Caso Unipol, no archiviazione per Silvio. Dovrà spiegare la sua posizione.

berlusconi rabbuiato 304

Il gup di Milano Stefania Donadeo ha respinto la richiesta di archiviazione nei confronti di Silvio Berlusconi presentata dalla procura nell'ambito del procedimento sulla pubblicazione sul quotidiano “Il giornale” della telefonata tra Giovanni Consorte e Piero Fassino. Il gup ha fissato un'udienza il 16 luglio prossimo per discutere la posizione del premier in relazione all'accusa di rivelazione in segreto d'ufficio. Il giudice aveva 3 strade di fronte alla richiesta di archiviazione: archiviare la posizione di Silvio Berlusconi, disporne l'imputazione coatta chiedendo alla procura di fare nuove indagini oppure, e questa è stata l'opzione prescelta, fissare un'udienza per chiarire la posizione del premier.



Pdl accelera sulla legge bavaglio In calendario già a fine luglio.


Una ripresa del disegno di legge sulle intercettazioni messo a punto dal governo. Già da luglio, se possibile. E’ stata questa la richiesta formulata dal Pdl e accolta dalla Conferenza dei capigruppo di Montecitorio che si è svolta oggi pomeriggio. La discussione è prevista in calendario come quarto punto per l’ultima settimana del prossimo mese. Ma non è detto che il testo verrà votato nella stesso periodo, considerata la probabile coincidenza con la manovra finanziaria. L’esame potrebbe dunque slittare, anche alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva. Nonostante il tentativo di accelerazione, il Pdl ha lasciato intendere di non avere eccessiva fretta. “Potremmo esaminare il ddl anche la prima settimana di agosto o a settembre – spiega il capogruppo del partito Fabrizio Cicchitto -. Dipenderà dalla logica dei lavori parlamentari”. E dall’opposizione, contraria al ddl come all’accelerazione della sua discussione. “Se non abbiamo votato il calendario è proprio per questo – spiega il capogruppo del Pd Dario Franceschini -, anche se mi pare difficile che alla fine si voti prima dell’estate”.
“Le intercettazioni sono uno strumento indispensabile per l’accertamento dei reati”, è la pronta risposta del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara. Che sottolinea come le preoccupazioni e le proposte di riforma dell’esecutivo sul tema giustizia dovrebbero essere indirizzate verso altre priorità. “La giustizia ha altre urgenze – specifica – e cioè un processo che si svolga in tempi ragionevoli”. “Altra questione – conclude Palamara – riguarda la pubblicazione (delle intercettazioni, ndr), che comunque non va legata a singole vicende processuali”. D’accordo con i magistrati è il capogruppo Idv, Massimo Donadi. Secondo cui ”il governo, al posto di pensare a censurare l’informazione e a impedire la pubblicazione delle intercettazioni, pensi a combattere la corruzione ed il malaffare”. Una lotta contro “mafie e criminali” per cui le intercettazioni sono “indispensabili”. Il parlamentare Idv si comunque detto certo della non riuscita del ddl in Parlamento. “Berlusconi, la Casta e le cricche si rassegnino”, conclude.

Il testo dal quale il Pdl vorrebbe ripartire è quello già all’esame dell’Aula di Montecitorio e che è stato approvato dal Senato il 10 giugno del 2010. La commissione giustizia alla Camera aveva poi licenziato lo stesso documento nel luglio dello scorso anno. Solo dopo un lungo braccio di ferro tra finiani e berlusconiani, che aveva avuto tra i suoi protagonisti soprattutto la presidente della commissione,Giulia Bongiorno. Tra i punti principali del ddl, la pubblicazione delle intercettazioni solo se “rilevanti”. Ma anche le proroghe di 15 giorni per gli ascolti, la apossibilità di collocare ricetrasmittenti anche in automobili e uffici, sanzioni per editori ridotte, carcere per le ‘talpe’ delle Procure e per chi fa registrazioni in maniera ‘fraudolenta’. Al di là dei tempi di approvazione del disegno, ”che venga approvato tenendo fermo l’impianto varato in commissione – ipotizza Cicchitto – mi sembra abbastanza probabile”.




Voli blu, è spreco record. - di Gianluca Di Feo



Due nuovi super elicotteri per Berlusconi: 50 milioni di euro l'uno, tutti pagati dai contribuenti. Più di trenta aerei a disposizione del governo, sempre a spese nostre. E 8.500 ore di volo nel 2010, il massimo di sempre: per soddisfare ogni capriccio di ministri, viceministri e sottosegretari. Ecco tutti i numeri della vergogna.

Il regalo potrebbe venire consegnato a fine settembre, giusto in tempo per festeggiare il suo settantacinquesimo compleanno: un dono coi fiocchi, degno dell'anniversario speciale. Anche perché a pagarlo saranno tutti gli italiani, che hanno contribuito ad acquistare il nuovo elicottero presidenziale di Silvio Berlusconi. Alla faccia dei tagli e del rigore, sulla pista di Ciampino atterrerà uno sfavillante Agusta-Westland Aw-139 con interni in pelle e optional hi-tech: la nuova ammiraglia del trasporto di Stato. Un gioiello potente, silenzioso, sicuro e lussuoso che offre a cinque passeggeri il meglio del meglio, dall'aria condizionata agli schermi al plasma. E il Papi One non resterà solo: confermando la passione del Cavaliere per le gemelle emersa dall'inchiesta sul bunga bunga, nel giro di qualche mese sarà raggiunto da una seconda fuoriserie dei cieli. Un altro Aw-139, con lo stesso sfarzo e qualche poltrona in più per addolcire le trasferte di governo con lo staff di consiglieri (e spesso segretarie molto particolari). La coppia di macchine dovrebbe costare intorno ai 50 milioni di euro, ma il contratto è stato abilmente nascosto nei bilanci, come accade per tutta la contabilità dei jet di Stato diventati il privilegio supremo della politica.

