giovedì 13 gennaio 2011

Berlusconi "antitaliano": stesso titolo per Unità e Secolo.



Il quotidiano del Pd e il giornale ex Pdl, ora vicino a Fini, utilizzano un unico aggettivo in prima pagina per commentare le parole del presidente del Consiglio a proposito del referendum su Mirafiori: "Se vince il no è giusto andarsene"

13 gennaio, 2011
berlusconi antitaliano unità e secolo stesso titolo
Le prime pagine dei due quotidiano a confronto

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"Antitaliano": è lo stesso l'aggettivo usato giovedì 13 per i titoli di apertura di Secolo e Unità entrambi dedicati alle parole di Silvio Berlusconi in appoggio all'ad Fiat nel giorno del referendum sull'accordo per Mirafiori e alle conseguenti polemiche.

"Ora pure antitaliano?", si chiede il giornale vicino a Finia proposito del premier, aggiungendo l'interrogativo retorico e definendo la frase del presidente del Consiglio ("le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri paesi", in caso di un esito negativo del referendum, ndr) "una classica dichiarazione antitaliana, perdipiù pronunciata dal premier nel corso della conferenza stampa congiunta con il cancelliere tedesco, Angela Merkel".

"L'Antitaliano", titola secco il quotidiano del Pd che in un editoriale definisce "inaccettabile" e "irresponsabile" l'affermazione del premier. "Colpisce la contraddizione tra le due destre, ieri a Berlino", scrive poi l'Unità, "da un lato la difesa del modello renano della cancelliera Merkel che mette gentilmente alla porta la Fiat quando il dottor Marchionne le presenta per la Opel un'offerta d'acquisto viziata da pesantissimi costi sociali", e "dall'altro il presidente del Consiglio che sostiene la Fiat nell'abbandono di Torino in caso di vittoria del no".

http://tg24.sky.it/tg24/economia/2011/01/13/unita_secolo_italia_stesso_titolo_silvio_berlusconi_antitaliano_fiat.html


Un sito tiene traccia di chi vuole l'uccisione di Assange.




Da Sarah Palin a Rush Limbaugh un sito raccoglie le dichiarazioni di politici, giornalisti e blogger che hanno invocato la morte del fondatore di Wikileaks. Il rischio, dice l'organizzazione, è una nuova Tucson.


“Nei bei tempi andati quando gli uomini erano uomini e le nazioni erano nazioni, questo tizio sarebbe morto di avvelenamento da metallo per via di un proiettile nel cervello”. Il “tizio” in questione è Julian Assange, fondatore di Wikileaks. Chi rimpiange il passato e si augura il decesso del trentanovenne australiano è invece Rush Limbaugh, popolarissimo conduttore radiofonico americano di estrema destra. Ladichiarazione risale al 30 novembre scorso, poco dopo che il sito degli informatori aveva cominciato la pubblicazione di 250 mila cablogrammi diplomatici delle ambasciate americane di tutto il mondo. Ma Limbaugh non è l'unico personaggio pubblico ad avere inviato ad Assange simili messaggi d'amore. I ripetuti scoop messi a segno da Wikileaks hanno imbarazzato non poco il governo americano e così una folta schiera di giornalisti, politici, militari e blogger a stelle e strisce ha cominciato ad invocare una punizione esemplare (e definitiva) per l'ex hacker ora agli arresti domiciliari in Gran Bretagna.

Così tante e ripetute queste dichiarazioni di odio che l'organizzazione degli informatori ha ora deciso di raccoglierle in un sito costruito allo scopo. Chiamato “People Ok with murdering Assange” (“Persone d'accordo con l'assassinio di Assange”), permette di scorrere sullo schermo un florilegio di incitazioni all'esecuzione dell'australiano pronunciate da personaggi noti dell'establishment politico e mediatico Usa. Pena di morte, fucilazione, esecuzioni sommarie non manca nulla: l'importante, a quanto pare, è togliere di mezzo l'uomo che lotta contro i segreti.

