domenica 20 marzo 2011

Una guerra è sempre piena di incognite - Viviana Vivarelli




Arrivati a questo punto, possiamo solo sperare che Gheddafi si dimetta al più presto, perché una guerra si sa quando si comincia ma non si sa quando finirà. E non conviene a nessuno, meno che mai agli Italiani, avere una guerra internazionale ai confini. Già partecipano Stati uniti, Francia, Inghilterra, Italia e pure il Canada. Ma le basi militari da cui partiranno i caccia le abbiamo noi e i bersagli principali, dunque, siamo noi.
In questa Italia priva di informazione e gettata alla deriva da un governo inetto e irresponsabile, gli interrogativi sono tanti. Il 18 giugno 1014 l’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria e Ungheria scatenò la seconda guerra mondiale. Nessuno ci dice cosa comporterà la guerra alla Libia. Verrà qualcuno a difenderla? Arriverà la Cina? La Russia? Il Venezuela? Bombardare la Libia resterà un’operazione chirurgica o scatenerà conseguenze spiacevoli? Nessun rais è solo sulla faccia della terra. Nemmeno un pezzo da forca come Gheddafi. E anche se restasse il solo Gheddafi, siamo proprio sicuri che lo sgarro cocente fattogli dall’”Amico” Berlusconi resterà senza conseguenze? Io, se fossi Berlusconi, smetterei di passeggiare come un vanesio tra la gente, potrebbe ricevere qualcosa di diverso da una salve di fischi.
Il primo Duce ci trascinò in una sanguinosa quanto inutile guerra d’Africa. Il ducetto D’Alema ci mescolò alla guerra del Kossovo. Nel frattempo abbiamo partecipato alla guerra irachena e a quella afgana. Sempre contro il dettato costituzionale che ci vieta di portare guerre offensive. Ma il terzo duce sta facendo lo stesso. E, tanto per sottolineare le analogie, Mussolini attaccò come un traditore Grecia e Francia per seguire l’alleato più forte, Berlusconi fa lo stesso ubbidendo all’America attaccando l’alleato libico, quello a cui appena ieri ha venduto le armi di Finmeccanica, con cui è ancora caldo un patto di non belligeranza, a cui ha baciato le mani, tanto per seguire il più forte alleato americano. Il tradimento i nostri dittatori ce l’hanno nel sangue e anche la viltà.
Siamo a un passo da una nuova e sanguinosa “guerra umanitaria”?
E il mondo arabo starà a guardare l’ingresso delle armi americane? E se attaccare la Libia innescasse una violenta guerra col mondo islamico?

E ancora:
Tutti schierati sulla guerra, anche Di Pietro – Una guerra è sempre piena di incognite – La pistola dell’Occidente – Democrazia e rinnovabili – Il decreto di stop del Governi – Noi e le prossime generazioni – La guerra vista dalle vittime – Corrotti, corruttori, corruttibili e il potere che li salva dai processi- Prescrizione breve, anzi brevissima- Dopo il fallimento della banca padana, fallisce anche la società aerea padana.

Potrete leggere tutto su:



Crisi libica, l’incognita delle “ritorsioni” contro l’Italia.




Sono molti gli italiani che in questo momento si stanno chiedendo quali rischi corre realmente il nostro Pease dando appoggio all’intervento militare contro la Libia. Questa mattina Gheddafi, nel suo intervento audio trasmesso da varie televisioni, è stato chiaro: “Colpiremo nel Mediterraneo obiettivi civili e militari, l’Italia ci ha tradito”. Che cosa dobbiamo quindi aspoettarci da parte del Colonnello? Come spiega Il Corriere della Sera alcuni analisti e lo stesso presidente Silvio Berlusconi affermano pubblicamente che i missili a disposizione non hanno la gittata sufficiente per raggiungere il suolo italiano. In realtà nessuno è in grado di fornire certezze sugli armamenti accumulati dopo la revoca dell’embargo e dunque sull’eventualità che Gheddafi sia in grado di colpire Lampedusa, Linosa e addirittura arrivare fino a Pantelleria. Del resto gli accordi economici stretti negli ultimi anni da numerosi Stati occidentali riguardano anche l’industria bellica. Manca però una lista ufficiale delle apparecchiature consegnate. Gli apparati di sicurezza sono in regime di massima allerta e nessuna ipotesi viene scartata quando si analizzano le possibili «ritorsioni» già annunciate dal Raìs contro quegli Stati che gli hanno voltato le spalle, in testa proprio il nostro Paese.

Allerta alle frontiere di terra e mare
Un dispositivo particolare è scattato a protezione delle ambasciate e più in generale di tutte le sedi diplomatiche degli Stati coinvolti nei raid, così come sempre avviene in caso di una crisi internazionale tanto grave. Non risulta che i servizi di intelligence abbiano trasmesso al governo segnalazioni specifiche su possibili azioni progettate sul territorio. Ma due anni fa nessuno previde che Mohamed Game, cittadino libico residente da anni in Italia, si sarebbe fatto esplodere di fronte alla caserma Santa Barbara di Milano per protesta «contro il governo e Silvio Berlusconi responsabile della politica estera». Ed è proprio un eventuale gesto isolato ad allarmare, come è stato ribadito due giorni fa durante la riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza convocato al Viminale dal ministro dell’Interno Roberto Maroni.

