venerdì 1 dicembre 2017

FAKE NEWS SULLA RUSSIA E ALTRI NEMICI VARI (THE NEW YORK TIMES 1917-2017). - Edward S. Herman

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È divertente vedere il New York Times e altri media mainstream che esprimono tutto il loro sgomento per l’aumento della diffusione delle “fake news”. Queste testate ritengono che sia una ovvia verità che quello che distribuiscono loro sia un racconto diretto, imparziale e basato sui fatti. Raccontano notizie, ma forniscono anche un flusso costante di altre varie forme di notizie, spesso informazioni false o fuorvianti fornite dal National Security o da altri uffici governativi o da centri del potere delle multinazionali. Una forma importante di notizie false che viaggia sui media mainstream è togliere spazio ad altre informazioni e commenti che metterebbero in discussione le notizie più importanti.

Questo è il caso di “The Lie That Was Not Shot Down”, titolo di un editoriale del 18 gennaio 1988, Il Times faceva riferimento a una nota propagandistica di cinque anni prima che gli editori avevano digerito e dimenticato. La menzogna – si riferiva ai sovietici che sapevano che l’aereo di linea coreano 007, abbattuto il 31 agosto 1983, era un aereo civile – fu rivelata dal Congressman  Lee Hamilton, non dal Times. Le fake news dei media-mainstream sono particolarmente ricercate, perché in poco tempo riescono a orientare l’opinione pubblica su un certo argomento – un topic – e vengono raccontate eresie che (dopo aver fatto il loro effetto) vengono immediatamente messe alla gogna perché ingenue, antipatriottiche o semplicemente sbagliate.

In un’illustrazione drammatica, per un capitolo del libro intitolato “Worthy and Unworthy Victims” – “Vittime degne e indegne” – Noam Chomsky e io mostrammo la copertura mediatica data da Time, Newsweek, CBS News e il New York Times all’omicidio del prete Jerzy Popieluzko, avvenuto nel 1984 nella Polonia comunista – un evento drammatico e politicamente utile per i media politicizzati occidentali il rilievo dato alla notizia fu assolutamente molto superiore a quello dato agli omicidi di un centinaio di altre figure religiose ammazzate in America Latina da governi amici degli Usa dalla fine della seconda Guerra Mondiale ad oggi.1

E’ conveniente e sicuro concentrare il focus dei media su una vittima “degna”, mentre raccontare con cura come sono morti quegli altri cento preti avrebbe richiesto uno sforzo di ricerca costoso e pericoloso che, tra l’altro, avrebbe dato fastidio al Dipartimento di Stato. 
A guardare bene, scegliere di dare questo genere di notizie in modo così particolareggiato  (sollevando indignazione) per una vittima politicamente utile e ignorare quasi del tutto tanti altri omicidi simili, compiuti dall’establishment politico, o cercare di minimizzarli o non parlarne del tutto è una pratica molto vicina a dare una notizia falsa.

Dare notizie false sulla Russia è una tradizione per il Times che risale almeno fino alla rivoluzione del 1917. In uno studio classico sulla copertura data dalla stampa alla Russia da febbraio 1917 a marzo 1920, Walter Lippmann e Charles Merz hanno scoperto che “Dal punto di vista del giornalismo professionale, la cronaca sulla rivoluzione russa fu un disastro. Su certe questioni essenziali l’effetto fu quasi sempre fuorviante e le notizie fuorvianti sono peggio che non dare notizie … (I giornali) Possono essere ragionevolmente accusati di credulità sconfinata e di instancabile prontezza a farsi prendere in giro, e spesso di vera e propria mancanza di buon senso. “”2

Lippmann e Merz hanno scoperto che le notizie venivano diffuse con un chiaro orientamento editoriale e la zelante opposizione ai comunisti portò il giornale a raccontare di atrocità mai accadute e prevedere l’imminente collasso del regime bolscevico almeno novantuno volte in tre anni. I giornalisti accettavano acriticamente le dichiarazioni ufficiali e citavano come fonte una “alta autorità” non identificata. Questo era prassi regolare per il Times.

Queste fake news del 1917-20 furono ripetute spesso negli anni seguenti. L’Unione Sovietica restò bersaglio nemico fino alla Seconda Guerra Mondiale, e per tutto il periodo il Times le restò costantemente ostile. Con la fine della guerra e l’emergere dell’Unione Sovietica come rivale militare, e come potenza nucleare, cominciò la Guerra Fredda. Negli Stati Uniti, l’anticomunismo divenne Religione di Stato e l’Unione Sovietica fu considerata, nei discorsi ufficiali e sui media, una minaccia globale che doveva essere urgentemente frenata. Con questa ideologia e con i piani USA per espandere in modo globale il proprio potere, la minaccia comunista aiutò a sostenere una costante crescita del complesso militare-industriale e i ripetuti interventi per contrastare le presunte aggressioni sovietiche.3

Uno dei primi Grandi Crimini: il Guatemala.
Uno dei casi più palesi in cui la minaccia sovietica fu sfruttata per giustificare la violenza sponsorizzata dagli Stati Uniti fu il rovesciamento del governo socialdemocratico del Guatemala nel 1954 per mano di un piccolo esercito che invase il paese entrandovi  dal Nicaragua di Somoza, che era alleato degli USA. Questa azione fu provocata da certe riforme promosse dal governo che infastidivano gli interessi USA, tra cui una legge del 1947 che consentiva la formazione di sindacati e leggi di buy-back per riacquistare (a prezzo ufficiale) e redistribuire ai contadini parte delle proprietà inutilizzate dalla United Fruit Company e da altri grandi proprietari terrieri. Gli Stati Uniti, che si erano trovati tanto bene durante i 14 anni della precedente dittatura di José Ubico, non potevano tollerare questa sfida democratica, e il governo eletto, guidato da Jacobo Arbenz, fu presto accusato di varie malvagità, basate su un presunta colorazione rossa assunta dal governo guatemalteco.4

