L'occupazione dei Tg e delle reti Rai. La militarizzazione dei giornali di famiglia. Le minacce al Tg3. La lunga marcia del Cavaliere per blindare l'informazione
Roma, giovedì 6 agosto, San Goderanno (e sarà probabile), ristorante del circuito politico e giornalistico a due passi da Montecitorio. Intorno a un tavolo, esponenti del gran mondo, nuovo, del potere tv: Mario Orfeo, fresco direttore del Tg2, carriera inappuntabile, votato all'unanimità dal cda Rai, stimato da Carfagna, Bocchino e da Lui, il Cavaliere in persona. Seduto al suo fianco, Massimo Liofredi, noto fra i buontemponi Rai come 'Phon man' o 'Bellicapelli' e si può immaginare perché. Da anni capo struttura di RaiUno, da poco assurto al vertice di RaiDue, in quota Forza Italia, l'uomo, per intenderci, a cui dovrà rispondere Michele Santoro, ha al suo attivo una comparsata nell'inchiesta della banda della Magliana: colpa dell'acquisto di una macchina, spiegò lui, intercettato mentre Antonio Nicoletti, figlio del cassiere della nota band, gli segnalava, tanto per cambiare, una bella figliola. Insieme tutti e due ad ascoltare attentamente le parole del terzo uomo. E che uomo! Antonio Verro, consigliere Rai, scelto (c'è bisogno di dirlo?) dai notabili azzurroni. Una colazione tra amici? O un vertice a tre? In altri tempi, l'incontro sarebbe stato considerato a dir poco inopportuno. Non ora, che lo spiegamento mediatico berlusconiano non conosce e non vuole conoscere confini. Né soprattutto ragioni.La fase è nuova. Non nella sostanza, che è ben nota. Ma nella potenza. Nella forma. Nella avidità esibita nelle minacce persino al Tg3. Da viale Mazzini a Cologno Monzese, dal laghetto di Segrate (Mondadori) a via Negri (sede del 'Giornale'), a via Asiago (storico indirizzo della radio pubblica) sull'impero dell'informazione nell'orbita berlusconiana non dovrà tramontare mai il sole. Tanto, united colors of Berlusconi, lato media, gran parte del dado è tratto e con le nuove province di tg, gr e delle direzioni della carta stampata, la marcia trionfale del Cavaliere va avanti alla grande. Lui, d'altra parte, non ha tempo da perdere.
L'autunno è alle porte. E il patriarca avrà bisogno di una primavera nei media. Lo aspettano mesi duri. Il lodo Alfano. Le trame degli alleati. Le questione etiche, eretiche, erotiche. Le elezioni amministrative del 2010. E sullo sfondo, la battaglia delle battaglie, il sogno dei sogni, il Colle dei colli. Impossibile affrontare tutto questo senza una gioiosa macchina da guerra mediatica in cui seggiole e poltrone non siano state approvate, se non scelte, da lui in persona. Così ha voluto. Così è stato.Prima, l'addio da Canale 5 dello scomodo grillo parlante Enrico Mentana. Dopo, il contratto per la conduzione di 'Matrix' ad Alessio Vinci che, nuovo dell'ambiente, e non autorevole come il fondatore del Tg5, è sotto continuo tentativo di mediasettizzazione ("Una puntata su Vito Ciancimino? Fantastico: aspettiamo, però, che vada in onda la fiction sulla mafia", gestiscono i capi dei palinsesti e del marketing). Poi Augusto Minzolini, il giornalista del cuore, l'ombra del Cavaliere piazzato alfine a firmare il Tg1, il più importante d'Italia. Circondato anche da un cordoncino sanitario di neo nominati: i vice direttori Susanna Petruni, giornalista assennata che rispose di preferire una serata con il Cavaliere a una con un George Clooney qualunque, e Gennaro Sangiuliano, culo di pietra e cervello fino, lobby Gianfranco Fini. Al Tg2, ecco salire la stella di Mario Orfeo, figura non organica, molto apprezzata nei raid napoletani dal premier, poi scritturata fra i direttori 'Door to door' , quelli delle poltrone bianche di Bruno Vespa, quando l'ospite è Berlusconi. Risultato: vari piccioni con varie fave, visto