giovedì 19 novembre 2009

Cicli e ri-cicli nel Pdl sull'orlo della crisi

Fini: "Riforme condivise e non a maggioranza". Scontro tra Feltri e Bocchino: "I finiani si sono scoperti formalisti e adoratori delle norme, pur di non dare una mano al premier", scrive il direttore de Il Giornale. " Basta con le 'ghedinate' da prendere o lasciare" replica Il vicepresidente del gruppo Pdl alla Camera. Sullo sfondo le inchieste di Report e il processo di Palermo

Resta alta la temperatura sul tema riforma della giustizia non soltanto tra maggioranza e opposizione, ma anche all'interno del Pdl. Due i filoni da analizzare per comprendere il perché di tanta tensione. Da una parte c'è il nodo politico, che vede i "finiani" nel mirino dei cosiddetti "falchi". Dall'altra ci sono le indagini e i nodi giudiziari che, a vario titolo, coinvolgono il premier.
Sul versante politico, anche oggi dunque, lo scontro interno alla maggioranza non si placa. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è tornato spiegare che non è nelle intenzioni del governo procedere spontaneamente alla riproposizione del cosiddetto lodo Alfano con legge costituzionale, ma che "coloro che hanno a cuore il bene del Paese possono farlo, noi non abbiamo nulla in contrario e lo valutiamo con favore". Intanto il direttore de Il Giornale torna a scagliarsi contro il presidente della Camera: "La magistratura è un partito, ed è ovvio che Berlusconi se ne difenda con il suo partito, il Pdl. Peccato che alcuni alleati del Cavaliere non abbiano capito il concetto o facciano orecchie da mercante. I finiani si sono scoperti formalisti e adoratori delle norme, pur di non dare una mano al premier", scrive Vittorio Feltri.
Netta la replica di Italo Bocchino, vicepresidente vicario del gruppo Pdl alla Camera: "I falchi berlusconiani devono farla finita di parlare di complotto contro Berlusconi. Basta con le 'ghedinate' da prendere o lasciare. Il premier deve guardarsi da quei suoi consiglieri che lo hanno portato in un vicolo cieco. Procediamo con la riforma costituzionale del lodo Alfano e del ripristino dell'immunità parlamentare; così com'è oggi, il processo breve è destinato a sbattere contro il muro dell'incostituzionalità".

Negli ultimi giorni Berlusconi si tiene ai margini della diatriba. In pubblico preferisce tacere, ma sono in molti a dire che, nelle conversazioni private, il premier è "un fiume in piena" e non nasconde la sua ira.
A preoccuparlo è il versante giudiziario. Il timore del Cavaliere è che da Palermo gli arrivi un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. Il passaggio cruciale sarà la data della testimonianza di Spatuzza nel processo di secondo grado contro Dell'Utri, già condannato a nove anni in primo grado. Poi ci sono altri due capitoli aperti: quello della procura di Caltanisetta, che indaga sugli attentati a Falcone e Borsellini nel '92: e l'inchiesta di Firenze sui mandanti esterni delle stragi del '93.
A tutto questo si aggiunge l'inchiesta milanese sull'Arnerbank (oggetto della puntata di domenica sera di Report) che i procuratori milanesi sospettano sia una sorta di lavanderia per il denaro sporco che arriva fino a Marina e Piersilvio Berlusconi. Sull'Arnerbank poi hanno messo gli occhi anche i pm di Palermo Scarpinato e Ingroia che si occupano di riciclaggio di soldi della mafia.
Insomma, altro che la continua guerriglia di Gianfranco Fini: oltre ai processo Mills e Mediaset, ad agitare veramente i sonni di Berlusconi sono le incredibili bombe giudiziarie, che potrebbero essere sganciate su Palazzo Chigi per devastare la credibilità del premier. Al quale, se arrivasse da una di queste procure un avviso di garanzia, non resterebbe che la strada delle elezioni anticipate per dire al Paese: ecco il "fango" che monta e che vuole destabilizzare un premier eletto dal popolo.

