martedì 13 luglio 2010

Ddl intercettazioni: per l'Onu va abolito o modificato




"Se adottato nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto alla libertà di espressione", sostiene l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Il ministro degli Esteri Frattini: "Sconcertante".



Il governo italiano deve "abolire o modificare" il progetto di legge sulle intercettazioni perché "se adottato nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto alla libertà di espressione in Italia".

Lo ha detto il relatore speciale dell'Onu sulla liberta' di espressione, Frank La Rue in un comunicato.

La Rue ricorda che, "secondo l'attuale disegno di legge, chiunque non sia accreditato come giornalista professionista può essere condannato a quattro anni di carcere per aver registrato una comunicazione o conversazione senza il consenso della persona coinvolta e per aver poi reso pubblica tale informazione".

Secondo La Rue, "tale grave pena minerà in modo serio tutti i diritti individuali di cercare e diffondere un'informazione imparziale, in violazione del Convenzione internazionale sui diritti civili e politici di cui l'Italia è parte".

Preoccupazioni anche per l'introduzione di una sanzione per giornalisti ed editori che pubblichino il contenuto di intercettazioni prima dell'inizio di un processo.

"Tale punizione -prosegue il relatore Onu - che include fino a 30 giorni di carcere e un'ammenda fino a 10.000 euro per i giornalisti e 450.000 per gli editori è sproporzionata rispetto al reato".

Secondo La Rue, "queste norme possono ostacolare il lavoro dei giornalisti investigativi su materie di interesse pubblico, come la corruzione, data l'eccessiva lentezza dei procedimenti giudiziari in Italia, e come sottolineato più volte dal Consiglio d'Europa".

"Sono consapevole - conclude il relatore speciale Onui - che il disegno di legge è stato avanzato per preoccupazioni sull'implicazione della pubblicazione delle intercettazioni sui procedimenti giudiziari e sul diritto alla privacy.

Tuttavia, il disegno di legge nella sua forma attuale non costituisce una risposta appropriata a tali preoccupazione e pone minacce al diritto alla libertà d'espressione".

La Rue, ricordando anche le proteste dei giornalisti, esorta il governo ad "astenersi dall'adottare questo disegno di legge nella forma attuale, e di impegnarsi in un dialogo con tutte le parti in gioco, in particolare con i giornalisti e i media, per assicurare che le loro preoccupazioni siano tenute da conto".

La Rue si dice "ansioso" di cooperare con il governo italiano, in vista di una "possibile missione di sopralluogo nel 2011 per esaminare la situazione della libertà di stampa e il diritto di espressione in Italia".

La reazione di Frattini - Il ministro degli Esteri Franco Frattini si è detto oggi "sconcertato" dalla posizione espressa riguardo al ddl intercettazioni da Frank La Rue, esperto Onu in tema di libertà di espressione, che ha detto che il provvedimento potrebbe limitare la libertà di espressione e le indagini sulla corruzione.

"Il processo mediatico è una barbarie. Non un principio di diritto" – ha detto Frattini – "In tutti i paesi liberali e democratici del mondo non è consentito alla pubblica accusa di divulgare prima della sentenza definitiva elementi di indagine che devono restare segreti". "Questo - ha spiegato il responsabile della Farnesina - per la semplice ragione che, in democrazia, si tutelano anche i diritti degli indagati. Il processo mediatico è una barbarie, non un principio di diritto", ha così ribadito il ministro.





Il giorno dell'Udienza sul "Lodo Alfano", si incontrano al bar dell'Hotel Eden di Roma, da sinistra, Marcello Dell'Utri, Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martini.





Piovono rane di Alessandro Gilioli




Toghe azzurre – e pure un po’ sporche



Il presidente della Corte di Cassazione – mica un pretore di Peretola – ma anche il capo della procura di Firenze, alcuni vertici del Csm e perfino giudici costituzionali.

A leggere i verbali sul cenacolo di gentiluomini che gravitava attorno a Flavio Carboni si scopre che – dopo 15 anni di strilli sulla “magistratura politicizzata” – in effetti parecchi giudici importanti erano pappa e ciccia con i politici.

