È indagato a Milano nell’inchiesta sui dossier illegali raccolti dalla security di Telecom con l’accusa di associazione per delinquere, appropriazione indebita, corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio. Per la procura è una delle menti dell’organizzazione ed è latitante. È Giampaolo (John Paul) Spinelli, 61 anni, che anticipa a Panorama, in un articolo pubblicato sul numero in edicola da venerdì 1 agosto, la propria linea difensiva.Spinelli, ex agente della Cia (nel 1998 è diventato capo del Secret service di Bill Clinton e si è congedato con il grado di Gs 15, corrispondente a generale), dice a Panorama: “Sono sempre stato convinto di agire nel rispetto della legge e mai avrei pensato di essere al vertice di una cospirazione. D’altra parte io stavo abitualmente negli Stati uniti e mi occupavo di quell’area e dei paesi del Far East”. E aggiunge: “Se vuole sapere se l’ex Presidente Marco Tronchetti Provera o persone del suo staff erano al corrente dei metodi illegali di raccolta delle informazioni, rispondo che questo non mi pare argomento da intervista. Ne parlerò con il giudice”.L’ex 007, nel frattempo, ha quasi terminato un libro di memorie. Fra le pagine, scrive Panorama, si scopre che i guai di Spinelli in Italia iniziano nel 1986 quando, durante un’operazione antiterrorismo, conosce il “giovane brigadiere” Giuliano Tavaroli che dieci anni dopo lo ingaggia come consulente di Pirelli.Nel racconto, Spinelli descrive uno per uno gli uomini della squadra accusata di aver prodotto i dossier incriminati, dal mago dell’informatica Fabio Ghioni (il “prete”) all’ex colonnello dei carabinieri del Ros Angelo Jannone, dall’investigatore fiorentino Emanuele Cipriani all’ex collaboratore del Sisde Marco Bernardini. Ritratti ironici, a volte dissacranti, con una sola eccezione: il vecchio amico Tavaroli, colpevole soprattutto di non saper scegliere i collaboratori (”Non avrei preso con me nemmeno la metà delle persone che aveva al suo fianco”).
http://blog.panorama.it/italia/2008/07/31/su-panorama-si-confessa-il-superlatitante-john-paul-spinelli/
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 6 maggio 2009
Il gioco sporco della politica - come uscirne.
Qualunque sia il gioco sporco innescato dalla politica, e non ha importanza da quale parte sia partito, il risultato è stato devastante.
Hanno creato un popolo disunito, che si combatte per ideali persi per strada da innumerevoli anni, un popolo differente per estrazione sociale, per esperienze culturali, per mancanza di etica e morale.
Ci ritroviamo, infatti, a batterci per l'uno o per l'altro versante della politica, rappresentati entrambi dagli gli stessi personaggi che, come dice giustamente Beppe, andrebbero segnati con scrittura indelebile sulle colonne della vergogna.
Questi personaggi hanno creato un debito pubblico da paradosso senza aver creato nessuna struttura materiale o ideologica valida, hanno sperperato danaro pubblico per "il nulla", hanno creato un vuoto abissale, incolmabile.
Sono tutti collusi, sia a destrache a sinistra, e noi ancora ci battiamo per questa o quella fazione, che non oserei neanche per scherzo chiamare politica, perchè solo di fazioni si tratta.
Facciamo mente locale, fermiamoci a riflettere, pensate veramente che uno degli attuali politici possa rappresentarci e darci garanzie di vita civile?
Abbiamo ancora dubbi su che cosa dobbiamo puntare e per che cosa dobbiamo combattere?
Dobbiamo puntare al futuro, per la nostra tranquillità e per le responsabilità che abbiamo assunto nel momento in cui abbiamo "procreato".
Quando andiamo alle urne, non pensiamo se "ci conviene" votare l'una o l'altra fazione, domandiamoci chi "dobbiamo" portare avanti per migliorare la nostra vita, per ottenere quel che ci spetta di diritto, per incominciare ad avere speranza in un futuro.
Fermiamoci a riflettere, incominciamo a trarre giovamento dai nostri stessi errori, perchè di errori ne abbiamo commessi tanti.
Hanno creato un popolo disunito, che si combatte per ideali persi per strada da innumerevoli anni, un popolo differente per estrazione sociale, per esperienze culturali, per mancanza di etica e morale.
Ci ritroviamo, infatti, a batterci per l'uno o per l'altro versante della politica, rappresentati entrambi dagli gli stessi personaggi che, come dice giustamente Beppe, andrebbero segnati con scrittura indelebile sulle colonne della vergogna.
Questi personaggi hanno creato un debito pubblico da paradosso senza aver creato nessuna struttura materiale o ideologica valida, hanno sperperato danaro pubblico per "il nulla", hanno creato un vuoto abissale, incolmabile.
Sono tutti collusi, sia a destrache a sinistra, e noi ancora ci battiamo per questa o quella fazione, che non oserei neanche per scherzo chiamare politica, perchè solo di fazioni si tratta.
