sabato 4 dicembre 2010

Un Articolo21-bis per Internet. - di Stefano Rodotà.




Perché proporre una modifica della Costituzione che sancisca il diritto di accedere a Internet? E’ davvero necessario muoversi in questa direzione? E’ una astuta operazione di marketing sollecitata da Wired? E’ una mossa inutile, poiché già le norme costituzionali vigenti comprendono questa ipotesi, come fa l’art. 21 parlando del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione? E’ una mossa inutile, perché già l’art. 53 del Codice delle comunicazioni elettroniche comprende il servizio universale? E’ una proposta riduttiva, considerando solo il digital divide? E’ una iniziativa pericolosa, perché mette le mani proprio su quella prima parte della Costituzione che si vuole difendere da ogni attacco?

Domande tutte legittime, e che aiutano a chiarire meglio il senso dell’iniziativa. Ricordo anzitutto che il tema è ormai al centro di una attenzione davvero planetaria. Diversi paesi hanno già dato riconosciuto il diritto di accedere a Internet come diritto fondamentale della persona con una varietà di strumenti - costituzioni (Estonia, Grecia, Ecuador), decisioni di organi costituzionali (Conseil Constitutionnel, Francia), legislazione ordinaria (Finlandia) -; il piano Obama contiene una significativa reinterpretazione del servizio universale; l’Unione europea e il Consiglio d’Europa si sono già espressi in questo senso; proprio in questo momento se ne discute intensamente in rete. Si potrebbe continuare, ma queste citazioni bastano per smentire la tesi che l’iniziativa italiana sia solo una operazione di facciata o di marketing. E’, invece, la via per connettere la discussione italiana con quella globale.
Il fatto, poi, che in Italia si possa già fare riferimento a norme costituzionali o ordinarie non è considerazione di per sè risolutiva. Al contrario, abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a continue incursioni che considerano Internet come un territorio dove si possano mettere impunemente le mani, nella sostanza negando proprio che si tratti di materia già accompagnata da una adeguata copertura costituzionale. Se la proposta di un articolo aggiuntivo spingerà ad una reinterpretazione dell’art. 21 e ad una estensione della garanzia costituzionale, non sarà un risultato da poco.
Toccare la Costituzione? Bisogna intendersi. Quando si è modificato l’art. 51, per promuovere le pari opportunità tra donne e uomini, nessuno ha manifestato preoccupazioni, perché in questo modo si sviluppava la logica propria della prima parte della Costituzione. Esattamente il contrario delle pericolose iniziative che vorrebbero cancellare il riferimento al lavoro dall’art. 1, liberare il mercato dall’obbligo di rispettare sicurezza, libertà, dignità, e simili regressioni culturali e civili. La proposta di un art. 21-bis, invece, va proprio nella direzione di ribadire e espandere i principi costituzionali riguardanti l’eguaglianza e la libera costruzione della personalità. Non a caso alcune espressioni vengono dritte dall’art. 3.
Non solo una proposta sul digital divide, dunque. Anzi, l’apertura verso un diritto ad Internet rafforza indirettamente, ma in modo evidente, il principio di neutralità della rete e la considerazione della conoscenza in rete come bene comune, al quale deve essere garantito l’accesso. Per questo è necessario affermare una responsabilità pubblica nel garantire quella che deve ormai essere considerata una precondizione della cittadinanza, dunque della stessa democrazia. E, in questo modo, si fa emergere anche l’inammissibilità di iniziative censorie.
Proprio per indirizzare la discussione pubblica in questa direzione è necessario mettere sul tavolo carte adeguate. Solo se cresce la consapevolezza che siamo di fronte ad un diritto fondamentale della persona è possibile contrastare le logiche securitarie e mercantili che restringono il diritto a Internet. I decreti Pisanu e Romani, la pretesa dell’Agicom di regolare in via amministrativa e restrittiva l’essenziale questione del diritto d’autore hanno a loro fondamento una cultura che ritiene che le materie legate a Internet non siano accompagnate da garanzie adeguate, smentendo così nei fatti la tesi che le norme già esistenti offrano tutte le necessarie tutele. Un dialogo tra le norme esistenti e una loro formale estensione al mondo della rete farebbe avanzare nel suo insieme tutto il fronte dei diritti.
Quel che serve, allora, è una modifica dell’agenda politica in questa fondamentale materia. La proposta di una innovazione costituzionale va in questa direzione. E non costituisce una rinuncia alla più generale prospettiva di un Internet Bill of Rights, di una Costituzione per Internet. Chi ha seguito questa discussione, chi ha acquisito la consapevolezza che Internet promuove una logica costituzionale nuova, sa che si è entrati in una dimensione dove si intrecciano soggetti, livelli e tempi diversi. La garanzia dei diritti in rete non nasce né da un solo luogo, né da una sola iniziativa. E’, e soprattutto sarà, l’esito di un processo continuo, forse ininterrotto, alimentato da molteplici attori, con modalità diverse anche se convergenti verso lo stesso obiettivo. Un modo per essere coerenti con la natura della rete, e esaltarne la ricchezza.

"Condividiamo la riflessione e l'iniziativa di Stefano Rodotà ed è per questo che a partire dalla giornata di oggi cominceremo una raccolta di firme sul nostro giornale on line a sostegno della proposta di integrazione dell'articolo 21 della Costituzione perchè siamo convinti che in un Paese tra l'altro inquinato dal conflitto di interesse la libertà della rete, alla pari di quella degli altri media deve essere un principio garantito costituzionalmente". Lo affermano Stefano Corradino e Giuseppe Giulietti, direttore e portavoce di Articolo21.

