tutto, fuori dal circuito dei diritti e dalle relazioni. Fino ad oggi quello che sembra rimanere per loro - pensando che basti - è un pasto caldo e un posto letto in qualche struttura. Dare un sostegno economico significa invece dare loro riconoscimento e dignità. Significa dare loro un'opportunità per rialzarsi. Se si rafforzano i servizi, se li si pensa in termini innovativi, se si inizia a fare una presa in carico seria e personalizzata, allora si è in grado di creare le condizioni di un effettivo percorso di dignità, le persone smettono di essere "gli scarti" della nostra società per tornare ad essere cittadini!"

Cosa accadrà. La buona notizia è che, a partire dal 1 gennaio 2018,   le persone senza dimora potranno avvalersi “di un sostegno concreto per provare a percorrere la strada del proprio riscatto e del reinserimento nella società”, commenta il fio.PSD (Federazione Italiana Organismi per le persone senza dimora) che definisce l’operazione “un grande traguardo conquistato con anni di impegno e lavoro condiviso con Alleanza contro la povertà e con il Governo”.  Il Rei sostituisce il Sia, sostegno all’inclusione attiva. L’importo dell’aiuto corrisponde al massimo a quello dell’assegno sociale per chi ha più di 65 anni ed è senza reddito, pari a 485 euro al mese (l’importo dipenderà dal numero dei componenti e dalla situazione familiare). I richiedenti devono avere  un valore dell’ISEE  non superiore ai seimila euro e un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20mila euro.

Come funziona il fondo. Il Fondo Povertà riserverà  20 milioni di euro all'anno per la lotta alla povertà estrema. Questi stanziamenti si sommano ai fondi (50 milioni di euro per due anni) che i Comuni e le Regioni riceveranno dal Ministero a partire dal prossimo mese di settembre per sostenere politiche innovative per le persone senza dimora (housing first e housing led per le politiche abitative, ma anche nuovi modi di accogliere e incontrare le persone per strada e nei servizi di bassa soglia, rimettendo al centro la persona, la sua dignità e i suoi diritti).  Il REI è articolato in due componenti: un beneficio economico erogato su dodici mensilità, con un importo che andrà da circa 190 euro mensili per una persona sola, fino a quasi 490 euro per un nucleo con 5 o più componenti; una componente di servizi alla persona identificata, in esito ad una valutazione del bisogno del nucleo familiare che terrà conto, tra l’altro, della situazione lavorativa e del profilo di occupabilità, dell’educazione, istruzione e formazione, della condizione abitativa e delle reti familiari, di prossimità e sociali della persona e servirà a dar vita a un “progetto personalizzato” volto al superamento della condizione di povertà. Tale progetto indicherà gli obiettivi generali e i risultati specifici da raggiungere nel percorso diretto all’inserimento o reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale, nonché i sostegni, in termini di specifici interventi e servizi, di cui il nucleo necessita, oltre al beneficio economico connesso al ReI e, infine, gli impegni a svolgere specifiche attività, a cui il beneficio economico è condizionato, da parte dei componenti il nucleo familiare.

Come si richiede. 

Al ReI si accederà attraverso una dichiarazione a fini ISEE “precompilata”. È un’importante innovazione di sistema, che caratterizzerà l’accesso a tutte le prestazioni sociali agevolate migliorando la fedeltà delle dichiarazioni da un lato e semplificando gli adempimenti per i cittadini dall’altro. Il REI sarà concesso per un periodo continuativo non superiore a 18 mesi e sarà necessario che trascorrano almeno 6 mesi dall’ultima erogazione prima di poterlo richiedere nuovamente. Il decreto disciplina anche le possibili espansioni del REI, in termini di graduale incremento del beneficio e dei beneficiari. In presenza di maggiori risorse o di risparmi strutturali, l’estensione della misura potrà essere realizzata mediante l’adozione di un Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, da adottarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

La Rete della protezione e dell’inclusione sociale. Il decreto istituisce inoltre la Rete della protezione e dell’inclusione sociale, presieduta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e composta da rappresentanti dei diversi livelli di governo. E’ una struttura permanente di confronto e programmazione delle politiche sociali, nonché di coinvolgimento nelle decisioni programmatiche del terzo settore, delle parti sociali e degli altri stakeholder. La Rete si articola in tavoli regionali e territoriali e ha l’obiettivo di rendere più omogeneo il sistema superando le attuali sperequazioni territoriali.

Il Comitato per la lotta alla povertà. Nello specifico del REI e al fine di agevolarne l’attuazione, il decreto prevede l’istituzione del Comitato per la lotta alla povertà, quale organismo di confronto permanente tra i diversi livelli di governo e specifica articolazione tecnica della Rete e l’istituzione dell’Osservatorio sulle povertà quale gruppo di lavoro permanente, con il compito di predisporre un Rapporto biennale sulla povertà, in cui sono formulate analisi e proposte in materia di contrasto alla povertà, di promuovere l’attuazione del REI, evidenziando eventuali problematiche riscontrate, anche a livello territoriale, e di esprimere il proprio parere sul Rapporto annuale di monitoraggio sull’attuazione del REI.


http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/08/30/news/reddito_di_inclusione_nasce_il_rei_20_milioni_all_anno_per_la_lotta_alla_poverta_estrema-174187834/

Ed ecco pronto l'ennesimo guazzabuglio che favorirà i soliti ignoti che risultano poveri in canna anche se, lavorando in nero, stanno meglio di tanti altri.
Chi ne ha veramente bisogno non godrà di alcuna agevolazione.
Un film già visto.
Sembra lo specchietto per le allodole in prossimità delle elezioni.
Tanto non si saprà mai chi ne avrà usufruito realmente, in quale misura, in base a quali parametri...
Molto probabilmente è destinato agli amici degli amici in cambio di voti.
PS. Notare che sarà attuabile dopo le probabili elezioni, a partire dal 2018, previa dimostrazione di abnegazione indiscussa (voto di scambio).