“Se condannato, Bradley Manning (il soldato americano accusato di avere consegnato a Wikileaks i materiali di alcuni dei suoi scoop, ndr) dovrebbe essere messo davanti ad un muro e ucciso da un plotone di esecuzione. Assange merita lo stesso trattamento”, dice il commentatore del periodico conservatore National Review Deroy Murdock. Più spiccio Eric Bolling, commentatore di Fox News, che si augura lo stesso risultato ma attraverso modalità meno formali: “Dovrebbe essere messo in galera o, peggio, impiccato sulla pubblica piazza”. Mentre Donald Douglas, blogger destrorso, confessa quanto poco sarebbe dispiaciuto della dipartita dell'australiano: “Non ci penserei due volte se Assange incontrasse la fredda lama di un assassino e, apparentemente, a un numero significativo di persone non importa di lui”. Quanto a Bob Beckel, anche lui nella batteria degli esperti di Fox News, l'unico modo è “sparare illegalmente a questo figlio di puttana”.

Il sito che raccoglie queste e altre decine di esternazioni poco affettuose è stato citato in uncomunicato stampa diffuso da Wikileaks l'11 gennaio scorso, a pochi giorni dalla strage di Tucson nella quale è stata gravemente ferita la deputata Gabrielle Giffords e sono rimaste uccise 6 persone. Il timing non è per nulla casuale. Secondo l'organizzazione che si batte per la trasparenza, la campagna di odio scatenata nei suoi confronti potrebbe portare a esiti egualmente tragici. Per questo chiede alle autorità americane di “proteggere lo stato di diritto agendo legalmente su questi e altri simili incitamenti all'assassinio”.

Tra coloro che auspicano il ricorso alle maniere forti nei confronti di Assange c'è, fra l'altro, Sarah Palin, figura di riferimento del movimento ultra-conservatore del Tea Party finita sotto accusa proprio per una campagna aggressiva che ha colpito anche la Giffords. Bisogna “dare la caccia al fondatore di Wikileaks come a un talebano”, aveva dichiarato una volta l'ex governatrice dell'Alaska. E proprio la Palin è uno dei personaggi nominati nel comunicato stampa di Wikileaks in cui si avverte che simili incitamenti possono portare a nuove follie omicide come quella di cui è stata vittima Gabrielle Giffords.


Rovigo. Porto Tolle, centrale Enel: Cassazione condanna Tatò e Scaroni.


Ribaltata la sentenza della Corte d'Appello per i due ex
amministratori: riconosciuta la responsabilità penale.


ROVIGO (12 gennaio) - Francesco Luigi Tatò e Paolo Scaroni, ex amministratori delegati di Enel Spa, sono stati condannati dalla terza sezione penale della Cassazione per i danni provocati dalla centrale Enel di Polesine Camerini (Rovigo) mentre era azionata a olio combustibile.

La Cassazione ha ribaltato la sentenza della Corte d'Appello di Venezia. Secondo quanto si è appreso sarebbe prevalsa la linea dura per cui sarebbe statariconosciuta la responsabilità penale (ma i reati tuttavia nel frattempo si sono prescritti) sia dei direttori di centrale sia degli amministratori delegati di Enel. L'esatta quantificazione dei danni spetterà, ora, alla Corte d'Appello civile di Venezia.

I reati imputati alla società erano di emissioni moleste, danneggiamento all'ambiente, al patrimonio pubblico e privato e la violazione della normativa in materia di inquinamento atmosferico. In primo grado (nel marzo del 2006) erano stati condannati sia Tatò (7 mesi) e Scaroni (un mese) sia i due direttori di centrale Carlo Zanatta (due mesi) e Renzo Busatto (sanzione pecuniaria) e sia la stessa Enel. La corte d'appello di Venezia aveva confermato la condanna per Busatto e Zanatta mentre aveva assolto Tatò e Scaroni.


Gli Agnelli restituiscano 7 miliardi di euro.


