venerdì 21 maggio 2010

I paradossi del bigottismo - Cinzia Sciuto


Quando i paraocchi del bigottismo impediscono di guardare in faccia la realtà si rischia di produrre effetti grotteschi e paradossali, che negano persino le (cattive) intenzione dei bigotti. L’ottusa e miope volontà di relegare ai margini del mondo dei diritti le coppie di fatto, e quelle omosessuali in particolare, per garantire – così dicono i fanatici del Family day – la massima tutela alla famiglia «tradizionale», qualunque cosa questa espressione voglia significare, si ritorce contro se stessa, tagliando talvolta fuori dal cerchio dei diritti proprio quest’ultima.

Bando del comune di Roma per gli asili nido della capitale. Si entra per punteggio, che è assegnato principalmente in base alla condizione familiare (numero di figli a carico, portatori di handicap in famiglia, genitori entrambi lavoratori e via discorrendo), e solo in seconda battuta, a parità di punteggio, entra in gioco la condizione economica. Tra le situazioni che fanno ottenere un maggior punteggio c’è, giustamente, quella della famiglia monoparentale, ossia un bambino con un genitore solo. Ed ecco che scatta il paradosso: un bambino figlio di una coppia di lesbiche, nato grazie all’inseminazione artificiale (ovviamente all’estero), ottiene i 50 punti della famiglia monoparentale, visto che formalmente è figlio soltanto della donna che lo ha partorito. La compagna – pienamente presente in famiglia – non viene considerata affatto e il bambino risulta figlio di una donna sola, con tutti i «vantaggi» che ne derivano. A tutto danno delle tanto osannate famiglie tradizionali che, con un solo figlio ed entrambi i genitori lavoratori, ottengono solo 40 punti, rimanendo perlopiù fuori dalle graduatorie.

Certo, magra consolazione per queste famiglie (perché tali sono) costrette ogni giorno ad acrobazie burocratiche per poter garantire ai propri figli una vita normale. A partire dalla completa assenza di tutele per l’altro genitore, che non può accudire il figlio in ospedale in caso di ricovero, non può viaggiare da solo con lui e non può neanche accompagnarlo all’asilo senza una precisa delega. Assenze di tutele che, in fin de conti, si ripercuotono soprattutto sui bambini che si ritrovano orfani di un genitore di fronte allo Stato, nonostante abbiano in casa una normalissima e serenissima famiglia.

Nelle pieghe delle leggi e dei regolamenti il buon senso si prende una piccola rivincita, creando però, come abbiamo visto, effetti paradossali. Binetti & c. si mettano l’anima in pace: persino per tutelare davvero la famiglia tradizionale bisognerà riconoscere a tutti gli stessi diritti.

(21 maggio 2010)


La “teocrazia debole” di Ratzinger, una minaccia per la democrazia. Flores d’Arcais replica a Navarro-Valls


di Paolo Flores d'Arcais, da Repubblica

Joaquìn Navarro-Valls ha pubblicamente
confessato il programma di "teocrazia debole" che la Chiesa gerarchica di Karol Wojtyla prima, e quella di Joseph Ratzinger oggi, stanno tenacemente perseguendo. Con esiti fin qui fallimentari nel mondo, ma di peculiare successo nella "eccezione" Italia. Non meraviglia perciò che l' articolo dell' ex portavoce di Giovanni Paolo II, ancora oggi autorevolissimo nell' esprimere umori e "desiderata" della Chiesa vaticana, prenda le mosse proprio dall' apologia del "caso italiano", osannato perché «è veramente considerevole il ruolo assunto dalla religione» nel dibattito (e soprattutto nella realtà del potere, ma su questo Navarro-Valls sorvola), per cui «l' enorme complessità e originalità di questo Paese» (cioè le macerie morali e materiali a cui l' ha ridotto il berlusconismo) «costituisce una ricchezza stimolante che altrove manca del tutto».