Merkel, sì a un Fondo monetario europeo. - Francesca Gerosa

Angela Merkel

La cancelliera tedesca è favorevole alla trasformazione dell'Esm in un Fondo monetario dei Paesi dell'area euro, a un ministro delle Finanze dell'eurozona e a un bilancio per l'euro, di piccola entità, per aiutare i Paesi che stanno facendo le riforme ma sono costretti ai limiti di spesa per rispettare il Patto di Stabilità.

Sì a un ministro delle Finanze dell'eurozona e alla proposta di trasformare l'Esm (il meccanismo europeo di stabilità) in una sorta di Fondo monetario dei Paesi dell'area euro. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, durante una conferenza stampa oggi a Berlino, ha aperto a queste due possibilità e ha aggiunto di essere favorevole alla creazione di un bilancio per l'euro, però di piccola entità, per aiutare i Paesi che stanno facendo le riforme ma sono costretti ai limiti di spesa per rispettare il Patto di Stabilità.

"Sono a favore di un bilancio per l'euro", ha detto, "ma non di centinaia di milioni, bensì di piccole quantità per cominciare. Per fare le riforme quando non ci sia il margine a causa del Patto di stabilità e crescita". Secondo la cancelliera tedesca il principale scopo dell'iniziativa sarebbe quello di aiutare nella fase delle riforme i Paesi che altrimenti sarebbero costretti a fare dei tagli che non aiuterebbero la competitività. Angela Merkel ha citato esplicitamente la Spagna.
Inoltre, la cancelliera tedesca si è detta d'accordo con la proposta del ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, che ha parlato di convertire il meccanismo europeo di stabilità in uno strumento simile al Fondo monetario. "Sarebbe una riforma importante", ha osservato in merito, "che dimostrerebbe al mondo che la Ue ha i meccanismi per superare situazioni inattese".

Lo scorso 20 aprile Schaeuble aveva affermato che il Fondo monetario internazionale "si è stancato di occuparsi sempre dei problemi europei". Ragion per cui gli europei dovrebbero considerare di effettuare eventuali futuri salvataggi senza l'aiuto del Fmi. In pratica, secondo il ministro tedesco delle Finanze, l'Esm potrebbe assumere le funzioni del Fmi in futuro.
Infine, Angela Merkel ha specificato di non avere nulla in contrario alla creazione di un ministero delle Finanze dell'eurozona, anche se restano le distanze con la posizione espressa dal presidente francese, Emmanuel Macron. "Un ministro dell'Economia e delle Finanze dell'eurozona che promuova la competitività e abbia la capacità di appoggiare finanziariamente i Paesi che presentano piani concreti di riforme sarebbe auspicabile", ha concluso.


Hanno la sfacciataggine di far passare una mannaia per aiuto umanitario ...
Il loro unico problema è aumentare il numero di figure istituzionali per tenersi buoni gli epurati e avere la possibilità di tenere sotto ricatto intere popolazioni tramite i loro governanti.
Pecunia non olet.
PS. Subito dopo l'approvazione, preparatevi ad un adeguato aumento delle tasse....

martedì 29 agosto 2017

Assange rivela i finanziatori dello Stato Islamico.



Nell’intervista esclusiva rilasciata al giornalista australiano John Pilger, il fondatore di Wiki Leaks, Julian Assange, rivela contenuto di una mail che dimostra come coloro che finanziano l’ISIS sono gli stessi che finanziano la Fondazione Clinton.
La mail fu inviata da Hillary Clinton al suo capo della campagna, John Podesta, dove la candidata alle presidenziali manifestava che l’attuale Stato Islamico è finanziato dai governi di Arabia Saudita e Qatar, e questo avviene  non per iniziativa di un qualche principe canaglia che utilizza il denaro del petrolio per questo fine (come alcuni hanno cercato di far passare) mentre il loro governo non sia d’accordo.
Sono esattamente i governi di Arabia Saudita e Qatar quelli che hanno finanziato e stanno tuttora finanziando lo Stato Islamico, come afferma Assange sulla base di questa mail e di altre da lui intercettate.
Nell’intervista con il fondatore di WikiLeaks, che risale al Novembre del 2016, Assange aveva aggiunto che il denaro catarita e saudita viene ripartito in molte parti, includendo molti media occidentali (giornali e Tv). Vedi: Vedi: Youtube.com/Watch
Assange segnalava  la Hillary Clinton come un elemento centrale e rappresentativo dell’establishment statunitense e del sistema di consenso di Washington e delle sue influenze: “Lei, la Clinton svolge il ruolo di catalizzatore. Ci sono molti ingranaggi nel meccanismo: dalle grandi banche, come la Goldman Sachs, fino agli elementi principali di Wall Street, passando per i servizi di intelligence, il personale del Dipartimento di Stato, i sauditi, ecc.. assicurava Assange.
In un’altra mail filtrata, si dimostra che la Fondazione Clinton aveva ricevuto un milione di dollari dal Qatar. Detta Fondazione non aveva informato inizialmente il Dipartimento di Stato, secondo quanto informa la Reuters.
Come si evince dalla posta elettronica della Clinton, il Qatar aveva promesso questo denaro dal 2011 per il 65° compleanno di Bill Clinton, ed aveva sollecitato una riunione con l’ex presidente statunitense in persona l’anno successivo per consegnarli un sostanzioso assegno circolare.
Le rivelazioni di Assange tornano attuali considerando che, poche settimane fa,  è arrivata  la notizia che Mrs Hillary Clinton, 69 anni, ha deciso di ritentare le sorti politiche ripromettendo un successo nelle elezioni di medio termine.
«Le elezioni di metà mandato o medio termine (dall’inglese Midterm Elections) si tengono negli Stati Uniti e riguardano il Congresso, le assemblee elettive dei singoli Stati, e alcuni dei governatori dei singoli Stati. Non riguardano l’elezione del presidente degli Stati Uniti.
Tale tornata elettorale si tiene il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre degli anni pari e riguarda i 435 membri della Camera dei rappresentanti e un terzo dei 100 membri del Senato (alternativamente 33 o 34). Le elezioni di metà mandato si tengono a metà del mandato presidenziale (4 anni), e da ciò deriva la loro denominazione.
Il ritorno alla politica attiva di questa donna, ormai quasi settantenne,  mai sazia di sconfitte brucianti,  rasserena i cuori e le menti dei repubblicani: è la garanzia che vinceranno loro le elezioni di mezzo termine. Non sembra che la Clinton si sia mai sentita minimamente in imbarazzo per le rivelazioni scottanti fatte da Assange sulle sue fonti di finanziamento e per le accuse di collusione con i responsabili del terrorismo internazionale.
La Clinton fra l’altro è la diretta responsabile e suggeritrice dell’operazione di aggressione fatta dagli USA ed i suoi alleati contro la Libia, incluso il brutale omicidio del leader libico   Gheddafi, per la cui notizia  è rimasto famoso il suo ghigno di soddisfazione.
Sarà però tutto da vedere come i suoi colleghi democratici prenderanno la cosa. Si potrebbero avanzare serissimi dubbi che il partito possa nuovamente coagularsi attorno al suo nome: è una perdente nata ma soprattutto una “losca figura”.
Traduzione e sintesi: Luciano Lago