Sette miliardi e seicento mila euro: è questa la cifra che lo Stato italiano, tramite finanziamenti, ha erogato alla Fiat tra il 1977 e il 2009. Il dato proviene da Giuseppe Bortolussi, segretario degli artigiani e dei piccoli imprenditori della Cgia di Mestre, che ha quindi fornito il dato dei soldi pubblici finiti a Torino nel corso degli ultimi 33 anni. Si tratta di "una cifra importante - spiega Bortolussi - che ha toccato la dimensione economica più rilevante negli anni '80. In questo periodo di profonda ristrutturazione di tutto il settore automobilistico mondiale, la casa torinese ha ricevuto dallo Stato italiano oltre 5,1 mld di euro. A fronte di questi dati - afferma il segretario - le affermazioni fatte nei giorni scorsi dal dottor Marchionne mi sembrano quanto meno ingenerose".

Bortolussi prosegue fornendo numeri più dettagliati: dal 1990 in poi, 1,279 miliardi di euro sono stati investiti per la costruzione degli impianti di Melfi e Pratola Serra. Altri 272,7 milioni sono stati utilizzati per ristrutturare gli impianti di Melfi e Foggia tra il 1997 e il 2003. Lo Stato ha inoltre "coperto" gli incentivi alla rottamazione con 465 milioni di euro. Trattasi sempre di fondi statali, pubblici. "In questa analisi - conclude Bortolussi - non abbiamo tenuto conto dell’importo sostenuto per l’erogazione degli ammortizzatori sociali. Tra il 1991 e il 2002 la spesa è stata pari a 1,15 mld di euro. Un’entità, che è bene ricordare, è stata sostenuta anche dalla Fiat e dai suoi dipendenti".

Tutte le voci, complessivamente, convogliano nei 7,6 miliardi di euro che lo Stato ha "girato" al Lingotto. Dopo le polemiche tra Marchionne e Fini, dunque, parlano i numeri.


Wikileaks, Usa: “Ponte sullo stretto grande beneficio alla mafia”.


"Anche se le associazioni imprenditoriali, i gruppi di cittadini e la Chiesa, almeno in alcune aree, stanno dimostrando promettente impegno nella lotta alla criminalità organizzata, lo stesso non si può dire dei politici italiani, in particolare a livello nazionale". Lo scrive J. Patrick Truhn, console generale Usa a Napoli, in un dispaccio del giugno 2008 pubblicato da Wikileaks.

La mafia potrebbe essere “tra iprincipali beneficiari” della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, che comunque “servirà a poco senza massicci investimenti in strade e ferrovie” in Sicilia e Calabria. I politici italiani “fanno poco” nella lotta al crimine organizzato, mentre la Chiesa cattolica deve “cooperare di più”. E’ l’analisi del diplomatico americano J. Patrick Truhn, console generale a Napoli, contenuta in cinque dispacci datati tra il 2008 e il 2009 e pubblicati da Wikileaks. Il diplomatico americano cita anche Roberto Saviano, definendolo “una bussola per la lotta alla mafia”, che dice agli Usa: contro la criminalità organizzata c’è “scarso impegno a livello nazionale”.

In quello più recente, del 15 giugno 2009, Truhn analizza la situazione in Sicilia, dopo lo scontro politico tra Raffaele Lombardo e “il partito del premier Silvio Berlusconi“, e l’incertezza politica che tra le altre cose ha “bloccato una operazione americana per la trivellazione del gas e minaccia di rinviare un importante sistema di comunicazione satellitare della Marina statunitense”. Il principale beneficiario del ponte sullo Stretto “potrebbe essere” quindi la mafia, di entrambe le sponde, “semmai verrà costruito”, e comunque “servirà a poco senza massicci investimenti in strade e infrastrutture in Sicilia e Calabria”. Il paragrafo è intitolato, forse con involontaria ironia, “The Bridge to More Organized Crime” (Il ponte per un crimine più organizzato, ndr).

In un altro dispaccio del giugno 2008, il console Usa scrive che “anche se le associazioni imprenditoriali, i gruppi di cittadini e la Chiesa, almeno in alcune aree, stanno dimostrando promettente impegno nella lotta alla criminalità organizzata, lo stesso non si può dire dei politici italiani, in particolare a livello nazionale”. La Chiesa cattolica poi viene “spesso criticata per non assumere” forti pubbliche posizioni contro il crimine organizzato, quei “pochi preti che lo fanno” finiscono sotto scorta, quindi “Washington potrebbe considerare” di cercare una “maggiore cooperazione” con il Vaticano.