Facciamo mente locale, fermiamoci a riflettere, pensate veramente che uno degli attuali politici possa rappresentarci e darci garanzie di vita civile?
Abbiamo ancora dubbi su che cosa dobbiamo puntare e per che cosa dobbiamo combattere?
Dobbiamo puntare al futuro, per la nostra tranquillità e per le responsabilità che abbiamo assunto nel momento in cui abbiamo "procreato".
Quando andiamo alle urne, non pensiamo se "ci conviene" votare l'una o l'altra fazione, domandiamoci chi "dobbiamo" portare avanti per migliorare la nostra vita, per ottenere quel che ci spetta di diritto, per incominciare ad avere speranza in un futuro.
Fermiamoci a riflettere, incominciamo a trarre giovamento dai nostri stessi errori, perchè di errori ne abbiamo commessi tanti.
NIGER-GATE I RETROSCENA DEL "DOSSIER" SULL'URANIO E PANORAMA
Lo scoop che non c'era
La telefonata di un informatore: "Ho roba per te...". Nasce così, nell'ottobre 2002, il caso del presunto traffico di uranio tra il Niger e l'Iraq che oggi imbarazza la Casa Bianca. Storia di una notizia che si è rivelata una bufala dopo un attento lavoro investigativo di verifica tra l'Italia e l'Africa
di Elisabetta Burba
24/7/2003
URL: http://archivio.panorama.it/home/articolo/idA020001020115
Venti milioni delle vecchie lire. Tanto valeva la patacca che sta facendo vacillare l'amministrazione Bush. Poco più di 10 mila euro: è la cifra richiesta a Panorama in cambio del dossier sul (falso) traffico di uranio dal Niger all'Iraq. Somma che il nostro giornale s'è ben guardato dallo sborsare... È una storia in cui i soldi non c'entrano proprio, quella dello scoop cestinato prima ancora di essere nato. Si svolge nell'ottobre 2002. In quei giorni mi trovo nei Balcani, per un'inchiesta sull'Uck. Dalla segreteria del giornale, mi chiamano sul cellulare: "Elisabetta, c'è una persona che ti sta cercando". Telefono. Mi risponde un'eco del passato. "Ti ricordi di me?". Certo che sì: grazie a quest'uomo a Epoca ho fatto due scoop internazionali. "Ho qualcosa per te..." dice. Coniugando frasi brevi con allusioni carbonare, mi presenta la sua merce: le prove che "l'amico coi baffi" ha acquisito uranio in un paese africano. Dice di avere le pezze d'appoggio: contratti, lettere, protocolli d'intesa... Tutti transitati dall'Ambasciata romana del paese. Ma qual è? Non vuole citarlo: riesco solo a scucirgli che è islamico. "Troppo bello per essere vero" penso mentre riattacco. Sono i giorni in cui gli Stati Uniti cercano disperatamente le prove che l'Iraq possiede armi di distruzioni di massa. Non solo. Tony Blair ha appena dichiarato che "l'Iraq ha cercato di procurarsi significativi quantitativi di uranio in Africa". E uranio, in un paese senza programma nucleare civile come l'Iraq, può significare solo armi nucleari. Ossia "pistola fumante", la prova provata della colpevolezza di Saddam Hussein. E mi arriva su un piatto d'argento? Se fosse invece una polpetta avvelenata?In redazione, vado da Giorgio Mulè, il vicedirettore che segue l'attualità. Gli racconto tutto. Rivelando anche il nome della fonte. Sorpresa: la conosce. Anche se per tutt'altri canali... (Giorgio è l'unica persona che, a tutt'oggi, sa chi è la mia fonte: per tutti gli altri è solo Mister Patacca). "Andiamo a vedere se c'è ciccia" mi dice. L'incontro avviene il 7 ottobre in un bar. A parte qualche capello grigio in più, è sempre lo stesso personaggio che mi ha sganciato uno scoop sui Balcani e una dritta sulle relazioni pericolose fra terrorismo e Islam. Elegante (quasi) come un lord, Mister Patacca non è riuscito a togliersi di dosso i modi popolani. Cosa che lo rende simpatico. Ci trasferiamo in un ristorante di sua scelta, al tempo stesso ruspante e pretenzioso. A tavola, tira fuori "la roba". Sono 17 pagine di documenti per lo più in francese tappezzati di timbri e ammonizioni: "Confidentiel", "Urgent", "Discrétion". "Vengono dall'ambasciata del Niger, a cui ho accesso attraverso una persona che vi lavora" spiega Mister Patacca. "Li ho scoperti mentre lavoravo su un'altra pista: la vendita di uranio alla Cina". È il Niger, dunque, il terzo produttore al mondo di uranio. Passiamo ai soldi. Vuole 10 mila euro a scatola chiusa. Io, categorica: "Prima verificare, poi pagare". E se le carte risultano false, non si paga. Un gentlemen's agreement che il mio informatore fa fatica a mandar giù, ma che accetta. Guardiamo i documenti. Il primo è datato 1 febbraio 1999. È una lettera dell'ambasciata irachena presso il Vaticano indirizzata all'ambasciata del Niger a Roma. E annuncia che "Sua Eccellenza Signor Wissam Al Zahawie, Ambasciatore della Repubblica dell'Iraq presso la Santa Sede si recherà alla capitale del Niger in qualità di Rappresentante di Sua Eccellenza Saddam Hussein". Però... Ma come mai è in italiano? "Gli iracheni parlano l'inglese, i nigerini il francese. L'italiano è la lingua franca" spiega Mister Patacca.