La circolare firmata dal capo della polizia Antonio Manganelli e indirizzata a prefetti e questori al momento si limita a sollecitare «la massima attenzione per gli obiettivi sensibili e soprattutto per le frontiere marittime e terrestri», ma la decisione di convocare in maniera permanente il Comitato di analisi strategica conferma le preoccupazioni relative all’evolversi di «una situazione di guerra che può diventare simile all’Iraq e all’Afghanistan però questa volta in un Paese che si trova a poche centinaia di miglia da noi». In queste ore si cerca di scoprire se negli arsenali del Raìs ci siano armi chimiche. Le voci sono contrastanti, ma è pur vero che l’analisi su quanto stava accadendo nel Paese è apparsa da tempo carente se si tiene conto che nessun servizio segreto occidentale aveva previsto che cosa sarebbe accaduto in Libia: né la rivolta degli oppositori partita dalla Cirenaica, né tantomeno la capacità di Gheddafi di riconquistare la maggior parte del Paese come ha mostrato di poter fare negli ultimi giorni, prima della risoluzione dell’Onu di due giorni fa che ha deciso l’intervento militare a protezione della popolazione.

La rete degli ambasciatori
Per cercare di raccogliere il maggior numero di informazioni i servizi di intelligence occidentale si affidano dunque a quegli ambasciatori libici che il 21 febbraio hanno deciso di abbandonare il regime e schierarsi con i ribelli. Un documento congiunto diramato quattro giorni dopo si rivolgeva al «popolo in lotta» con un messaggio esplicito: «Popolo nostro, in questi momenti noi siamo con te, noi non ti abbandoneremo e ci impegneremo al massimo per servirti come soldati leali al servizio dell’unità nazionale, della libertà e della sicurezza. Noi rimarremo al nostro posto per servire il nostro popolo nei Paesi in cui siamo, nei quali rappresentiamo il popolo libico. Dio abbia misericordia dei martiri del popolo libico».

La nota era stata sottoscritta anche dai loro colleghi in Gran Bretagna, Francia, Spagna, Germania, Grecia e Malta. Adesso sono tutti loro a poter fornire un aiuto prezioso per comprendere dove e come possa essere indirizzata la vendetta di Gheddafi. Il pericolo maggiore riguarda gli italiani e gli altri occidentali che si trovano ancora in Libia e potrebbero essere catturati per essere utilizzati poi come merce di scambio o comunque in un’azione di propaganda contro l’Occidente. Ma la paura per quanto potrà accadere ormai supera i confini dello Stato africano.




Le basi Nato in Italia.


Guardate bene, magari ce n'è una vicino casa vostra e non lo sapevate!

Busag

Elenco per Regioni

Le sigle

Usaf: aviazione
Navy: marina
Army: esercito
Nsa: National security agency [Agenzia di sicurezza nazionale]
Setaf: Southern european task force [Task force sudeuropea]

Trentino Alto Adige
1. Cima Gallina [Bz]. Stazione telecomunicazioni e radar dell'Usaf.
2. Monte Paganella [Tn]. Stazione telecomunicazioni Usaf.


Friuli Venezia Giulia
3. Aviano [Pn]. La più grande base avanzata, deposito nucleare e centro di telecomunicazioni dell'Usaf in Italia [almeno tremila militari e civili americani ]. Nella base sono dislocate le forze operative pronte al combattimento dell'Usaf [un gruppo di cacciabombardieri ] utilizzate in passato nei bombardamenti in Bosnia. Inoltre la Sedicesima Forza Aerea ed il Trentunesimo Gruppo da caccia dell'aviazione Usa, nonché uno squadrone di F-18 dei Marines. Si presume che la base ospiti, in bunker sotterranei la cui costruzione è stata autorizzata dal Congresso, bombe nucleari. Nella base aerea di Aviano (Pordenone) sono permanentemente schierate, dal 1994, la 31st Fighter Wing, dotata di due squadriglie di F-16 [nella guerra contro la Jugoslavia nel 1999, effettuo' in 78 giorni 9.000 missioni di combattimento: un vero e proprio record] e la 16th Air Force. Quest'ultima è dotata di caccia F-16 e F-15, e ha il compito, sotto lo U. S. European Command, di pianificare e condurre operazioni di combattimento aereo non solo nell'Europa meridionale, ma anche in Medio Oriente e Nordafrica. Essa opera, con un personale di 11.500 militari e civili, da due basi principali: Aviano, dove si trova il suo quartier generale, e la base turca di Incirlik. Sara' appunto quest'ultima la principale base per l'offensiva aerea contro l'Iraq del nord, ma l'impiego degli aerei della 16th Air Force sara' pianificato e diretto dal quartier generale di Aviano.

4. Roveredo [Pn]. Deposito armi Usa.
5. Rivolto [Ud]. Base USAF.
6. Maniago [Ud]. Poligono di tiro dell'Usaf.
7. San Bernardo [Ud]. Deposito munizioni dell'Us Army.
8. Trieste. Base navale Usa.

Veneto
9. Camp Ederle [Vi]. Quartier generale della Nato e comando della Setaf della Us Army, che controlla le forze americane in Italia, Turchia e Grecia. In questa base vi sono le forze da combattimento terrestri normalmente in Italia: un battaglione aviotrasportato, un battaglione di artiglieri con capacità nucleare, tre compagnie del genio. Importante stazione di telecomunicazioni. I militari e i civili americani che operano a Camp Ederle dovrebbero essere circa duemila.