sabato 26 agosto 2017

I sei nonni / Ha Sapa Mount Rushmore prima della scultura.

Foto

Il Black Hills in Sud Dakota è una zona che è storicamente legata a diverse tribù, tra cui i Sioux, Cheyenne, Arapaho e Kiowa. Come area sacra, è stata utilizzata per entrare in contatto con il mondo degli spiriti e per ottenere il potere spirituale. Fu qui che molti indiani hanno condotto cerimonie come ad esempio la ricerca della visione, la Danza del Sole, e altro. E 'qui che si sono riuniti i sacri medicine-impianti-di cui avevano bisogno per la guarigione e per uso cerimoniale.

Nel 1870, gli americani sono stati diffondendo voci che che le Black Hills erano libere, che erano una zona che gli indiani non ha utilizzato. Spedizioni illegali nella zona in qualche modo ignorato tutte le parti di caccia indiane che hanno incontrato, e quali sono stati riportati nelle loro riviste, e ha detto di un'area vuota in attesa di “sviluppo” da non-indiani che avrebbe redento l'area dal paganesimo e rendere una parte della moderna America.

Il furto delle Black Hills dal Sioux è stato ampiamente riportato da entrambi storici e media popolari. Il furto, però, ha coinvolto più di solo prendendo la terra: è anche coinvolto rinominandolo. Tutte le caratteristiche geografiche all'interno della Black Hills avevano nomi indiani nel 1877, ma nel corso dei prossimi due decenni, questi nomi sono stati sostituiti da nomi non indiani.

Nel 1884, New York City avvocato Charles E. Rushmore è venuto a Black Hills per controllare i titoli legali per alcune proprietà. A tornare al campo, un giorno, ha chiesto Bill Challis circa il nome di una montagna. Bill è segnalato abbia risposto:


“Non ha mai avuto un nome, ma da ora in poi chiameremo Rushmore”.

Con questo commento casuale, la montagna conosciuta per i Sioux, come sei diventato Grandfathers Mount Rushmore. Il nome Sioux era stata una parte importante della loro tradizione orale e la loro associazione con la terra. Il nuovo nome riflette l'American mancanza di preoccupazione per la storia del territorio e l'importanza di avvocati nella loro società.

La ricchezza generata dall'oro e il bestiame nelle Black Hills non era sufficiente a soddisfare l'avidità americana. Dal 1920, le persone erano alla ricerca di nuovi modi di sfruttare le Black Hills. In altre parti del paese, il turismo è stato dimostrando di essere una risorsa economica, e così, nel 1923, Doane Robinson, lo stato lo storico South Dakota, si avvicinò con l'idea di portare i turisti (e il loro denaro) nello stato. La sua idea era quella di commissionare uno scultore di trasformare uno dei alto e stretto, formazioni rocciose di granito nelle Black Hills in memoriali di grandi figure dalla narrazione mitica del West americano. Nella sua visione, vide memoriali giganti a eroi come George Armstrong Custer, Meriwether Lewis, William Clark, e forse il capo Sioux Nuvola Rossa, che stare insieme una nuova autostrada e attirare i turisti lontano dal Parco Nazionale di Yellowstone.

Il problema successivo è stato come portare la visione in realtà. Per risolvere questo problema, Robinson si rivolse a Gutzon Borglum, figlio di immigrati danesi mormoni che aveva fatto il dieci settimane trekking lungo il sentiero mormone attraverso terre indiane a Salt Lake City. Borglum è stato uno dei più famosi scultori del tempo. Borglum era stato coinvolto con l'intaglio di una massiccia bassorilievo agli eroi della Confederazione a Stone Mountain, Georgia. Borglum era un membro del Ku Klux Klan e Stone Mountain è stato utilizzato come un sito per rivitalizzare il Klan.

Robinson aveva inizialmente immaginato le incisioni su una serie di caratteristiche geologiche conosciute come “gli aghi”, ma Borglum trovato inadatte per intaglio e selezionato i sei Grandfathers (Mount Rushmore) invece. Il nuovo piano è stato assalito dai naturalisti che ha sottolineato che sarebbe dissacrare la bellezza naturale delle Black Hills. Robinson ha risposto:


“Dio fa solo un Michelangelo o un Gutzon Borglum una volta in mille anni”.


Borglum ha cambiato la visione originale del progetto e ha proposto un “Santuario della democrazia” che si concentrerà sui ritratti presidenziali. Avrebbe stato seguito:
“Lo scopo del memorial è quello di comunicare la fondazione, l'espansione, la conservazione, e l'unificazione degli Stati Uniti con le statue colossali di Washington, Jefferson, Lincoln e Theodore Roosevelt.”
Nel 1926, ha iniziato Borglum carving i volti di quattro presidenti di una montagna delle Black Hills, terra sacra al popolo Lakota. Lo scultore, che ammirava Destino Manifesto e vide la conquista del Lakota e il furto della loro terra sacra come giustificabile, dedicato alle sculture all'espansione degli Stati Uniti. Dal punto di vista di Borglum, Manifest Destiny, un'espressione di superiorità razziale, era un'espressione dell'ordine legittimo del mondo.


