venerdì 12 febbraio 2010

E' l'ora dei Bertoladri. Mazzette da Roma a Milano. - Marco Travaglio

12 febbraio 2010

Più intercettazioni escono, più si capisce perché le vogliono abolire. Non c’è niente di meglio che ascoltare la nostra classe dirigente, anzi digerente, e i nostri imprenditori, anzi prenditori, per capire da chi siamo governati. Eppure, grazie alle inchieste di Espresso, Repubblica, Annozero, Report e Il Fatto, chi fossero Bertolaso e la sua band si poteva intuirlo.

Solo un’informazione serva e salivare poteva scambiare questo bluff semovente, travestito da calciatore della Nazionale, per “un servitore dello Stato nel mirino dei giudici” (Vespa, Pompa a Pompa), “il virgilio delle catastrofi, la straordinaria normalità, jeans&polo, voce piana e forte appeal, l’uomo che piace a tutti tranne che ai magistrati che provano a inzaccherargli la divisa” (Mario Giordano, Libero anzi Occupato), “un efficace organizzatore” (Sergio Romano, Pompiere della Sera), “un tecnico capace ed efficiente” (Littorio Feltri, il Geniale), “l’homus berlusconianus (sic), quello del ‘basta con le chiacchiere’, della politica del fare, dei metodi spicci, lo zar di tutte le emergenze” (Peppino Caldarola, Il Riformatorio), “un uomo che fa del bene e quindi viene perseguitato” (il Banana).

Ora, grazie alle intercettazioni, anche i non vedenti e i non scriventi sanno chi è e di chi si circonda: un cenacolo di stilnovisti che, molto fisionomisti, si autodefinivano “cricca di banditi”, “immersi in un liquido gelatinoso ai limiti dello scandalo”, “combriccola”, “gente che ruba tutto il rubabile”, “bulldozer”, tipi “da carcerare”. Infatti sono stati accontentati. Siccome anche la toponomastica ha un peso, l’appaltatore-elemosiniere di Bertolaso, Diego Anemone, risiede in via Regalìa: più che un indirizzo, una vocazione. Infatti, per rastrellare contanti per gli incontri con San Guido, si rivolgeva a un prete, don Evaldo, per gli amici “don Evà”. Ma le mazzette erano soprattutto in natura, ultima evoluzione di Tangentopoli: fuoriserie e aerei a sbafo, ristrutturazioni e divani gratis, escort e massaggi tutto compreso, assunzioni di figli e domestici. Ecco, la famiglia prima di tutto: Angelo Balducci, uno dei BertoBoys, tenta di piazzare il figlio: “Compie 30 anni e io mi chiedo come padre: che ho fatto per lui? Un cazzo”.

Un genitore esemplare. La regola è non pagare mai il conto: quando Anemone in versione marina organizza soggiorni all’Argentario per Carlo Malinconico, segretario generale di Palazzo Chigi e poi presidente degli Editori di giornali, precisa: “Mi raccomando, non è che si distraggono e gli fanno il conto!”. Non sia mai. In altre telefonate sembra di riascoltare i furbetti del quartierino. Fazio: “Ho messo la firma”. Fiorani: “Tonino, sono commosso, io ti ringrazio... ho la pelle d’oca... ti darei un bacio sulla fronte ma non posso farlo... prenderei l’aereo e verrei da te, se potessi”. Ora un altro dei BertoBoys, Fabio De Santis, meravigliosamente definito dalla burocratjia della Protezione civile “soggetto attuatore”, dice ad Anemone: “Dammi un bacio sulla fronte”. Anemone va un po’ più in giù: “Dove vuoi, pure sul culo se mi dai una buona notizia”. Altri ingredienti ricordano i sistemi di Bancopoli, Calciopoli e Parmalat, col controllo sulle sole variabili impazzite rimaste: non il Pd, figuriamoci, ma i pochi giornalisti e magistrati che ancora fanno il proprio mestiere. Il giornalista spione riferisce quel che sta per scrivere Fabrizio Gatti sull’Espresso, mentre – secondo l’accusa – il procuratore aggiunto di Roma Achille Toro spiffera notizie agl’indagati (l’avevano già pizzicato nel caso Unipol, infatti coordinava le indagini sui grandi eventi). Completano il quadro le “ripassate” di Bertolaido a Francesca e a un’altra signorina (“una fisioterapista di mezza età”, garantisce il premier, sempre informatissimo), ma a scopo di “terapia” per “riprendermi un pochettino”. E aggiungono un tocco di berlusconianitudine al tutto (il listino del Beauty Salaria include il “trattamento fango”, 65 euro tutto compreso). Ce n’è abbastanza per l’immediata nomina di San Guido a ministro, con legittimo impedimento incorporato: un Bertolodo.

da Il Fatto Quotidiano del 12 febbraio 2010

Cemento e beauty. Il club esclusivo di Bertolaso - Marco Bucciantini

Il posto della «ripassata» accoglie la fiumana di clienti con uno slogan evocativo: «Oltre l’immaginazione». Che corre fra le luci sfocate e armoniose del centro benessere e sale per una scala curva, dove un tizio si fa posto con l’asciugamano stretto in vita. Chissà se è diretto nella «stanza dei sogni», quella con il cielo stellato (gli adesivi li vendono in qualunque cartoleria), o se invece finirà spalmato d’olio nella cabina che avvolge con lo scenario dell’oceano. Al ricevimento, Maria ha già deciso: «È tutta merda...queste sono brave persone». Laura - la segretaria citata nelle intercettazioni - non c’è. Tutti vogliono Francesca: «Non sappiamo chi sia», mentono le numerose e sorridenti ragazze del personale. Qui, nelle stanze del primo piano, secondo i magistrati, Guido Bertolaso veniva all’incasso dei suoi favori, come dimostrerebbe la telefonata del 21 novembre 2008: «Sono Guido, buongiorno...sono atterrato in questo istante dagli Stati Uniti...se oggi pomeriggio Francesca potesse...io verrei volentieri...una ripassata».

