venerdì 11 marzo 2011

I sacchetti di plastica soffocano i mari Anche il Mediterraneo è a rischio.


Secondo un rapporto di Legambiente che sintetizza diversi studi scientifici, 49 specie di mammiferi e 111 di uccelli sono a rischio. Alte le concentrazioni di borse 'usa e getta' anche nel mare nostrum: al largo dell'Isola d'Elba ci sono 862.000 mila frammenti per chilometro quadrato

Sacchetti “usa e getta” e rifiuti di plastica soffocano l’ambiente marino. E fanno strage di animali. Che ingeriscono le borse di cellophane o ne restano intrappolati. Il problema riguarda anche il nostro Mediterraneo, che, fra Italia, Spagna e Francia, presenta una concentrazione di plastica superiore a quella del Pacific Trash Vortex, un enorme accumulo di spazzatura in mezzo all’Oceano Pacifico. Le tonnellate di plastica nelmare nostrum sono 500. Lo rivela L’impatto della plastica e dei sacchetti sull’ambiente marino, rapporto che sintetizza i principali studi scientifici sull’inquinamento in mare da plastica abbandonata. Un dossier richiesto da Legambiente e realizzato dall’Arpa toscana in collaborazione con la struttura oceanografica Daphne dell’Arpa emiliana.

Secondo il documento, dal 60 all’80% di tutta l’immondizia trovata nelle acque marine è composto da plastica. Percentuale che, in alcune aree, raggiunge addirittura il 90-95% del totale. Gravi sono le conseguenze sulla fauna: secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) e l’Agenzia svedese della protezione ambientale, su 115 specie di mammiferi marini 49 rischiano quotidianamente di ingerire questi rifiuti, o di rimanerne intrappolate. Di 312 specie di uccelli, invece, 111 sono quelle a rischio, mentre sono quasi un milione i volatili marini uccisi ogni anno. Elefanti marini, delfini, capodogli e molte altre specie ingeriscono i sacchetti di plastica. Le tartarughe marine, che li scambiano per meduse, muoiono dopo una lenta agonia causata dal blocco totale del tratto digestivo, che ne causa il soffocamento.

Il fenomeno è noto da tempo. Già tre campagne oceanografiche eseguite negli anni 1994, 1995 e 1996 avevano evidenziato che sul tratto di Mediterraneo francese il 70% dei rifiuti marini era composto da sacchetti di plastica. L’International Coastal Cleanup, tra il 2002 e il 2006, aveva individuato le borse di cellophane come il rifiuto più presente in mare dopo mozziconi e bottiglie.

Le cose per l’Italia non vanno bene. Per Expedition Med, uno studio condotto dall’Istituto francese di ricerca sullo sfruttamento del mare e dall’Università belga di Liegi, nell’estate 2010 la concentrazione di plastica più alta nel Mediterraneo era infatti nel nord del Tirreno, al largo dell’Isola d’Elba: 892.000 frammenti per chilometro quadrato. Che, rispetto ad una media di 115.000, donano al nostro Paese un triste primato. “L’Italia è un Paese doppiamente esposto al problema della plastica e la dispersione dei sacchetti in mare – afferma Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente -. Lo è perché, prima del bando dei sacchetti ‘usa e getta’, commercializzava il 25% del totale degli shopper in tutta Europa. E perché le nostre coste sono affacciate sul Mediterraneo, coinvolto come i mari del resto del pianeta dall’inquinamento”. Per queste ragioni, secondo Ciafani, è assai positivo che in Italia dall’inizio di quest’anno sia entrato in vigore il bando degli shopper non biodegradabili.



Il mio personale pensiero.


La Costituzione non va cambiata.

Chi vuole cambiarla ha problemi personali da risolvere.

Io, se commetto errori, ammetto di doverli pagare e li pago, chi non vuole pagarli, vuole cambiare la Costituzione.

Non c'è bisogno di cambiare la Costituzione, basta correggere le leggi "ambigue" varate dalla politica corrotta.

Buona notte, e buona fortuna!