10. Vicenza: Comando Setaf. Quinta Forza aerea tattica [Usaf]. Probabile deposito di testate nucleari.
11. Tormeno [San Giovanni a Monte, Vi]. Depositi di armi e munizioni.
12. Longare [Vi]. Importante deposito d'armamenti.
13. Oderzo [Tv]. Deposito di armi e munizioni
14. Codognè [Tv]. Deposito di armi e munizioni
15. Istrana [Tv]. Base Usaf.
16. Ciano [Tv]. Centro telecomunicazioni e radar Usa.
17. Verona. Air Operations Center [Usaf ]. e base Nato delle Forze di Terra del Sud Europa; Centro di elecomunicazioni [Usaf].
18. Affi [Vr]. Centro telecomunicazioni Usa.
19. Lunghezzano [Vr]. Centro radar Usa.
20. Erbezzo [Vr]. Antenna radar Nsa.
21. Conselve [Pd ]. Base radar Usa.
22. Monte Venda [Pd]. Antenna telecomunicazioni e radar Usa.
23. Venezia. Base navale Usa.
24. Sant'Anna di Alfaedo [Pd]. Base radar Usa.
25. Lame di Concordia [Ve]. Base di telecomunicazioni e radar Usa.
26. San Gottardo, Boscomantivo [Ve]. Centro telecomunicazioni Usa.
27. Ceggia [Ve]. Centro radar Usa.

Lombardia
28. Ghedi [Bs]. Base dell'Usaf, stazione di comunicazione e deposito di bombe nucleari.
29. Montichiari [Bs]. Base aerea [Usaf ].
30. Remondò [Pv]. Base Us Army.
108. Sorico [Co]. Antenna Nsa.

Piemonte
31. Cameri [No]. Base aerea Usa con copertura Nato.
32. Candelo-Masazza [Vc]. Addestramento Usaf e Us Army, copertura Nato.

Liguria
33. La Spezia. Centro antisommergibili di Saclant [vedi 35 ].
34. Finale Ligure [Sv]. Stazione di telecomunicazioni della Us Army.
35. San Bartolomeo [Sp]: Centro ricerche per la guerra sottomarina. Composta da tre strutture. Innanzitutto l Saclant, una filiale della Nato che non è indicata in nessuna mappa dell'Alleanza atlantica. Il Saclant svolgerebbe non meglio precisate ricerche marine: in un dossier preparato dalla federazione di Rifondazione Comunista si parla di "occupazione di aree dello specchio d'acqua per esigenze militari dello stato italiano e non [ricovero della VI flotta Usa]". Poi c'è Maricocesco, un ente che fornisce pezzi di ricambio alle navi. E infine Mariperman, la Commissione permanente per gli esperimenti sui materiali da guerra, composta da cinquecento persone e undici istituti [dall'artiglieria, munizioni e missili, alle armi subacquee].

Emilia Romagna
36. Monte San Damiano [Pc]. Base dell'Usaf con copertura Nato.
37. Monte Cimone [Mo]. Stazione telecomunicazioni Usa con copertura Nato.
38. Parma. Deposito dell'Usaf con copertura Nato.
39. Bologna. Stazione di telecomunicazioni del Dipartimento di Stato.
40. Rimini. Gruppo logistico Usa per l'attivazione di bombe nucleari.
41. Rimini-Miramare. Centro telecomunicazioni Usa.

Marche
42. Potenza Picena [Mc]. Centro radar Usa con copertura Nato.


Toscana
43. Camp Darby [Pi]. Il Setaf ha il più grande deposito logistico del Mediterraneo [tra Pisa e Livorno], con circa 1.400 uomini, dove si trova il 31st Munitions Squadron. Qui, in 125 bunker sotterranei, e' stoccata una riserva strategica per l'esercito e l'aeronautica statunitensi, stimata in oltre un milione e mezzo di munizioni. Strettamente collegato tramite una rete di canali al vicino porto di Livorno, attraverso il Canale dei Navicelli, è base di rifornimento delle unità navali di stanza nel Mediterraneo. Ottavo Gruppo di supporto Usa e Base dell'US Army per l'appoggio alle forze statunitensi al Sud del Po, nel Mediterraneo, nel Golfo, nell'Africa del Nord e la Turchia.
44. Coltano [Pi]. Importante base Usa-Nsa per le telecomunicazioni: da qui sono gestite tutte le informazioni raccolte dai centri di telecomunicazione siti nel Mediterraneo. Deposito munizioni Us Army; Base Nsa.
45. Pisa [aeroporto militare]. Base saltuaria dell'Usaf.
46. Talamone [Gr]. Base saltuaria dell'Us Navy.
47. Poggio Ballone [Gr]. Tra Follonica, Castiglione della Pescaia e Tirli: Centro radar Usa con copertura Nato.
48. Livorno. Base navale Usa.
49. Monte Giogo [Ms]. Centro di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