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La telefonata di un informatore: "Ho roba per te...". Nasce così, nell'ottobre 2002, il caso del presunto traffico di uranio tra il Niger e l'Iraq che oggi imbarazza la Casa Bianca. Storia di una notizia che si è rivelata una bufala dopo un attento lavoro investigativo di verifica tra l'Italia e l'Africa
di Elisabetta Burba
24/7/2003
URL: http://archivio.panorama.it/home/articolo/idA020001020115
Venti milioni delle vecchie lire. Tanto valeva la patacca che sta facendo vacillare l'amministrazione Bush. Poco più di 10 mila euro: è la cifra richiesta a Panorama in cambio del dossier sul (falso) traffico di uranio dal Niger all'Iraq. Somma che il nostro giornale s'è ben guardato dallo sborsare... È una storia in cui i soldi non c'entrano proprio, quella dello scoop cestinato prima ancora di essere nato. Si svolge nell'ottobre 2002. In quei giorni mi trovo nei Balcani, per un'inchiesta sull'Uck. Dalla segreteria del giornale, mi chiamano sul cellulare: "Elisabetta, c'è una persona che ti sta cercando". Telefono. Mi risponde un'eco del passato. "Ti ricordi di me?". Certo che sì: grazie a quest'uomo a Epoca ho fatto due scoop internazionali. "Ho qualcosa per te..." dice. Coniugando frasi brevi con allusioni carbonare, mi presenta la sua merce: le prove che "l'amico coi baffi" ha acquisito uranio in un paese africano. Dice di avere le pezze d'appoggio: contratti, lettere, protocolli d'intesa... Tutti transitati dall'Ambasciata romana del paese. Ma qual è? Non vuole citarlo: riesco solo a scucirgli che è islamico. "Troppo bello per essere vero" penso mentre riattacco. Sono i giorni in cui gli Stati Uniti cercano disperatamente le prove che l'Iraq possiede armi di distruzioni di massa. Non solo. Tony Blair ha appena dichiarato che "l'Iraq ha cercato di procurarsi significativi quantitativi di uranio in Africa". E uranio, in un paese senza programma nucleare civile come l'Iraq, può significare solo armi nucleari. Ossia "pistola fumante", la prova provata della colpevolezza di Saddam Hussein. E mi arriva su un piatto d'argento? Se fosse invece una polpetta avvelenata?In redazione, vado da Giorgio Mulè, il vicedirettore che segue l'attualità. Gli racconto tutto. Rivelando anche il nome della fonte. Sorpresa: la conosce. Anche se per tutt'altri canali... (Giorgio è l'unica persona che, a tutt'oggi, sa chi è la mia fonte: per tutti gli altri è solo Mister Patacca). "Andiamo a vedere se c'è ciccia" mi dice. L'incontro avviene il 7 ottobre in un bar. A parte qualche capello grigio in più, è sempre lo stesso personaggio che mi ha sganciato uno scoop sui Balcani e una dritta sulle relazioni pericolose fra terrorismo e Islam. Elegante (quasi) come un lord, Mister Patacca non è riuscito a togliersi di dosso i modi popolani. Cosa che lo rende simpatico. Ci trasferiamo in un ristorante di sua scelta, al tempo stesso ruspante e pretenzioso. A tavola, tira fuori "la roba". Sono 17 pagine di documenti per lo più in francese tappezzati di timbri e ammonizioni: "Confidentiel", "Urgent", "Discrétion". "Vengono dall'ambasciata del Niger, a cui ho accesso attraverso una persona che vi lavora" spiega Mister Patacca. "Li ho scoperti mentre lavoravo su un'altra pista: la vendita di uranio alla Cina". È il Niger, dunque, il terzo produttore al mondo di uranio. Passiamo ai soldi. Vuole 10 mila euro a scatola chiusa. Io, categorica: "Prima verificare, poi pagare". E se le carte risultano false, non si paga. Un gentlemen's agreement che il mio informatore fa fatica a mandar giù, ma che accetta. Guardiamo i documenti. Il primo è datato 1 febbraio 1999. È una lettera dell'ambasciata irachena presso il Vaticano indirizzata all'ambasciata del Niger a Roma. E annuncia che "Sua Eccellenza Signor Wissam Al Zahawie, Ambasciatore della Repubblica dell'Iraq presso la Santa Sede si recherà alla capitale del Niger in qualità di Rappresentante di Sua Eccellenza Saddam Hussein". Però... Ma come mai è in italiano? "Gli iracheni parlano l'inglese, i nigerini il francese. L'italiano è la lingua franca" spiega Mister Patacca.
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