Peccato che fossero i politici di Berlusconi.


http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/07/13/toghe-azzurre-e-pure-un-po-sporche/


La “cricca” delle toghe e il silenzio della stampa di regime


di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2010


Chissà che fine han fatto gli inventori di fortunate cazzate tipo l’“uso politico della giustizia” o la “magistratura politicizzata”. Gli Ostellini, i Panebianchi, i Sergiromani, i Pigibattista, los Politos, i Gallidellaloggia e i Pollidelbalcone sono letteralmente scomparsi, proprio ora che gli allegri conversari chez Vespa e chez Verdini dimostrano che l’uso politico della giustizia esiste eccome. Solo che lo fanno il governo e i suoi manutengoli.

Il colore delle toghe politicizzate è l’azzurro-Verdini, il marron-Dell’Utri, il nero-Carboni/Carbone, come nella Prima Repubblica era il bianco-Andreotti, il rosé-Craxi, il grigio-Previti, il giallo-Gelli. Battaglioni di giudici furono trovati nelle liste della P2 o sul libro paga di Cesarone. Insabbiavano inchieste, aggiustavano processi, compravendevano sentenze, annullavano condanne di mafiosi per un timbro un po’ fané. Eppure – anzi proprio per questo – mai un’ispezione ministeriale, un’azione disciplinare, una convocazione al Csm, un dossier dei servizi, un attacco dalla stampa di regime.

Queste persecuzioni spettavano di diritto ai giudici davvero indipendenti, bollati e perseguitati come “pretori d’assalto” e “toghe rosse”. Ora la storia si ripete, nella beata indifferenza dei garantisti da riporto e dei pompieri della sera. La signora Augusta Iannini in Vespa, collaboratrice di governi di destra e sinistra, apparecchia cene per il premier plurimputato B., il banchiere plurimputato Geronzi, il sottosegretario indagato Letta e cardinali assortiti, ma la cosa non sembra interessare il Csm che dovrebbe tutelare l’indipendenza della magistratura non solo dalle minacce esterne, ma dagli inciuci interni.

Vincenzo Carbone, fino al mese scorso primo presidente della Cassazione, fu nominato dal Csm sebbene insegnasse da anni all’Università di Napoli con doppio stipendio all’insaputa dell’organo di autogoverno: ora si scopre pure che dava del tu al traffichino del clan Carboni, il geometra avellinese Pasqualino Lombardi, che lo apostrofava “preside”, gli chiedeva di anticipare l’udienza su Cosentino, gli preannunciava telefonate di Letta e avvertiva gli amici che “con quello lì stamo a posto”. Lui, come si conviene agli alti magistrati, rispondeva “statte bbuono” e all’alba dei 75 anni s’interrogava: “Che faccio dopo la pensione?”. Pasqualino Settebellezze lo rassicurava: “Tranquillo, ne sto parlando con l’amico di Milano”. Ancora una settimana fa Carbone era candidato alla Consob.

Uno come Lombardi che in un altro paese faticherebbe a entrare in un bar sport discettava con gran familiarità della sentenza sul lodo Alfano col presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli, detto “o’ professo’”: “La donna della Consulta è amica sua, possiamo intervenire su questa signora? Mi stanno mettendo in croce gli amici miei, che poi sono anche amici suoi…”. E garantiva sul voto di Mancino, vicepresidente del Csm, per la nomina di Marra detto “Fofo’” a presidente della Corte d’Appello di Milano. Missione compiuta. Marra si riuniva chez Verdini con i faccendieri Carboni e Lombardi e i giudici Martone e Miller, quest’ultimo capo degli ispettori ministeriali che da anni perseguitano i pm dipinti come politicizzati proprio perché non lo sono. Ieri Martone ha finalmente lasciato la toga dopo aver presieduto addirittura l’Anm.

Ora si spera che il Csm vicepresieduto da Mancino accompagni alla porta anche Marra e Miller, e reintegri al loro posto De Magistris, la Forleo e i pm salernitani Nuzzi, Verasani e Apicella. Già perché questi giudici onesti sono stati sterminati l’uno dopo l’altro dagli ispettori (Miller), dalla Procura della Cassazione (Martone) che attivava le azioni disciplinari, dal Csm (Mancino e Carbone) che condannava e dalle Sezioni Unite (ancora Carbone) che confermavano le condanne.
Ora l’Anm cade dal pero e ammonisce: “Non vogliamo magistrati contigui al potere”. Che riflessi, ragazzi. Che faceva l’Anm mentre il plotone di esecuzione delle toghe contigue al potere fucilava quelle non contigue al potere, a parte applaudire i fucilatori?

(13 luglio 2010)