giovedì 9 luglio 2009

La mia vita da cubista (e l'abbacinante storia del PD)



Di Andrea Scanzi.


Chiedo scusa per la lunga assenza.

Cioè, in realtà non la chiedo, ma tra voi comunisti la finta educazione è di casa.

Quindi mi adeguo.In queste settimane ho avuto molto da fare come cubista di destra.

Ho cercato di allietare, roteando gonadi e bacino, le feste di Villa Certosa e Palazzo Grazioli.

Ho davvero avuto molto da fare. Sono stati bei momenti, di grande spensieratezza. Esempi veri di democrazia, col sorriso sulle labbra e la mente sgombra.Molti ricordi satollano (?) la mia mente, ottenebrandola di malinconia. Rammento come fosse ieri la festa in cui ho ballato tutta la notte sopra un cubo a forma di cervello di Gasparri (era un cubo molto piccolo).

Ballavo con un tanga pervinca di Winnie The Pooh, e credetemi Winnie The Pooh mi dona un casino.

Esalta eroticamente le mie adenoidi.

La musica riempiva la stanza, che era poi l’immensa sala di Villa Certosa. Gli altoparlanti in legno di comunista propagavano Luca era gay nella versione Padania Remix di Dj Maroni.

Quella sera abbiamo ballato fino a tarda notte. In un parossismo di ormoni azzurri, ricordo il mio muoversi sinuoso e ammiccante, con Mara Carfagna che mi guardava colma di vivido ludibrio. Alla destra del mio cubo, Calderoli digeriva con fierezza il settantesimo falafel di gladioli bresciani, esalando tenui flatulenze forcaiole in segno di stima. Alla sinistra del mio cubo, come Dimaco sul Golgota, Sandro Bondi declamava le sue poesie magicamente in equilibrio tra Gozzano e Don Lurio. Maurizio Lupi chiedeva sempre di ascoltarle un’altra volta, non per piacere personale ma perché alla prima non le capiva mai (è un po’ duro, Lupi, ma a noi piace così).

Al centro, davanti a tutti noi, il Sultano raccontava per la trecentesima volta la sua barzelletta preferita. Noi fingevamo di non conoscerla, per donargli il piacere del nostro plauso convinto.

A fine festa, Niccolò Ghedini ci faceva firmare una liberatoria, nella quale dichiaravamo che non eravamo mai stati lì e se un giorno un grumo giustizialista ce l’avesse chiesto, avremmo dovuto trincerarci dietro il mantra Mavalà, ripetuto come l’Om mani padme hum buddista.

Sono davvero stati bei momenti, soprattutto quando Lucia Tanti è uscita nuda da una torta-gigante a forma di Schifani. La torta era piena di panna e quella scena mi ha titillato l’ormone come neanche Kelly LeBrock ne La signora in rosso.

Di quelle feste, ora, serbo nel cuore la convinzione di essere stato parte attiva della Storia. Di avere fatto il mio dovere. Di non aver mulinato il bacino invano.E questo ciondolo, in mezzo al collo, a forma di farfalla scandinava albina, sta lì a dimostrarlo. Lo guardo scintillare alla luce del sole, e l’orgoglio pervade le mie ariane membra. Sono davvero fiero di me. E ho al contempo (?) pena della vostra pochezza bolscevica. Non siete che rigurgiti del tempo, boli mal digeriti di un Percorso di cui mai farete parte. Siete solo carne morta (cit).
Esaurita questa premessa, di cui vado giustamente fiero, desidero parlare del vero evento di queste settimane. Non l’imminente G8, non le foto sovversive di Zappadu, non le rivelazioni criminose della D’Addario. No.

L’evoluzione abbacinante del Pd. Cioè il Partito Disastro.

Ne sono affascinato. Tale crescendo rossiniano mi inebria. Neanche la rubrica di Don Vittorio Zucconi su Radio Capital mi piglia così. Sono tutto un fremito, quando sento parlare il Pd dell’imminente redde rationem.

Il Pd è il faro della nostra coscienza, il baluardo della democrazia, l’ultima frontiera della politica. Il Pd è riuscito laddove tutti hanno fallito: si è definitivamente sganciato dalla società civile. Anzi, dalla società e basta. Si è emancipato dalla realtà. E’ avulso dalla manovra, laddove “manovra” è qui da intendersi come sinonimo di “Mondo”.Se, prima del Pd, i partiti – banali – affidavano le loro mosse ai desideri dell’elettorato e agli alambicchi della storia, il Pd se ne disinteressa totalmente. E non per sbadataggine: per scelta.Vive in un mondo tutto suo, ignifugo agli agenti esterni. Se la canta e se la suona.