Ma andiamo con ordine:

A Palermo, il pentito di mafia Gaspare Spatuzza, accusa Dell'Utri e chiama in causa il premier come nuovi referenti politici di Cosa Nostra nel '93 al termine della sanguinosa campagna stragista a Roma, Firenze e Milano. Intanto, la trasmissione Report di Milena Gabanelli andata in onda domenica sera su Rai Tre rivela: nella sede milanese della svizzera Banca Arner la famiglia Berlusconi ha quattro conti correnti per un totale di 60 milioni di euro, di cui uno intestato direttamente al presidente del Consiglio per dieci milioni e altri tre per 50 milioni a capo delle holding italiane Seconda, Ottava e Quinta, amministrate dai figli Marina e Piersilvio. Tra i clienti della banca ci sarebbero anche Ennio Doris, fondatore del gruppo Mediolanum, e Stefano Previti figlio di Cesare".
La notizia- bomba arriva verso la fine della puntata dedicata in gran parte al fenomeno dell'esportazione illegale dei capitali e alla nuova versione dello scudo fiscale che - secondo la testimonianza del consulente delle Procure Giangaetano Bellavia, "con le modifiche del 3 ottobre è allargato alle dichiarazioni fraudolente, alle fatture false e alla distruzione delle scritture contabili".

L'inviato di Report Paolo Mondani ricostruisce la storia della Banca Arner, fondata nel 1994 da Paolo Del Bue ("uomo di fiducia di Berlusconi"), Nicola Bravetti, Giacomo Schraemli e Ivo Sciorilli Borelli. Nel 2003 viene aperta la sede Milanese e negli anni successivi scattano una serie di disavventure giudiziarie. Il 7 maggio del 2008 Bravetti viene messo per due settimane agli arresti domiciliari dalla Procura di Palermo con l'accusa di intestazione fittizia di beni avendo aperto un conto di 13 milioni di euro a favore di Teresa Macaluso nascondendo il vero proprietario e cioè il marito e costruttore siciliano Francesco Zummo, collegato al clan Ciancimino, indagato per mafia ma assolto in appello. I beni di Zummo - valutati tra i 500 milioni e il miliardo di euro - sono stati messi sotto sequestro.

Non si sa se Del Bue, che ha lasciato la carica di amministratore nel 2005 è ancora tra i soci, ma era di certo in Arner quando, secondo la ricostruzione fornita agli inquirenti dall'ex presidente del Torino Gianmauro Borsano, la società panamense New Amsterdam, amministrata fiduciariamente da Arner, versò in nero 10 miliardi di lire al Torino per il passaggio del calciatore Gianluigi Lentini al Milan.
Eppure l'importanza di Del Bue si capisce solo dalle carte del processo Mills, l'avvocato inglese condannato in appello per essersi fatto corrompere da Berlusconi per testimoniare il falso nei processi del premier. Nelle motivazioni della condanna il tribunale spiega che Mills si fece pagare per nascondere ai giudici italiani che le società offshore Century One e Universal One erano riconducibili non ai manager della Fininvest, ma "direttamente a Silvio Berlusconi". I conti esteri di quelle due società erano gestiti proprio da Del Bue, che da quei conti prelevava anche ingenti somme in contanti: 100 miliardi di vecchie lire in tre anni.
Sempre secondo la ricostruzione di Report a mettere in contatto Bravetti con Zummo sarebbe stato l'avvocato Paolo Sciumè. Il noto professionista, racconta Mondani con voce fuori campo, è nei consigli di amministrazione di molte società tra cui Parmalat dove è finito sotto processo per bancarotta ma assolto in primo grado. Nel 1996 entra nel cda di Mediolanum e nel 2003 in quello di Banca Mediolanum.
La Banca Arner, il 17 aprile del 2008, viene messa sotto torchio dagli ispettori della vigilanza della Banca d'Italia che riscontrano "gravi irregolarità a causa delle carenze delle violazioni in materia di contrasto del riciclaggio".