Il console generale Usa a Napoli, in un altro dispaccio, denuncia il disinteresse mostrato dal presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, alle richieste di incontro. Lombardo “ha poco tempo per i funzionari stranieri”, e come presidente della Provincia di Catania ha concesso “solo una telefonata di 5 minuti” con il console generale Usa a Napoli, mentre da presidente ha rifiutato di “ricevere sia l’ambasciatore Ronald Spogli sia il personale diplomatico di Palermo”. Lo si legge in un dispaccio del giugno 2009, nel quale il diplomatico lamenta tra l’altro la “disinformazione” posta in essere da alcuni politici siciliani che “ha bloccato senza seri motivi” le trivellazioni della texana “Panther Eureka Gas” a Ragusa, e del sistema di comunicazione satellitare della Marina Usa nei pressi di Niscemi.



Raffaele Lombardo sorvegliato tutte le notti dal corpo forestale. Nel centro di Catania.


La sorveglianza notturna nella residenza privata del presidente della regione Sicilia è affidata a un corpo cui non spetterebbe questa mansione. Ma si tratta di un vero e proprio esercito "alle dipendenze" del governatore: 25mila unità sull'isola. In tutta Italia sono 70mila.
La logica vorrebbe la guardia costiera a vigilare lungo le coste e il corpo forestale a sorvegliare boschi e parchi naturali. In Sicilia però la logica non è sempre il criterio più gettonato, se una pattuglia di guardie forestali presta quotidianamente servizio al centro di Catania, in una via interamente lastricata in pietra lavica dove gli unici alberi sono quattro ulivi rachitici piantati in vaso.

La loro missione ha poco a che fare con la tutela delle aree boschive o i reati ambientali: dal tramonto all’alba, infatti, montano la guardia alla residenza del Presidente della Regione, Raffaele Lombardo. Dal 2008 il leader dell’Mpa fa la spola tra il capoluogo etneo e Palermo, dove, da governatore, non si è nemmeno preso la briga di cercare casa: appena eletto, annunciò che avrebbe fatto casa i putìa, come si dice in Sicilia. Quando necessario, cioè, avrebbe dormito direttamente a Palazzo d’Orleans. Casa e bottega.

Sotto casa sua a Catania, però, i forestali montano la guardia trecentosessantacinque notti l’anno: scarponi ai piedi, berretti in testa e la jeep parcheggiata sul marciapiedi, vanno via al mattino, quando arrivano le prime bancarelle della fiera.

Non che il presidio della centralissima via Pacini richieda le particolari competenze del corpo forestale: verde ce n’è poco, la tipica “fauna” del mercato di piazza Carlo Alberto prolifica senza bisogno di tutela e, quanto alla prevenzione valanghe, è difficile credere che sia prioritaria per l’incolumità di Lombardo.

Sulla carta, gli alberi siciliani sono i meglio sorvegliati d’Italia. Nell’isola ci sono poco più di cinquecentomila ettari di bosco e circa venticinquemila guardie forestali. Tanto per fare un paragone, l’intero Corpo Forestale dello Stato consta di 70mila unità.

Quello dei forestali è un vero e proprio esercito alle dirette dipendenze della Presidenza della Regione, (essendo la Sicilia una regione a statuto autonomo) che costa alle case regionali circa 170 milioni di euro l’anno e che diminuisce solo con i pensionamenti. “Non posso licenziarne nemmeno uno” si lamentava qualche mese fa il governatore Lombardo in un’intervista al Giornale.

La cosa che gli riesce meglio, del resto, è assumere: l’ultima infornata di dipendenti pubblici è stata annunciata con l’anno nuovo. Quattromila nuovi dipendenti per la sanità, ottomila stagisti (per un anno) e ventiduemila stabilizzazioni. Una mossa che farà levitare ulteriormente la spesa regionale. Secondo l’ultimo studio di Confartigianato, la Regione Sicilia spende per il proprio personale dodici volte più del Veneto: 151 milioni la spesa sostenuta dai veneti, un miliardo e settecento milioni quella per gli stipendi degli impiegati siciliani.

di Claudia Andreozzi