Sardegna
50. La Maddalena - Santo Stefano [Ss]. Base atomica Usa, base di sommergibili, squadra navale di supporto alla portaerei americana "Simon Lake".
51. Monte Limbara [tra Oschiri e Tempio, Ss]. Base missilistica Usa.
52. Sinis di Cabras [Or]. Centro elaborazioni dati [Nsa].
53. Isola di Tavolara [Ss]. Stazione radiotelegrafica di supporto ai sommergibili della Us Navy.
54. Torre Grande di Oristano. Base radar Nsa.
55. Monte Arci [Or]. Stazione di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.
56. Capo Frasca [Or]. Eliporto ed impianto radar Usa.
57. Santulussurgiu [Or]. Stazione telecomunicazioni Usaf con copertura Nato.
58. Perdasdefogu [Nu]. Base missilistica sperimentale.
59. Capo Teulada [Ca]. Da Capo Teulada a Capo Frasca [Or ], all'incirca 100 chilometri di costa, 7.200 ettari di terreno e più di 70 mila ettari di zone "off limits": poligono di tiro per esercitazioni aeree ed aeronavali della Sesta flotta americana e della Nato.
60. Cagliari. Base navale Usa.
61. Decimomannu [Ca]. Aeroporto Usa con copertura Nato.
62. Aeroporto di Elmas [Ca]. Base aerea Usaf.
63. Salto di Quirra [Ca]. poligoni missilistici.
64. Capo San Lorenzo [Ca]. Zona di addestramento per la Sesta flotta Usa.
65. Monte Urpino [Ca]. Depositi munizioni Usa e Nato.

Lazio
66. Roma. Comando per il Mediterraneo centrale della Nato e il coordinamento logistico interforze Usa. Stazione Nato
67. Roma Ciampino [aeroporto militare]. Base saltuaria Usaf.
68. Rocca di Papa [Rm]. Stazione telecomunicazioni Usa con copertura Nato, in probabile collegamento con le installazioni sotterranee di Monte Cavo
69. Monte Romano [Vt]. Poligono saltuario di tiro dell'Us Army.
70. Gaeta [Lt]. Base permanente della Sesta flotta e della Squadra navale di scorta alla portaerei "La Salle".
71. Casale delle Palme [Lt]. Scuola telecomunicazioni Nato sotto controllo Usa.

Campania
72. Napoli. Comando del Security Force dei Marines. Base di sommergibili Usa. Comando delle Forze Aeree Usa per il Mediterraneo. Porto normalmente impiegato dalle unità civili e militari Usa. Si calcola che da Napoli e Livorno transitino annualmente circa cinquemila contenitori di materiale militare.
73. Aeroporto Napoli Capodichino. Base aerea Usaf.
74. Monte Camaldoli [Na]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
75. Ischia [Na]. Antenna di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.
76. Nisida [Na]. Base Us Army.
77. Bagnoli [Na]. Sede del più grande centro di coordinamento dell'Us Navy di tutte le attività di telecomunicazioni, comando e controllo del Mediterraneo.
78. Agnano [nelle vicinanze del famoso ippodromo]. Base dell'Us Army.
80. Licola [Na]. Antenna di telecomunicazioni Usa.
81. Lago Patria [Ce]. Stazione telecomunicazioni Usa.
82. Giugliano [vicinanze del lago Patria, Na]. Comando Statcom.
83. Grazzanise [Ce]. Base saltuaria Usaf.
84. Mondragone [Ce]: Centro di Comando Usa e Nato sotterraneo antiatomico, dove verrebbero spostati i comandi Usa e Nato in caso di guerra
85. Montevergine [Av]: Stazione di comunicazioni Usa.

Basilicata
79. Cirigliano [Mt]. Comando delle Forze Navali Usa in Europa.
86. Pietraficcata [Mt]. Centro telecomunicazioni Usa e Nato.

Puglia
87. Gioia del Colle [Ba]. Base aerea Usa di supporto tecnico.
88. Brindisi. Base navale Usa.
89. Punta della Contessa [Br]. Poligono di tiro Usa e Nato.
90. San Vito dei Normanni [Br]. Vi sarebbero di stanza un migliaio di militari americani del 499° Expeditionary Squadron;.Base dei Servizi Segreti. Electronics Security Group [Nsa ].
91. Monte Iacotenente [Fg]. Base del complesso radar Nadge.
92. Otranto. Stazione radar Usa.
93. Taranto. Base navale Usa. Deposito Usa e Nato.
94. Martinafranca [Ta]. Base radar Usa.

Calabria
95. Crotone. Stazione di telecomunicazioni e radar Usa e Nato.
96. Monte Mancuso [Cz]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
97. Sellia Marina [Cz]. Centro telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

