giovedì 16 marzo 2017

Senato, Pd e Fi salvano Minzolini e rottamano la Severino. Farsa finale: ‘Ho vinto, mi dimetto’. Ma serve altro voto. - Thomas Mackinson

Senato, Pd e Fi salvano Minzolini e rottamano la Severino. Farsa finale: ‘Ho vinto, mi dimetto’. Ma serve altro voto

Con 137 voti a favore, 94 contrari e 20 astenuti l'Aula ha annullato il parere della Giunta di sette mesi fa sulla revoca del mandato ai sensi della Severino. Decisivi 19 voti a favore e le 24 assenze del Pd. Di Maio all'attacco: "Atto eversivo nei confronti delle istituzioni, non vi lamentate se i cittadini poi protestano in maniera violenta". E i forzisti: "Questo voto ha abolito la Severino, ora reintegrare Berlusconi".

Ieri hanno salvato il ministro Luca Lotti, oggi il soldato Augusto Minzolini. Domani, già lo chiedono, Berlusconi. Dopo infiniti rimandi la questione della decadenza dell’ex direttore del Tg1, aperta dalla condanna definitiva per peculato con interdizione, è approdata in Aula che ha votato per salvarlo: è passato con 137 voti a favore, 94 contrari e 20 astenuti l’ordine del giorno di Forza Italia che ha proposto di respingere la deliberazione con cui sette mesi fa la Giunta per le autorizzazioni aveva votato la revoca del mandato parlamentare. All’annuncio del presidente Pietro Grasso: applausi, pacche sulle spalle, qualche lacrima e abbracci tra i sodali strenuamente o nascostamente avversi alla cacciata del senatore.

“Sono pronto a bere la cicuta”, aveva detto Minzolini a conclusione del suo discorso prima del voto. Pochi minuti dopo può tornare a brindare a Champagne grazie al salvataggio in extremis. E infatti, puntuale, l’annuncio: “Ora ho vinto la mia battaglia, mi dimetto“. Ma non basta, le dimissioni dovranno essere anche calendarizzate e poi votate. E potranno essere respinte. Così che Minzolini – benché dimissionario a parole – nei fatti potrà rimanere al suo posto e maturare anche la pensione. Per sminare il voto Forza Italia ha proposto non uno ma tre ordini del giorno (due poi ritirati) per neutralizzare il parere della giunta del 18 luglio 2016. Il Pd aveva lasciato libertà di voto, opzione che si rivelerà decisiva: in dettaglio votano per il salvataggio 19 senatori Pd, altri 24 sono assenti al momento del voto. E tanto è bastato. Esplode la polemica.
Per il Movimento 5 Stelle si tratta di “un atto eversivo contro le istituzioni”. I grillini hanno organizzato una conferenza stampa poco dopo il voto e l’attacco più duro lo ha pronunciato Luigi Di Maio: “Non vi lamentate  se i cittadini poi protestano in maniera violenta”, ha detto. “Molti dei voti che hanno salvato Minzolini sono dei renziani. Si è trattato di un atto di una violenza inaudita, un atto eversivo contro le istituzioni della Repubblica, l’atto di un partito al governo che, da oggi, sancisce il principio che la legge non è più uguale per tutti. Per la legge di questo Stato, Minzolini non potrebbe fare nemmeno il collaboratore scolastico o il netturbino. In Parlamento funziona tutto per precedenti e loro oggi ne hanno creato un altro”, ha proseguito Di Maio che allude “magari anche al ritorno di Berlusconi. Inutile essere sconvolti delle proteste dei tassisti, o magari contro la Bolkestein, se qui dentro si fanno questi atti eversivi”. Il vicepresidente della Camera si è poi rivolto a Renzi: “Noi diciamo a Renzi ‘non ce provà’, ovvero non provare a dissociarti” dalla decisione del Pd. Il M5S, “non starà a guardare, non abbiano nessuna intenzione di vedere questi signori che si prendono la pensione, noi chiediamo di andare al voto il prima possibile, questo Paese si può cambiare con il voto democratico”.
Sulla stessa linea poi i colleghi, che hanno lasciato intendere che dietro il voto ci sia uno scambio di favori tra Pd e Forza Italia: “Il Nazareno è risorto: ieri Forza Italia ha salvato Lotti, oggi il Pd ha salvato Minzolini”, ha commentato Nicola Morra. Più esplicito ancora Michele Giarrusso: “Tra il Pd e FI c’è stato di fatto un voto di scambio. I dem ieri hanno salvato Lotti per lo più uscendo dall’Aula e facendogli abbassare il quorum e loro oggi gli hanno salvato Minzolini che resta senatore di Fi. E’ una vera vergogna. Hanno dimostrato di essere una Casta che vuole restare al di sopra della legge”. “Pagherete anche questa, siete da radere al suolo”, ha detto Roberto Fico (M5s), presidente Vigilanza Rai.
Ma in pochi minuti il tema politico è diventato già un altro: che fine fa la Severino oggi rottamata in Parlamento? Forza Italia ha colto al volo l’occasione. “Con questo voto oggi il Senato l’ha abolita. Berlusconi dovrà essere reintegrato già domani perché i due casi sono simili”, ha detto Lucio Barani, capogruppo di Ala-Sc al Senato. Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia: “E adesso che fine farà l’infame legge Severino? Usata dalla sinistra solo contro il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi è rottamata una volta per tutte”. I democratici si sono affrettati a respingere ogni accusa d’inciucio. “Il M5S è abituato alle fake news. Non c’è alcuna relazione tra il voto su Lotti e quello su Minzolini. Oggi il Pd ha scelto di lasciare libertà di voto. Libertà è un altro termine ostile per i Cinque stelle”, ha detto il senatore Pd Andrea Marcucci (che pure si è astenuto).