Potersi imbarcare sugli aerei blu è lo status symbol numero uno, con la corsa di ministri e sottosegretari a prenotare decolli illimitati. Nel 2010 lo stormo che si occupa delle trasferte governative ha bruciato quasi 8.500 ore di volo, segnando un nuovo record dello spreco di denaro pubblico: è come se ci fosse stato un velivolo sempre in cielo, notte e giorno, senza sosta per un intero anno. Un viaggio ininterrotto lungo 365 giorni: quanto basta per andare su Marte e tornare indietro. Un paragone ridicolo? Anche i nostri politici spesso ordinano missioni assurde: «Per due volte un membro dell'esecutivo ha preteso un jet che lo portasse da Milano Linate a Milano Malpensa. Il Falcon è partito da Roma Ciampino, è atterrato a Linate per caricare l'autorità e ha compiuto la trasferta di cinque minuti per poi rientrare nella capitale. Una spesa senza senso solo per assecondare i capricci di un ministro», racconta a "l'Espresso" un alto ufficiale dell'Aeronautica.

La manovra che riesce meglio ai ministri è proprio quella che ogni weekend li fa atterrare accanto a casa. Mentre il costo di questi sfizi d'alta quota resta un mistero, protetto dai burocrati di casta. Il valore commerciale delle ore di volo - ossia quello che si pagherebbe per noleggiare gli stessi aerei da una compagnia privata - è di oltre 100 milioni di euro l'anno. Ma sull'amministrazione pubblica pesano soltanto carburante, ricambi e manutenzione per un totale che dovrebbe comunque superare i 60 milioni.

Non solo: i politici viaggiano due volte a sbafo. Palazzo Chigi si dimentica di rimborsare le somme spese dall'Aeronautica. E non si tratta di cifre secondarie: lo studio della Fondazione Icsa, il più importante think tank italiano di questioni strategiche, mostra un debito di ben 250 milioni di euro. L'analisi presentata dal generale Leonardo Tricarico, ex comandante dell'aviazione ed ex consigliere di Berlusconi, evidenzia come in un decennio la presidenza del Consiglio si sia lasciata alle spalle una montagna di quattrini anticipati dai militari per le trasferte ufficiali e le gite dell'esecutivo. Solo lo scorso anno l'Aeronautica si è accollata 25 milioni di euro per i viaggi a scrocco; nel 2009 sono stati 23 milioni e nel 2008 altri 20, quasi tutti sborsati dopo il ritorno di Silvio al potere. Il primato risale al vecchio esecutivo del Cavaliere, con i 30 milioni regalati nel 2004 per i decolli frenetici della campagna elettorale delle Europee che videro il trionfo del centrodestra.

Ma queste somme rappresentano soltanto una parte dello sperpero alimentato dagli habitué dei voli blu: sono l'extra dell'extra. Ogni dicembre la Difesa preventiva uno stanziamento molto frugale per l'anno successivo, assecondando i buoni propositi di Giulio Tremonti: per il 2011 sono stati ipotizzati 4 milioni. Una cifra beffarda, che basta appena per qualche mese di combustibile. Così a giugno si rifanno i calcoli e si cerca di ripianare le fatture per lo sfrecciare dei politici alati. Che sono più veloci dei fondi e si lasciano una scia di euro bruciati oltre tutti i limiti. Nel 2009 ci sono state 1.963 "missioni di Stato": più di cinque al giorno, includendo sabati e domeniche. Un attivismo impressionante, proseguito nel primo trimestre 2010 con altre 486 spedizioni. Impossibile decifrare quale sia stata la spesa globale: si ritiene che nell'ultimo decennio abbia superato di gran lunga gli 800 milioni.

Oltre ai dieci jet extralusso del 31 stormo (3 Airbus e 7 Falcon), vengono destinati ai voli dei sottosegretari e dei ministri quasi venti Piaggio P180, le "Ferrari dei cieli" con motori a turboelica. Invece quello degli elicotteri invece era un tasto dolente per i baroni volanti. Il vecchio Sikorsky presidenziale, con sobrie poltrone di pelle e interni di radica, a Silvio non piaceva proprio: troppo rumoroso, senza comfort, niente tv né musica. E' in servizio da oltre 25 anni e per quanto il presidente Obama usi lo stesso modello, il nostro premier non c'è mai voluto salire: va bene per il papa, come navetta tra il Vaticano e Castel Gandolfo, non per il Papi. E forse quell'icona della Madonna nel salotto di bordo che veglia sui passeggeri - voluta da Karol Wojtyla - non si addice all'allegra comitiva femminile che spesso accompagna il Cavaliere. Così Berlusconi è ricorso al "ghe pensi mi": ha continuato a volare con il suo elicottero privato, un Agusta Aw139 della flotta Fininvest, spazioso, comodoso e con gadget hi-tech. Il mezzo è del Biscione, ma dal 2008 le spese le ha pagate la presidenza del Consiglio, ossia i cittadini: ogni spostamento è diventato volo di Stato a carico nostro.