Sicilia
98. Sigonella [Ct]. Principale base terrestre dell'Us Navy nel Mediterraneo centrale, supporto logistico della Sesta flotta [circa 3.400 tra militari e civili americani ]. Oltre ad unità della Us Navy, ospita diversi squadroni tattici dell'Usaf: elicotteri del tipo HC-4, caccia Tomcat F14 e A6 Intruder, gruppi di F-16 e F-111 equipaggiati con bombe nucleari del tipo B-43, da più di 100 kilotoni l'una.
99. Motta S. Anastasia [Ct]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
100. Caltagirone [Ct]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
101. Vizzini [Ct]. Diversi depositi Usa. Nota: un sottufficiale dell'aereonautica militare ci ha scritto, precisando che non vi sono installazioni USA in questa base militare italiana.
102. Palermo Punta Raisi [aeroporto]. Base saltuaria dell'Usaf.
103. Isola delle Femmine [Pa]. Deposito munizioni Usa e Nato.
104. Comiso [Rg]. La base risulterebbe smantellata.
105. Marina di Marza [Rg]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
106. Augusta [Sr]. Base della Sesta flotta e deposito munizioni.
107. Monte Lauro [Sr]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
109. Centuripe [En]. Stazione di telecomunicazioni Usa.
110. Niscemi [Cl]. Base del NavComTelSta [comunicazione Us Navy ].
111. Trapani. Base Usaf con copertura Nato.
112. Isola di Pantelleria [Tp]: Centro telecomunicazioni Us Navy, base aerea e radar Nato.
113. Isola di Lampedusa [Ag]: Base della Guardia costiera Usa. Centro d'ascolto e di comunicazioni Nsa.




Un Berlusconi da Guinness!




Un Berlusconi da Guinness! 6 stronzate epocali sul nucleare in 35 secondi !!!

Rostagno e la coperta di Linus di una generazione con i paraocchi.


L'inchiesta giornalistica de I QUADERNI DE L'ORA fa saltare i nervi ad un gruppo di ex simpatizzanti di Lotta Continua.

Mauro Rostagno, giornalista di RtcNell’Italia mediatica di oggi non c’è niente di più rassicurante e quindi di sicuro -meritevole del timbro della “verità indiscutibile” - di una tesi che mette d’accordo due antichi antagonisti sul palcoscenico della cronaca: le indagini di uno Stato che scopre i colpevoli mafiosi dell’omicidio Rostagno e il coro stonato dei nipotini di una stagione esaltante sul piano delle emozioni, ma fallimentare su quello politico, perché strizzava l’occhio alla violenza e definiva “giustizia” l’omicidio. Rassicurante a tal punto da coprire di insulti il lavoro giornalistico, lo stesso per il quale, secondo questa tesi, è morto Mauro Rostagno.

Quello che colpisce è il livore dei toni e la violenza verbale, ben oltre i confini della diffamazione. Ci hanno definiti "sciacalli","fiancheggiatori" della mafia, hanno chiamato "merda" il nostro lavoro, ci hanno persino accusati di prendere soldi – non si sa bene da chi – per depistare le indagini. Accuse di cui ciascun crociato di questa guerra santa della disinformazione on-line dovra’ – al piu’ presto - rispondere in Tribunale. Tutto questo perche’?

Noi de I Quaderni de L’Ora abbiamo provato semplicemente a mettere in fila dubbi e interrogativi, riproponendo ai nostri lettori un percorso giornalistico a 360 gradi per ricostruire un caso controverso della cronaca con le sue luci ed ombre, con tutte le sue sfaccettature. Non un fatto, un episodio, un verbale, non un solo dato della ricostruzione è stato contestato dal coro di nostalgici indignati: saremmo “depistatori” solo perché osiamo stimolare la riflessione su un movente e su mandanti ancora oscuri, come sostengono, allargando le braccia, gli stessi pubblici ministeri.

Il paradosso e’ che Maddalena Rostagno, figlia di Mauro, e’ tra coloro che gridano ‘’merda’’ contro di noi per l’unica ragione che -dietro l’esecuzione di mafia - ipotizziamo una committenza piu’ alta nell’uccisione di suo padre. In trent’anni di mestiere e’ la prima volta che veniamo accusati dai familiari di una vittima di mafia per aver chiesto luce sui mandanti occulti. E’ come se il padre dell’agente Nino Agostino, che da undici anni non taglia la sua barba per testimoniare la sua aspettativa di giustizia, ci insultasse per aver scritto un articolo che chiede la verita’ completa sulla matrice, non solo mafiosa, dell’uccisione di suo figlio. E’ come se Giovanna Maggiani Chelli, madre di una delle ragazze ferite nella strage dei Georgofili, e presidente dell’associazione familiari delle vittime di quell’eccidio, ci bacchettasse ricorrendo addirittura al turpiloquio per aver posto domande sui committenti ancora misteriosi del tritolo del ’93. Noi rispettiamo il dolore di tutti i parenti di tutte le vittime di mafia, terrorismo, servizi "deviati" e di qualunque agenzia della violenza abbia seminato morte e lutti nel paese, ma non comprendiamo la ratio di questa aggressione violenta e immotivata. Le contumelie, gli insulti, le parolacce non sono certo l’espressione di una divergenza di opinioni – ovviamente legittima, anche se diventa una radicale contrapposizione di idee – serena e democratica.

Ma allora? Di che sono espressione? Perche’ questi toni scomposti? C'e' un'indagine aperta alla Dda di Palermo ancora oggi a caccia del movente e dei retroscena nascosti dell’omicidio Rostagno. Si scava dietro un delitto che riassume, in modo paradigmatico, tutti i misteri di una stagione ancora irrisolta dei rapporti tra mafia, terrorismo e servizi segreti. E' lecito -in assenza di certezze -porsi tutte le domande e i dubbi del caso? Agitare ancora lo striscione con lo slogan “la mafia è una montagna di merda” (azione utilissima negli anni ’70), oggi, nel 2011, può non bastare più e rischia di essere, questo sì, riduttivo e davvero depistante.