All' ex portavoce di Wojtyla l' Italia appare dunque il luogo provvidenziale in cui sperimentare l' obiettivo che il cattolicesimo gerarchico ha scelto come stella polare: «Una democrazia deve riconoscere il valore di verità, naturale e generale, della religiosità umana, considerandolo un diritto comune, indispensabile cioè per il bene di tutti». Papale papale. Con questa logica, però, l'ateo, lo scettico, il miscredente, insomma il cittadino che non si riconosca in alcuna "religiosità umana", verrebbe irrimediabilmente colpito da ostracismo, e declassato a cittadino di serie B. Il suo ateismo, infatti, non solo non troverebbe posto in questo discriminatorio "diritto comune", ma verrebbe implicitamente tacciato di essere contrario al "bene di tutti".

Tanto perché non ci siano equivoci, infatti, Navarro-Valls aggiunge che «non è possibile, in effetti, escludere il valore politico e solidale della religione senza estromettere, al contempo, anche la giustizia dalle leggi dello Stato». E perché mai? Veramente Thomas Jefferson, eminente padre della democrazia americana - paese sempre citato come eden di libertà fondata su una religiosità onnipervasiva - , garantiva l' opposto: «Il manto della protezione costituzionale copre il giudeo e il gentile, il cristiano e il maomettano, l' indù e il miscredente di ogni genere» proprio perché la Costituzione «ha eretto un muro di separazione tra Chiesa e Stato». Wojtyla e Ratzinger hanno invece sistematicamente gettato l' anatema su ogni versione di «libera Chiesa in libero Stato». Una legge che prescinda dalla religione avrebbe niente meno che «estromesso la giustizia», riassume con precisione Navarro-Valls, renderebbe illegittima la democrazia trasformandola in un vaso di iniquità.

È esattamente quanto sostenne Papa Wojtyla di fronte al primo parlamento polacco democraticamente eletto, se la maggioranza parlamentare avesse promulgato una legge sull' aborto difforme dal diktat della morale vaticana. In perfetta sintonia papale la conclusione di Navarro-Valls: «La consapevolezza democratica di base» deve riconoscere che «la religione è un valore umano fondamentale e inevitabile, il quale deve essere valorizzato e garantito legalmente nella sua rilevanza pubblica» (sottolineatura mia). Con l' aggiunta finale di un criptico ma inquietante «a prescindere dal resto».

E invece no, dal "resto" non si può affatto prescindere. Perché il "resto" è che la democrazia si fonda sull'
autos nomos di tutti i cittadini, singolarmente e collettivamente presi. Nella democrazia sono i cittadini che «si danno da sé la legge». E nessun altro prima o sopra di loro. Se i cittadini non potessero decidere la legge liberamente, ma obbedire a una legge già data (dall' Alto, dall' Altro), non sarebbero sovrani, «per la contraddizion che nol consente», secondo un padre Dante molto tomistico e che quindi dovrebbe andar bene anche a Navarro-Valls.

Che la giustizia secondo il dettame della religione diventi tassativa e vincolante per la democrazia significa espropriare il cittadino della sovranità e riconsegnarla a Dio. Tecnicamente si chiama alienazione: alienare i famosi diritti inalienabili. Alienazione che coincide con l' annientamento stesso della democrazia. Insomma e senza perifrasi: la sovranità di Dio è incompatibile con la sovranità dell' uomo, in cui consiste la democrazia. Dovrebbe essere una ovvietà, da oltre un paio di secoli. Ma nell' italica «ricchezza stimolante che altrove manca del tutto» tutto è invece permesso. E sia.

Quale Dio, però? Il Dio cristiano dei valdesi - compassionevole - riconosce ai suoi figli il diritto all' eutanasia, quello di Ratzinger - gelido - lo nega, quello di Küng (cristiano cattolico come Ratzinger) di nuovo lo consente, il Dio dei "Testimoni di Geova" proibisce ogni trasfusione di sangue anche a costo della vita, il Dio di altri (sempre lo stesso, perché l' Uno) esige invece mutilazioni sessuali per le bambine. E si potrebbe continuare. Quale di queste incompatibili verità dovrà assumere lo Stato nella sua legge, per ottemperare alla pretesa di Navarro-Valls di «concepire la religione come un valore assoluto»?