Nella campagna di propaganda pre-invasione, i principali media si allinearono con le false accuse di dure repressioni governative, di minacce fatte ai paesi vicini e presa del potere da parte dei comunisti. Il Times riferì ripetutamente di questi presunti abusi e minacce dal 1950 in poi (il mio articolo preferito: “Come i Comunisti presero il controllo in Guatemala” di Sidney Gruson, 1 marzo 1953). Arbenz e il suo predecessore, Juan Jose Arevalo, avevano accuratamente evitato di far aprire ambasciate di paesi del blocco sovietico, temendo rappresaglie USA. Dopo la rimozione di Arbenz e l’instaurazione di una dittatura di destra, lo storico Ronald Schneider, dopo aver studiato 50.000 documenti sequestrati da fonti comuniste in Guatemala, scoprì che non solo i comunisti non avevano mai controllato il paese, ma che l’Unione Sovietica “non spese nemmeno una lira per appoggiare il regime di Arbenz “, perché all’epoca aveva troppi problemi interni per pensare anche all’America centrale.5

Chi salì al governo con il colpo di stato decimò subito i nuovi gruppi sociali formatisi nell’era democratica, principalmente si trattava di organizzazioni di contadini, operai ed insegnanti. Arbenz aveva vinto, con il 65% dei voti, in una libera elezione, ma il “liberatore” Castillo Armas subito dopo vinse con un “plebiscito” del 99,6% dei voti e benché questo sia un risultato familiare nei regimi totalitari, i media mainstream ormai già avevano perso interesse per il Guatemala, e parlarono a malapena di questo risultato elettorale. Il Times nel 1950 aveva sostenuto che la politica USA in Guatemala “non stava cercando di bloccare il progresso sociale ed economico del paese, ma era interessata che il paese diventasse una democrazia liberale” .6   
E nemmeno in seguito, i redattori del Times  si accorsero che il risultato della politica USA era precisamente  il  “blocco del progresso sociale ed economico”, e che aveva installato un regime di terrore reazionario.
Nel 2011, più di mezzo secolo dopo il 1954, il Times riferì che il presidente guatemalteco Alvaro Colom si era scusato per quel “Grande crimine”, per il violento rovesciamento del governo Arbenz che fu “un atto di aggressione a un governo che iniziava una sua primavera democratica” .7   L’articolo dice anche che, secondo il presidente Colom, la famiglia Arbenz sta “aspettando le scuse dagli USA per il ruolo svolto nel Grande crimine”, ma il Times non ha mai presentato le sue scuse e nemmeno ha riconosciuto il proprio ruolo nel Grande Crimine.

Un altro grande crimine: il Vietnam
Le Fake-News abbondavano sul Times e su altre pubblicazioni main-stream durante la guerra del Vietnam. La percezione comune è che i giornalisti raccontavano la guerra in modo fuorviante e essenzialmente falso. In Without Fear or Favor, l’ex-reporter del Times Harrison Salisbury riconobbe che nel 1962, quando l’intervento USA ebbe una escalation, il Times fu “profondamente e coerentemente” favorevole alla politica di guerra.8  e che il giornale divenne progressivamente più critico dopo il 1965, culminando poi con la pubblicazione dei Pentagon Papers nel 1971. Ma Salisbury non riconosce che dal 1954 ad oggi, il Times non ha mai abbandonato la sua visione e il suo vocabolario da Guerra Fredda, secondo cui gli Stati Uniti avevano solo opposto resistenza alle “aggressioni” di un’altra nazione e stavano proteggendo “il Vietnam del Sud “. Il giornale non ha mai usato il termine aggressione per questo paese, ma lo ha usato liberamente riferendosi alle azioni fatte dal Vietnam del Nord e a quelle del Fronte di liberazione nazionale nella parte Sud del Vietnam.
Le varie pause ai bombardamenti concesse dagli USA nel 1965 e dopo, per “dare una possibilità alla pace” servirono anche per costruire notizie false, in quanto l’amministrazione Johnson usava queste pause temporanee per placare le proteste interne contro la guerra, mentre facevano capire in modo chiaro ai vietnamiti che gli Stati Uniti chiedevano una loro resa totale. Il Times ed i suoi colleghi hanno ingoiato l’amo del governo senza nemmeno fiatare o dire una parola di dissenso.9

Inoltre, benché dal 1965 in poi il Times era più disponibile a pubblicare report che mettessero la guerra in una luce meno favorevole, non si è mai rotta la sua forte dipendenza dalle fonti ufficiali, né si è incrinata la sua riluttanza a parlare dei danni provocati al Vietnam e alla sua popolazione civile dalla macchina della guerra USA.  
Comportandosi in modo diametralmente opposto alla sua ricerca appassionata sui rifugiati cambogiani che scappavano dai Khmer rossi dopo l’aprile 1975, il giornale raramente ha cercato qualche testimonianza sui milioni di profughi vietnamiti in fuga dai bombardamenti degli Stati Uniti e dalla guerra chimica. Anche nei suoi articoli di approfondimento, la nuova linea lasciava spazio solo a commentatori che accettavano il presupposto della guerra e si limitavano a critiche su problemi tattici e ai costi interni. Dall’inizio alla fine della guerra chiunque criticasse la guerra e la definisse una campagna immorale di pura aggressione fu sempre escluso dal dibattito. 10