Il Pd non è un partito: è un buco nero. Risucchia tutto, tranne i dirigenti. Loro sono immortali, come un meteorite fuori asse, tenacemente ancorato alla propria esistenza di tracciante stellare senza arte né parte. Eppur vivo.La loro capacità di gestire la crisi è meravigliosa. La maggioranza arranca, non ne indovina mezza, ma il Pd non affonda il colpo. No. E quando perde le elezioni, esulta perché “almeno non siamo scomparsi”. Un po’ come se uno, dopo aver scoperto di aver perso vista, udito e parola per un morbo incurabile, dicesse “eh sì, però ho ancora l’alluce sinistro”. A suo modo, un capolavoro nell’arte di accontentarsi. Pragmatismo ruleZ.

Il Partito Disastro è oltre tutti noi. Loro sanno e noi no. Loro non sono antiberlusconiani (a differenza di voi rosiconi) perché è dimostrato che l’antiberlusconismo non paga (non si è mai capito CHI l’abbia dimostrato, ma loro sanno che è così. E non è certo il caso di sottilizzare).

Loro sono nuovi, sono buoni, sono colti.

Loro sanno, a differenza di noi.

Loro sono loro e voi non siete un cazzo.

Ci attendono nuove magnifiche sorti e progressive.

Vagliamole (?).


Partito Dalema. Il mio preferito. D’Alema è uno che, da quando è nato, vive per minare dalle fondamenta la sinistra europea, con un sadismo - gli va riconosciuto - instancabile. Ma non è tanto questo, il suo merito. No: è piuttosto la capacità di ripresentarsi, ogni volta, come guaritore di quella stessa crisi che lui ha generato. Stupendo. Sarebbe come se io, un giorno, venissi in casa vostra, vi distruggessi i mobili con una mazza da baseball e poi me ne andassi. Dopodichè, qualche giorno dopo, tornassi da voi come nulla fosse, e vi obbligassi a rifare il mobilio di casa secondo il mio gusto (e i vostri soldi). Per poi distruggervelo un’altra volta. E via così, nei secoli dei secoli. D’Alema non è un politico: è un trojan horse. L’hardware sinistrato lo conosce, ma si rifiuta di combatterlo: per fedeltà alla causa (persa).


Partito Rutelli. Avete preso appunti? Io sì. Con attenzione religiosa. Sono giorni, e settimane, che Rutelli finisce sui giornali per dettare le sue condizioni. Cioè, pensateci: Rutelli detta le condizioni per rimanere dentro il Pd, “altrimenti lui se ne va”. E non lo dice come promessa, ma come minaccia. Anche questa è bellissima. Un po’ come Ronaldinho che va dai dirigenti del Milan, dopo una stagione da enfisema polmonare obeso, e gli dice: “O mi fate giocare o me ne vado”. E la società, invece di cacciare lui, caccia l’allenatore (ah già, è successo davvero: scusate). Non c’è però da fare ironie, stavolta. Rutelli va ascoltato sul serio. Vanno trascritti tutti i suoi pensieri. Tutti. Va tenuto conto di ogni suo desiderio. Occorre sapere tutto, veramente tutto, della sua idea di partito. Per poi fare l’esatto contrario, levarselo di torno una volta per tutte e mandarlo nel Pianeta Cicoria a biascicare inglese come la controfigura improponibile di Albertone Sordi.


Partito Bersani. Ecco, a me Bersani non dispiace. Veramente. Ha questa presenza fisica che trasuda Lambrusco e tortellini, è uno emiliano vero, ha questo faccione da burocrate che si vergogna di essere burocrate e sa che le idee migliori gli vengono da ubriaco, al sesto giro di Nocino (fatto dal contadino di fiducia, lo stesso che alle Feste de l’Unità dorava il gnocco fritto). Bersani è quello che provò a bastonare le lobby dei tassisti, insomma c’è di peggio. Però mi dicono che è solo l’ombra lunga di D’Alema, e allora mollo tutto e bevo il mio Lambrusco da solo. (Ps. Ho scritto “il gnocco fritto” perché vuole effettivamente “il” e per farvi capire quante cose so).