Senza dimenticare che a pretendere che sia fatta la volontà di Dio, anziché quella democratica dei cittadini, c'è poi sempre in agguato un "Gott mit uns" che battezzerà di giustizia religiosa ogni terrena efferatezza. Naturalmente, in una democrazia liberale i cittadini non possono stabilire per legge "qualsiasi cosa", neppure con maggioranze plebiscitarie. Ma il limite all' esercizio della loro autonomia è la loro autonomia stessa, non un' eteronoma volontà di Dio (magari agghindata da "legge naturale"). Che è poi la volontà di chi pretende di conoscere la volontà di Dio e parlare in suo nome (in psichiatria si chiama delirio di onnipotenza).

Non si possono, a maggioranza, violare i diritti individuali sulla vita, la libertà, eccetera, di ciascuno, perché del ciascuno si distruggerebbe o amputerebbe la sovranità, dunque l' autonomia. Dio e la religione, come si vede, non c' entrano un bel nulla. L' anti-relativismo della democrazia sta tutto e solo nel comune riconoscimento - interiorizzato come ethos repubblicano - delle inalienabili libertà di ciascuno (fino a che non violano identica libertà altrui: dalla vignetta blasfema all' eutanasia, esattamente come non si proibisce la superstizione della Sindone o la sofferenza terminale volontaria). "Religiosità" civile, se si vuole. Che la "teocrazia debole" di Ratzinger e Navarro-Valls pretende invece di sovvertire.

(12 maggio 2010)


http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-teocrazia-debole-di-ratzinger-una-minaccia-per-la-democrazia-flores-darcais-replica-a-navarro-valls/

Il Papa: ''Servono politici cristiani, il relativismo mina la democrazia''


Le ingerenze della chiesa diventano sempre più pressanti, anche il Papa non conosce o disconosce il 3° articolo della Costituzione italiana che recita e sancisce:

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti

alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di

religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali."


Città del Vaticano - (Adnkronos/Ign) - Lo ha detto Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti alla XXIV Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici. ''Bisogna recuperare e rinvigorire un'autentica sapienza politica affrontare la realtà in tutti i suoi aspetti, andando oltre ogni riduzionismo ideologico o pretesa utopica''. Un ruolo che spetta ai laici ma la Chiesa deve ''dare il suo giudizio morale''. ''Intelligenza umana dono di Dio''. Sì dei vescovi alla vita artificiale

Città del Vaticano, 21 mag. - (Adnkronos/Ign) - ''C'è bisogno di politici autenticamente cristiani, ma prima ancora di fedeli laici che siano testimoni di Cristo e del Vangelo nella comunità civile e politica''. Lo ha detto il Papa Benedetto XVI ricevendo in udienza nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, i partecipanti alla XXIV Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, in corso a Roma fino a domani sul tema: 'Testimoni di Cristo nella comunità politica'.

''Il diffondersi di un confuso relativismo culturale e di un individualismo utilitaristico ed edonista indebolisce la democrazia e favorisce il dominio dei poteri forti''.

Per questo, sottolinea il Pontefice, ''bisogna recuperare e rinvigorire un'autentica sapienza politica; essere esigenti in ciò che riguarda la propria competenza; servirsi criticamente delle indagini delle scienze umane; affrontare la realtà in tutti i suoi aspetti, andando oltre ogni riduzionismo ideologico o pretesa utopica - ha affermato - mostrarsi aperti ad ogni vero dialogo e collaborazione, tenendo presente che la politica è anche una complessa arte di equilibrio tra ideali e interessi, ma senza mai dimenticare che il contributo dei cristiani e' decisivo solo se l'intelligenza della fede diventa intelligenza della realta', chiave di giudizio e di trasformazione. E' necessaria una vera 'rivoluzione dell'amore'''.