Consip, perquisizioni al palazzo di giustizia di Napoli: dirigente accusato di corruzione in concorso con Romeo.

Consip, perquisizioni al palazzo di giustizia di Napoli: dirigente accusato di corruzione in concorso con Romeo

I carabinieri perquisiscono l'ufficio di Emanuele Caldarera, direttore generale per la gestione e la manutenzione del palazzo. È accusato di aver sbloccato il pagamento di alcune fatture in favore dell'imprenditore napoletano in cambio dell'assunzione della figlia. 

Per sbloccare il pagamento di alcune fatture, aveva ottenuto l’assunzione della figlia nell’azienda di Alfredo Romeo, l’imprenditore campano arrestato il primo marzo scorso per corruzione. L’ultimo rivolo corruttivo nell’indagine sull’imprenditore al centro dell’inchiesta Consip, conduce addirittura dentro gli uffici del palazzo di giustizia di Napoli. È qui infatti che sono arrivati i carabinieri inviati dai i pm Henry John Woodcock e Celeste Carrano. L’obiettivo era perquisire l’ufficio di Emanuele Caldarera, direttore generale per la gestione e la manutenzione del palazzo di giustizia.
Il motivo?  Secondo l’ipotesi accusatoria per sbloccare il pagamento di alcune fatture a favore della Romeo Gestioni, che erano state congelate dal funzionario che l’aveva preceduto nell’incarico, avrebbe chiesto e ottenuto l’assunzione di una figlia presso l’azienda di Romeo. I fatti contestati si riferiscono a un periodo tra l’ottobre e il novembre dello scorso anno, mentre Caldarera è accusato di corruzione in concorso con lo stesso imprenditore napoletano. Romeo è l’imprenditore simbolo dell’affaire Consip, una presunta corruzione su un appalto da 2,7 miliardi di euro, vicenda per la quale sono indagati per rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento il ministro Luca Lotti e il comandante generale dei Carabinieri Tullio Del Sette. L’indagine a carico del braccio destro di Matteo Renzi e di Del Sette è finita per competenza alla procura di Roma. Proprio oggi, tra l’altro, al Senato si vota la mozione di sfiducia promossa contro il ministro dello Sport. 
Oltre all’assunzione, Caldarera, stando al decreto di perquisizione emesso dalla Procura di Napoli, aveva chiesto a Romeo e agli altri due indagati, Agostino Iaccarino, manager della Romeo, e Tommaso Malerba, geometra e dipendente della ditta Romeo, il trasporto a carico della ditta Romeo di “masserizie presenti” dal suo ufficio romano al nuovo ufficio napoletano.
I pm napoletano Woodcock e Carrano, invece, continuano a indagare su presunti episodi di corruzione messi in atto dall’imprenditore. Una fetta importante dell’inchiesta è collegata ad appalti del gruppo Romeo per le pulizie dell’ospedale Cardarelli di Napoli, e al ruolo di dirigenti e funzionari del capoluogo campano che avrebbero favorito gli interessi dell’immobiliarista, ricevendone in cambio – secondo l’accusa – favori e soggiorni alberghieri.  All’accusa di corruzione, si era sommata nelle scorse settimane anche l’ipotesi di concorso esterno in associazione camorristica (per l’assunzione nella ditta di pulizie impiegata nel Cardarelli di soggetti ritenuti vicini ai clan della zona collinare di Napoli) e associazione a delinquere. Anche in questo provvedimento i pm ricordano il “sistema Romeo“, “sistema ispirato tout court alla corruzione ovvero alla sistematica, abituale e seriale realizzazione di reati contro la pubblica amministrazione che hanno riguardato a trecentosessanta gradi, tutti i rapporti e tutte le relazioni intrattenute dallo stesso Romeo (e dai suoi collaboratori) con ogni soggetto della espressione della ‘cosa pubblica’ con il quale il predetto imprenditore ha avuto contatti e a tutti i livelli”.