La questione però è stata affrontata e risolta, in gran segreto. Il governo ha comprato due Aw139 ancora più moderni, più lussuosi e più ricchi di optional di quello del Biscione. Tutto in silenzio, forse per non suscitare le ire di Tremonti. Un anno fa, il ministro Elio Vito, rispondendo ad alcune interrogazioni parlamentari presentate dopo un articolo de "l'Espresso" sull'aumento del budget per i voli blu, disse sibillinamente: «Di quei fondi, 31,3 milioni sono destinati a investimenti». Che significa? Mistero. Il bilancio della Difesa 2011 ha poi magnificato il taglio alle spese per le trasvolate ministeriali: «Ben 33 milioni in meno, con una riduzione del 90 per cento». Miracolo: la casta ha deciso di rimanere con i piedi per terra? Assolutamente no. La postilla mimetizzata in un allegato spiega l'arcano: «C'è un decremento a seguito del completamento del programma di acquisizione di due elicotteri per il trasporto di Stato». Ecco la risposta: nessuna economia, ma un investimento in benessere del premier. Il prezzo finale dovrebbe essere vicino ai 50 milioni, perché gli elicotteri avranno anche dotazioni speciali di sicurezza. Il primo andrà al premier, il secondo servirà anche per Benedetto XVI: saranno il Papi One e il Papa One. Ma a guadagnarci sarà soprattutto Silvio, che potrà vendere l'elicottero Fininvest: quando nel 2008 è tornato a Palazzo Chigi ha ceduto il suo Airbus personale, visto che quello presidenziale era più bello e totalmente gratuito. Tanto a pagare ci pensano i cittadini.

IL GENERALE CAMPORINI: OBBEDIAMO, MA CHE SPRECO.
«In una vecchia legislatura i presidenti delle Camere erano entrambi milanesi, ma ogni lunedì mattina l'Aeronautica doveva mandare due aerei per portarli a Roma: uno decollava da Linate alle 7, l'altro alle 7.30. I due non gradivano viaggiare insieme e noi non potevamo davvero imporgli di farlo. Certo, così di sicuro non si economizzavano le risorse». Il generale Vincenzo Camporini ormai non si scandalizza più: nella sua vita d'ufficiale - prima pilota, poi comandante dell'Aeronautica e infine di tutte le forze armate - ha visto decollare migliaia di voli di Stato. «Mai però missioni che fossero formalmente illegittime. Quando riceviamo un ordine dalla presidenza del Consiglio noi militari dobbiamo solo obbedire. E anche l'imbarco di familiari o di altre persone, nel caso di decolli autorizzati, alla fine non rappresenta un aumento di costo. Il problema è soprattutto di opportunità: in un momento di crisi e di tagli ci sono molti voli che lasciano perplessi».

Il generale adesso ha presentato il dossier della Fondazione Icsa in cui si evidenziano i 250 milioni di euro spesi per queste missioni nell'ultimo decennio e mai pagati da Palazzo Chigi. «E' una situazione molto critica. Ci sono anni in cui all'Aeronautica viene rimborsato solo un quinto dei fondi usati per le trasferte del governo, ma quando viene chiesto di far partire un jet non possiamo dire di no e bisogna trovare le risorse. Così per fare volare i Falcon dei ministri dobbiamo tenere fermi gli aerei che poi vengono chiamati a svolgere missioni operative per la difesa dei confini o in Afghanistan o come in questi mesi in Libia: siamo costretti a rinunciare all'addestramento dei piloti o alla manutenzione dei velivoli». Camporini spiega che il carburante è il costo minore: gli aerei devono rispettare le revisioni programmate e hanno sempre un costo. «Ricordo che dopo le polemiche per la trasferta al Gran Premio di Monza di Rutelli e Mastella, i politici non volevano usare più l'Airbus presidenziale: era troppo vistoso e temevano scandali. Allora tutti chiedevano il più piccolo Falcon che non dava nell'occhio. Ma anche se restavano negli hangar, quegli Airbus erano un costo». Per l'alto ufficiale però questo è solo un capitolo di una situazione della Difesa che attende una riforma, razionalizzando tutto. «E rinunciando alle spese inopportune, soprattutto quando si può usare un volo Alitalia invece che il jet di Stato».



Io Scilipoti, peòn infaticabile con un sogno “Essere Berlusconi ma più in piccolo”, - di Eleonora Bianchini


L'ex Idv ora tra i Responsbaili, che il 14 dicembre scorso salvò il governo del Cavaliere si racconta in un libro scritto da Giuseppina Cerbino. Con una prefazione di lusso firmata dallo stesso presidente del Consiglio

Un “saggio” per “ristabilire la verità su un personaggio ampiamente discusso degli ultimi tempi”, fagocitato “dalla macchina del fango massmediatica”. La vittima in questione è Domenico Scilipoti, segretario del Movimento di Responsabilità nazionale, che racconta la sua esperienza professionale e politica in “Scilipoti Re dei Peones. Perché Berlusconi”, scritto da Giuseppina Cerbino (Falzea Editore). Lo scorso 14 dicembre, giorno della fiducia, l’ex deputato dell’Italia dei Valori ha lasciato il partito di Antonio Di Pietro per contribuire al salvataggio dell’esecutivo. I problemi con l’Idv, spiega, erano già sorti nel 2008 e la linea “antiberlusconiana” ormai gli stava stretta.