A questo punto Berlusconi deve risolvere la questione dei processi in corso (Mills e Mediaset) per i quali ha bisogno dell'approvazione del ddl sul processo breve. Il ddl redatto allo scopo da Ghedini è riuscito nella titanica impresa di indegnare tutti: dalle opposizioni a numerosi esponenti della stessa maggioranza. Bisogna riscriverlo, blindarlo e farlo approvare. Tre cose che richiedono tempo.
Una boccata d'ossigeno arriva dai giudici di Milano che riconoscono al premier imputato i "legittimi impedimenti per impegni istituzionali precedentemente assunti" e fanno slittare di due mesi (si riparte il 18 gennaio) il processo Mediaste.
Basteranno due mesi per sciogliere il nodo sul processo breve? Basteranno le modifiche alle quali sta lavorando il ministro della Giustizia?
Il premier non si fida: anche il lodo Alfano era stato modificato per soddisfare le riserve del Quirinale, eppure l'Alta Corte lo ha bocciato.

Fini adesso suggerisce di affiancare al ddl sul processo breve la via costituzionale del Lodo Alfano, e l'immunità di stampo europeo. Ma come "precondizione"' la terza carica dello Stato chiede lo stanziamento di risorse per gli operatori della giustizia, perché solo così si possono evitare i tempi biblici dei processi. "Riscrivere le regole deve necessariamente comportare l'impegno per una riscrittura che sia quanto più possibile condivisa, perchè le regole riguardano tutti, perchè le istituzioni della Repubblica sono le istituzioni di ogni italiano", insiste la terza carica dello Stato. "Sarebbe certamente un momento difficile per il nostro Paese quello in cui dovesse affermarsi il principio che, in una democrazia dell'alternanza, ogni maggioranza modifica a proprio piacimento quelle che sono le regole del vivere civile".
Berlusconi ha il sospetto qualcuno gli stia preparando una trappola, vuole capire se alla fine, in Parlamento, a spingere veramente per approvare questo ddl è tutta la maggioranza o ci sarà chi rema contro. In questo clima, anche le dichiarazioni fatte ieri da Fini nel corso della trasmissione "In mezz'ora" di Lucia Annunziata, non lo hanno tranquillizzato. A cominciare da quella frase con la quale l'ex leader di An ha scongiurato le elezioni anticipate che sarebbero la fine non solo della legislatura, ma anche del Pdl. "E chi lo ha detto? - è la replica dei suoi falchi -: Il Pdl può vivere e vincere le elezioni anche senza Fini".


http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=13514

Le istituzioni si mobilitano.

In Europa: una risoluzione del Parlamento di Strasburgo, l’impegno ad approfondire il caso in altri studi, la proposta di una commissione parlamentare di inchiesta. In America: indagini del Congresso sulle attività della National Security Agency. In Italia: esposti alla magistratura, fascicoli aperti dalla procura di Roma, un’istruttoria del Comitato parlamentare sui servizi, l’interessamento del Garante per la privacy. I soggetti istituzionali si muovono, spinti a occuparsi di Echelon, spiegano, "per la gravità di quanto i mass media denunciano".

La risposta dell’Unione europea. "Francamente le uniche persone che ancora dubitano dell’esistenza di Echelon si trovano negli Stati Uniti", dice Glyn Ford, eurodeputato laburista e direttore dello Stoa. E’ stato lui a commissionare il rapporto alla Omega Foundation e a presentarlo all'assemblea di Strasburgo. Ed è ancora lui, subito dopo, ad avviare, soprattutto in Inghilterra, un’intensa attività di lobby tra laburisti, verdi, organizzazioni non governative, gruppi antimilitaristi e associazioni per la difesa della privacy. Risultato: la "Risoluzione sulle relazioni transatlantiche e il sistema Echelon", che il Parlamento europeo vota il 16 settembre 1998. Titolo a parte, il documento contiene solo un brevissimo accenno alla rete di intercettazione, al punto 14, il penultimo: "La crescente importanza di Internet e delle telecomunicazioni mondiali in genere, e del sistema Echelon in particolare, richiedono misure precauzionali per quanto concerne le informazioni economiche, così come un efficace criptaggio". Il riferimento a Echelon appare improvviso e del tutto fuori contesto in una risoluzione che, per il resto, "sottolinea l’importanza delle relazioni Ue-Usa in materia di economia, politica e sicurezza" e affronta una serie di problemi commerciali.