''Riprendendo l'espressione dei miei Predecessori, posso anch'io affermare che la politica è un ambito molto importante dell'esercizio della carità - ha aggiunto - Essa richiama i cristiani a un forte impegno per la cittadinanza, per la costruzione di una vita buona nelle nazioni, come pure ad una presenza efficace nelle sedi e nei programmi della comunità internazionale''.

''I cristiani - ha sottolineato ancora Benedetto XVI - non cercano l'egemonia politica o culturale, ma, ovunque si impegnano, sono mossi dalla certezza che Cristo è la pietra angolare di ogni costruzione umana. Compete ancora ai fedeli laici partecipare attivamente alla vita politica, in modo sempre coerente con gli insegnamenti della Chiesa, condividendo ragioni ben fondate e grandi ideali nella dialettica democratica e nella ricerca di un largo consenso con tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita e della libertà, la custodia della verità e del bene della famiglia, la solidarietà con i bisognosi e la ricerca necessaria del bene comune'', ha aggiunto.

Quanto al ruolo della Chiesa, il Santo padre ha ricordato che rientra tra le sue missioni ''dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano l'ordine politico quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime… utilizzando tutti e solo quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni''.



CERCASI FORCONE - Stazione Mir - Federico D'Orazio



E’ una notizia di oggi.

Gli Italiani, con una generosità ed un trasporto commovente, ci hanno donato un mare di soldi. Ricordo che i primi giorni dopo il terremoto, mentre dalla radio sentivamo per strada notizie della grande mobilitazione degli Italiani, gare a chi donava di più, ci siamo sentiti molto sollevati nel saperlo. E sinceramente commossi. Poi, immediatamente, ricordandoci di essere in Italia, e che il terremoto aveva colpito le case, le entità materiali, ma non le coscienze dei nostri politici, ci siamo chiesti: “ma non saranno un po’ troppi, tutti così subito, quando ancora non si sa bene che uso farne?”

La notizia di oggi, purtroppo, conferma che i timori non fossero mal riposti.

La Regione Abruzzo ha deciso di destinare una cospicua fetta delle donazioni degli Italiani di buon cuore a vantaggio del comune di Chieti.

Per chi non lo sapesse, ricordo che Chieti dista 90 Km da L’Aquila, e ricordo che non ha subito alcun danno dal terremoto che i disonesti si ostinano a chiamare “il terremoto d’Abruzzo”. Anche questa ostinazione mi ha sempre irritato ed insospettito. Il terremoto è dell’Aquila. Che è la seconda provincia più vasta d’Italia, e che quindi è anche la maggior parte d’Abruzzo.

Destinare fondi a Chieti, o Pescara, o andare oltre quei pochi comuni di Teramo che hanno subito danni con il terremoto DELL’AQUILA è un innegabile furto.

Compiuto a danno di due comunità: quella di chi in buona fede ha donato, e crede di aver assolto un compito anche oltre le proprie possibilità, ma soprattutto a danno della comunità aquilana tutta.

Che continua ad essere oggetto di sfruttamento politico, e di mistificazioni.

Breve riasssunto? volentieri.

- Sono stati rifiutati gli aiuti MONDIALI per la ricostruzione.

- Si è stilata una lista di beni architettonici (45) da far ristrutturare alle nazioni, ed ora non c’è nessun impegno formale e concreto alla ricostruzione per circa 39 di essi.

- Si è tentato di esportare l’Università Aquilana (e per fortuna, siamo riusciti a tenercela) verso altri lidi Abruzzesi, non a caso Chieti era la più caritatevole ad offrirsi volontaria ospite delle nostre facoltà.

- Pescara ha avuto il riconoscimento di zona franca urbana per un suo quartiere degradato quasi un anno prima dell’Aquila, dove i disoccupati stanno per diventare maggioranza (e vedremo se sarà silenziosa) e solo 15 sulle oltre 700 attività del centro storico hanno ricominciato a lavorare (13 di esse, comunque, fuori dal centro).