Scilipoti si descrive come un peòn, un lavoratore “infaticabile e pragmatico” che si è schierato “contro la vergognosa pratica del ribaltone” per evitare un “sovvertimento della volontà popolare”. La sua, dice, è stata “una scelta sofferta ma necessaria”, per offrire al paese un governo stabile senza rimandarlo alle urne. Racconta di avere scartato anche l’ipotesi di un governo tecnico, che nei giorni della fiducia circolava in Transatlantico. Il motivo? Non c’erano alleati affidabili. Dice l’onorevole: “In un matrimonio con tante mogli, chi sarebbe stato ‘il marito’? Fini, Bersani, Di Pietro, Casini, Vendola? O chi, per loro? I perdenti sarebbero illegittimamente diventati vincitori, mandando all’opposizione Pdl e Lega che alle urne avevano riscosso tanto successo”. Scilipoti, che nel libro parla sempre di sé in terza persona, giustifica con una domanda retorica l’entrata nella maggioranza: “Poteva Scilipoti votare per chi ha massacrato il Paese e l’economia? Per chi ha massacrato le piccole imprese a favore di una lobby come quella bancaria?”.

Nei primi capitoli descrive con dovizia particolari il suo passato di medico e ginecologo. Viene definito “uomo dai molteplici interessi”, “luminare dell’agopuntura”, “simbolo di un’Italia del fare operosa, silenziosa, mai rassegnata, un po’ ribelle e rivoluzionaria” che ha pure convinto Zacharias Chaoud, “proprietario del più grande stabilimento di produzione di bevande di guaranà dello Stato di Bahia” a creare “uno stabilimento per la produzione di bevande a base di guaranà e di altri frutti brasiliani sul territorio siciliano”.

Scilipoti ricorda pure le sue misteriose guarigioni da un angioma al fegato e dall’ emicrania che attribuisce alla Madonna. E in quanto credente dà vita al “movimento olistico scilipotiano”. In cosa consiste? Nella promozione tout court del benessere dell’uomo, dall’agopuntura alla lotta contro “le degenerazioni del più sfrenato sistema capitalistico” in accordo con Giovanni Paolo II. In linea con il suo credo medico a favore della medicina non convenzionale, lo scorso aprile aveva organizzato alla Camera in convegno “La medicina della natura”, dove l’attore Pippo Franco era tra i relatori. E da fervido credente si domanda “quali fini si è prefissato il Signore intervenendo nel mio percorso”, sia per i malanni svaniti che per la fiducia dello scorso anno. Da lì in poi, infatti, è stato coperto da “tanti insulti” da parte dei colleghi parlamentari. E osserva: “A tutti è stato restituito il saluto e la dignità. Non a lui, il carneade di Terme Vigliatore, Messina”.

Il suo destino, dice, “deraglia in un giorno di dicembre” quando viene coperto da “fama e fango”: la sua lettera scarlatta sta nel voto di sostegno al governo di Silvio Berlusconi che firma anche l’introduzione del volume. Il premier definisce il libro un “sasso gettato nello stagno dell’ipocrisia politica, oggi alimentata da quell’egemonia culturale della Sinistra, che non cambia mai i suoi metodi e si culla nell’illusione di una sua pretesa superiorità etica”. Quelle di “Scilipoti re dei Peones”, scrive il Cavaliere, sono pagine di “sacrosanta ribellione ai ‘soviet’ politici e mediatici che, in nome di una strabica ‘fatwa’ morale” rendono “oggetto di incivile satira chi ha l’unica colpa di essersi affrancato dal mondo della Sinistra”. E così il Responsabile, che ha copiato il manifesto del nuovo movimento da quello dei giovani fascisti di Giovanni Gentile del 1925, è stato accolto nel centrodestra, “grande famiglia di democrazia e libertà”.

Scilipoti ricorda a più riprese l’ammirazione per il premier e spiega che “vorrebbe essere Berlusconi ma più in piccolo”. E’ orgoglioso che i Responsabili siano stati definiti come “terzo polo della maggioranza dopo PdL e Lega”, non pretende di ricoprire nessuna carica nella compagine di governo e ricorda che “Dio, fraternità e amore sono le parole cardine” del Movimento che tiene “l’obiettivo fisso al crocifisso”. L’ex Italia dei Valori svela poi la sua ricetta per contrastare “la cultura dell’odio di Italia dei Valori e Sinistra”. Gli ingredienti sono “olismo e Berlusconi” perché “Scilipoti è un olista capace di conciliare gli opposti”.























Camorra, indagato capo della mobile di Napoli Sequestrata una società di Cannavaro.

Emesso il divieto di dimora per il funzionario di Polizia accusato di favoreggiamento. Sono 14 le persone arrestate per riciclaggio e usura. Sequestrati 17 noti locali in cui veniva ripuliti i soldi dei clan. Tutti intestati a prestanome tra cui, secondo i pm, anche il calciatore che al momento non risulta indagato

Ci sono anche nomi eccellenti nell’operazione condotta stamattina dalla Direzione investigativa antimafia del capoluogo campano nei confronti di persone legate al clan camorristico Lo Russo. Gli agenti hanno sequestrato una delle società dell’ex campione del mondo Fabio Cannavaro, che al momento non risulta indagato. Posizione in cui si trova invece il capo della squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani, tra i 40 indagati dell’inchiesta, raggiunto anche da un provvedimento di divieto di dimora a Napoli. Gli uomini dei carabinieri e della guardia di Finanza stanno eseguendo dall’alba 14 arresti e sequestri di beni per oltre 100 milioni di euro. Tra questi, almeno 30 milioni in denaro contante trovati su 150 conti correnti e rapporti finanziari degli indagati in 81 agenzie o filiali di istituti di credito. Sequestrate anche attività imprenditoriali, società e immobili. Le indagini riguardano una ingente attività di riciclaggio e usura: i capitali illeciti così in possesso dell’organizzazione venivano poi reinvesti, secondo l’ipotesi degli inquirenti, in catene di ristoranti, pub e bar. Soprattutto sul lungomare napoletano, ma con filiali a Caserta, Bologna, Genova, Torino e Varese. Sono 17 i locali sequestrati oggi, tutti molto noti e frequentati. Come il bar ‘Ballantine’, i ristoranti-pizzeria ‘Regina Margherita’ in via Partenope, ‘I re di Napoli’ e la paninoteca ‘Dog Out’ in piazza Municipio, tutti a Napoli. E il ristorante ‘Villa delle Ninfe’ a Pozzuoli.