EQUITALIA BEFFATA DALL'IMPRENDITORE ALBANESE: NON PAGHERÀ I 2 MILIONI. - Olivia Bonetti



FELTRE - Lavorava con prezzi concorrenziali sbaragliando le altre imprese edili, ma era completamente sconosciuto al fisco: non ha mai versato l'Iva o pagato imposte. Il sogno italiano di Eduart Byku, albanese 36enne che risiedeva a Feltre, nonostante tutto, è finito nel migliore dei modi: prescrizione.  
Byku  era arrivato in Italia nel 1996 dall'Albania dopo aver imparato l'italiano in  tv: aveva fatto il giardiniere in Puglia e dal 2002 era  a Feltre con l'impresa edile. Giocava a calcio nella Porcenese, voleva laurearsi a Trento. Poi è sparito dal nostro Paese quando ha visto che il vento stava cambiando (la crisi del settore e l'indagine Gdf): s'è venduto tutti gli immobili dell'impresa sui quali c'era la procedura di riscossione coattiva: erano 15 appartamenti che sono spariti in alcuni casi venduti  a se stesso e a una srl costituita apposta. È riuscito così a non perdere un centesimo.  Nel primo processo è stato assolto perchè la legge era cambiata, nel secondo approdato ieri in tribunale perchè il reato si è prescritto. «L'Italia è un Paese libero - diceva spesso l'albanese -, ma c'è ancora troppa distanza tra italiani e stranieri». E visto come è andata aveva proprio ragione.

Vigevano, baby gang terrorizzava coetanei: 4 arresti.

++ Sgominata baby gang: in chat violenze come trofei ++ © ANSA

Bulli quindicenni violentavano e picchiavano, in chat violenze come trofei, anche 6 denunce. Un quindicenne 'fragile' la vittima preferita, fatto ubriacare e portato al guinzaglio.


Sgominata dai Carabinieri a Vigevano (Pavia) la "baby gang delle stazioni ferroviarie": bulli quindicenni che violentavano e picchiavano. Quattro arresti e sei denunce.
Le violenze erano esibite come trofei su sistemi di messaggistica istantanea. Secondo le indagini, in un caso gli arrestati avevano costretto un loro coetaneo - il bersaglio preferito per le loro angherie, un quindicenne 'fragile' - a bere alcolici fino ad ubriacarlo, poi gli avevano messo una catena al collo e l'avevano portato come un cane al guinzaglio in giro per le strade della cittadina in cui risiedono. In un'altra occasione, in cinque contro uno l'avevano afferrato con la forza, denudato, tenuto appeso per le gambe a testa in giù sopra un ponte e costretto a subire atti sessuali.
Il tutto ripreso da un telefonino e il filmato era stato diffuso tra gli amici. I carabinieri di Vigevano li hanno arrestati e condotti all' istituto penale minorile Beccaria di Milano con accuse che vanno dal concorso in violenza sessuale alla riduzione in schiavitù, dalla pornografia minorile (per la diffusione delle immagini delle loro 'imprese' nei social network) alla violenza privata aggravata mediante lo stato di incapacità procurato alla vittima. Con i quattro arrestati c'era anche un ragazzino ancora più piccolo, tredicenne e dunque legalmente non imputabile. La sua posizione, considerata la pericolosità sociale, è al vaglio per l' eventuale richiesta di una misura di prevenzione.
Il bersaglio principale delle persecuzioni era un ragazzo di 15 anni, studente di prima superiore, definito dagli inquirenti "fragile". Inizialmente, succube del capo della banda di bulli, aveva accettato di subire una serie di piccole angherie e prese in giro perché temeva di essere emarginato dal gruppo. Le vessazioni e le umiliazioni, però, erano cresciute d'intensità fino a diventare sempre più violente e insopportabili. Del "branco" - composto soprattutto da coetanei, anche se qualcuno di loro causa bocciature è ancora alle scuole medie - facevano parte anche altri cinque minori tra i 15 e i 16 anni, accusati solo di aver partecipato insieme agli arrestati a una serie di episodi di vandalismo contro treni, altro "passatempo" del gruppo: lanci di sassi, finestrini rotti con i martelletti frangivetro, estintori scaricati all'interno delle carrozze. Dovranno rispondere di danneggiamento aggravato e interruzione di pubblico servizio.
I protagonisti non appartengono a un mondo di marginalità sociale. Sono definiti dagli investigatori tutti "ragazzi di buona famiglia", figli di professionisti, commercianti, impiegati, operai. Le indagini dei carabinieri del capitano Rocco Papaleo sono state complesse e delicate. Dopo aver raccolto notizie relative ad alcuni degli episodi, hanno dovuto anzitutto convincere a presentare denuncia i genitori di alcune vittime, preoccupati per quanto sarebbe potuto ulteriormente accadere ai loro figli. Non sono mancate le spedizioni punitive, come quella avvenuta a febbraio quando due ragazzi di 15 anni, ritenuti responsabili di aver denunciato alcuni degli episodi di bullismo, sono stati affrontati al rientro a casa, spintonati e presi a pugni. Solo l'intervento di un genitore, casualmente di passaggio, ha posto fine all'aggressione. Fondamentale nello sviluppo delle indagini è stata la collaborazione che i carabinieri hanno ottenuto da un coetaneo delle vittime, testimone di alcune violenze. Hanno conquistato la sua fiducia e lui, sentendosi protetto, è riuscito a procurarsi e poi consegnare una delle foto della violenza sessuale divulgate dal "branco", in cui i responsabili si mostravano visibilmente compiaciuti ma soprattutto erano ben riconoscibili