È per questo che qualcuno dovrebbe spiegare al Pd che accanirsi sull’unica norma ragionevole contenuta nel progetto Alfano non è molto intelligente. Dice dunque il Pd che non va bene che la nuova legge si applichi ai processi già in corso, per reati commessi prima del 2 maggio 2006 e puniti con pena inferiore a 10 anni: norma fatta apposta per impedire il processo Mills ed evitare che B. venga ufficialmente dichiarato colpevole di corruzione.
Naturalmente nessuno si sogna di contestare che questo sia l’unico scopo di questa legge, ripescata alla vigilia della dichiarazione di incostituzionalità del ponte tibetano, il legittimo impedimento che sempre lo stesso scopo aveva, impedire che B. venisse dichiarato colpevole etc etc. Ma il punto è che, se B. non ci fosse (però, come sarebbe bello!), questa norma sarebbe l’unica ragionevole tra quelle che compongono il disegno di legge Alfano. Che senso ha celebrare processi per reati che si prescriveranno con certezza prima che sia possibile arrivare al processo d’appello? E che senso ha celebrarli quando la pena che dovrebbe essere presumibilmente inflitta sarebbe vanificata dall’indulto, provvedimento scellerato approvato da tutti i partiti (al solito non dall’IdV), che grida vendetta ma che, ormai, lì sta e nessuno può eliminarne gli effetti?
Se le molte teste competenti di diritto che militano nel Partito democratico venissero consultate prima di stabilire le strategie dell’opposizione in materia di giustizia, sarebbe agevole contestare al ministro Alfano che, sì, è vero, anche il Pds (allora si chiamava così) aveva progettato un processo breve; ma che questo era molto diverso dalla scappatoia pro B. su cui ora la maggioranza ricatta il Paese: fiducia o elezioni.
Si potrebbe ricordare al ministro e ai cittadini (le cose basta spiegarle in maniera chiara) che in quel disegno di legge si imponevano tempi certi per celebrare i processi ma che non si calcolavano le interruzioni del processo dovute alle richieste di rinvio per impedimento dell’imputato o del difensore e nemmeno quelle rese necessarie dalle rogatorie internazionali (durano anni e il giudice italiano non ha nessun modo per sollecitarle), dalla mancata presentazione dei testimoni e dalla necessità di rintracciarli e farli accompagnare in aula. Insomma si potrebbe ricordare che il progetto del Pdssanzionava con la morte del processo (e le conseguenti responsabilità disciplinari) l’inerzia del giudice, la sua incapacità organizzativa, l’eventuale pigrizia; ma che teneva conto delle interruzioni, inevitabili in ognidibattimento, per assumere le prove necessarie per decidere.
Ma c'è di più. Il Pd potrebbe ricordare che il suo rigoroso progetto fu, all’epoca, snaturato dalla destra, che pretese, per concedere il suo appoggio al disegno di legge, che le interruzioni eventualmente necessarie per l’acquisizione delle prove non fossero incluse tra le cause legittime disospensione del processo. Per dire, se l’imputato offriva al pubblico ufficiale da lui corrotto un bel soggiorno alle Barbados, così questi si rendeva irreperibile e non si presentava a testimoniare, il tempo necessario per accertare dove quello era finito e per costringerlo a venire in aula non interrompeva i termini per la morte del processo. L’accordo, per la verità scellerato, fu concluso; ma il progetto non ebbe seguito per la caduta del governo.
Tutto questo dimostra alcune cose molto preoccupanti, perfino più del processo morto su cui si giocano le sorti della legislatura:
1) Oggi l’opposizione è così poco efficace nella critica al salvacondotto di B. perché evidentemente ha la coda di paglia;
2) l’aspirazione del Pd a un dialogo costruttivo per riforme condivise viene da lontano;
3) i disastrosi risultati di questo metodo non hanno insegnato niente.
da Il Fatto Quotidiano, 31 agosto 2010