- Il nostro ospedale, UNICA STRUTTURA IN TUTTA L’AQUILA ASSICURATA (un mese prima del 6 aprile) CONTRO I DANNI DEL TERREMOTO ha ricevuto un indennizzo di 45 MILIONI di Euro per i danni subiti, e non mi risulta vengano spesi interamente per il suo adeguamento sismico, bensì anche buona parte di quel denaro è dirottato al risanamento delle casse della Regione ed evidentemente nemmeno sono sufficienti perché vogliono vendersi Collemaggio, pur sapendo di non poterlo fare. Per legge, non per decenza, che in quella non ci spera più nessuno.

- Da Luglio tutti ripagheranno i mutui,comprese le per case distrutte e/o inagibili a tempo indeterminato.

- Allo stesso tempo se non si strapperà l’ennesima elemosina dell’ultimo minuto, da Giugno si ritornano a restituire le tasse non versate al 100% più quelle per l’anno in corso. (Umbria e Marche restituiscono, dopo 12 anni di spospensione, il solo 40%, e poi mi vengono a dire che il Governo attuale pensa alla nostra dignità!) Sempre a questo proposito, dimostrando grande lungimiranza, il 24 Maggio si riuniranno Comune, Regione e parlamentari eletti in Abruzzo per discuterne. Prima, evidentemente, avevano troppe altre cose di cui occuparsi. (anche se, la Regione i suoi 42 giorni di ferie tra marzo e aprile se li è concessi)

-Migliaia di aquilani ancora oggi sono fuori da L’Aquila, in alberghi, caserme, case in affitto anche fuori regione, la popolazione assistita è di ben 48.000 aquilani su un totale di residenti di 72.000

-Dulcis in fundo, visto che pare che di soldi ce ne abbiamo pure troppi, e non sappiamo più come spenderli, li andiamo anche a regalare a Chieti. E dei 17 milioni che gli diamo, ben 11 provengono dalle VOSTRE tasche, dalle vostre donazioni.

Io non ho altre parole, anzi ne avrei. E per tutti. Ognuno ha la sua fetta di responsabilità per questo schifo di proporzioni semplicemente indecenti. Ognuno tra Governo, Comune, Regione e Provincia meriterebbe di essere sepolto sotto la sua montagna di merda laboriosamente guadagnata sul campo.

Dicevo, di parole ne avrei. Ma viene il momento in cui si preferisce alle parole i fatti:

CERCASI FORCONE


http://stazionemir.wordpress.com/2010/05/21/cercasi-forcone/




Intercettazioni, SKY ricorrerà presso le autorità competenti

L'azienda in quanto editore di SKY TG24 e di SKY.IT chiederà l'intervento di tutte le autorità internazionali competenti, compresa la Corte europea per i diritti dell'Uomo. Le nuove norme sarebbero un grave attacco alla libertà di stampa e di espressione



SKY Italia accoglie con grande preoccupazione le norme previste dal disegno di legge sulle intercettazioni approvate ieri dalla Commissione Giustizia del Senato.

Queste norme rappresentano un grave attacco alla libertà di stampa e di espressione, ma soprattutto costituirebbero una grande anomalia a livello europeo. Per questo motivo SKY, editore di SKY TG24 e di questo giornale online, chiederà un intervento a tutte le Autorità internazionali competenti, anche ricorrendo presso la Corte europea dei diritti dell'Uomo.

Il diritto a un’informazione completa è un diritto irrinunciabile per ogni cittadino, ma è anche un dovere fondamentale per ogni editore. Per questo motivo SKY TG24 e SKY.IT, che in questi anni hanno sempre cercato di compiere la propria missione con la massima professionalità e imparzialità, continueranno a lavorare avendo come unico scopo quello di fornire ai cittadini un’informazione obiettiva e più completa possibile.

