lunedì 31 maggio 2010

Fini e i “suoi” si giocano il futuro in sette giorni - Paolo Flores d'Arcais


il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2010


Cosa faranno i “finiani” da grandi, cioè nei prossimi giorni, quando si tratterà di approvare o bocciare la legge-golpe contro le libertà e la sicurezza degli italiani? L’onorevole Italo Bocchino, il ventriloquo più accreditato del presidente della Camera, e l’onorevole Augello, in odore di “più malleabile”, hanno manifestato soddisfazione dopo l’incontro con i pasdaran del Caimano, Alfano e Ghedini.

L’accordo infatti sarebbe stato raggiunto (nel mondo di Arcore il condizionale è obbligatorio) sulle seguenti modifiche: per i giornalisti che pubblicano intercettazioni (legali) solo (sic!) un mese di carcere, e anzi il diritto a pubblicarne riassunti (“quanto è buono Lei…”), e per gli editori ridotta la multa minima da 64 mi-la euro a 25 mila e quella massima da 465 mila a 300 mila.

Nulla di nuovo per i magistrati, invece, che alle intercettazioni efficaci per le indagini in sostanza dovranno rinunciare, come dichiara perfino un magistrato misuratissimo quale il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini. Con l’aggravante, anzi, dell’efficacia retroattiva, attraverso l’azzeccagarbuglio di una norma transitoria che secondo un altro magistrato misuratissimo, il presidente dell’Anm Luca Palamara, provocherà “un vero sterminio tra le inchieste in corso”.

La tattica di Berlusconi è fin troppo smaccata: dividere i giornalisti dai magistrati, qualche contentino ai primi e giro di vite senza pietà sui secondi. Come se la posta in gioco fossero i diritti (per B. disgustosi privilegi) di magistrati e giornalisti, anziché le libertà e la sicurezza dei cittadini. Libertà di essere informati, di non essere ridotti al black out sistematico sui fatti, come i sudditi del fascio o della nomenklatura brezneviana, e sicurezza che crollerebbe, con criminali di ogni risma cui la libertà dalle intercettazioni sarebbe vera manna di impunità e incentivo al delitto.

Per l’accoppiata Bocchino-Augello questo secondo aspetto della legge-golpe non sembra un problema, la parte su intercettazioni e magistrati va bene così. Ma così, cricche e stupratori, mafiosi e grassatori, sorridono e ringraziano. E infatti l’onorevole Granata, diversamente finiano, promette un altolà, magari alla Camera, proprio su questa seconda parte, sul “tana libera tutti” che suonerebbe per i delinquenti l’invereconda quantità di lacci e lacciuoli posti alla possibilità di efficaci “pedinamenti ” tecnologicamente aggiornati.

Qui non si tratta ovviamente di dedicarsi a ridicole sottigliezze politologiche sulle diverse “anime” della già troppo circoscritta “fronda” finiana. Ma chiunque capisce che la questione è di fondo: se davvero la scelta di Fini è ben rappresentata dalla soddisfazione querula e insopportabilmente pimpante con cui l’onorevole Bocchino ha difeso ad “Annozero” tutte le nefandezze ammazza-indagini della legge-golpe (neanche Ghedini avrebbe saputo fare di meglio – cioè di peggio, s’intende), anziché dalle perplessità e conseguenti altolà (sperando che non arrivino precisazioni a “passo del gambero”) dell’onorevole Granata, non si tratterà di una qualsiasi contingente preferenza del presidente della Camera per uno o l’altro dei suoi “bracci destri”.

Si tratterà di un’ipoteca sulla scelta esistenziale ed etica, e dunque più che mai politica, che su questi temi l’onorevole Fini alla fine dovrà fare, come tutti gli italiani del resto, tra due modelli nei rapporti tra eroismo e mafia: quello di Paolo Borsellino e quello di Vittorio Mangano. Su questi temi, infatti, “tertium non datur”, perché la zona grigia di una mancata scelta radicale, quali che siano gli argomenti addotti e la buonafede di chi li enuncia, ha sempre fatto comodo a mafie sempre meno solo kalasnikov e sempre più sofisticatamente intrecciate con attività finanziarie, cricche di appalti e ponziopilatismi della politica.

Sappiamo quale sia stata la scelta di Berlusconi. Coerente in ogni sua manifestazione, sia verbale che fattuale. Di Fini conosciamo quelle verbali, anche reiterate, che in politica però – se politica seria – contano zero. A partire da lunedì, quando la legge-golpe pro-crimine e contro le indagini sarà discussa e votata in aula al Senato, sapremo anche la sua scelta fattuale, che darà l’imprinting morale e il marchio politico al suo futuro e alla sua credibilità.