che al posto di Orfeo alla direzione del 'Mattino' del pluto-editore Franco Caltagirone, è stato nominato il vice, Virman Cusenza, professionista a modo, quasi di casa berlusconiana, cresciuto al 'Giornale' dove ha lavorato più di dieci anni prima di passare al 'Messaggero'.Così Napoli, i suoi guai e le future elezioni: tutto sistemato. Come l'altro obiettivo per la campagna d'autunno. Il fausto ritorno di Vittorio Feltri alla direzione del 'Giornale' (con tanto di entourage ex 'Libero': l'alter ego ed ex direttore responsabile Alessandro Sallusti, l'ex direttore generale Gianni Di Giore, forse Renato Farina e anche la santa firma Antonio Socci) con il compito di farne un quotidiano da bombardamento con licenza per artiglieria pesante e armi nucleari, pronto a piazzare quattro fotografi sotto casa di Antonio Di Pietro e capace di contrastare gli attacchi della stampa nemica. E anche di affiancare la fronda amica ma scapigliata, a volte poco pop del 'Foglio' di Giuliano Ferrara. Dopo aver disdegnato a lungo la carta stampata ("In Italia i giornali vengono letti con attenzione solo da 5 mila persona", era il refrain che faceva uscire pazzo Gianni Letta), ora il premier sembra rendersi improvvisamente conto che, per esempio, le cancellerie internazionali non accendono il Tg5 del caro fedele Clemente J. Mimun o il Tg4 dell'ancor più caro e fedelissimo Emilio Fede per farsi un opinione. Ma traducono, invece, i giornali.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/silvio-all-news/2106854/8
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 14 agosto 2009
Antimafia omeopatica. - Marco Travaglio
Meno male che c’è Roberto Formigoni, testè nominato «governatore della Lombardia a vita» dall’amico Silvio. Senza di lui, nessuno avrebbe potuto sospettare che le mafie stessero tentando di mettere le mani sui 15 miliardi di euro che stanno per piovere su Milano per la baracconata di Expo 2015. Invece, vigile come una talpa in letargo, il pio governatore ha ricevuto «segnali da più parti di tentativi molto preoccupanti di infiltrazioni mafiose nei cantieri».
Probabilmente, scartando il pesce, dev’essergli capitato un foglio di giornale con uno delle migliaia di articoli usciti negli ultimi due-tre anni sugli allarmi lanciati da magistrati, analisti, forze dell’ordine. Così, vivamente «preoccupato», ha varato in men che non si dica un «Comitato per la legalità» per la «prevenzione al crimine organizzato». Sfumate le candidature dell’eroico Vittorio Mangano, prematuramente mancato all’affetto dei suoi cari, e di Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro, molto devoti anche loro, si è optato alla fine per due ex giudici di chiara fama, Giuseppe Grechi e Salvatore Boemi. Per non lasciarli soli, i due saranno affiancati da due carabinieri provenienti dal Ros e dal Sisde: il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno.
In qualità, si presume, di esperti in materia: si tratta infatti degli stessi Mori e De Donno che nel 1992, subito dopo Capaci e poi anche dopo via d’Amelio, avviarono una trattativa con Vito Ciancimino e i capi di Cosa Nostra, Riina e Provenzano, che avevano appena assassinato Falcone, Borsellino e gli uomini delle scorte: la trattativa del «papello», consegnato da Riina a Ciancimino e da questo a Mori, almeno secondo le ultime rivelazioni del figlio del sindaco mafioso di Palermo. Mori, poi, è stato imputato per la mancata perquisizione del covo di Riina nel gennaio ’93 (assoluzione, ma con pesanti addebiti sul piano disciplinare) e lo è tuttora per favoreggiamento aggravato alla mafia con l’accusa di non aver arrestato Provenzano già nel 1995, quando l’ex mafioso Luigi Ilardo ne segnalò la presenza in un casolare di Mezzojuso al colonnello Michele Riccio.