Il tentativo di assassinare il Papa nel 1981
Ulteriore impulso fu dato dai media mainstream alla propaganda della Guerra Fredda, con il tentato omicidio di Papa Giovanni Paolo II a Roma nel maggio 1981. In un’epoca in cui l’amministrazione Reagan cercava di demonizzare l’Unione Sovietica come “impero del male”, i colpi sparati al papa dal fascista turco Ali Agca furono presto collegati a Mosca, con l’aiuto della confessione di Agca – dopo diciassette mesi di prigionia, dopo interrogatori, minacce, istigazioni  – che dichiarò ai media che  c’erano bulgari e KGB sovietico dietro l’attentato.
Nessuna prova credibile confermò questa connessione, le affermazioni non erano plausibili e la corruzione nel processo fu notevole. (Inoltre Agca spesso diceva di essere Gesù Cristo.) 
La causa contro i bulgari (e implicitamente contro il KGB) fu persa anche nel quadro giudiziario estremamente prevenuto e politicizzato dell’Italia. Ma il Times prese  quelle affermazioni per buone e le dedicò una attenzione prolungata, intensa e assolutamente indiscussa, così come la maggior parte dei media USA.

Durante le udienze del Senato del 1991 per la nomina di Robert Gates alla guida della CIA, l’ex ufficiale, Melvin Goodman, testimoniò che la CIA sapeva fin dall’inizio che le confessioni di Agca erano false, perché aveva “ottime entrature” nei servizi segreti bulgari. Il Times omise di riportare questa affermazione nell’articolo sulla testimonianza di Goodman. Durante lo stesso anno, quando la Bulgaria era parte del “mondo libero”, l’analista conservatore Allen Weinstein ottenne il permesso di riesaminare i file dei servizi segreti bulgari sul tentativo di assassinio. Queste nuove indagini furono riportate dalla stampa ed anche sul Times, ma quando Weinstein concluse di non aver trovato nulla che coinvolgesse Bulgaria o KGB, molti giornali, incluso il Times, ritennero che quelle conclusioni non fossero più degne di fare notizia.

Il Gap Missilistico.
Dal 1975 al 1986, gran parte delle notizie sul presunto “divario missilistico” tra USA e URSS era poco più di una notizia falsa ed i giornalisti del Times alimentavano un flusso costante di dichiarazioni ufficiali che infiammavano gli animi. Un caso importante si verificò verso la metà degli anni ’70, quando i falchi della destra dell’amministrazione Ford tentavano di intensificare la Guerra Fredda e la corsa agli armamenti. Un rapporto della CIA del 1975 aveva scoperto che i sovietici puntavano solo alla parità nucleare, ma questo non bastava, così il capo della CIA George H. W. Bush nominò una nuova squadra di espertoni che presto scoprì che i sovietici invece stavano ottenendo una superiorità nucleare e si preparavano a combattere una guerra nucleare. Questo cosiddetto rapporto della squadra B fu preso così com’era e riportato in un articolo da prima pagina dal Times del 26 dicembre 1976, da David Binder. 
Nessuno notò  i suoi pregiudizi politici o i motivi per cui stava pubblicando un’ informazione per cui non aveva nemmeno fatto la mossa di consultare esperti con opinioni divergenti. La CIA alla fine nel 1983, ammise che i calcoli del Team B erano delle invenzioni. Ma per tutto quel periodo, il Times sostenne la necessità della militarizzazione, diffondendo false informazioni, in gran parte confutate in modo convincente da Tom Gervasi nel suo classico “The Myth of Soviet Military Supremacy” un libro che divenne un classico  mai recensito sul Times.

La Yugoslavia e  l’ “Intervento Umanitario”.
Negli anni ’90 le guerre di smantellamento della Jugoslavia riuscirono a rimuovere dal potere un governo indipendente e a sostituirlo con quel che restava di uno stato serbo e con altri stati, poveri, instabili e falliti in Bosnia e in Kosovo. Riuscirono anche a dare un sostegno ingiustificato al concetto di “intervento umanitario”, basato su una massa di false dichiarazioni e su rapporti di parte. Il demonizzato leader serbo Slobodan Milošević non era un ultra-nazionalista che voleva una “Grande Serbia”, ma piuttosto un leader non allineato sulla lista nera degli occidentali che cercò di aiutare le minoranze serbe in Bosnia, Croazia e Kosovo a restare in Jugoslavia mentre USA e UE volevano una divisione legalmente discutibile e la costituzione di diverse repubbliche jugoslave.
Milošević appoggiò tutti gli insediamenti che vennero fuori da questi conflitti e che furono sabotati da bosniaci e americani che volevano condizioni migliori o la sconfitta militare totale della Serbia, cosa che alla fine ottennero. Milošević non ebbe niente a che fare con il massacro di Srebrenica di luglio 1995, dove i serbi bosniaci si vendicarono dei soldati musulmani bosniaci che stavano devastando i vicini villaggi serbo-bosniaci partendo dalla base – sotto protezione NATO – di Srebrenica. Delle migliaia di morti civili serbi nessuno parlò sui media main-stream, mentre si parlò molto del numero delle vittime giustiziate a Srebrenica, che fu gonfiato.11