I nuovi studi arrivano - quattro rapporti scritti tra aprile e agosto 1999 - e il caso si riapre. Due giorni di audizioni pubbliche alla Commissione libertà civili e affari interni, il 22 e il 23 febbraio 2000, per esaminare in particolare la relazione di Duncan Campbell, "Interception Capabilities", che del sistema Echelon conferma l’esistenza e approfondisce funzionamento e obiettivi. Suscitando, stavolta, un giustificato allarme tra gli eurodeputati. "Echelon, un sistema di spionaggio assolutamente illegale e al di fuori di qualsiasi controllo, è una chiara minaccia per la libertà e l’economia dei paesi europei", dichiara il capogruppo dei Verdi, Paul Lannoye, che propone l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta "con pieni poteri". Soluzione appoggiata anche da esponenti degli altri gruppi (in 200, tra verdi, comunisti, ed eurogollisti, hanno già firmato la petizione) e non esclusa dal liberale britannico Graham Watson, direttore dei lavori nella due giorni di audizioni. Toccherà ora all'assemblea decidere. Anche se il presidente Romano Prodi ha incaricato il finlandese Errki Liikanen di indagare sulla rete di intercettazione anglosassone, la Commissione, ufficialmente, ha finora ostentato cautela, affermando che prove di spionaggio commerciale non ce ne sono : "E’ solo un’ipotesi e io non mi occupo di ipotesi", ha dichiarato il commissario al Mercato interno, Frits Bolkestein. L'unica certezza, come ha sottolineato Prodi è che "sulla vicenda Echelon la Commissione si impegnerà nel suo ruolo di guardiano dei trattati".

I misteri d’Italia. Incredulità, sgomento, indignazione. Ma anche speranza. Che Echelon possa aiutare a chiarire i grandi misteri della recente storia italiana, dal caso Moro a Ustica. Se, davanti alla rivelazione della "rete di intercettazione globale", i soggetti istituzionali restano in un primo tempo spiazzati, la società civile mette subito in moto la macchina della giustizia. E’ appena febbraio del ’99 quando l’associazione di consumatori Adusbef presenta un esposto alle procure di Roma e di Milano, chiedendo di accertare, tra le altre questioni, se Echelon possa contribuire "a fare luce su alcuni dei grandi misteri d’Italia", come la strage di Ustica e il caso Moro, e se non costituisca una "violazione della sovranità nazionale, della privacy dei cittadini e delle aziende italiane da un possibile spionaggio industriale e se non rappresenti una chiara violazione del trattato di Maastricht". La procura di Roma apre subito un fascicolo, intestato "atti relativi", e avvia un’indagine per accertare, innanzitutto, se l’attività di intercettazione coordinata dai servizi segreti americani sia in contrasto con le leggi italiane. Le ipotesi di reato potrebbero essere varie, come ha spiegato il magistrato Carlo Sarzana, capo dei giudici per le indagini preliminari della procura di Roma: dai reati comuni come lo spionaggio politico ed economico o il traffico di notizie riservate ai quelli previsti dalla legge sulla privacy. Anche se, tiene a precisare, dal momento che non esistono leggi sovranazionali, "sarebbero prevedibili difficoltà a perseguire a livello internazionale reati che si commettono via satellite".

L'articolo completo su:
http://www.uniurb.it/giornalismo/lavori/didonato/pagineinterne/reazioni.htm

Arner bank, la finanza ''sporca'' sotto i riflettori di Report

"La banca dei Numeri 1" in onda su RaiTre. E Il Fatto parla della "lavanderia".

"La banca dei numeri 1": è questo il tema della puntata di Report - la trasmissione di Milena Gabanelli - in onda stesera elle 21,30 su RaiTre, alla quale guardano con molto sospetto i media di Berlusconi, a partitre dal solito Giornale, che stamattina ha messo le mani avanti.
Ma di che si occupa la trasmissione? Secondo il tema pubblicato sul sito di Report, questo è il punto di partenza del programma: "Con lo scudo fiscale del 2001, poi prolungato fino al 2003, sono stati messi in regola circa 78 miliardi di euro. A fronte di questa enorme massa di denaro sono state inviate circa 90 segnalazioni di operazioni sospette, di cui nessuna che riguardava la Sicilia.
Le banche hanno evidenziato poco o nulla proprio grazie alle garanzie di anonimato accordate da quella legge. E quindi non è stato possibile intercettare il denaro sporco frutto di reati di natura fiscale per i quali era stata accordata la non punibilità.
È stato solo per una fortuita coincidenza investigativa che la Procura di Palermo ha individuato e sequestrato alcuni milioni di euro che uno dei riciclatori più importanti di Cosa Nostra, già condannato per mafia, stava tentando di fare rientrare in Italia".