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I "nuovi americani" non hanno solo usurpato il suolo, ma hanno anche cancellato la storia dei nativi e nascosto le loro origini.
Esecrabile!

venerdì 25 agosto 2017

Residenza e moneta digitali, così l'Estonia abbatte i confini e fa soldi. - Giuseppe Timpone

Residenza e moneta digitali in Estonia

L'Estonia rilascia la residenza online e ora inizia ad emettere la moneta digitale per beneficiare la sua economia. Vediamo in cosa consistono queste misure rivoluzionarie.


Nel 2014, il governo di Tallinn lanciò la cosiddetta “e-residency”, un piano per assegnare la residenza digitale a chi ne avesse fatto richiesta. I numeri stanno premiando l’idea innovativa, perché da allora ben 22.000 persone di 128 stati diversi hanno ottenuto la residenza virtuale, di cui 1.200 britannici. Le richieste di questi ultimi sono letteralmente esplose dopo il referendum sulla Brexit, segno che l’Estonia starebbe attirando migliaia di persone preoccupate del futuro del Regno Unito e dei suoi rapporti con l’Europa.

Ma di cosa stiamo parlando esattamente? 
Ti basta la carta d’identità e il numero di telefono, se sei un’azienda versi anche la quota di 50 euro e nel giro di un paio di settimane ti sarà rilasciata la residenza digitale, che ti consentirà di godere di facilitazioni sul piano burocratico e di effettuare anche pagamenti. Per capire del perché di una simile iniziativa, si dovrebbero leggere le dichiarazioni del rappresentante del governo estone, Taavi Kotka, che spiega come il piccolo stato baltico registri tassi di nascita inferiori a quelli della mortalità. Ora, aggiunge, per un’azienda è importante godere di un mercato di sbocco per le proprie merci di una certa dimensione, ovvero di un numero di clienti tendenzialmente crescente. Poiché di bambini in Estonia non ne nascono e di stranieri che vogliano trasferirsi qui non ve ne sarebbero, ecco l’espediente della residenza digitale. Di fatto, anche solo non spostandosi fisicamente, uno straniero avrebbe la possibilità di acquistare e vendere come se risiedesse nel paese.

Estonia emette moneta digitale.
Da qualche giorno, Tallinn ha raddoppiato la scommessa e sul suo blog, Kaspar Korjus, responsabile del programma di e-residency, annuncia l’emissione di una moneta digitale, chiamata “Estcoin”, da parte dello stato estone. A tale proposito vi sarà una ICO (“Inital Coin Offering”), attraverso la quale verranno raccolti fondi destinati al potenziamento delle infrastrutture digitali dell’Estonia, già molto avanzate. In un secondo momento, spiega, il denaro potrebbe essere impiegato per sostenere con iniziative di capitale venturing le società degli e-residenti.

Con gli Estcoin, si potranno effettuare pagamenti per ottenere servizi pubblici e privati. 
Le monete digitali non potranno essere contraffatte, per cui non saranno utilizzabili per scopi criminali e verranno gestite da una partnership pubblico-privata, mentre potrebbe anche essere adottata come mezzo di pagamento globale.

E qui arrivano i possibili problemi, perché l’emissione di una moneta da parte dello stato sarebbe in contrasto con i Trattati della UE, che vietano tali pratiche per gli stati aderenti all’Eurozona. Contrariamente ai Bitcoin e alle altre “criptomonete”, infatti, qui saremmo in presenza di una moneta parallela, emessa dallo stesso stato, per quanto non paragonabile a quella ufficiale. Non è il primo esempio di doppia moneta circolante in uno stato, ma di certo il più pernicioso in questa fase, perché se accettato da Bruxelles, offrirebbe argomentazioni valide a quanti negli altri stati membri dell’Eurozona vorrebbero introdurre una moneta parallela all’euro, come la proposta di questi giorni rilanciata dall’ex premier Silvio Berlusconi. 



Samsung, vicepresidente condannato a 5 anni per corruzione.

Samsung, vicepresidente condannato a 5 anni per corruzione
Il vicepresidente di Samsung Lee Jae-yong (Afp)

Lee Jae-yong, vicepresidente ed erede dell'impero Samsung, è stato condannato a 5 anni di carcere dalla Corte centrale di Seul per corruzione e altri crimini, tra cui abuso di beni sociali e falso giuramento. Nello scandalo era finita anche l'allora presidente del Paese, Park Geun-Hye, costretta alle dimissioni. La procura aveva chiesto per il top manager, arrestato lo scorso febbraio, 12 anni di carcere.

Erede del colosso sudcoreano da quando il padre venne colpito da un attacco di cuore nel 2014, Lee Jae-yong era stato arrestato il 17 febbraio scorso con l'accusa di corruzione, frode e spergiuro nell'ambito dello scandalo che ha travolto anche la presidente Park Geun-Hye.

La condanna a cinque anni conferma quindi le accuse, secondo le quali il vicepresidente aveva autorizzato un pagamento da 36 milioni di dollari a favore di società riconducibili a Choi Soon-sil, confidente della presidente, in cambio del sostegno del governo a una grande ristrutturazione di Samsung, che avrebbe aiutato il passaggio di potere dal padre a lui.

http://www.adnkronos.com/soldi/economia/2017/08/25/samsung-vicepresidente-condannato-anni-per-corruzione_HeSqvUvi2o19J8aa3wWfcJ.html

Rinvenuto il primo Lessinia durello un pesce fossile di 50 milioni di anni. - Viviana Monastero

Rinvenuto il primo  Lessinia durello  un pesce fossile di 50 milioni di anni
L'immagine mostra il fossile di Lessinia durello, conservato al Museo Civico di Storia Naturale di Verona. 

Scoperto nel giacimento fossilifero di Bolca (Verona), uno dei siti paleontologici più importanti al mondo, Lessinia durello, un nuovo genere e una nuova specie di pesce vissuto circa 50 milioni di anni fa.