L’Era di Putin.
L’establishment politico americano fu scioccato e deliziato dalla caduta dell’Unione Sovietica nel 1989-91, e fu ugualmente compiaciuto delle politiche del presidente Boris Eltsin, un cliente virtuale degli USA, sotto il cui governo i russi vissero una disastrosa caduta del loro standard di vita , mentre un piccolo gruppo di oligarchi riuscì a saccheggiare le rovine dello stato. La vittoria elettorale di Eltsin nel 1996, molto appoggiata da consulenti, consiglieri e soldi degli Stati Uniti, fu chiamata, dai redattori del Times, “Una vittoria per la democrazia russa”. 12
Loro non furono affatto disturbati né da quella corruzione elettorale, né dalla nascita di una oligarchia economica basata su una grande ruberia né, poco dopo, dalle nuove regole che centralizzavano tutto il potere in mano al presidente. 13
Il successore di Eltsin, Vladimir Putin, abbandonò gradualmente questo asservimento agli interessi dell’occidente e quindi fu percepito come minaccia. La sua rielezione nel 2012, sebbene sicuramente meno immorale di quella riportata da Eltsin nel 1996, fu aspramente criticata dai media USA. L’editoriale del “Times” del 5 maggio 2012 titolava “uno schiaffo in faccia” agli osservatori europei della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione, dato dalle proteste di “migliaia di manifestanti antigovernativi riuniti in piazza a Mosca per cantare ” Russia senza Putin”.14
Dopo l’avvelenata vittoria di Eltsin nel 1996 però il Times non parlò di nessuna “sfida alla legittimità “.
La demonizzazione di Putin si intensificò con la crisi ucraina del 2014 , con la successiva guerra di Kiev nella parte est dell’Ucraina, con l’appoggio russo dato alla Resistenza,  e con il referendum della Crimea ed il suo assorbimento da parte della Russia. Tutto questo fu dichiarato “aggressione” da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati e clienti, furono imposte sanzioni alla Russia, ed avviata una intensa attività militare USA-NATO ai confini della Russia. Le tensioni crebbero ulteriormente con l’abbattimento del volo Malaysia Airlines 17, sull’Ucraina sud-orientale – prontamente, ma quasi sicuramente falsamente, addossato a ribelli “filo-russi” e alla stessa Russia. 15

Le ostilità anti-russe si infiammarono ulteriormente per l’escalation degli interventi in Siria dal 2015 in poi, a sostegno di Bashar al-Assad e contro le forze ribelli guidate dall’ISIS e da al-Nusra, una propaggine di al-Qaeda. Gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO in Medio Oriente per diversi anni avevano aggredito la Siria, con una alleanza de-facto con al-Nusra e con altre fazioni islamiche estremiste. L’intervento russo ha invertito questa tendenza, frustrando gli obiettivi USA e sauditi che volevano il cambio di regime contro Assad e tacitamente indebolendo gli alleati degli USA.
Il Times ha trattato questi sviluppi senza riserve come apologetici – il colpo di stato a Kiev di febbraio 2014 – che non ha mai chiamato colpo-di-stato, per il ruolo che ebbero gli USA nel rovesciamento del governo eletto di Victor Yanukovych, ma manifestò rabbia e orrore per il referendum in Crimea e per l’assorbimento russo, che non ha mai riconosciuto come risposta difensiva al colpo di stato di Kiev. 

La sua richiesta di punire l’ “aggressione” russa senza morti in Crimea è in netto contrasto con la sua difesa dell’aggressione americana “voluta” (non difensiva) in Iraq dal marzo 2003 che causò un milione e più di vittime . I giornalisti del Times condannano il disprezzo di Putin per il diritto internazionale, ma non condannano mai il proprio paese per le ripetute violazioni di quella stessa legge.16

Nelle rubriche di indagine e di opinione del Times, la Russia viene regolarmente assalita definendola espansionista e minaccia per i suoi vicini, ma praticamente non si accenna mai all’espansione della NATO fino ai confini russi e al posizionamento di armi anti-missile in Europa orientale – mandate dopo aver detto che erano solo la risposta a una minaccia missilistica dell’Iran! Analisi fatte dallo scienziato politico John Mearsheimer e dallo studioso della Russia Stephen F. Cohen che facevano notare questa avanzata della NATO non hanno trovato posto sulle pagine di opinione del Times.17   
Invece Maria Alyokhina, una delle ***** Riot, il gruppo punk rock, ha incontrato il comitato editoriale del Times.18, per denunciare Putin e la Russia. Tra il 1° gennaio e il 31 marzo 2014, il giornale ha pubblicato ventitré articoli sulle ***** Riot e il loro presunto significato come simbolo della limitazione della libertà di parola in Russia. Le ***** Riot avevano interrotto un servizio religioso e poi erano state fermate dalla polizia, su richiesta delle autorità ecclesiastiche. Ne è seguita una pena detentiva di due anni. Nel frattempo, a febbraio 2014, suor Megan Rice, una suora di ottantaquattro anni, è stata condannata a quattro anni di carcere perché, come protesta simbolica, nel 2012 era entrata in un sito di armi nucleari USA. The Times ha riportato questa notizia con una breve nota nella sezione National Briefing, con il titolo “Suora del Tennessee condannata per la sua protesta sulla pace”. Nessun editoriale e nessun incontro con il consiglio di amministrazione per Sister- Rice.