Una miriade di nuovi ricchi

"È proprio in quegli anni - sottolinea il testo che presenta la puntata di stasera - che all’improvviso sul palcoscenico della finanza sono apparsi una miriade di nuovi ricchi che hanno acquistato a tutto spiano pacchetti azionari, immobili, attività imprenditoriali e commerciali offrendo denaro contante fresco e abbondante, soprattutto per quello che erano gli ordinari standard di mercato.
Quel massiccio e improvviso rientro di denaro in contante gonfiò a dismisura la bolla speculativa sugli immobili con la quale, in parte, ancora stiamo facendo i conti.
Con il terzo scudo - che pure ha alle spalle la nuova legge antiriciclaggio (la 231 del 2007) - di fatto sono state rimosse le segnalazioni di operazioni sospette che i vari operatori, commercialisti, avvocati d'affari, fiduciarie, banche, sono obbligati a inviare alla UIF, l’Unità di Informazione Finanziaria, della Banca d'Italia nel caso le caratteristiche del soggetto, la natura dell'operazione, la sua provenienza, l'ammontare dell'importo destino sospetto di un tentativo di riciclaggio.

Coperti reati più gravi dell'evasione

Peraltro, i reati che il nuovo scudo fiscale coprirebbe sarebbero ben più gravi della semplice evasione. Cosa si nasconde dietro il mondo delle fiduciarie e delle banche svizzere? Come spariscono i soldi oltrefrontiera, come lavorano gli spalloni di nuova generazione, quali sono i metodi di esportazione sicura dei capitali all'estero, come alcune banche muovono questo meccanismo".
Il resto i telespettatori lo vedranno direttamente in tv.

E IL FATTO ACCENDE I RIFLETTORI SULLA ARNER BANK

E Il Fatto quotidiano, oggi in edicola, ha acceso i riflettori sulla Arner Bank, con un articolo firmato da Peter Gomez e Sandra Amurri, che ripubblichiamo integralmente (solo i sottotitoli sono i nostri, per facilitare la lettura):
"Per fotografare la situazione e capire i timori, di giorno in giorno sempre più evidenti, di Silvio Berlusconi per le indagini milanesi e palermitane sulla Arner Bank, basta una frase di David Mills: "Chi è Paolo Del Bue della banca Arner? Se posso usare un'immagine: Del Bue, tra le persone che ruotavano intorno alla famiglia Berlusconi, era certamente nella cerchia più interna. Voglio dire che era tra chi aveva un rapporto personale con la famiglia. Mi sembra significativo che sui conti bancari delle società Century One e Universal One avesse un diretto controllo e poteri di disposizione assoluti".

La testimonianza di Mills del luglio 2004


Era il 18 luglio del 2004 e Mills, oggi condannato in appello a 4 anni e mezzo per corruzione giudiziaria, stava raccontando buona parte di quello che, davanti ai magistrati, aveva taciuto per quasi due lustri: dai soldi ricevuti dal cavaliere, sino alla reale proprietà di Century One e Universal One - due off shore, controllate attraverso dei trust da Marina e Piersilvio Berlusconi - che avevano incassato decine di milioni di dollari di fondi neri provenienti dalla compravendita di diritti televisivi.
Tra il 1992 e il 1994, mentre in Italia infuriava Mani Pulite, Del Bue quel tesoro lo aveva però fatto sparire. Assieme ad alcuni collaboratori aveva prelevato 103 miliardi di lire in contanti e si era rifugiato in Svizzera dove, con degli amici, gestiva la Arner, una finanziaria trasformata in banca nel maggio del ‘94, non appena Berlusconi era diventato per la prima volta presidente del Consiglio.