Una nuova specie
Fotografia per gentile concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto; riproduzione vietata.

Finora la sua esistenza non era stata mai documentata in nessuna parte del mondo. Il fossile di Lessinia durello – che prende il nome dai Monti Lessini e dal vino locale, il Durello - è stato rinvenuto nella Pesciara di Bolca, un giacimento fossilifero situato a circa due chilometri da Bolca, località in provincia di Verona. Si tratta di una nuova specie di pesce che viveva nell'Oceano della Tetide – il mare temperato caldo che si estendeva dal Nord Africa alle Filippine e al Giappone, separando l'Africa settentrionale dall' Europa e dall'Asia - circa 50 milioni di anni fa, nel periodo geologico dell'Eocene medio.

Il fossile è stato studiato da Roberto Zorzin, geologo del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, e da Alexandre F. Bannikov, dell'Istituto paleontologico Borisyak dell'Accademia Russa delle Scienze di Mosca.

"Questo pesce viveva in un mare temperato caldo, in vicinanza di una scogliera", spiega Zorzin. "Il clima, la vegetazione e la fauna erano quelli tipici dei mari tropicali".

Lo studio su Lessinia durello è in pubblicazione nella rivista Studi e Ricerche sui Giacimenti Terziari di Bolca, volume XV.


http://www.nationalgeographic.it/scienza/2013/12/11/foto/rinvenuto_il_primo_lessinia_durello_un_pesce_fossile_di_50_mila_anni_fa-1927431/1/#media

Scoperto un cranio di scimmia di 13 milioni di anni fa. - Michael Greshko

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Estratto da uno strato di roccia, il piccolo cranio risulta lievemente schiacciato rispetto alle sue dimensioni naturali. Fotografia per gentile concessione di Isaiah Nengo, Leakey Foundation

Il fossile, venuto alla luce in Kenya, si è conservato in maniera eccezionale: è stato attribuito a Nyanzapithecus alesi, una nuova specie di scimmia antropomorfa.


Più di 13 milioni di anni fa, nell'attuale Kenya settentrionale, un cucciolo di scimmia antropomorfa morì in una lussureggiante foresta e il suo corpo fu ricoperto dalle ceneri di un'eruzione vulcanica che si verificò nelle vicinanze.

Milioni di anni dopo, gli scienziati hanno rinvenuto il suo cranio - che fra quelli dello stesso tipo finora ritrovati è quello che si è conservato nel modo migliore - avendo così l'incredibile opportunità di iniziare a conoscere le prime fasi dell'evoluzione delle scimmie antropomorfe.

"Per anni siamo stati alla ricerca di fossili di scimmie antropomorfe, è la prima volta che ritroviamo un cranio completo", spiega Isaiah Nengo, antropologo del De Anza College di Cupertino, autore della scoperta, in parte finanziata da una borsa di studio della National Geographic Society.

Grosso modo della dimensione di un limone, il cranio appartiene a una nuova specie di antica scimmia antropomorfa, Nyanzapithecus alesi. Alcune delle sue caratteristiche sono simili a quelle delle attuali scimmie che vivono nel Vecchio Mondo, mentre il volto ricorda in modo sorprendente gli odierni cuccioli di gibbone.

Inoltre, come spiega il team di ricerca in uno studio pubblicato su Nature, la scoperta di N. alesi permetterà di approfondire lo studio del cervello delle antiche scimmie. Con una capacità di circa 103 millilitri, la cavità cranica di N. alesi era grande più del doppio rispetto a quella che caratterizzava altre scimmie del tempo che vivevano nel Vecchio Mondo.

E la scatola cranica rimasta intatta, che ha conservato tracce della superficie esterna del cervello, contiene anche i denti permanenti non erotti del cucciolo di scimmia.

Pausa sigaretta fortunata

Dopo essersi differenziati dagli antenati delle scimmie che vivevano nel Vecchio Mondo fra 25 e 28 milioni di anni fa, le scimmie antropomorfe si diversificarono verso la metà del Miocene. Tuttavia, molte di quelle linee di discendenza scomparvero circa 7 milioni di anni fa in seguito a un improvviso cambiamento climatico. Le grandi scimmie attuali e gli esseri umani discendono da una delle linee di discendenza delle scimmie antropomorfe del Miocene.

Tuttavia, i particolari di questa storia evolutiva sono rimasti oscuri, in parte perché le antiche scimmie antropomorfe vivevano nelle foreste pluviali, che raramente offrono condizioni favorevoli alla fossilizzazione. Fino al ritrovamento di N. alesi: prima di allora, era stato rinvenuto solo un altro cranio di scimmia antropomorfa del Miocene con la scatola cranica - o neurocranio - intatta.

"Spesso, quando non rinveniamo il cranio, troviamo le mascelle, il viso e talvolta l'inizio dell'osso frontale", afferma Brenda Benefit, antropologa dell'Università statale del Nuovo Messico, che ha revisionato lo studio prima della pubblicazione. "È davvero molto raro ritrovare un neurocranio intatto".

La scoperta di N. alesi è avvenuta grazie a una buona dose di determinazione e a un incredibile colpo di fortuna. I Leakey, famiglia di eminenti paleoantropologi, avevano precedentemente effettuato degli scavi nel sito di Napudet, nel nord del Kenya. Quando Nengo, nel 2013, ne ha preso la direzione, in pochi nutrivano grandi speranze nel ritrovamento di reperti significativi.

Ma un giorno agli inizi del 2014, un assistente agli scavi, John Ekusi, si allontanò dagli altri ricercatori per fumare una sigaretta. Gli altri membri del gruppo lo osservavano perplessi da lontano: dopo pochi minuti, Ekusi iniziò a girare intorno a un oggetto sul terreno che aveva catturato la sua attenzione.

Ekusi disse ai colleghi che forse aveva scoperto la testa del femore di un elefante, indicando la superficie smussata di un osso che spuntava dalla roccia. Un esame più approfondito rivelò una scoperta ancora più rara: un piccolo cranio di scimmia antropomorfa, solo lievemente schiacciato rispetto alle sue proporzioni naturali. Gli studiosi si lanciarono in una danza gioiosa.