Ci sono manifestanti degni e altri indegni, proprio come le vittime.
In Siria, con l’aiuto russo, l’esercito di Assad e le milizie alleate sono state capaci di cacciare i ribelli da Aleppo, con grande sgomento di Washington e dei principali media. È illuminante vedere i resoconti  sulle vittime civili ad Aleppo, con foto di bambini abbandonati e storie sulle sofferenze e le privazioni dei civili espressa dal Times e la sua indignazione per la disumanità di Putin-Assad, tutto il contrario del silenzio virtuale tenuto dallo stesso giornale in occasione della strage di vittime civili a Falluja nel 2004 e, più recentemente, nelle zone ribelli della Siria, e nella città irachena di Mosul, quando fu attaccata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.19 
Il diverso trattamento delle vittime degne e indegne ha funzionato egregiamente quando il Times ha parlato della Siria.
Possiamo trovare un altro segno di russofobia acuta nei dibattiti presidenziali di ottobre 2016, quando Hillary Clinton dichiarò che Donald Trump, come presidente, sarebbe stato un “burattino” di Putin, un tema che nella sua campagna ha ribadito più volte. Questa enfasi è aumentata dopo le elezioni, con l’aiuto dei media e dei servizi di intelligence, mentre il partito dei Clinton cercava di spiegare la sconfitta elettorale, per cercare di mantenere il controllo del partito e forse anche per ribaltare il risultato elettorale nei tribunali o nei colleggi elettorali, dicendo che Trump aveva vinto per l’interferenza dei russi.
Un importante impulso per la connessione-Putin è arrivato con la pubblicazione, nel gennaio 2017, del rapporto  Background of Assessing Russian Activities and Intention in Recent US Elections  dell’Ufficio del Director of National Intelligence (DNI). Più della metà di questo breve documento è dedicato alla RT News sponsorizzata dalla Russia, che viene indicata come una fonte illegittima di propaganda. L’organizzazione dovrebbe far parte della “influence campaign” della Russia [che] aspirava a dare una mano al presidente eletto Trump, possibilmente, discreditando il segretario Clinton e mettendola in cattiva luce verso il presidente eletto. “Non c’è nessuna ombra di prova che si sia trattato di una “campagna” programmata, piuttosto che una continua espressione di opinioni e notizie. Gli stessi standard che sono serviti per identificare una “campagna di influenza” russa potrebbero servire con uguale forza per identificare il trattamento riservato dai media USA e da Radio Free Europe durante qualsiasi elezione russa – e, naturalmente, l’intervento diretto degli USA nelle elezioni del 1996 –  diretto e andato molto oltre una semplice “influenza” sulla campagna.
Per quanto riguarda un intervento russo più diretto sulle elezioni USA, gli autori del DNI ammettono l’assenza di “prove concrete”, ma in realtà non forniscono nemmeno prove del tipo … asserzioni, ipotesi o supposizioni speculative. “Abbiamo accertato che … Putin ha ordinato una campagna di influenza nel 2015” – scrivono – con l’intento di sconfiggere la signora Clinton e “per minare la fiducia nel processo democratico degli Stati Uniti”, ma non forniscono nessuna prova sull’esistenza di questo ordine. Il rapporto inoltre non contiene nessuna prova che la Russia abbia hackerato le comunicazioni del Democratic National Committee (DNC) o le e-mail della Clinton e dell’ex manager della sua campagna, John Podesta, o che abbia fornito informazioni compromettenti a Wikileaks. Julian Assange e l’ex diplomatico britannico Craig Murray hanno ripetutamente affermato che queste notizie sono trapelate da addetti ai lavori locali, non sono arrivate dall’esterno. Anche esperti veterani di intelligence come William Binney e Ray McGovern sostengono che le prove di WikiLeaks sono trapelate dall’interno e non hackerate da enti esterni..20 
È anche degno di nota il fatto che delle tre agenzie di intelligence che hanno firmato il documento della DNI, la NSA, l’agenzia che più probabilmente poteva disporre delle prove dell’ hackeraggio russo e che l’avrebbe trasmesso poi a WikiLeaks, così come qualsiasi altro “ordine” di Putin, ha espresso “moderata fiducia” nei risultati del documento.

Ma dopo aver creduto che i rossi governavano il Guatemala, che i sovietici stessero superando gli USA nella corsa per i missili o che il KGB complottava per assassinare il papa, il Times ha creduto che fosse vero anche l’hackeraggio dei russi, prendendolo come un dato di fatto, nonostante l’assenza di prove concrete. Il reporter del Times, David Sanger, fa riferimento ad un “resoconto schiacciante e sorprendentemente dettagliato sugli sforzi della Russia per indebolire il sistema elettorale americano”, per poi riconoscere che il rapporto pubblicato “non contiene informazioni su come le agenzie siano … giunte alle loro conclusioni”.21  
Il rapporto stesso registra la sorprendente affermazione che “non si intende che i pareri espressi siano confermati da prove che dimostrino dei dati di fatto”. Inoltre, se il rapporto fosse stato  basato su “intercettazioni di conversazioni” e su dati informatici compromettenti – come affermano Sanger e il DNI – perché il DNI ha omesso di citare una singola conversazione con i presunti ordini e piani di Putin?