La libertà di stampa dopo wikileaks - di Stefano Corradino*

http://www.articolo21.org/2183/notizia/un-articolo21bis-per-internet-.html


Governo, Verdini: “Delle prerogative del Capo dello Stato ce ne freghiamo”


Bocchino: "Confermato disprezzo del Pdl di ogni regola". Poi il coordinatore smentisce: "Intendevo politicamente, non volevo mancare di rispetto"

L’ex repubblicano Denis Verdini per rispondere al Capo dello Stato rispolvera il fascistissimo motto “Me ne frego”. Il coordinatore del Pdl, infatti, ha così ribattuto a Giorgio Napolitano che, dopo una giornata trascorsa ad assistere dal Colle a un botta e riposta a distanza tra Fini e Berlusconi sugli scenari del dopo 14 dicembre, si è visto costretto a intervenire: “La polemica non oscuri le prerogative del capo dello Stato”. E Verdini ha commentato: “Noi sappiamo che le ha ma ce ne freghiamo”. Mai prima d’ora la maggioranza aveva ribattutto con toni così duri al Quirinale. La settimana di sospensione dei lavori del Parlamento si annuncia carica di nervosismo e scontri frontali. Contro tutto e tutti, Napolitano compreso.

Verdini dunque ha solo aperto le danze. Dal palco di un comizio a favore del Governo a Prato è sbottato, fra gli applausi dei presenti: “Noi sappiamo che in caso di caduta del Governo il Capo dello Stato ha le sue prerogative”, ha detto. “Lo sappiamo benissimo che funziona così. Ciò che non sappiamo e non vogliamo capire, e che non ci piace per niente, è che il Capo dello Stato, nelle sue prerogative, possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni, Berlusconi e Bossi, e si mandi al governo chi le ha perse, Casini e Bersani. E su questo si innesca una polemica perché noi andiamo a toccare le prerogative del capo dello Stato. Noi sappiamo che le ha ma ce ne freghiamo, cioè politicamente riteniamo che non possa accadere questo. Anche i partiti hanno le loro prerogative. Ricordate che dal 1994 da quando c’è questo sistema, nessun Capo dello Stato si è mai sognato di affidare il Governo a qualcuno di diverso da chi aveva vinto le elezioni, fosse questi Prodi o Berlusconi. L’incarico lo ha dato a chi le elezioni le ha vinte. Voglio vedere: come fa se cade il Governo a dare l’incarico a chi le elezioni le ha perse?”.

Napolitano si era visto costretto ad intervenire a seguito di alcune dichiarazioni di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera, nel pomeriggio, ribattendo a Berlusconi che aveva detto che il terzo Polo non esiste, ha sottolineato che “governare non vuol dire comandare”, concludendo con una frase sibillina: “Il Capo dello Stato sa cosa fare”. Napolitano si è limitato a ricordare il rispetto per le prerogative che la Costituzione attribuisce al Colle, quindi rivolgendosi al leader di Fli più che al Governo. Ma Verdini è partito all’attacco. “Noi ce ne freghiamo”.

Immediate le reazioni. Per Italo Bocchino, capogruppo alla Camera di Fli, “la dichiarazione di Verdini conferma l’assoluto disprezzo del Pdl per ogni regola, ed è ancor più grave perchè è relativa alle prerogative che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato”. Aggiunge Silvano Moffa di Fli: “In un momento così delicato della vita politica del Paese, è assurdo che esponenti politici perdano il senso delle istituzioni dimenticando il ruolo fondamentale rappresentato dal Capo dello Stato, il quale non può essere esposto a offese gratuite, nè condizionato da interessi di parte”. Per Leoluca Orlando, portavoce dell’Italia dei Valori, “da Verdini arriva uno schiaffo alla Carta e un vocabolario nonché un atteggiamento di stampo fascista. Verdini – aggiunge – è l’emblema di questa classe politica arrogante e indegna: se ne vadano tutti a casa”.

Dal Partito Democratico arriva la nota del segretario, Pierluigi Bersani. “Le parole di Verdini sono vergognose e di una gravità inaudita. La smentita è peggio delle affermazioni precedenti. La squadra di Berlusconi sta perdendo la testa. L’Italia deve uscire al più presto da questa situazione”. Ed Enrico Letta ha aggiunto: “Il Pdl smentisca senza se e senza ma le parole di Verdini, che costituiscono una grave rottura dell’equilibrio istituzionale in un momento così delicato, e tenga presente che la situazione è ancora nei binari istituzionali solo grazie all’azione del presidente Napolitano. E che questa azione, sempre svolta nell’interesse del Paese, sarà determinante per la gestione della crisi che la testardaggine di Berlusconi renderà inevitabile dopo il 14 dicembre”. E la smentita è arrivata direttamente da Verdini.

La nota arriva dopo le 22. “Poiché assistiamo al solito gioco di strumentalizzare e sintetizzare fino all’estremo parole pronunciate all’interno di un lungo e articolato discorso, estrapolandone solo alcune fino al punto da distorcerne il senso, intendo chiarire quanto segue a beneficio dei giornalisti e di chi, come il solerte Bocchino, ha già cominciato a stracciarsi le vesti: non ho mai né pensato, né a maggior ragione detto che noi ce ne freghiamo delle prerogative del capo dello Stato”, scrive Denis Verdini. “Ho spiegato che ce ne ‘freghiamo politicamentè, nel senso che se la Costituzione riconosce al Presidente della Repubblica il diritto di seguire il percorso che ritiene più giusto, altrettanto la Carta suprema riconosce ai partiti, che nello specifico hanno il diritto di chiedere, anche a gran voce, di non escludere da un eventuale governo chi ha stravinto le elezioni. Ciò ho detto e ribadisco – conclude – senza mai aver avuto l’intenzione di mancare di rispetto al capo dello Stato nè di disconoscerne le sue prerogative”.