Il patto segreto tra Berlusconi e i boss. -


L'Espresso racconta i nuovi verbali del pentito Giovanni Brusca. Rotto il silenzio mirato a «non rendere dichiarazioni su persone che sono state "disponibili" con Cosa nostra", il pentito ora parla e pronuncia nomi che scottano: "Il premier, Dell'Utri, Mancino e Ciancimino"

L'homepage del sito "L'Espresso"

Vito Ciancimino, Nicola Mancino, Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi: quattro nomi omessi in 14 anni di pentimento. A parlarne è Giovanni Brusca, un tempo potente capo della famiglia di San Giuseppe Jato: quello che ha premuto il telecomando per far saltare in aria Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta; quello che ha deciso la morte del piccolo Santino Di Matteo”. Lo racconta L’Espresso in edicola domani con un articolo firmato da Lirio Abbate.

Ma chi è Brusca? Abbate racconta: “E’ stato catturato nel 1996. All’inizio ha tentato una manovra per screditare politici e magistrati, ma è stato smascherato. Allora ha fornito una collaborazione ampia: è stato il primo a rivelare “il papello” e la trattativa tra Stato e cosche nel 1992. Ma lo scorso settembre gli inquirenti hanno scoperto che continuava a gestire traffici e ricatti, proteggendo un tesoro accumulato con i crimini. Ora rischia di perdere i benefici e di essere retrocesso da “pentito” a dichiarante. Adesso – si legge ancora – di fronte alla possibilità di vedere chiudersi le porte del carcere per sempre, senza più permessi, sostiene di volere raccontare la seconda parte della sua storia criminale. Completando un quadro che era già stato in parte intercettato dalle microspie nella sua cella. E ha rotto il silenzio mirato a «non rendere dichiarazioni su persone che sono state “disponibili” con Cosa nostra».

L’Espresso rivela il contenuto dei nuovi verbali di Brusca nei quali “si parla a lungo di Silvio Berlusconi“. Nei verbali il pentito “cita i capitali che sarebbero stati investiti da uomini del padrinoStefano Bontate nelle attività imprenditoriali di Berlusconi negli anni Settanta; dichiara che il fondatore della Fininvest pagava ogni anno a Bontate 600 milioni di lire”. Dopo la morte del padrino, ucciso dai corleonesi nel 1981, i versamenti cessano. Allora – spiega il dichiarante – nel 1986 Ignazio Pullarà fa piazzare dell’esplosivo nella cancellata della residenza milanese di Berlusconi. Una missione nascosta a Riina, che si infuria e decide di gestire personalmente i rapporti col Cavaliere. Che – secondo Brusca e secondo quanto si legge sul settimanale – dopo la bomba ricomincia a pagare mezzo miliardo, direttamente al capo dei capi. «Poi quando venne ucciso Salvo Lima, mi disse che Ciancimino e Dell’Utri si erano proposti come nuovi referenti per i rapporti con i politici».

Nell’articolo si parla anche del ruolo del senatore azzurro Marcello Dell’Utri che «era visto come erede di Bontate perché vicino a quest’ultimo». Brusca spiega che Ganci riferì a Riina: «Dell’Utri è a disposizione». E sottolinea come nel 1993 il collegamento possibile «con il nuovo movimento politico Forza Italia che sta per nascere passa sempre da Dell’Utri». Un legame cementato con ricatti espliciti: parla di messaggi inoltrati a Berlusconi attraverso Mangano, sostiene che alla fine del 1993 furono minacciate altre bombe come quelle di Roma, Milano e Firenze. «Un modo per metterlo in difficoltà» con il governo che si apprestava a guidare, se non avesse varato leggi in favore di Cosa nostra.

Nella seconda parte dell’articolo, Lirio Abbate racconta la cosiddetta “fase due della trattativa Stato-mafia: “Secondo Brusca l’intesa con Forza Italia è la fase due di una strategia nata all’indomani di Capaci – si legge nell’articolo – Nel luglio 1992 – prima dell’autobomba di via D’Amelio – c’era stato il tentativo di venire a patti con le istituzioni, mediato da Vito Ciancimino. E Brusca ribadisce che il referente ultimo della trattativa era Nicola Mancino, all’epoca ministro dell’Interno e uomo forte della Dc”. L’ex boss ricorda quando Riina gli fece il nome di Mancino come la persona che doveva rispondere alle richieste del “papello”. Mette a verbale anche «il disprezzo» di Leoluca Bagarella, cognato di Riina, che commenta la notizia dei vetri blindati installati per proteggere la casa di Mancino. Nicola Mancino, ex vicepresidente del Csm, ha sempre respinto ogni ipotesi di un suo ruolo nella vicenda”.