Per il capo della mobile napoletana l’accusa è di favoreggiamento nei confronti dei titolari di uno dei ristoranti coinvolti nell’inchiesta. Pisani avrebbe rivelato all’imprenditore Marco Iorio - al momento ricercato dagli agenti e forse negli Stati Uniti - notizie riservate sull’inchiesta in corso, consentendogli così di sottrarre beni al sequestro e di depistare le indagini. Iorio è considerato dagli inquirenti vicino al gruppo di Mario Potenza, legato a clan camorristici e dedito all’usura. A parlare di stretti legami di amicizia con Pisani è stato Salvatore Lo Russo, ex capoclan dell’omonima organizzazione criminale attiva nel quartiere partenopeo di Miano, che nel 2010 ha reso diverse dichiarazioni spontanee ai magistrati, decidendo di collaborare con la giustizia. “Ho rapporti con il dottor Pisani dalla seconda metà degli anni ’90″, ha raccontato il boss ai magistrati. Lo Russo era stato incaricato da Paolo Di Lauro – capo del clan da cui si stavano scindendo gli ‘spagnoli’ di Raffaele Amato e Cesare Pagano– di ricomporre la fazione e “fare il possibile per porre fine alla guerra”. Così Lo Russo si rivolse a Pisani. “In quell’occasione in cui ci siamo visti al ristorante – ha raccontato – il dottor Pisani mi diede il suo recapito telefonico, dicendomi che potevo rivolgermi a lui se avessi avuto bisogno di qualcosa”. Una circostanza strana per lo stesso boss, che chiamò il funzionario quella sera stessa da una cabina telefonica. “Fu così che ci incontrammo – ha spiegato ai pm – e lui disse che era sua intenzione catturare latitanti dell’Alleanza di Secondigliano”. A gettare acqua sul fuoco è adesso il capo della Polizia, Antonio Manganelli, che ha commentato così il coinvolgimento del funzionario: ”Confermo stima e fiducia nel dottor Vittorio Pisani che destinerò ad altro incarico per corrispondere alle determinazioni dell’autorità giudiziaria”. Come sede per il suo trasferimento è ipotizzata la Capitale.

Diverse le accuse per Marco Iorio, l’imprenditore che Pisani avrebbe avvertito delle indagini e ritenuto dagli investigatori amico e socio in affari di Fabio Cannavaro. E’ accusato di essere a capo di un’associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, al trasferimento fraudolento di valori, alle false comunicazioni sociali e alla corruzione di pubblici ufficiali. Avrebbe impiegato nelle sue attività denaro del boss del quartiere Santa Lucia, Mario Potenza e dei suoi figli, nonché due milioni di euro versati dall’ex capoclan Salvatore Lo Russo. Nell’ipotesi degli inquirenti, i soldi provenivano soprattutto dall’usura. Nel decreto di sequestro, emesso dal gip Maria Vittoria Foschini, sono contenute anche alcune intercettazioni telefoniche che provano l’attività usuraria dei Potenza. ”Ti devo levare tutti i denti da bocca… – diceva Salvatore Potenza a un imprenditore che non riusciva a saldare un debito -. Allora, io non voglio sentire niente. Digli a quel bastardo di tuo figlio che, dove lo vedo lo vedo, lo mando all’ospedale. Dove vedo a tuo figlio, lo devo fare a pezzi”.

I locali sequestrati, specifica il gip nell’ordinanza, sono tutti “nella titolarità di società le cui quote sono a loro volta intestate a prestanome”. Soggetti non collegati direttamente ai gruppi familiari Iorio e Potenza, “ma di fatto a loro legati da rapporto di dipendenza e subordinazione”, spiega il giudice. Tra questi, secondo gli investigatori, ci sarebbe anche Fabio Cannavaro, considerato il prestanome di Marco Iorio. Il calciatore al momento non risulta però indagato. Era l’inizio del 2009 quando alcune dichiarazioni di Cannavaro sulla camorra avevano suscitato non poche polemiche. A proposito del film ‘Gomorra’, tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano, il calciatore napoletano aveva dichiarato in un’intervista al settimanale ‘Chi’: “Per il cinema italiano spero che vinca l’Oscar. Ma non penso che gioverà all’immagine dell’Italia nel mondo. Abbiamo già tante etichette negative”. Ripresa dai maggiori quotidiani nazionali e da diversi siti web, la dichiarazione aveva suscitato non poche critiche. Tanto da costringere il calciatore a ritrattare. “La mia voleva essere una difesa nei confronti di chi non ha niente a che fare con la camorra – scriveva sul suo sito – e con quelli che vogliono investire in modo onesto, insomma di tutta la gente perbene che vive in quei territori”. “La mia paura è che invece all’estero – concludeva – Napoli e la Campania vengano associate alla Mafia, alla spazzatura e non invece alle tante cose belle che ci sono”.



