Abusi realizzati dopo la domanda: la prova nelle immagini dall’alto.
ROMA — «Il condono edilizio? Sarà leggero» minimizzava il 18 settembre 2003 Gianni Alemanno, allora responsabile dell’Agricoltura in un governo che si apprestava ad approvare la terza sanatoria delle costruzioni abusive. Una battuta infelice e azzardata, come l’ex ministro ha avuto modo di sperimentare personalmente una volta diventato sindaco di Roma. Eccoli gli effetti del condono light: un assaggio è nelle fotografie aeree pubblicate qui sotto. Sono la dimostrazione che la sanatoria voluta dal governo di Silvio Berlusconi nel 2003 potrebbe essere stata utilizzata in molti casi anche a regolarizzare preventivamente immobili che non esistevano.
CASI DA MANUALE - Osservatele bene, e fate attenzione alle date. Perché quelle potrebbero incastrare proprietari che hanno fatto domanda di condono prima ancora di tirare su i muri, mettere le tegole sul tetto, scavare il buco per la piscina. Parliamo di tre casi da manuale. Il primo, una costruzione in cima a uno stabile di via di San Vincenzo, a Roma, accanto alla Fontana di Trevi: dove nel 2004, come dimostrano gli scatti dall’alto, non c’era nulla. Valore economico di quegli 80 metri quadrati terrazzatissimi nel cuore della Capitale? Come almeno dieci appartamenti in periferia. Il secondo è stato scovato dall’obiettivo indiscreto fuori del Raccordo anulare, al Nord della città. Quattro costruzioni, come testimoniano le foto, apparse dal nulla nel 2005. Dal valore, pure qui, niente affatto trascurabile. Il terzo è anch’esso fuori del Raccordo, ma a Sud, in un’altra zona sulla quale sussistono vincoli di un piano territoriale paesistico: lì, su un’area che nel 2004 era libera da costruzioni, adesso c’è quella che sembra una villa con piscina. Inutile dire che in tutte le tre circostanze è stata presentata domanda di sanatoria come se l’abuso fosse stato commesso entro il termine previsto dalla legge per ottenere il beneficio: 31 marzo 2003.
CASI NON ISOLATI - Ma chi pensa si tratti di episodi isolati, si sbaglia di grosso. Sapete quante situazioni simili hanno scoperto i tecnici di Gemma, la società privata che gestisce dietro corrispettivo le pratiche del condono edilizio del Comune di Roma? Ben 3.713. Tremilasettecentotredici su 28.072, ovvero il numero di domande di condono edilizio esaminate nei primi quattro mesi di quest’anno. È il 13,2% del totale. E non è tutto. Perché alle 3.713 costruzioni tirate su dopo che la sanatoria era stata già approvato, bisognerebbe aggiungere le 6.503 realizzate, sì, entro il 31 marzo 2003, ma in aree soggette a vincoli di qualche genere. Oltre alle 2.099 spuntate come funghi addirittura nei parchi. Per un totale di 12.315 abusi, secondo Gemma, non sanabili. Vi chiederete: e lo scoprono adesso, dopo tutto questo tempo? Domanda più che legittima. Dall’inizio la situazione dei condoni edilizi a Roma è stata caratterizzata da storture e disfunzioni. C’è chi per esempio ha sempre criticato la scelta (fatta dalle giunte di centrosinistra) di affidare a un privato un compito così delicato: tanto più che in altre grandi città, come Milano, ci pensano gli uffici comunali. C’è chi invece l’ha sempre difesa, sottolineando l’abnorme numero di domande. Fino a un epilogo sconcertante. Alla fine di maggio il presidente e azionista di Gemma, Renzo Rubeo, ha deciso infatti di risolvere il contratto con il Campidoglio per inadempienza della controparte, rivendicando arretrati per svariati milioni di euro. Una iniziativa giunta al culmine di un rapporto che va avanti da dieci anni, fra molti attriti che l’hanno logorato. E in un contesto nel quale non sono mancati i risvolti giudiziari. Senza entrare nel merito di una vicenda con molti aspetti da chiarire (a cominciare dalla gestione del sistema informativo assegnato da anni sempre alla stessa ditta, un’altra, con proroghe continue senza gare) meglio far parlare i numeri. Decisamente allucinanti.
ILLEGALITÀ - Le domande di condono edilizio presentate nel solo Comune di Roma sono circa 597 mila. Per avere un’idea del tasso di illegalità, è come se un cittadino romano su 4,2 residenti avesse chiesto di sanare un abuso. Ben 417 mila domande riguardano la prima sanatoria, quella del 1985, 94.688 la seconda (del 1994) e oltre 85 mila la terza (del 2003). Ebbene, di tutte queste pratiche ne restano ancora da smaltire 210 mila. Ben 130 mila sono arretrati del condono 1985, circa 25 mila di quello 1994 e il resto riguarda l’ultimo: forse il più devastante dei tre. Perché se il primo «perdono» edilizio voluto dal governo di Bettino Craxi è arrivato in una situazione nella quale molti Comuni erano ancora senza piano regolatore e ha sanato in larga misura piccoli interventi, e se il secondo (governo Berlusconi) ha salvato prevalentemente villette e seconde case, il terzo (ancora Berlusconi) potrebbe aver consentito di regolarizzare abusi ancora prima che venissero commessi, magari in zone protette. Insomma, una specie di licenza di costruire in deroga a tutte le norme urbanistiche.
DALL'ALTO - Peccato soltanto che nel 2003 esistessero già i sistemi di rilevazione aerea che avrebbero consentito agevolmente di scoprire le carognate. Bastava volerlo. Qualche mese dopo l’approvazione della legge il ministro dell’Ambiente Altero Matteoli ammonì: «Al ministero abbiamo delle cartografie dove è fotografata tutta l’Italia e possiamo vedere anche la più piccola costruzione che c’era prima del 31 marzo 2003. Se uno richiede un condono e c’è un’amministrazione attenta può non concederlo». Come e se siano state usate quelle foto, però non si sa. Di certo non è successo a Roma. Gemma ha utilizzato le rilevazioni di uno «scatto» aereo del 2003 comprato sul mercato e ha successivamente integrato la sua attività con una società specializzata comprata dal gruppo Iri, la Italeco. Ma anche il Comune di Fano, prima che il governo approvasse la sanatoria, fece fotografare da un aereo tutto il proprio territorio, alla scopo di prevenire eventuali furbetti. Non si sarebbe potuta fare ovunque la stessa cosa? Per evitare almeno che il condono edilizio, già indecente, diventasse ripugnante.
15 giugno 2010