Significa non avere compreso struttura ed evoluzione di una Cosa Nostra trasformata, in questi anni, in una “Cosa Nuova”, nelle sue relazioni con apparati dello Stato - come tante indagini sulle stragi hanno portato a galla - individuando l’origine di questa mutazione proprio nella fine degli anni ’80, lo stesso periodo in cui il piombo mafioso ha ucciso Rostagno. Significa, per un giornalismo sensibile alle onde mediatiche diffuse da un’oggettiva saldatura di obiettivi, dimenticare che la prima regola del giornalista è riferire i fatti coltivando i dubbi.

Specie in presenza di un’indagine sui mandanti occulti del delitto Rostagno, che va oltre la mafia, come adesso scrivono anche numerosi colleghi nelle loro cronache. Nessuno mette in dubbio il livello mafioso, nell’ideazione e nell’esecuzione dell’omicidio Rostagno, ma il dubbio che per qualcuno possa trasformarsi in una coperta di Linus che riscalda le coscienze e copre tutti i buchi neri di un passato in cui Mauro fu protagonista, dopo quest’offensiva mediatica di insulti e contumelie, si rafforza.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=39


Due uomini alla moglie di Calcara ''Devi dire a Vincenzo di stare muto''.


La donna minacciata e strattonata davanti casa,nella località segreta dove vive col marito e le figlie. L'episodio denunciato ai carabinieri.

Vincenzo CalcaraL’hanno strattonata afferrandola per il bavero del giubbino. L’hanno sbattuta al muro di casa sua. Poi, ancora più minacciosi, le hanno gridato in faccia. “Devi dirci dov’è Vincenzo o ti facciamo schizzare sangue”. E ancora “ Devi dire a Vincenzo di stare zitto, di stare muto. Sta parlando troppo e non deve parlare più.” Con queste parole due uomini, molto alti e ben vestiti, parlando in dialetto siciliano molto marcato hanno minacciato, strattonandola, la moglie del pentito Vincenzo Calcara, ex pupillo del boss di Castelvetrano Don Ciccio Messina Denaro, poi diventato collaboratore di giustizia.E' accaduto nel nord Italia, nel paesino ai confini con la Francia, dove il pentito vive da anni con la moglie e le figlie, e l'episodio e' stato immediatamente denunciato ai carabinieri. La vittima dell’aggressione si chiama Caterina Durgoni e da diciotto anni è la moglie di Calcara, considerato uno dei “soldati” più promettenti della famiglia mafiosa castelvetranese, al punto che a lui venne affidato l’omicidio di Paolo Borsellino. Ma Calcara si rifiuto' e il 3 dicembre del 1991, si presentò in procura a Marsala chiedendo di parlare proprio con il giudice palermitano. “Dottore Borsellino” – gli disse – “mi hanno incaricato di ucciderla con un fucile di precisione o con un’autobomba.” Borsellino commosso lo abbraccio' e da quel momento inizio' a raccogliere le sue scottanti rivelazioni, che annotava nella sua agenda rossa.

Calcara parlò soprattutto di affari romani, di connessioni tra la Cosa Nostra siciliana e lo Ior di Paul Marcinkus, di rapporti con politici ed alti ufficiali dei Carabinieri. Dalle sue rivelazioni, pero', non e' mai nato alcun processo. Nel 1998 Calcara rinuncio' al programma di protezione, ma non a raccontare le sue verita' a qualsiasi magistrato sia andato ad interrogarlo. A fine dicembre Vincenzo Calcara è tornato per un giorno nella sua Castelvetrano, città sulla quale aleggia ancora oggi il fantasma dell’ultimo padrino, Matteo Messina Denaro, che alcuni vorrebbero addirittura fare sindaco. L’idea era quella di parlare ai giovani della città insieme al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. Al dibattito però di giovani non se ne sono visti. C’era però l’ex sindaco di Castelvetrano Tonino Vaccarino, ex mentore di Matteo Messina Denaro, più volte citato da Calcara nei suoi verbali come reggente della cosca castelvetranese durante le assenze di don Ciccio. Tra i due sono volate parole grosse. "Non e' normale che ad un assassino (cosi' Vaccarino ha definito Calcara, ndr) - ha detto l'ex sindaco - sia consentito di salire sulla cattedra della legalita". “E’ normale – ha ribattuto Calcara - che Vaccarino sia infastidito dalle mie dichiarazioni e voglia distruggere la mia credibilità. Non è normale che gli sia consentito farlo.”

Alla luce delle ultime pesanti minacce alla moglie però, sembra che le dichiarazioni di Calcara diano fastidio anche ad altri. “Quello che è successo a mia moglie è assurdo. Vogliono attaccare l’unica cosa a cui tengo, ovvero la mia famiglia. Vogliono farmi fare marcia indietro su molte cose che ho dichiarato e che potrebbero suggerire una nuova scrittura di certi passaggi della storia italiana”. Ma chi sono quei due signori con un marcato accento siculo che sono riusciti a rintracciare l’abitazione di Calcara, sita ancora oggi in una località segreta? Calcara non ha dubbi “Sono uomini di Matteo, uomini dei servizi deviati, che poi è la stessa cosa. Hanno capito che tutto quello che dico è riscontrabile e vogliono bloccarmi. Non toccano me perché sanno che sarebbe peggio e allora si concentrano sulla mia famiglia, dato che non abbiamo nessun mezzo per difenderci.” Calcara da alcuni anni ha nuovamente richiesto al Ministero di poter entrare nel programma di protezione. Richieste che però sono cadute nel vuoto. “Riconosco di aver fatto un errore a rifiutare lo status di testimone. Adesso però vorrei che almeno la mia famiglia possa essere al sicuro. Mia moglie da oggi è in stato di choc. E’ una situazione difficile ma dal ministero non mi è mai arrivata nessuna risposta. Sanno che il mio bagaglio di conoscenze è pericoloso per molti equilibri. L’impressione è che vogliano isolarmi negandomi la protezione come hanno già fatto con Gaspare Spatuzza.” La settimana prossima Calcara e' invitato a raccontare i dettagli delle sue rivelazioni a Modena insieme al senatore di Italia dei Valori Luigi Li Gotti.