Una TRAGICOMICA...finanziaria! (di Nicola Ambrosino)


Lo confesso: non capisco...
ma si vuol varare un Fisco...
che si limiti a tassare...
solo chi non può...frodare?

E qui penso...eattamente...
a chi evade impunemente...
e possiede, pensa tù...
scafi, ville...ed auto blù!

A chi evade...e sol per farlo,
porta i soldi...a Montecarlo
o a un boiardo...superman...
che risiede alla Cayman!

Ma che andassero...all'Inferno...
stì Ministri e stò Governo...
siamo stufi...proprio tutti...
di stì ladri e...farabutti.

Se l'Italia è infin bagnata
da tre mari;... è collassata...
da chi sbaglia tutti i conti...:
prosciugata...è da Tre...monti!



Torino, firme false alle scorse Regionali: condannato Michele Giovine e suo padre.



Torino - (Adnkronos) - Due anni e otto mesi per il consigliere regionale: "Me l'aspettavo". Due anni e due mesi per il padre. Per loro il giudice ha anche stabilitol'interdizione dai pubblici uffici. Bresso: "Elezioni falsate".

Torino, 30 giu. - (Adnkronos) - Due anni e otto mesi per Michele Giovine, due anni e due mesi per suo padre Carlo. E' la decisione del Tribunale di Torino per i due, imputati per aver falsificato le firme della lista 'Pensionati per Cota' alle scorse regionali.

Il giudice del Tribunale di Torino, Alessandro Santangelo, ha dichiarato la falsità di tutte le 17 firme. Il pm Patrizia Caputo aveva chiesto tre anni e 6 mesi per Michele Giovine, 2 anni e 6 mesi per suo padre Carlo più pochi euro di multa.

Per loro il giudice ha anche stabilito l'interdizione dai pubblici uffici, per un anno e sei mesi per Carlo Giovine e due anni per Michele. Il solo Michele Giovine invece è stato privato dei diritti elettorali per 5 anni. E' stato inoltre disposto il pagamento di provvisionali per circa 70mila euro, rimandando la decisione sui risarcimenti in sede civile. In particolare i due dovranno versare: 20mila euro per l'ex presidente Bresso, 10mila euro ciascuno per i Verdi e i Radicali, 12mila euro a testa per Francesco Romanin, rappresentante della lista 'Insieme per Bresso', e Staunovo Polacco, della lista 'Pensionati per Bresso', più il pagamento delle spese processuali. Per i due, presenti in aula, le parti civili avevano chiesto un totale di quasi 700mila euro di risarcimenti.

"Me l'aspettavo, non c'è niente di nuovo sotto il sole", è stata la reazione a caldo di Michele Giovine. "Non credo che ricorrerò", ha detto d'impulso subito dopo la sentenza anche se il suo difensore, l'avvocato Cesare Zaccone, ha già annunciato che farà ricorso.

"E' stata riconosciuta la falsità di una lista determinante per la vittoria delle ultime elezioni regionali. Si è accertato che le elezioni sono state falsate", ha detto dal canto suo l'ex presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso. "Mi auguro che l'intero procedimento giudiziario faccia coincidere il diritto con la realtà politica", ha concluso Bresso.


Il precedente:

Con questa sentenza Michele Giovine è riconosciuto recidivo. Nel 2005 era candidato nella lista “Consumatori per Ghigo”, l’80% delle firme risultarono false, ma la depenalizzazione del reato e il ritardo dell’inizio del processo, che portò alla prescrizione, gli consentirono di continuare a sedere a Palazzo Lascaris, anche quando la Corte Costituzionale rielevò al rango di “delitto” il suo comportamento. Generalizzato, secondo la difesa. Stessa storia a Porte, nel pinerolese, dove per le firme false gli fu comminata una multa.


Vittorio Sgarbi, Saverio Romano e l’amico di Salemi sorvegliato speciale.. - di Andrea Cottone



Sequestro preventivo da 35 milioni di euro a Giuseppe Giammarinaro, ex Udc considerato uomo vicino alle cosche. Gli investigatori raccontano che fu lui a volere il critico televisivo alla guida del paesino siciliano. Oliviero Toscani accusa: "In giunta partecipava e prendeva decisioni senza averne alcun titolo".


Pino Giammarinaro

Altro che budget da 8 milioni di euro per una sempre più fantomatica trasmissione televisiva su Raiuno. Da ieri il vero problema per Vittorio Sgarbi, è rappresentato da un ex sorvegliato speciale per fatti di mafia. Un uomo potente e rispettato, considerato il vero padrone della sanità convenzionata del trapanese, al quale il tribunale diTrapani ha appena sequestrato in via preventiva 35 milioni di beni. Si chiama Giuseppe Giammarinaro, ha 65 anni, è un ex democristiano e un tempo era un importante rappresentante della corrente di Giulio Andreotti nella provincia. Oggi invece Giammarinaro vola più basso. Il suo legame più forte non è con un presidente del Consiglio, ma solo con un ministro: Saverio Romano, l’ex pupillo del carcerato Totò Cuffaro, recentemente premiato da Silvio Berlusconi con il dicastero dell’Agricoltura.