Con l'avvicinarsi della notte, tuttavia, i ricercatori furono costretti a riseppellire il cranio e attendere la mattina seguente per estrarlo. "Nessuno riuscì a dormire quella notte, ne sono certo",  racconta Nengo.

Nella testa della scimmia

La datazione dello strato di sedimento intorno al fossile ha permesso al gruppo di ricerca di stabilire che il cranio della scimmia antropomorfa era vecchio 13 milioni di anni. Tuttavia, nonostante l'incredibile conservazione del cranio, l'esame iniziale del fossile preparato non è riuscito a svelare a quale primate appartenesse il cranio.

Per determinarlo, Nengo e i colleghi avevano bisogno di osservare i suoi denti permanenti, non ancora erotti. Dunque, hanno portato il fossile allo European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble, in Francia, dove i tecnici lo hanno sottoposto a raggi X ad alta potenza, che hanno permesso di osservare il cranio senza danneggiarlo.

Grazie alle scansioni, il team di ricercatori guidato da Nengo è riuscito a ottenere le ricostruzioni tridimensionali dei denti. La loro forma peculiare ha consentito di attribuire senza alcun dubbio il cranio al genere Nyanzapithecus, un gruppo fratello estinto di gibboni, grandi scimmie antropomorfe ed esseri umani.

"Se non avessero utilizzato la radiazione di sincrotone non sarebbero mai arrivati a tale conclusione", dichiara Benefit. "È un miracolo della tecnologia moderna".

Adesso che N. alesi è stato scoperto, Nengo si concentrerà su nuovi aspetti del fossile. Lo studioso e i suoi colleghi presto analizzeranno le tracce del cervello all'interno del cranio. Stanno inoltre ritornando a studiare l'orecchio interno dell'animale, che si è conservato perfettamente, e si stanno dedicando alla ricostruzione dell'aspetto di N. alesi.

Nengo prevede inoltre di ritornare a Napudet, per individuare altri fossili nell'antica roccia.

"Questo è il progetto. Restano ancora cose interessanti da fare", conclude.


Ricostruzione dopo il terremoto, una storia troppo italiana. - Lucia Annunziata


Un vigile del fuoco cammina su Corso Umberto I. Amatrice.

E' un anno esatto, e sulle condizioni delle aree devastate dal terremoto del 23/ 24 agosto nel paese circola una opinione, per una volta, condivisa: la ricostruzione è stata un fallimento. C'è del resto poco spazio per contendere in ragionevolezza con i numeri. Sappiamo che le casette consegnate sono meno del 15 % di quelle necessarie, che il 90 per cento delle macerie è ancora in strada, che solo 33 stalle sulle 1400 attese sono stata fornite al determinante settore dell'agricoltura (10mila animali sono morti), che nonostante 35 milioni di sostegno alle attività commerciali 120 di questi esercizi sono rimasti in ginocchio.
Sono numeri di una vera e propria catastrofe, ma, in maniera molto italiana, di fronte ai dati di fatto si arriva all'anniversario con una presa d'atto venata di fatalismo. La più italiana delle scuse è infatti stata riesumata per scaricare le colpe: la burocrazia. Una scappatoia molto usata dalla Dc di una volta che defletteva ogni accusa su questo onnicomprensivo e incomprensibile concetto. La burocrazia come grande bocca di uno stato Leviatano, sul quale e contro il quale è impossibile intervenire.
Ma davvero non ha padri e madri la burocrazia che ha ucciso la ricostruzione del territorio del terremoto? Con questa inchiesta di Gabriella Cerami abbiamo provato a descrivere almeno una parte dell'itinerario delle regole che non hanno funzionato. E come vedrete anche solo da questo breve lavoro della Cerami, le regole sono tutto meno che orfane. Hanno autori, storia, percorsi e responsabilità. Alla fine di un anno drammatico, soprattutto per chi lo ha vissuto nelle aree colpite, ammettere questa verità è l'unico modo omaggiare davvero le vittime e i sopravvissuti.
Tutto il sentimentalismo rovesciato sul cratere del terremoto, e tutte le visite compunte delle autorità, non basteranno in questo anniversario a oscurare il fatto che il dossier della ricostruzione riposa come un macigno sulle scrivanie dell'attuale governo Gentiloni. Che dal 5 dicembre siede a Palazzo Chigi, e che non può certo più invocare (come scudo e come scusa) la figura e l'operato di Renzi.
Ci aspettiamo dunque in queste ore dal Governo qualcosa di più dell'impegno "a fare di più e meglio", qualcosa di più della resuscitazione del nato morto progetto "Casa Italia". Ci aspettiamo la indicazione degli snodi che non hanno funzionato, e il cambiamento dei responsabili che non hanno agito o non hanno saputo farlo. Decisioni non italiane per una storia che fin qui è stata, come si diceva, fin troppo italiana. E di cui le prossime urne terranno sicuramente conto.

Dalle onde gravitazionali primo passo verso nuova astronomia.

Dalle onde gravitazionali primo passo verso nuova astronomia (fonte: NASA Blueshift) © Ansa


Scoperti segreti dei buchi neri più distanti.

Dalle onde gravitazionali il primo passo verso la nuova astronomia, che permetterà di esplorare alcuni dei fenomeni più misteriosi dell'universo come i buchi neri. Lo indica l'analisi dei segnali registrati nel 2015 e nel 2017 che ha rivelato i segreti dei buchi neri più distanti, esterni alla Via Lattea. Pubblicata su Nature, l'analisi si deve al gruppo coordinato dall'italiano Alberto Vecchio, dell'università britannica di Birmingham, e da Ben Farr, dell'università americana di Chicago.
Per Vecchio l'astronomia gravitazionale è già reale: lo è diventata “il 14 settembre del 2015 con la prima osservazione delle onde gravitazionali” ossia le 'vibrazioni' dello spazio tempo originate da fenomeni violenti, come collisioni di buchi neri e supernovae, fino al Big Bang. “Questo studio è un esempio delle nuove informazioni che possiamo trarre sull'universo'' ha detto all'ANSA il fisico italiano. 