I Quaderni de l'Ora / Ingroia, quella volta a palazzo Chigi...





Il procuratore aggiunto della Dda di Palermo racconta la trasferta del 26 novembre 2002 a Roma per interrogare il premier nell'ambito del processo Dell'Utri, che si stava celebrando a Palermo

Considerazioni.



Beppe Grillo scrive:

Quando l'Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940, Mussolini almeno lo dichiarò dal balcone di Palazzo Venezia davanti a una folla oceanica. Ci mise, come si dice, la faccia dopo quasi un anno di attesa dall'inizio del conflitto europeo in cui, per starne fuori, si era inventato la "non belligeranza", né guerra, né pace. 71 anni dopo, nel giorno del 150° anniversario dell'Unità, siamo entrati in guerra con la Libia, un nostro ex alleato (in questi voltafaccia abbiamo una certa esperienza...) senza un pubblico dibattito o che Berlusconi o Napolitano sentissero il bisogno di andare in televisione a spiegarne i motivi. La Libia non è l'Afghanistan, con cui pure siamo in guerra senza saperne assolutamente i motivi. E' a due passi dalle nostre coste, è uno Stato che abbiamo riconosciuto fino all'altro ieri in modo plateale e anche cialtronesco. L'Italia ha fornito armi a Gheddafi, come pure molti Stati che ora si apprestano a bombardarla. I nostri interessi economici sono tali che, insieme alla Libia, stiamo costruendo da anni un gigantesco gasdotto, Greenstream, per collegarla all'Europa.
Ci troviamo in guerra e non sappiamo perché. E' vero che gli insorti di Bengasi rischiano di essere passati per le armi, è altrettanto vero che si tratta di una guerra civile, un fatto interno al Paese, in cui l'Italia poteva e doveva porsi come interlocutrice di entrambe le parti, come mediatrice. Il nostro ruolo non è quello di gendarmi del mondo o di reggicoda degli Stati Uniti. Gheddafi è un mostro? Forse. Ma la distruzione della Cecenia è da imputarsi alla Russia di Putin e l'occupazione del Tibet alla Cina di Hu Jintao, ma nessuno ha mosso, né muoverà un dito all'ONU. Nel Darfur è stato massacrato, stuprato, mutilato, un milione di persone nell'indifferenza della Nato. In Africa sono in corso guerre civili e tribali da 50 anni a partire dallo spaventoso genocidio del Ruanda.
Vi ricordate l'attacco a Lampedusa del 1986? Gheddafi lanciò allora due missili Scud contro un'installazione militare statunitense dopo il bombardamento di Tripoli voluto da Reagan. L'unico atto di guerra contro il nostro territorio da parte di uno Stato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quante basi americane ci sono sul nostro territorio? Ognuna è un bersaglio. Frattini ha dichiarato: "Daremo le basi, possibili nostri raid". Lo ha fatto con quell'aria stolida e tranquilla che lo accompagna dalla nascita. Qualcuno ha detto agli italiani che siamo in guerra e un missile libico potrebbe colpire in ogni momento una nostra città?

http://www.beppegrillo.it/2011/03/morire_per_bengasi.html#comments

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Io esprimo il mio pensiero:

Probabilmente Beppe ha ragione quando dice che non saremmo dovuti intervenire in una guerra civile, ma io continuo a credere che fosse un preciso dovere dei paesi confinanti prendere una decisione drastica e muoversi per dare una mano ai ribelli libici.

So bene che ciò significa guerra, so anche che da Gheddafi c'è da aspettarsi di tutto, anche la più turpe ritorsione, ma sono per la libertà di movimento e di pensiero e non riesco ad immaginare un mondo in cui si vive da oppressi.

Già la semi-dittatura che vige in Italia mi infastidisce, mi opprime, figuriamoci come potrebbe essere una non-vita in una dittatura simile a quella libica.

Sarò incosciente, sarò anche poco riflessiva, ma io la penso così.

Sentire che, finalmente, qualcuno si è mosso per fare cessare la carneficina, mi ha rinfrancato, mi ha ridato speranza.

Non si vive di solo pane, si vive, sopratutto, di libertà.

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carmine d9 mi replica:

Per caso hai sentore di quanti morti "civili" ci sono stati dopo aver "liberato" l'Iraq o l'afganistan?

Io rispondo:

No, perchè quella non è stata una "liberazione", e non credo che questa volta vogliano fare lo stesso errore. Un vecchio detto recita: "errando, discitur".
In ogni caso, non si può restare fermi.
La libertà è un bisogno, vale più di ogni cosa al mondo, tutto va sperimentato per ottenerla.
Guai a chi non crede più nella lotta per ottenerla, a qualunque costo!