Giammarinaro, racconta un’inchiesta della squadra mobile di Trapani e della Guardia di Finanza, è stato lo sponsor politico di Sgarbi nella sua corsa alla poltrona a sindaco di Salemi. E una volta che il critico d’arte ha ottenuto quell’incarico di fatto ha condizionato pesantemente l’amministrazione del paese. Ex deputato regionale, Giammarinaro nei primi anni 90 era stato arrestato per corruzione, concussione e concorso in associazione mafiosa. E alla fine aveva patteggiato una pena per peculato e concussione, mentre dalla terza accusa, quella più infamante, era stato assolto perché gli indagati per reato connesso e i pentiti, che in istruttoria avevano puntato l’indice contro di lui, in aula si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. Giammarinaro era così stato mandato per quattro anni al soggiorno obbligato proprio in quel di Salemi.

Un decreto lungo 388 pagine

In Sicilia, ma non solo, la storia di Giammarinaro è ampiamente nota. Eppure il futuro conduttore diRaiuno, secondo gli investigatori, non ha esitato a permettergli di fatto di esercitare la carica di ‘sindaco ombra’ di Salemi. Lo dicono le 388 pagine con cui gli investigatori propongono il sequestro preventivo. Un documento impressionante, nel quale è pure descritto il ruolo di Saverio Romano, indagato a Palermo per altre vicende di mafia e legato a Giammarinaro da rapporti di amicizia e di comune militanza politica nell’Udc.

Il decreto ricorda come il presunto nume tutelare di Sgarbi, sia stato un tempo vicino ai cugini Nino e Ignazio Salvo, gli esattori della mafia, e come sia oggi considerato “l’espressione della borghesia mafiosa che ha rivoluzionato i contorni classici della figura del soggetto indiziato di contiguità a Cosa nostra”.

“Dalle intercettazioni e dalle altre indagini svolte”, scrivono tra l’altro gli investigatori “è emerso che la candidatura alla carica di Sindaco di Salemi di Vittorio Sgarbi è stata sostenuta proprio dal Giammarinaro che ha appoggiato il noto critico d’arte durante la campagna elettorale”. Dopodiché, incassate la vittoria, l’uomo, Giammarinaro, “avrebbe addirittura partecipato, senza averne alcun titolo politico o istituzionale, a diverse riunioni della Giunta, allo scopo di indirizzare le decisioni dell’organo amministrativo”, incidendo “ in modo significativo su alcune delibere del Comune di Salemi”.

L’inchiesta arriva a pochi giorni dall’esordio della trasmissione Rai di Sgarbi. Esordio sul quale adesso pesa anche un’interrogazione del deputato Democratico Vinicio Peluffo che chiede “chiarimenti sulla messa in onda del programma, non solo perché pare inopportuna la presenza in Tv durante la campagna elettorale per i ballottaggi di un politico, ma anche perché Sgarbi, come ha sostenuto oggi l’onorevole Garavini, non ha mai preso le distanze dall’ex deputato Giuseppe Giammarinaro”. Dal canto suo Sgarbi minimizza e ribatte: “Giammarinaro non ha mai avuto un ruolo attivo nella giunta”.

La testimonianza di Toscani

Eppure, il celebre fotografo Oliviero Toscani, per qualche tempo assessore accanto a Sgarbi, racconta un’altra storia. “Vittorio mi ha detto che fu Pino Giammarinaro a chiedergli di fare il Sindaco di Salemi. Mi ha detto che salì a Milano e gli fece la proposta”. L’ex deputato regionale, infatti, in paese voleva comandare. Tanto che ora gli investigatori denunciano “un vero e proprio condizionamento mafioso di tutta l’attività amministrativa del comune”. Del resto di Giammarinaro hanno parlato diversi collaborati di giustizia. Tra questi Mariano Concetto della famiglia mafiosa di Marsala: “Tra i politici che si sono avvalsi di Cosa Nostra in occasione di varie consultazioni elettorali, posso riferire degli aiuti forniti, tra gli altri, a Pino Giammarinaro”

È sempre Oliviero Toscani a spiegare come andavano le cose in comune prima delle sue dimissioni. “Sin dal mio ingresso in Giunta, ho potuto constatare la costante presenza di Pino Giammarinaro alle riunioni della Giunta. Partecipava e assumeva decisioni senza averne alcun titolo, alla presenza di Sgarbi, del sottoscritto e di altri assessori comunali. La cosa mi sembrò alquanto anomala, perché nessun estraneo aveva mai partecipato alle riunioni della Giunta”. E la risposta di Sgarbi agli interrogativi di Toscani qual è stata? “E’ solo un mafiosetto che non conta nulla”.

A chi va il bene confiscato? Lo decide Giammarinaro

Sarà. Le intercettazioni però descrivono tutta un’altra situazione. Siamo nell’ottobre del 2009. Tra i problemi di Sgarbi (non indagato) c’è quello di assegnare con urgenza un bene confiscato al mafioso narcotrafficante Salvatore Miceli, un terreno di sessanta ettari per cui avevano fatto richiesta “Slow Food” e l’associazione Libera di Don Ciotti. Sgarbi, secondo il decreto, non ha alcuna intenzione di darlo “a quelli di Don Ciotti”. Così il sindaco, buono buono, chiama Giammarinaro per farsi dire a chi dovesse dare l’assegnazione. Ascoltando le telefonate gli investigatori concludono come “i dipendenti del Comune di Salemi o rappresentati politici dello stesso ente informassero e consultassero, con cadenza quasi giornaliera e sistematica, il Giammarinaro in ordine a qualunque decisione politica da intraprendere concernente l’amministrazione cittadina, notiziandolo anche sulle iniziative del sindaco Sgarbi, allo scopo di conoscerne il parere e ricevere direttive in merito”.