Più d’una, scrivono i giudici. «Andavo allo Sport Village per delle sedute di fisioterapia - dice il capo della Protezione civile al Tg2 - e Francesca è una signora perbene alla quale ricorrevo per lo stress che ogni tanto mi colpisce». Massaggi o ripassate, venivano consumati nel centro benessere di proprietà di Diego Anemone e gestito da Simone Rossetti. I due - 50 giorni prima della ripassata - avevano organizzato «una cosa megagalattica per Bertolaso: con due, tre “situazioni”...di qualità...a lui piace così, eh la Madonna!».

«Devo accompagnarvi fuori». Il Salaria Sport Village è sulla statale, al chilometro 14,500, dove un cartello sulla destra annuncia l’abitato di Settebagni. I tre mila soci sono protetti da una pattuglia sparsa di guardie private. Dunque Francesca c’è, «sì, è una ragazza mora, ha meno di 30 anni». Ma è una caccia piccola in un posto enorme dove oggi il sospetto è massimo: buffo, intorno è tutto pressoché “illegale”, costruito in deroga sul greto esondabile del Tevere, esentasse, e una parte (l’ultima) della struttura infatti è sequestrata da otto mesi. Però i giornalisti non possono starci. Ecco invece cosa c’è: 8 campi da tennis, 5 campi di calcio di varia grandezza, piscina olimpionica, palestra da 2 mila metri quadri, bar, centro benessere, parcheggi, foresterie (41 camere), spogliatoi per diverse squadre di pallanuoto. Fermiamoci qui: foresterie e spogliatoi (sotto sequestro).

Sono una parte della ristrutturazione da 37 milioni di euro e furono giustificate così: «Serviranno agli atleti e alle Federazioni per gli allenamenti durante i Mondiali di nuoto». Ovviamente non s’è visto nemmeno un atleta, ma con quest’astuzia la ristrutturazione rientrò nella zona grigia delle ordinanze per i grandi eventi della Protezione civile. E 160 mila metri cubi di lavori sono stati realizzati senza un documento: in deroga. Anche al piano regolatore cittadino, nonostante una sentenza della Cassazione vietasse questa protervia perfino alla Protezione civile, qualora si fossero compiute opere durevoli (e questa è indelebile).

La firma del protocollo è dell’autunno del 2008, nei giorni delle telefonate fra i gestori e Bertolaso che vorrebbe la ripassata, e Anemone che sprona un “allarmato” Rossetti: «Ci costerà qualche soldino...». «Non me ne frega un cazzo», risponde l’altro. Ne frutterà molti di più. Rossetti s’adegua e la sera del 14 dicembre chiude il villaggio al pubblico e fa giungere una donna di nazionalità brasiliana, di nome Monica («una prostituta», scrivono i magistrati) che intrattiene Bertolaso. Il protocollo d’avvio per i lavori lo firma il commissario delegato per i Mondiali di nuoto Claudio Rinaldi, che ha sostituito Angelo Balducci, padre di Filippo, uno dei proprietari (l’altro è Anemone) della Società sportiva romana Srl che ha fondato questo villaggio.

Il Tevere scorre rapido dietro il campo di calcio. La terra è tenera, vietata. È l’Agro romano, nell’alveo del fiume: non si può costruire. Invece lo fanno, sfacciatamente, acquistando questi terreni come agricoli - quindi a prezzo stracciato - nel 2005. Beffando le proteste dei cittadini di Settebagni e di Castel Giubileo, l’esposto di Italia Nostra (in procura) e le denunce politiche (fra tutti: il consigliere Pd nel IV municipio Riccardo Corbucci). Sul cartello del cantiere non c’era nessun permesso, ma solo l’autorizzazione del commissario Angelo Balducci. Lui stesso aveva “retto” l'istruttoria per decidere se costruire o meno. A quella conferenza arrivò il parere contrario di Comune e Provincia di Roma. Se ne fregano, e vanno avanti, risparmiando anche gli oneri accessori che su 37 milioni di lavori preventivati porterebbero nelle casse del Comune almeno 8 milioni di euro, da usare per opere pubbliche, di servizio: l’esoso Sport Village non può esserlo.

Così nel settembre del 2008 Bertolaso ripassa e cominciano i lavori: vengono assegnati alla Redim 2002, di proprietà della signora Vanessa Pascucci, toh, la moglie di Balducci. Deve costruire nuove piscine, le camere, il campo da golf e il campo per il tiro con l’arco. Le frecce cercatele nel fondo del Tevere.