Scusate il ritardo - Marco Travaglio



30 maggio 2010
Con la dovuta calma, una decina d’anni di ritardo non di più, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e l’on. Walter Veltroni, membro dell’Antimafia, scoprono che le stragi del 1992-’93 furono “subappaltate a Cosa Nostra” per spianare la strada a “una nuova forza politica” (Grasso), a una “entità esterna” (Uòlter): una roba talmente misteriosa che l’ha intuita persino Cicchitto. E tutti a meravigliarsi, a scandalizzarsi, ad accapigliarsi sulla sconvolgente novità. Chi scrive lo disse in tv a Satyricon nel 2001 e lo scrisse conElio Veltri ne L’odore dei soldi, mentre decine di altri libri, in Italia e all’estero, giungevano alle stesse conclusioni. Per avermi consentito di dirlo, da 9 anniDaniele Luttazzi non può più lavorare in tv, né sotto la destra né sotto la sinistra. Intanto Grasso, da procuratore di Palermo, assieme al Csm estrometteva dal pool antimafia tutti i pm che indagavano su quella pista. E Veltroni, segretario Pd nel 2007-2009, elogiava Berlusconi “interlocutore indispensabile sulle riforme”, rivendicava il dovere di “non attaccarlo più” e poneva fine all’“éra dell’antiberlusconismo” (peraltro mai iniziata).

Si dirà: oggi ci sono novità, parlano
Ciancimino jr e Spatuzza. Nulla, però, al confronto delle sentenze che da anni immortalano i moventi delle stragi e della nascita di Forza Italia. Nel 1998, archiviando B. e Dell’Utri indagati a Firenze per concorso nelle stragi del 1993, il gip Soresina scrive che i due hanno “intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista”; esiste “un’obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa Nostra rispetto ad alcune qualificate linee programmatiche della nuova formazione (Forza Italia, ndr): 41 bis, legislazione sui collaboratori di giustizia, recupero del garantismo processuale asseritamente trascurato dalla legislazione dei primi anni ‘90”. Al punto che “l’ipotesi iniziale (il coinvolgimento di B. e Dell’Utri nelle stragi, ndr) ha mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità”. Nel 2001 la Corte d’Assise d’appello di Caltanissetta condanna 37 boss per la strage di Capaci e, nel capitolo “I contatti tra Riina e gli on. Dell’Utri e Berlusconi”, scrive che nel 1992 “il progetto politico di Cosa Nostra mirava a realizzare nuovi equilibri e nuove alleanze con nuovi referenti della politica e dell’economia”. Cioè a “indurre alla trattativa lo Stato ovvero a consentire un ricambio politico che, attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel passato le complicità di cui Cosa Nostra aveva beneficiato”.

Nel 2004 il Tribunale di Palermo condanna Marcello Dell’Utri a 9 anni per concorso esterno in mafia e scrive che nel ‘93 Provenzano “ottenne garanzie” che l’indussero a “votare e far votare per Forza Italia”, con cui aveva “agganci” pure il boss stragista
Bagarella. Garanzie fornite da Dell’Utri, che ha avuto “per un trentennio contatti diretti e personali” con Cosa Nostra svolgendo una “attività di costante mediazione tra il sodalizio criminoso piú pericoloso e sanguinario del mondo e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi, in particolare la Fininvest”, nonché una “funzione di ‘garanzia’ nei confronti di Berlusconi”. Nei “momenti di crisi tra Cosa Nostra e la Fininvest”, Dell’Utri media “ottenendo favori” dalla mafia e “promettendo appoggio politico e giudiziario”. Rapporti che “sopravvivono alle stragi del 1992-93, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla ‘vendetta’ di Cosa Nostra”. Forza Italia nasce nel ’93 da un’idea di Dell’Utri, il quale “non ha potuto negare” che ancora nel novembre ’93 incontrava Mangano a Milano, come risulta dalle sue agende, mentre era “in corso l’organizzazione del partito Forza Italia e Cosa Nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza politica”. Infatti Dell’Utri prometteva “alla mafia precisi vantaggi politici e la mafia si era vieppiù orientata a votare Forza Italia”. Ora lo scoprono pure Grasso e Uòlter. Non è mai troppo tardi. Ma che riflessi, ragazzi.

da Il Fatto Quotidiano del 29 maggio 2010