Il Times non ha mai citato o dato spazio a William Binney, Ray McGovern o Craig Murray, le autorità dissidenti più influenti sulla tecnologia degli hacker, sulla loro metodologia e sulle specifiche degli hacker di DNC. Ma il Times ha trovato spazio per un editoriale di Louise Mensch “What to Ask about Russian Hacking”. La Mensch è una nota teorica della cospirazione senza nessun background tecnico, descritta dagli scrittori Nathan Robinson e Alex Nichols come una che “passa la maggior parte del suo tempo su Twitter scrivendo deliranti denunce di eserciti immaginari di “Putin-bots” online, che l’hanno resa “una delle persone meno credibili su Internet”. 22    
Ma viene ospitata da Times perché dice cose che contrastano le informazioni credibili e documentate di Binney e Murray, e segue la linea del partito, che seguono il presupposto di un hackeraggio dei russi, come dice il DNC.
L’ impudente intervento della CIA nel processo elettorale nel 2016 e nel 2017 ha aperto nuovi orizzonti nella politicizzazione dell’agenzia. Nel mese di agosto 2016 l’ex capo della CIA Michael Morell ha annunciato in un editoriale: “Ho gestito la C.I.A e adesso sostengo Hillary Clinton” e l’ex capo della CIA Michael Hayden ha pubblicato un editoriale sul Washington Post pochi giorni prima delle elezioni, dal titolo “Ex capo della CIA: Trump è un inutile marionetta della Russia”. 
Ma Morell aveva già fatto un altro editoriale sul Times il 6 gennaio, aggredendo apertamente il nuovo presidente. Questi attacchi, indiscutibilmente offensivi per Trump e pieni di lodi per la Clinton, servivano per ritrarre Trump come un traditore ma anche a chiarire che la posizione più combattiva della Clinton contro Siria e Russia era preferibile di gran lunga alla disponibilità di Trump verso la negoziazione e la cooperazione con la Russia.
Questo era anche vero per lo scandalo sulla telefonata del portavoce della Defence Intelligence-nominato da Trump, Michael Flynn, con l’ambasciatore russo, in cui avrebbe discusso di azioni politiche dell’amministrazione entrante. Le possibilità politiche di questi fatti sono state colte al volo dal personale-uscente del Security di Obama e dai media mainstream, con l’FBI che interrogava Flynn e con le tante espressioni di orrore per quello che aveva fatto Flynn, denunciandolo per essersi esposto al ricatto russo. 
Ma questi incontri della pre-inaugurazione con i diplomatici russi erano “pratica comune” – secondo Jack Matlock, ambasciatore USA in Russia sotto Reagan e Bush – tanto che lo stesso Matlock aveva organizzato personalmente uno di questi incontri per Jimmy Carter.23  
Anche l’ambasciatore di Obama in Russia, Michael McFaul, ha ammesso di aver visitato Mosca per colloqui nel 2008, prima delle elezioni. Daniel Lazare con questi esempi ha dimostrato, non solo che l’illegalità e la minaccia di ricatto dei russi sono inverosimili, ma che l’interrogatorio dell’FBI a Flynn puzza di trappola. 
“Eppure i liberal anti-Trump stanno cercando di convincere la gente che quello che succede è “peggio del Watergate”. 24
Il punto politico del rapporto DNI sembra essere collegare gli affari dell’amministrazione Trump con la Russia. Certi analisti che non lavorano per i mainstream hanno detto che potremmo essere stati testimoni di incipiente incidente di spionaggio o di colpo di stato nel palazzo che non sono riusciti concretamente ma che comunque hanno avuto l’effetto desiderato, cioè indebolire la nuova amministrazione.25   Il Times non ha detto una  sola parola di critica su questa politicizzazione e intervento nel processo elettorale da parte delle agenzie di intelligence, e in effetti gli editori hanno lavorato con loro e con il Partito Democratico come una squadra affiatata in un programma chiaramente anti-democratico progettato per minare o invertire i risultati delle elezioni del 2016, con il pretesto di presunte interferenze elettorali straniere.
Il Times ed i media mainstream in generale hanno anche appena menzionato il fatto imbarazzante che le presunte comunicazioni hackerate delle e-mail di DNC e Clinton e Podesta hanno rivelato fatti non contestati sulle vere manipolazioni elettorali della campagna Clinton, fatti che il pubblico aveva il diritto di conoscere e solo questo avrebbe influito sui risultati delle elezioni. L’attenzione sulle affermazioni prive di evidenza di un’intrusione hacker russa ha contribuito a distogliere l’attenzione dai veri abusi elettorali rivelati dal materiale di WikiLeaks. Anche in questo caso, le notizie false ufficiali e tradizionali hanno contribuito a seppellire le notizie reali.
Un’altra freccia nella faretra della Russofobia è stato un “dossier” di intelligence privato compilato da Christopher Steele, un ex agente dei servizi segreti britannici che lavorava per la Orbis Business Intelligence, una società privata contrattata dal DNC per scavare tra le sozzerie di Trump. Il primo rapporto di Steele, consegnato a giugno 2016, riportava parecchie serie accuse contro Trump, in particolare sul fatto che Trump era stato colto durante qualche scappatella a Mosca – offerta dal Cremlino guidato da Putin –  per almeno cinque anni, per seminare discordia all’interno dell’establishment politico USA e perturbare l’alleanza occidentale. 
Questo documento era basato su presunte conversazioni di Steele con sedicenti diplomatici (russi): cioè, rigorosamente su testimonianze per sentito dire, le cui affermazioni, ove verificabili, a volte erano sbagliate.26    
Ma si diceva solo quello che democratici, media mainstream e CIA volevo sentire, e che di conseguenza certi addetti della Intelligence dichiararono “credibili”, quindi ben accolte dai media. Il Times si è in qualche modo impegnato a collaborare in questa campagna pacchiana definendo il rapporto “non verificato”, ma malgrado ciò ha riferito tutto quello che c’era scritto.** 27