I ricercatori hanno analizzato i segnali prodotti durante quattro eventi di collisione fra coppie di buchi neri, esterni alla Via Lattea, e rivelati nel 2015 e nel 2017 dall'osservatorio americano Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory). I dati, ha spiegato Vecchio, sembrano confermare lo scenario secondo cui i buchi neri dei sistemi binari ''si formino in abbondanza'' dal collasso di stelle che si trovano in un ambiente molto ricco di astri, e che, ''data l'alta densità di questi corpi, due buchi neri si possano trovare sufficientemente vicini per 'catturarsi' e dar vita ad un sistema binario''.
Secondo un'altra teoria invece i buchi neri nei sistemi binari si formerebbero già in coppia: ossia nascerebbero dal collasso di due stelle molto massive che orbitano in un sistema binario. Tuttavia, per confermare l'ipotesi e riuscire a comprendere definitivamente l'origine dei buchi neri i ricercatori attendono altri dati sulle onde gravitazionali e stimano che l'analisi di altri 10 eventi potrebbe sciogliere ogni dubbio.

giovedì 24 agosto 2017

"Dopo 16 anni di errori, dall'Afghanistan dobbiamo solo andare via". Intervista al generale Franco Angioni. - Umberto De Giovannangeli



"Non dobbiamo uscire dall'Afghanistan per paura, ma per mettere a frutto le esperienze, anche negative, di questi sedici anni di errori". A sostenerlo, in questa intervista esclusiva concessa all'HuffPost, è il generale Franco Angioni, già comandante delle truppe terrestri Nato nel Sud Europa e del contingente italiano in Libano negli anni più duri della guerra civile che dilaniò il Paese dei Cedri. "L'Afghanistan così come l'Iraq c'insegnano – sottolinea Angioni – che lo strumento militare, anche quando si rivela necessario, non deve mai sostituire una strategia politica o surrogarla, perché quando è così, si producono solo disastri".
Generale Angioni, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha deciso di rilanciare la presenza militare degli Usa in Afghanistan e si accinge a chiedere anche agli alleati di seguirlo su questa strada. Dobbiamo farlo anche noi?
"Direi proprio di no. E non per viltà ma per lungimiranza. Vede, il fatto è che quando si commette un grave errore, gli errori successivi sono come le onde sussultorie di un terremoto seguito all'onda principale. Il problema dell'Afghanistan nasce nell'ottobre del 2001 e si chiama George Bush. Dopo lo choc dell'11 Settembre, la turbativa mondiale, e non solo americana, è stata grande. Ma l'errore maggiore è conseguente all'attacco alle Torri Gemelle, quando Bush, avendo individuato le cause e i colpevoli di quell'attacco, non aveva alcuna necessità di reagire in maniera massiccia, bombardando a tappeto quattro città dell'Afghanistan e uccidendo molti afghani, inconsapevoli del perché di tale tragedia. L'obiettivo dichiarato dalla Casa Bianca e dal Pentagono di quell'azione militare era di catturare due personaggi: Osama Bin Laden e il Mullah Omar. Ma per raggiungere un tale risultato non era necessario intervenire in maniera così massiccia e devastante su una popolazione inconsapevole dei motivi, quando invece sarebbe stato più opportuno e produttivo lavorare con l'intelligence al fine di punire giustamente i veri colpevoli. Cosa che è stata fatta successivamente e non attraverso operazioni massicce, invasive. Bin Laden è stato "punito" non con i bombardamenti a tappeto, ma attraverso un sistematico lavoro d'intelligence che, al momento opportuno, ha consegnato il capo di al-Qaeda nelle mani delle forze scelte statunitensi. Ma non basta. Dopo nemmeno tre anni dall'inizio dell'avventura afghana, lo stesso George Bush, decide di invadere l'Iraq. Giustizia il dittatore iracheno, Saddam Hussein, e senza una strategia politica affida il governo di questo Paese a una moltitudine di dirigenti impreparati e disonesti. Il risultato è che i seguaci di Saddam, soprattutto gli ufficiali del disciolto esercito iracheno, si riuniscono e danno spessore militare allo Stato islamico. Molto si parla e si favoleggia su Abu Bakr al-Baghadi, ingigantendone le capacità operative, invero alquanto mediocri, tralasciando il fatto che nella catena di comando militare dell'Isis il ruolo chiave l'hanno giocato gli ex ufficiali di Saddam. A questo punto una domanda sorge naturale...".
Qual è questa domanda, generale?
"Dopo 16 anni non pensiamo che sia finalmente giunto il tempo di porre fine a questa successione ininterrotta di errori politici?
La risposta, sia pure indiretta, offerta da Donald Trump non induce all'ottimismo. Qual è in merito, e sulla base della sua lunga e impegnativa carriera di comando militare, la sua opinione?
"Occorre finalmente adottare una linea politica di prospettiva e non di inutile vendetta. Nessuno mette in discussione la necessità di contrastare lo Stato islamico e quanto di esso rimane, sia in Iraq e Siria che, soprattutto, in Afghanistan, dove i talebani hanno ricevuto una potente cura ricostituente dalla dabbenaggine politica internazionale e dal sostegno di Paesi arabi e musulmani che venivano considerati alleati. L'attuale presidente degli Stati Uniti nella sua campagna elettorale tumultuosa aveva promesso di mettere la parola fine all'avventura afghana. L'opinione pubblica americana era preoccupata non tanto dal fine ma dal "come". Invece, delusione cocente, siamo costretti a constatare che queste promesse elettorali sono state tradite. Trump anche in questo è deludente. La decisione annunciata finirà per fornire benzina a un incendio che invece stava estinguendosi. E' tempo di dire basta. Il problema afghano-iracheno va risolto d'intesa con tutti i Paesi interessati e stavolta sotto la guida delle Nazioni Unite, e alla luce di una strategia di lungo termine che deve necessariamente dimostrarsi attenta ed efficace sul piano dei diritti umanitari, rinunciando a percorrere itinerari nati sull'errore politico e che nel corso di questi sedici anni hanno aggiunto errori ad errori. In Afghanistan, è bene ricordarlo, l'Italia ha pagato un alto tributo di vite umane garantendo un impegno sul campo, e questi nostri ragazzi in divisa vanno ricordati con onore e affetto. Essere alleati, sinceri e impegnati, non significa essere vassalli. A volte, dire dei "no" è prova di forza politica e non di debolezza o codardia. L'Afghanistan può essere il banco di prova"