"C’è grande preoccupazione per queste norme. - ha dichiarato il direttore di SKY TG24 Emilio Carelli
al periodico online della Fondazione Farefuturo - Se fossero approvate, si tratterebbe davvero di un pesante attacco alla libertà di stampa e alla libertà di espressione. E si tratterebbe, oltretutto, di una grave anomalia a livello europeo. Non a caso, Sky ha minacciato di ricorrere contro queste norme presso tutte le autorità competenti, anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo, se necessario. Il nostro impegno è e resta quello di informare i cittadini in maniera completa, obiettiva, imparziale. Ma se vogliamo continuare a farlo, non possiamo subire limitazioni di questo tipo. Intanto aspettiamo di vedere il testo definitivo. Ovviamente, auspichiamo un ripensamento".
"Sono d’accordo sulla difesa della privacy, - ha aggiunto il direttore - ed è vero che alcuni giornali negli ultimi mesi hanno esagerato, e hanno pubblicato intercettazioni prive di contenuti rilevanti. Però, ciò non toglie che va garantito il diritto di pubblicare tutto ciò che ha a che fare con reati importanti, come la corruzione, la mafia".



Ci vuole tutti zitti - Antonio Padellaro



20 maggio 2010

Il Senato mobilitato anche di notte: B. e la destra hanno fretta. Fino a 464.000 euro di multa per gli editori che pubblicano intercettazioni. Carcere per i giornalisti

Molti di noi hanno cominciato a fare i giornalisti spinti da un’ideale giovanile. Dicevamo a noi stessi: troverò le notizie che gli altri non hanno, racconterò le verità che gli altri non raccontano e, se ne vale la pena, rischierò pure la pelle. Come tutti gli ideali coltivati a vent’anni non sempre sono durati abbastanza e qualche volta la vita con le sue necessità materiali ha reso più astratto il nostro sogno di perfezione. Non è stato così per Fabio Polenghi il fotoreporter italiano caduto a Bangkok. Lui, come centinaia di altri giornalisti uccisi in prima linea, mentre cercavano di cogliere quella immagine o raccontare quella scena che nessun altro avrebbe pubblicato.

L’infamia di una legge sulle intercettazioni voluta da un tirannello borioso per nascondere certe sue vergogne e votata da parlamentari che si nascondono come ladri nella notte, consiste certamente nella violazione del diritto dei cittadini di sapere e del dovere dei giornali di informare, come ha detto
Ezio Mauronell’intervista a Silvia Truzzi. Ma c’è qualcosa che è forse peggio della soppressione di una libertà ed è la spinta alla rassegnazione, all’accettazione supina di un arbitrio. Negli anni abbiamo imparato a conoscere il personale di cui si serve il premier per le sue malefatte. Si tratta di gente che in cambio di denaro e poltrone si è venduta dignità e reputazione. Sono gli eunuchi del sultano, manutengoli sazi e appagati ma con il cruccio che non tutti siano ridotti come loro. Per esempio. Ci sono dei giornalisti che vogliono raccontare le risate degli sciacalli del terremoto o come un senatore si è venduto ai boss o l’affaire di un ministro a cui comprarono la casa sul Colosseo? Spezziamogli la penna, mettiamogli paura finché si convincano che l’unica informazione possibile in questo Paese è quella autorizzata dall’alto.

Naturalmente, è una violenza che non può essere accettata. Naturalmente, se la legge infame passerà, assieme ai tanti giornalisti liberi che ancora ci sono, noi del “Fatto” ricorreremo a tutte le forme possibili di disobbedienza civile. Lo diciamo ai nostri lettori ed è bene che lo sappiano gli eunuchi di Palazzo: non gli daremo tregua. Se per una fotografia c’è chi si fa ammazzare, per una notizia si può anche rischiare un po’ di galera.