Il dossier Steele è diventato anche una parte centrale delle indagini e delle udienze sul “Russia-gate ” tenuto dalla House Intelligence Committee a partire da marzo 2017 e guidato dal rappresentante democratico Adam Schiff. Mentre basava la sua dichiarazione di apertura su un dossier pieno di dicerie, Schiff non si chiedeva chi avesse finanziato il lavoro di Steele, chi fosse Steele, chi fossero esattamente i russi di cui si citano i nomi e quanto fossero stati pagati. Sembra però che parlare con i russi su un progetto che può influenzare una elezione presidenziale americana sia assolutamente accettabile se il candidato che ne trae vantaggio è un anti-russo!
Il Times ha avuto un ruolo importante in questa ultima ondata di russofobia, che ricorda la sua performance degli anni 1917-20 in cui – come dissero Lippmann e Merz nel 1920 – “una credulità sconfinata ed una instancabile prontezza a essere preso in giro” caratterizzava il processo di produzione delle notizie . Mentre accennava all’ammissione della CIA che non c’erano prove concrete, si parlava di “prove circostanziali” e di “possibilità”, il Times era felice di descrivere dettagliatamente queste possibilità e tutte le implicazioni che potrebbero produrne.28   
Sia gli editoriali che gli articoli erano calibrati uniformemente sulla falsa supposizione che l’hackeraggio russo fosse provato, e che i russi avessero passato questi dati a WikiLeaks, altra cosa non dimostrata e strenuamente negata da Assange e Murray.
Il Times è arrivato testa a testa con il Washington Post nel creare agitazione per la guerra della informazione russa e per l’illecito coinvolgimento di Trump. Il Times ora mischia agevolmente le notizie false con qualsiasi critica alle istituzioni costituite, come l’articolo di Mark Scott e Melissa Eddy del 20 febbraio 2017  “Europe Combats a New Foe of Political Stability: Fake News” . 29   Ma la cosa più straordinaria è il modo uniforme con cui tutti i giornalisti della carta stampata hanno accettato come dato di fatto le affermazioni della CIA per cui i russi hanno fatto hackeraggio ed hanno trasmesso dati a Wikileaks, che esista una possibilità o una probabilità che Trump sia un burattino di Putin e che sia urgente la necessità di un’indagine del Congresso ma una indagine che “non sia di parte” su queste affermazioni.
Questo credo nella nuova linea del partito della guerra è stato accolto a braccia aperte dai media liberals. Sia il Times che il Washington Post hanno dato il loro tacito sostegno all’idea che queste “false notizie” debbano essere frenate, probabilmente da una qualche forma di auto-censura organizzata dai media o da un intervento del governo che dovrebbe almeno occuparsi di queste falsità.
L’episodio mediatico più notevole di questa campagna anti-influence è stato il pezzo di Craig Timberg sul Post , “Gli esperti dicono che gli sforzi della propaganda russa hanno aiutato a diffondere  notizie false durante le elezioni” articolo che conteneva il rapporto di un gruppo di esperti “anonimi” una entità chiamata PropOrNot che sosteneva di aver identificato duecento siti web che, consapevolmente o no, ” spacciavano propaganda russa “. Mentre calunniavano questi siti web, molti dei quali erano agenzie di stampa indipendenti il ​​cui unico punto in comune era una posizione critica nei confronti della politica estera USA , gli “esperti anonimi” si rifiutavano di identificarsi, forse per paura di essere “presi di mira da legioni di hacker esperti”. Come ha scritto il giornalista Matt Taibbi, “Vuoi mettere sulla lista nera centinaia di persone, ma non vuoi metterci il ​​tuo nome ? Take a hike – Fatti una passeggiata. “30  
Ma il Post ha accolto e condiviso questo sforzo di McCartite, che potrebbe facilmente essere un prodotto della guerra informativa fatta dal Pentagono o dalla CIA. (E loro si che sono ben finanziate e ben introdotte nell’industria della propaganda).
Il 23 dicembre 2016, il presidente Obama ha firmato il Portman-Murphy Countering Disinformation and Propaganda Act, che probabilmente permetterà agli USA di combattere più efficacemente la propaganda e la disinformazione straniera (cioè russa e cinese). Incoraggerà maggiori sforzi di contropropaganda dalla pubblica amministrazione e darà soldi a entità non governative per aiutare il governo in questa impresa. È chiaramente un seguito alle affermazioni di hackeraggio e propaganda russe e condivide lo spirito di quell’elenco dei duecento pubblicati sul Washington Post. (Forse adesso PropOrNot  si farà riconoscere e chiederà un sussidio e potrà anche allungare la sua lista.) I liberals non si sono pronunciati su questa nuova minaccia alla libertà di parola, indubbiamente influenzati dalla paura delle notizie- false e dalla propaganda che viene dalla Russia. Ma potranno ancora prenderne atto, anche se tardivamente, quando Trump o qualcuno dei suoi successori lo farà funzionare meglio e contro il loro concetto di notizie false e di propaganda.
Il successo della campagna del partito della guerra per contenere o per invertire qualsiasi tendenza che possa allentare le tensioni con la Russia si è reso drammaticamente evidente con l’immediato bombardamento fatto dall’amministrazione Trump come risposta ai morti provocati dalle armi chimiche siriane del 4 aprile 2017. Il Times e altri giornalisti e giornalisti mainstream hanno salutato questa mossa aggressiva con un entusiasmo quasi uniforme, e ancora una volta non hanno chiesto nessuna prova sulla colpevolezza di Assad, se non le dichiarazioni del governo.31   
Il bombardamento ha creato danni sia a Assad che alla Russia, ma è stato utile per i ribelli.  Ma i media mainstream non chiedono mai cui prodest? in casi come questo?
Nel 2013, un’accusa simile contro Assad – che portò gli Stati Uniti sull’orlo di un bombardamento su vasta scala in Siria si rivelò una false flag operation, e certe autorità ritengono che anche questo sia un caso altrettanto problematico.32 
Comunque, Trump si è mosso rapidamente (e illegalmente), infliggendo un duro colpo a qualsiasi ulteriore avvicinamento tra Stati Uniti e Russia.
La CIA, il Pentagono, i leader democratici e il resto del partito della guerra hanno vinto un’importante battaglia nella lotta per la guerra permanente.