Partito Franceschini. Ah, Franceschini. Il mio Francy. What a man. Che uomo carismatico, che mattatore, che icona mediatica. Lo guardo e ho voglia di Fabrizio Frizzi. E che profondità di linguaggio. Neanche Alberoni una profondità così. E poi Francy è bello. Quella pettinatura da diacono, quelle camicie che comunicano una precisa idea di Golgota e un chiaro cilicio penitenziale. Francy è uno che si strugge, che si arrovella. Che sta male e non lo nasconde. Incarna l’afflato masochistico catto-comunista (non so cosa ho scritto, è venuto così). Quando lo vedi, pensi che siamo nati per soffrire. E ci stiamo riuscendo: alla grande. Franceschini è la proiezione olografica del concetto di carisma secondo Gentiloni. Sciaborda rutilanza (?). E’ il Luca Fusi della politica, però più triste. Vamos (cit).


Partito Veltroni. Aveva detto che non avrebbe fatto più politica. E invece. Del resto aveva anche detto che sarebbe andato in Africa (come se il terzo mondo non avesse già abbastanza problemi). E invece. Veltroni è l’uomo del “ma anche” e dell’ “e invece”. Perennemente a mezz’asta, in bilico con se stesso. Spietatamente vacuo. E’ l’Oblady Obladà della sinistra. La sua carriera è stata folgorante. In neanche un anno, ha resuscitato Berlusconi, ammazzato Prodi, strozzato sulla culla un partito neonato e augurato ai giovani militanti di finire come il protagonista di Into The Wild (cioè avvelenati da un fungo in Alaska, crepando tra gli stenti). Veltroni è un portatore sano di tsunami. A lui non succede niente, per gli altri è un disastro continuo. Eppure lui è sempre lì, mai fuori moda, pronto a dispensare consigli e farsi scrivere i testi da Jovanotti. Esce dal suo album Panini, nelle notti di plenilunio, per dettare le linee guida su come uscire dalla crisi che lui stesso ha generato. In questo senso, e non solo in questo, Don Walter è uguale al suo finto nemico D’Alema. Le due facce della stessa medaglia (bucata).


Partito Serracchiani. In un mondo ideale, ma anche solo normale, Debora Serracchiani sarebbe stata una anonima militante buona per far numero alle feste e con un concetto vedovile di look. In un mondo che di normale non ha nulla, la Serracchiani è stata fatta passare come la risposta italiana a Obama. Certo. E Antonello Venditti è la risposta romana ai Black Sabbath. La Serracchiani impersona l’idea di giovanilismo e vincentismo della sinistra riformista. Lady Debora è l’outtake di Rosy Bindi, il bootleg di Franceschini: il prodotto in saldo al Discount Veltroni, che va a ruba sotto le feste per poi stancare a neanche un mese dall’acquisto. Non ha nessuna colpa, come non ha nessun pregio particolare. Sta lì, messa non a miracol mostrare ma a bluff svelare. A conferma di come il Pd arrivi un po’ tardi alle cose, in sede ci sono rimasti male quando la Serracchiani – all’apice della sua elaborazione politica – ha detto di votare Franceschini “perché è simpatico”. Troppo labile come motivazione, hanno abbaiato i gran capi: allora tanto vale votare Checco Zalone. Vero, ma non è che uno dalla Serracchiani si aspetti anamnesi degne di Rosa Luxemburg. E anche questa storia dei “giovani” andrebbe ridimensionata: se i giovani sono Salvini e la Serracchiani, non ho poi questa urgenza del ricambio generazionale. Si noti poi come la Serracchiani reputi simpatico Franceschini. F-r-a-n-c-e-s-c-h-i-n-i. Ed io che ero rimasto a Daniel Cohn-Bendit.


Partito Marino. E questo chi cazz’è? Dice: “il leader dei piombini”. Ah. Ma io continuo a non saperne molto. Però la sua candidatura ha fatto arrabbiare Marini (MARINI!!!!!!!!!!!!!!!!!!). E questa, tutto sommato, non è una credenziale da poco.
Conclusioni. Comunque vada, sarà un insuccesso. Con questi leader non vinceranno mai. E neanche faremo più girotondi.

E ora scusate, torno sopra il Cubo Gasparri.

Dj Maroni ha appena messo Datemi un martello.

La ballerò con Laura Ravetto, mi vida e mi corazon. Daje.