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La mia considerazione:

Senza libertà, meglio morire!

Io la penso così!


Crisi libica, la testimonianza: “Gheddafi ha ordinato rastrellamenti casa per casa”.


Parla Omar, professionista libica fuggito dal suo paese giovedì scorso. In Italia è arrivato dal Cairo. A ilfattoquotidiano.it racconta l'orrore della repressione ordinata dal rais e che non risparmia nemmeno donne e bambini

“Nonostante i bombardamenti, Gheddafi non prenderà mai Bengasi. Lui è un uomo finito”. Omar (nome di fantasia) è un libero professionista libico. In Italia ci è arrivato giovedì. E’ partito dal Cairo dopo l’inizio dei bombardamenti a Ajdabiyah, città a 160 chilometri da Bengasi. “Siamo partiti in 14 su minibus privati diretti verso il confine egiziano che oggi, con tutta probabilità, è chiuso. Alcuni di noi, tra cui anche donne e bambini, sono rimasti in Egitto, altri sono venuti in Italia o si sono diretti a Beirut. Le milizie non controllavano la frontiera e gli egiziani hanno aiutato i profughi libici facilitando le pratiche burocratiche dei passaporti. C’erano molti volontari disposti a darci una mano”.

Omar era in Libia sin dall’inizio della rivoluzione, ma due giorni fa ha deciso di partire prima che la situazione degenerasse anche a Bengasi, come è accaduto nelle ultime ore. Spiega che l’informazione dei media occidentali è stata carente, che non hanno fornito una copertura esauriente di quanto accadeva a Tripoli. “I giornalisti hanno fatto un uso massiccio delle notizie diramate da Jana, l’agenzia governativa. Certo, è stata data voce anche a denunce e al massacro dei civili, ma le fonti più attendibili erano le forze di opposizione. Non sono d’accordo con chi li chiama ribelli o insorti. Sono soltanto oppositori del regime”. Gheddafi, che Omar definisce “un pazzo visionario, un megalomane che vuole spargere sangue per entrare nella storia”, ha sottoposto il suo popolo a violenze e repressioni durissime. “Da est a ovest del paese ci sono stati rastrellamenti sistematici casa per casa. I primi sono stati a Tripoli dopo il 17 febbraio, giorno della manifestazione ufficiale a Bengasi contro il governo. La Cirenaica è sempre stata contro la dittatura, e per quello è la regione meno sviluppata, senza infrastrutture. Hanno preso tanti giovani, soprattutto attivisti politici. Molti sono spariti, i corpi occultati, e chi è tornato a casa ha dovuto firmare dichiarazioni di fedeltà al regime”.

Gheddafi, che ha definito i suoi concittadini “topi, ratti da stanare”, ha fatto ampio uso di mercenari provenienti principalmente da Niger, Ciad, Algeria, Mauriotania, Gabon e Ghana integrati anche nell’esercito e addestrati per sparare ad altezza d’uomo. “Erano pronti da dieci anni a intervenire”, prosegue Omar. “Gheddafi aveva intessuto rapporti politico-commerciali con i paesi dell’Africa subsahariana da cui ha ingaggiato migliaia di uomini per la sua incolumità. E, oltre a loro, in queste ore ha attaccato Bengasi: un amico mi ha riferito che la sua casa è stata colpita, che i morti nell’ospedale sono oltre 50 e i feriti centinaia. Stamattina hanno bombardato la Croce Rossa e lo stadio, le comunicazioni via cellulare sono possibili soltanto attraverso il satellitare o la connessione a internet via parabola. A Misurata hanno tagliato anche l’acqua e la luce da giorni. Molti civili hanno le case dotate di scantinati che utilizzano come rifugi durante i bombardamenti”.

Nelle ultime settimane i media parlavano di gruppi a sostegno di Gheddafi che erano disposti a difenderlo anche con le armi. “E’ tutto fasullo, nessuno lo vuole più alla guida guida del paese. Sono gli uomini dei suoi apparati quelli che avete visto sui giornali vestiti in abiti civili, gli orfani indottrinati dal regime”. Omar è convinto che con l’intervento internazionale queste siano le ultime ore per il leader che, tuttavia, non è intenzionato ad arrendersi. Il popolo libico è però deluso dal tardivo intervento occidentale, che avrebbe dovuto attaccare già la settimana scorsa, e al temporeggiamento di Berlusconi. “Non c’è odio nei confronti degli italiani, anzi. Ma avremmo preferito parole più nette sin dall’indizio al posto dell’intenzione dichiarata di non interferire, che si è tramutata in indifferenza. Spero che lo prendano vivo, deve essere processato. Troppo comodo se muore”. Il ringraziamento di Omar va ai popoli maghrebini di Tunisia ed Egitto, i primi a insorgere: “Se Ben Ali e Mubarak fossero ancora al potere – conclude Omar – in Libia non sarebbe successo nulla. Tutti volevamo che Gheddafi se ne andasse eppure, in mancanza di alternativa, speravamo che suo figlio Saif Al-Islam ci facesse transitare verso la democrazia. Ma si è rivelato peggiore del padre, meglio averlo saputo prima”.