Così cambierà l’Euribor, il tasso-guida dei mutui. - Maximilian Cellino e Marco Ferrando

Guido Ravoet (Imagoeconomica)
Guido Ravoet (Imagoeconomica)

Affidabile, più volatile ma non troppo, agganciato il più possibile alla realtà e non alle supposizioni di un manipolo di banchieri. Non è facile trovare un indice che soddisfi i tre requisiti, ma all’European Money Market Institute (Emmi) ce la stanno mettendo tutta per offrire ai mercati entro fine anno un nuovo Euribor: da tempo si ritiene inappropriato un tasso, com’era anche il Libor travolto dagli scandali, frutto di una consultazione quotidiana tra un gruppo ormai ridotto a 20 banche, e non a caso le norme europee sui benchmark prevedono che quello attualmente in uso venga pensionato entro fine 2019.
Ma serviranno almeno un paio d’anni di tempo per modificare migliaia di pagine di contratti e centinaia di algoritmi, dal momento che oggi al tasso nelle sue varie scadenze sono agganciati 180mila miliardi di euro (compresi mille miliardi di mutui): di qui l’accelerata della task force istituita a Bruxelles presso l’Emmi, l’ente che governa le sorti dell’Euribor dagli albori, dove il segretario generale, Guido Ravoet conferma che «l’obiettivo che ci siamo dati è quello di avere una versione definitiva del nuovo schema entro la fine del 2017».
Dopo aver sancito tre mesi fa (si veda Il Sole 24 Ore del 10 maggio scorso) il fallimento della sperimentazione di un possibile nuovo indice basato sulle sole transazioni di mercato, troppo sottili per arginarne la volatilità, il gruppo di lavoro si è messo all’opera pancia a terra per studiare una nuova soluzione ibrida, che consenta di «basarsi sulle transazioni quando appropriate e disponibili, e nel caso in cui non lo siano consenta di usare altri dati», dice ancora Ravoet. Da giugno, secondo quanto risulta, il gruppo di lavoro si è riunito una volta ogni due settimane, con due incontri a Bruxelles, uno a Parigi, un altro a Londra e un altro ancora a Milano, più una serie di conference call: la settimana prossima riprenderanno i lavori e per i più ottimisti già alla fine di settembre o al massimo all’inizio di ottobre si potrebbe materializzare qualche passo in avanti.
«Puntiamo ad avere la nuova metodologia pienamente in vigore entro la fine del 2019», aggiunge il segretario generale dell’Emmi. Ma il 2020 è dietro la porta, e la strada ancora lunga: fissato il nuovo indice ci sarà da sperimentarlo, poi da avviare una consultazione, ottenere il via libera dalle varie authority competenti e quindi dare il tempo alle banche di prepararsi a una rivoluzione dal punto di vista formale, ma anche sostanziale.
La riforma dell’Euribor «è una specie di ordigno», dice un banchiere interpellato da Il Sole. Una bomba che non è detto faccia danni (l’auspicio è proprio questo), ma che in ogni caso è destinata a rivoluzionare il mercato dei mutui retail e corporate, quello dei derivati nonché le norme di funzionamento delle tesorerie delle banche, che viaggiano a ruota. Il tema, in pratica, è delicatissimo e qui si fonda la necessità di uscire dalla logica per certi aspetti autoreferenziale delle “telefonate” (cioè le rilevazioni mattutine sui tassi applicati dalle singole banche), per affidarsi ai prezzi reali, cioè alle transazioni, soldi prestati o impiegati, effettivamente condotte sul mercato. «Il problema è che con l’inondazione di liquidità proveniente dalla Bce in questo momento il mercato è diventato molto sottile», spiega un funzionario di tesoreria di una media banca italiana: pochi scambi, molta volatilità. E in più un panel ormai ristretto a 20 sole banche (nel 2012 erano 44) non aiuta: anche perché 9 di esse sono europeriferiche e i tassi applicati - e segnalati ogni mattina alle 11 - inevitabilmente risentono di chi presta a chi.
Così, se una maggior volatilità rispetto a oggi sembra inevitabile, altre questioni restano aperte. «Un panel allargato sarebbe senz’altro un segnale del commitment dell’intera comunità bancaria nel processo di riforma, dal momento che ogni istituto ne fa uso», si fa notare dall’Emmi. Ma, come già accaduto in passato a più riprese, c’è chi non disdegnerebbe l’intervento diretto della Bce, se non altro vista la mole di dati quotidianamente raccolta a Francoforte. Sul punto Ravoet non si esprime puntualmente, ma ci va vicino: «Emmi giudica positivamente qualunque iniziativa da parte delle istituzioni che possa aiutare il processo di riforma», dichiara a Il Sole. Certo è che l’Emmi governa anche l’Eonia, l’indice calcolato sulle operazioni overnight (a brevissima scadenza), per il quale Bce secondo diversi osservatori potrebbe avere una qualche forma di preferenza vista - appunto - la base transazionale.
Dunque per l’Euribor, con la valanga di attivi collegati, siamo all’ultima chiamata. Se seguirà le sorti del Libor una riforma potrebbe non essere garanzia di sopravvivenza: giusto a fine luglio, il responsabile della britannica Fca, la Financial conduct authority, Andrew Bailey, ha dichiarato che la revisione non è stata soddisfacente, dunque il parametro dovrà essere pensionato entro il 2021. Con buona pace dei 350 trilioni di prodotti finanziari che si porta dietro.