Ora Mori aiuterà Formigoni a «monitorare, vigilare, studiare le procedure di controllo sugli appalti e dare consulenza alle imprese» perché stiano alla larga dalla mafia. Noi ovviamente non crediamo a una sola delle accuse che pendono sul suo capo, certamente frutto di «teoremi giudiziari» e «giustizia spettacolo», come direbbero Berlusconi e Vendola. Ma una domanda a Formigoni vorremmo porla lo stesso: non le pare che l’uomo che dimenticò di perquisire il covo di Riina, che si scordò di denunciare alla magistratura le richieste estorsive della mafia allo Stato nel famigerato papello, che pensò di combattere la mafia delle stragi trattando con chi le aveva appena realizzate e che è accusato di essersi lasciato sfuggire Provenzano, come sentinella antimafia sia un po’ sbadato?
http://www.unita.it/news/ora_d_aria/87241/antimafia_omeopatica
Probabilmente, scartando il pesce, dev’essergli capitato un foglio di giornale con uno delle migliaia di articoli usciti negli ultimi due-tre anni sugli allarmi lanciati da magistrati, analisti, forze dell’ordine. Così, vivamente «preoccupato», ha varato in men che non si dica un «Comitato per la legalità» per la «prevenzione al crimine organizzato». Sfumate le candidature dell’eroico Vittorio Mangano, prematuramente mancato all’affetto dei suoi cari, e di Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro, molto devoti anche loro, si è optato alla fine per due ex giudici di chiara fama, Giuseppe Grechi e Salvatore Boemi. Per non lasciarli soli, i due saranno affiancati da due carabinieri provenienti dal Ros e dal Sisde: il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno.
In qualità, si presume, di esperti in materia: si tratta infatti degli stessi Mori e De Donno che nel 1992, subito dopo Capaci e poi anche dopo via d’Amelio, avviarono una trattativa con Vito Ciancimino e i capi di Cosa Nostra, Riina e Provenzano, che avevano appena assassinato Falcone, Borsellino e gli uomini delle scorte: la trattativa del «papello», consegnato da Riina a Ciancimino e da questo a Mori, almeno secondo le ultime rivelazioni del figlio del sindaco mafioso di Palermo. Mori, poi, è stato imputato per la mancata perquisizione del covo di Riina nel gennaio ’93 (assoluzione, ma con pesanti addebiti sul piano disciplinare) e lo è tuttora per favoreggiamento aggravato alla mafia con l’accusa di non aver arrestato Provenzano già nel 1995, quando l’ex mafioso Luigi Ilardo ne segnalò la presenza in un casolare di Mezzojuso al colonnello Michele Riccio.
Ora Mori aiuterà Formigoni a «monitorare, vigilare, studiare le procedure di controllo sugli appalti e dare consulenza alle imprese» perché stiano alla larga dalla mafia. Noi ovviamente non crediamo a una sola delle accuse che pendono sul suo capo, certamente frutto di «teoremi giudiziari» e «giustizia spettacolo», come direbbero Berlusconi e Vendola. Ma una domanda a Formigoni vorremmo porla lo stesso: non le pare che l’uomo che dimenticò di perquisire il covo di Riina, che si scordò di denunciare alla magistratura le richieste estorsive della mafia allo Stato nel famigerato papello, che pensò di combattere la mafia delle stragi trattando con chi le aveva appena realizzate e che è accusato di essersi lasciato sfuggire Provenzano, come sentinella antimafia sia un po’ sbadato?
http://www.unita.it/news/ora_d_aria/87241/antimafia_omeopatica