I magistrati scoprirono l'importanza della Arner

È rileggendo quel verbale di Mills che i magistrati cominciano a intuire l'importanza della Arner, l'istituto di credito di Lugano che, a partire dal 2004, è autorizzato a operare anche in Italia. La Arner è, infatti, la banca preferita da Berlusconi. È la cassaforte in cui i familiari del Cavaliere e buona parte dei manager posti ai vertici del suo impero economico - dal big boss di Mediolanum, Ennio Doris, sino all'entourage dell'avvocato pregiudicato Cesare Previti - versano le loro fortune personali.Questo almeno è quello che risulta agli investigatori della Dia e della Guardia di finanza che negli ultimi due anni hanno bussato più volte alle porte della sede milanese della banca. Inizialmente per far luce sull'esatto ruolo di Nicola Bravetti, uno dei soci dell'istituto, pizzicato per caso al telefono mentre - con la collaborazione del consigliere di amministrazione Mediolanum, Paolo Sciumè - tentava di evitare il sequestro di 13 milioni di dollari accantonati su un conto Arner alle Bahamas da un presunto colletto bianco di Cosa Nostra: l'imprenditore palermitano Francesco Zummo, considerato prestanome di don Vito Ciancimino e già condannato per favoreggiamento.

Due avvisi di garanzia all'amministratore delegato e al commissario

Poi, quando Bravetti e Sciumè finiscono agli arresti domiciliari perché accusati di intestazione fittizia di beni, negli uffici della Arner di corso Venezia a Milano, arrivano pure le Fiamme gialle. L'11 giugno i militari perquisiscono l'intero palazzo Arner e notificano due avvisi di garanzia al nuovo amministratore delegato e, fatto quasi senza precedenti, al commissario Mario Marcheselli, piazzato nell'istituto di credito dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, su designazione di Banca Italia, dopo l'esplosione del caso Bravetti-Zummo. Entrambi sono accusati di non aver collaborato con gli ispettori del governatore Mario Draghi e di aver così finito per favorire le operazioni di riciclaggio.

La banca preferita dal Cavaliere è una "lavanderia"?

La procura di Milano, insomma, ipotizza che la banca preferita dal Cavaliere sia una sorta di lavanderia per il denaro sporco. La cosa, ovviamente, preoccupa Palazzo Chigi. Non solo perché Arner Italia custodisce i segreti di almeno tre società (le ormai celebri Holding) attraverso cui Marina e Piersilvio Berlusconi controllano parte del capitale Fininvest.
O perché il conto numero uno dell'istituto è intestato al premier.
A far paura sono pure le indagini sul ruolo dell'avvocato Giovanni Acampora, già condannato con Previti nei processi "Toghe sporche". Tra la Arner e Acampora pare esserci un legame antico e mai interrotto. Tanto che Arner è il perno di un business seguito da legale molto da vicino: le operazioni finanziarie per acquistare e ristrutturare il Grand Hotel di via Veneto, a Roma.
Un affare misterioso da 50 milioni di euro che solo le eventuali rogatorie estere potranno chiarire. Un bel problema per gli uomini della banca del premier. Dopo l'approvazione dello scudo fiscale la Svizzera e molti altri paesi off-shore sono sul piede di guerra contro il governo italiano. E minacciano ritorsioni. Scoprire la verità, questa volta, potrebbe essere molto più facile del solito.


http://www.ilsalvagente.it/Sezione.jsp?titolo=Arner%20bank,%20la%20finanza%20

In controtendenza, potrete leggere un articolo de "il giornale" di Feltri, uscito il giorno dopo la messa in onda della trasmissione "report" e del quale allego il link.

http://www.ilgiornale.it/interni/e_report_mescola_affaristi_boss_e_banca_vip/16-11-2009/articolo-id=399376-page=0-comments=1

Come potrete notare, non c'è alcuna smentita, è solo il tentativo osceno di ridicolizzare la serietà dell'inchiesta.
Cosa non farebbe Feltri per difendere il "suo" amato premier, il mr. B che, già al calduccio del suo stato di feto, sperimentava come e cosa fare per creare un impero economico dal nulla utilizzando capitali mafiosi e corrompendo chiunque gli capitasse a tiro?

Interessanti da leggere anche questi altri articoli relativi all'argomento:

http://www.clandestinoweb.com/number-news/84707-linchiesta-di-report-la-banca-arner-e-quei-conti-del-pr.html

http://www.corriere.it/economia/09_novembre_16/report_premier_3cf65452-d27d-11de-a0b4-00144f02aabc.shtml