Edward S. Herman ha scritto ampiamente di  economia,  politica estera e media.
Fonte: https://monthlyreview.org

Link: https://monthlyreview.org/2017/07/01/fake-news-on-russia-and-other-official-enemies/
1.07.2017

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di BOSQUE PRIMARIO

Note
  1. Noam Chomsky and Edward S. Herman, Manufacturing Consent (New York: Pantheon, 2008), chapter 2.
  2. Walter Lippmann and Charles Merz, A Test of the News (New York: New Republic, 1920).
  3. On the Grand Area framework, see Noam Chomsky, “The New Framework of Order,” in On Power and Ideology (Boston: South End, 1987).
  4. Edward S. Herman, “Returning Guatemala to the Fold,” in Gary Rawnsley, ed., Cold War Propaganda in the 1950s (London: Macmillan, 1999).
  5. Ronald Schneider, Communism in Guatemala, 1944–1954 (New York: Praeger, 1959), 41, 196–97, 294.
  6. Editorial Board, “The Guatemala Incident,”New York Times, April 8, 1950.
  7. Elisabeth Malkin, “An Apology for a Guatemalan Coup, 57 Years Later,”New York Times, October 11, 2011.
  8. Harrison Salisbury, Without Fear or Favor (New York: Times Books, 1980), 486.
  9. Richard Du Boff and Edward Herman, America’s Vietnam Policy: The Strategy of Deception (Washington, D.C.: Public Affairs, 1966).
  10. See Chomsky and Herman, Manufacturing Consent, chapter 6.
  11. Editorial Board, “A Victory for Russian Democracy,”New York Times, July 4, 1996.
  12. Edward S. Herman and David Peterson, “The Dismantling of Yugoslavia,”Monthly Review 59, no. 5 (October 2007); Herman and Peterson, “Poor Marlise: Her Old Allies Are Now Attacking the Tribunal and Even Portraying the Serbs as Victims,” ZNet, October 30, 2008, http://zcomm.org.
  13. Stephen F. Cohen, Failed Crusade: America and the Tragedy of Post-Communist Russia (New York: Norton, 2000).
  14. Ellen Barry and Michael Schwartz, “After Election, Putin Faces Challenges to Legitimacy,”New York Times, March 5, 2012.
  15. Robert Parry, “Troubling Gaps in the New MH-17 Report,” Consortium News, September 28, 2016, http://consortiumnews.com.
  16. Paul Krugman says, “Mr. Putin is someone who doesn’t worry about little things like international law” (“The Siberian Candidate,”New York Times, July 22, 2016)—implying, falsely, that U.S. leaders do “worry about” such things.
  17. A version of Mearsheimer’s article appeared as “Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault, ”Foreign Affairs, September 10, 2014. The paper likewise rejected Stephen Cohen’s 2012 article “The Demonization of Putin.”
  18. “Sochi Under Siege, ”New York Times, February 21, 2014.
  19. Michael Kimmelman, “Aleppo’s Faces Beckon to Us, To Little Avail, ”New York Times, December 15, 2016. Above this front-page article were four photographs of dead or injured children, the most prominent one in Syria. The accompanying editorial, “Aleppo’s Destroyers: Assad, Putin, Iran,” omits some key actors and killers. See also Rick Sterling, “How US Propaganda Plays in Syrian War,” Consortium News, September 23, 2016.
  20. William Binney and Ray McGovern, “The Dubious Case on Russian ‘Hacking,’” Consortium News, January 6, 2017.
  21. David Sanger, “Putin Ordered ‘Influence Campaign’ Aimed at U.S. Election, Report Says, ”New York Times, January 6, 2017.
  22. Nathan J. Robinson and Alex Nichols, “What Constitutes Reasonable Mainstream Opinion, ”Current Affairs, March 22, 2017.
  23. Jack Matlock, “Contacts with Russian Embassy,” Jack Matlock blog, March 4, 2017, http://jackmatlock.com.
  24. Daniel Lazare, “Democrats, Liberals, Catch McCarthyistic Fever,” Consortium News, February 17, 2017.
  25. Robert Parry, “A Spy Coup in America?” Consortium News, December 18, 2016; Andre Damon, “Democratic Party Floats Proposal for a Palace Coup,” Information Clearing House,” March 23, 2017, http://informationclearinghouse.info.
  26. Robert Parry, “The Sleazy Origins of Russia-gate,” Consortium News, March 29, 2017.
  27. Scott Shane et al., “How a Sensational, Unverified Dossier Became a Crisis for Donald Trump,”New York Times, January 11, 2017.
  28. Matt Fegenheimer and Scott Shane, “Bipartisan Voices Back U.S. Agencies On Russia Hacking,”New York Times, January 6, 2017; Michael Shear and David Sanger, “Putin Led a Complex Cyberattack Scheme to Aid Trump, Report Finds,”New York Times,January 7, 2017; Andrew Kramer, “How Russia Recruited Elite Hackers for Its Cyberwar,”New York Times, December 30, 2016.
  29. Robert Parry, “NYT’s Fake News about Fake News,” Consortium News, February 22, 2017.
  30. Matt Taibbi, “The ‘Washington Post’ ‘Blacklist’ Story Is Shameful and Disgusting”, Rolling Stone, November 28, 2016.
  31. Adam Johnson, “Out of 47 Media Editorials on Trump’s Syria Strikes, Only One Opposed,” Fairness and Accuracy in Reporting, April 11, 2017, http://fair.org.
  32. Scott Ritter, “Wag the Dog—How Al Qaeda Played Donald Trump and The American Media,” Huffington Post, April 9, 2017; James Carden, “The Chemical Weapons Attack in Syria: Is There a Place for Skepticism?” Nation, April 11, 2017.

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