LEGGI

Il bavaglio è al rush finale di Antonella Mascali e Sara Nicoli

Mauro: 'Adesso si muovano le grandi firme' di Silvia Truzzi

Intercettazioni: così il Fatto si opporrà al bavaglio di Peter Gomez

Da
il Fatto Quotidiano del 20 maggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2489566&title=2489566


Alle Tv un regalo da 2 miliardi


di Roberta Carlini
Tutti gli Stati Ue vendono le frequenze lasciate libere dal digitale terrestre. Unica eccezione: l'Italia che ha invece rinunciato al ricco business

Angela Merkel ha i suoi problemi con le casse europee, ma per quanto riguarda quelle tedesche può consolarsi guardando al tesoretto che si sta accumulando ai piedi della vecchia tv. All'asta pubblica partita da alcune settimane, gli operatori di telefonia mobile fanno la fila con il portafoglio in mano per aggiudicarsi le frequenze lasciate libere dal passaggio al digitale terrestre. Finora sono entrati 2,5 miliardi di euro, la previsione del governo è di chiudere con un incasso che tra i 4 e gli 8 miliardi. E i tedeschi non sono soli: dall'Europa agli Usa, il "dividendo digitale" fa gola a molti governi. Ma non al nostro, che ha deciso di dare quelle frequenze gratis alle televisioni. Rinunciando a un bel gruzzoletto che il bilancio pubblico poteva incassare "senza mettere le mani nelle tasche degli italiani", come ama dire Tremonti.

Secondo una stima della Commissione europea, il valore dello spettro liberato con lo switch-off è di 44 miliardi di euro. A tanto ammonta lo stimolo all'economia dell'Unione che si avrebbe se quelle frequenze fossero destinate allo sviluppo dell'Internet mobile. Una buona fetta della torta potrebbe andare ai governi, che hanno vari strumenti a disposizione per farsi pagare le frequenze (le aste, ma anche l'esazione di canoni). Senza contare le ricadute sociali positive: accessibilità a tutti della banda larga ad alta velocità e riduzione del digital divide. Per questo dalla Commissione viene un'indicazione per tutti gli Stati membri: aprite lo spettro alla telefonia mobile. E così hanno fatto, o stanno facendo, Germania, Olanda, Danimarca, Finlandia, Spagna, Svezia, Gran Bretagna, Francia. Seguendo l'esempio degli Stati Uniti, dove il governo federale ha incassato 19 miliardi solo per il 2009.

In Italia, niente di tutto questo. Il governo Berlusconi ha deciso di non trarre alcun vantaggio economico (pubblico) dal dividendo digitale. Eppure, alla vigilia dello switch-over, le potenzialità economiche dello spettro italiano erano già evidenti agli esperti del settore: una stima allargata ai possibili vari usi delle frequenze (fatta in uno studio del 2007 da Carlo Cambini, Antonio Sassano e Tommaso Valletti) valutava l'incasso potenziale per lo Stato in 2 miliardi di euro all'anno. Più di recente, un'analisi dello stesso Cambini, del Politecnico di Torino, nell'ambito del progetto Isbul dell'Autorità per le comunicazioni, ha calcolato il costo-opportunità delle frequenze: in pratica, si calcola il costo della rinuncia a quelle frequenze per un operatore tv e per uno di telefonia mobile. In questo contesto, viene fuori che 1 Megahertz di frequenze più o meno simili "vale" 4 milioni per l'uso di una tv digitale, 10 milioni per la telefonia. Ma è una stima super-prudente, avverte lo stesso Cambini, perché non tiene conto del valore del business che gli stessi operatori si attendono dallo sviluppo di quelle frequenze: molto più alto, come si vede ogni volta che viene fatta un'asta. Basta vedere quel che è successo in Germania, dove finora gli operatori hanno offerto per frequenze analoghe circa 40 milioni per Mhz.

Insomma le frequenze sono una miniera d'oro, che il governo, attraverso l'allora ministro Claudio Scajola e il viceministro Paolo Romani, ha deciso di non far fruttare. Infatti la gara a cui sta lavorando l'AgCom di Corrado Calabrò è riservata alle tv, e non è un'asta ma si chiama "beauty contest": non si chiede denaro a chi partecipa, ci si limita a dettare i requisiti che bisogna avere per poter ricevere il dono. Che sarà spartito tra Rai-Mediaset, Telecom Italia, e qualche new entry di contorno.