Il ministro Romano sponsorizza il sorvegliato speciale

A svelare, invece, il ruolo di Saverio Romano nell’escalation di Giammarinaro sono due colleghi di partito: Massimo Grillo e Giuseppe Lo Giudice. Grillo, eletto alla Camera nel 2001 nelle fila del Ccd-Cdu, ha raccontato agli investigatori di aver partecipato a riunioni a casa di Giammarinaro con l’allora presidente regionale, Totò Cuffaro, contrario a una sua eventuale candidatura in quanto ancora sottoposto alla sorveglianza speciale. Romano, invece, secondo quanto ha dichiarato Grillo, spingeva in senso opposto: “L’onorevole Romano ebbe a dirmi che la misura di prevenzione applicata a Giammarinaro sarebbe stata revocata di lì a breve”.

Quello tra Giammarinaro e Romano, comunque, è un rapporto ancora attuale. La figura del ministro, scrivono gli investigatori, “ha acquisito una apprezzabile rilevanza, per gli indiretti riferimenti che nel corso delle intercettazioni svolte nei confronti di alcuni degli indagati sono stati a lui fatti quale ulteriore referente e autorevole contatto per gli imprenditori vicini al Giammarinaro”. Ed è poi certo Giammarinaro, anche se sottoposto alla sorveglianza speciale, nel 2001 militò nel «Biancofiore», un micropartito creato da Cuffaro per sostenere la propria candidatura alla presidenza della Regione. Poi entrò nell’Udc sfiorando addirittura l’elezione col simbolo scudocrociato.

Con legami del genere ovvio quindi che Giammarinaro fosse una potenza nel settore dell’amministrazione pubblica in cui l’Udc contava di più: la sanità. Così, secondo l’accusa, grazie alle coperture istituzionali Giammarinaro controllava strutture specializzate nell’assistenza ai malati ai quali finiva un fiume di denaro della Regione. E grazie alla complicità con imprenditori, medici, operatori sanitari e dirigenti della Asl di Trapani otteneva convenzioni con la azienda sanitaria. Dietro a tutto c’era una rete di prestanome (che gli hanno permesso di intascare decine di milioni di euro) e una potenza politica tale, secondo gli investigatori, da consentirgli di decidere molte nomine.

Pedinamenti, filmati e certificati medici falsi

Per coltivare i suoi interessi lontano da occhi indiscreti, Giammarinaro lasciava spesso Salemi. A permetterglielo era il tribunale di sorveglianza che però rilasciava i permessi sulla base di certificati medici falsi. La polizia ha così filmato incontri fra il sorvegliato speciale e il futuro ministro Romano a Palermo, nella centralissima via Notarbartolo. I faccia a faccia tra i due sono stati documentati per tre volte (7 ottobre 2002, 15 novembre 2002, 3 dicembre 2002, 19 febbraio 2003) e in uno di questi c’è stato anche uno scambio di bigliettini, in puro stile provenzaniano.

Poi ci sono i misteriosi giri di soldi. Chi li ricostruisce è un altro politico Udc, Giuseppe Lo Giudice, che ha confermato come Giammarinaro fosse “indiscusso leader dell’Udc nel Trapanese”, tanto da averlo chiamato a candidarsi per il rinnovo dell’Ars garantendogli il suo appoggio. “Giammarinaro”, racconta Lo Giudice, “ senza mezzi termini, mi disse che il mio successo elettorale dipendeva dai voti che mi aveva procurato lui e mi ammoniva a non adottare nessuna iniziativa senza prima consultarlo. In quella stessa occasione il Giammarinaro, con toni perentori, mi diceva di avere sostenuto per la mia campagna elettorale una spesa di 200.000 euro che quindi pretendeva io gli rimborsassi. Ricordo che io gli risposi qualcosa del tipo ‘tu mi devi fare campare’, nel senso che gli chiedevo di non farmi pressioni eccessive”.

Chi paga? Saverio Romano

I rimborsi, però, Giammarinaro li avrebbe comunque ricevuti direttamente da Saverio Romano. “Con riferimento alle spese elettorali”, continua Lo Giudice, “ avevo già prelevato dal mio conto corrente, prima delle elezioni, la somma di € 20.000 che avevo consegnato allo stesso Giammarinaro per il pagamento di cene e piccole spese di rappresentanza. (…) Successivamente poi, più di recente, ho chiesto a Saverio Romano di ricevere qualche rimborso dal partito per le spese elettorali e lui mi ha detto che non mi spettavano fondi perché ero già stato aiutato, per un importo di almeno 40.000 euro, sottointendendo che tale somma di denaro era già stata consegnata al Giammarinaro. Il Romano mi ha anche detto che nessun altro sa di queste somme di denaro ricevute dal Giammarinaro”.

È vero? È falso? Non si sa. Quello che è certo, invece, che oggi il ministro difende l’ex sorvegliato speciale. E sebbene Giammarinaro abbia patteggiato una pena per tangenti dice: “È una persona per bene, lo conosco da vent’anni, se qualche volta mi ha dato un appunto o mi ha chiesto un chiarimento non penso che debba esser declinato nel termine pseudo mafioso di pizzino”. Ma a questo punto spetta a Silvio Berlusconi e alla Rai spiegare se davvero sulla tolda di comando dell’Agricoltura e in una trasmissione di prima serata di Raiuno, Romano e Sgarbi possono ancora restare. Il garantismo deve valere nelle aule di tribunale. In politica e nel mondo dell’informazione forse è davvero venuto il tempo di far prevalere il buonsenso.