Mark Donovan: “L’Italia è di fronte a uno spartiacque”. di Davide Ghilotti


Il politologo britannico disegna un ritratto a tinte fosche della politica italiana. Berlusconi è stato azzoppato dai processi, ma nell'opposizione non si vede ancora un'alternativa

Per Mark Donovan, docente di politiche internazionali all’Università britannica di Cardiff ed esperto di politica italiana, l’Italia potrebbe trovarsi presto di fronte a uno “spartiacque” sul modo di fare e di intendere la politica. Berlusconi potrebbe finalmente uscire sconfitto da un eventuale elezione, ma a sinistra le alternative sono troppo deboli. E poi c’è un sistema politico che è diventato, come hanno sottolineato Paul Ginsbourg e Patrick McCarthy, “neo-patrimoniale”, dove vari clan “in lotta per il potere” si sono sostituiti ai partiti.

Professore, quali saranno le conseguenze politiche del caso Ruby?
Fino a non molto tempo fa, non era chiaro se i sondaggi mostrassero un’opinione pubblica più critica verso Berlusconi per lo scandalo a luci rosse che lo coinvolge. Ora i dati fanno pensare, per la prima volta, che il presidente del Consiglio possa trovarsi nella condizione di perdere eventuali elezioni. Il supporto nel mondo cattolico è calato. In più, dopo otto anni di governo di centro-destra, cresce il malcontento anche fra gli elettori del Pdl. Sono sempre meno persuasi dalle promesse sulla riduzione delle tasse e dal miraggio di uno sviluppo economico che ancora non si vede.

Quindi non c’è solo il bunga bunga a minacciare l’immagine di B?
L’Italia è di fronte a uno spartiacque, e i processi potrebbero fare da catalizzatore per il cambiamento. Tutto dipende da quello che faranno le opposizioni.

Come è noto il caso Ruby non è il solo procedimento a preoccupare il premier. Cosa pensa della riforma della giustizia?
Il solo fatto che il premier sia imputato in diversi processi è sufficiente per renderlo la persona meno indicata per fare una riforma così estesa. La posizione penale di Berlusconi ha creato una crisi strutturale nel cuore del sistema costituzionale italiano che è rimasta irrisolta per troppo tempo.

L’ipotesi di cambiare premier, con un capo del governo sostenuto sempre dall’attuale maggioranza, è un ipotesi fantascientifica?
Il centro-destra non è mai stato in grado di rimpiazzare Berlusconi con un leader meno problematico. Cambiare il cavallo durante la corsa non è mai una scelta facile, ma è straordinario che Berlusconi sia ancora lì. Il partito aveva tentato di disarcionarlo, nel 2005-06, ma poi non ci è riuscito. Il problema è che prima Forza Italia, poi il Pdl sono formazioni inusuali in cui le decisioni piovono dall’alto. Dove la base non partecipa né riesce a influenzare le politiche del partito.

Perché non si è mai riusciti a cambiare il “cavallo” Berlusconi?
Il Pdl ha poco movimento interno alla base del partito, e un collegamento quasi inesistente dal basso verso l’alto. E’ una forma estremizzata dei “professionisti della politica”, come li aveva chiamati Angelo Panebianco. Molti grandi partiti sono andati in questa direzione, ma Forza Italia e il Pdl sono stati dominati dai loro leader in misura insolita. Non c’è una dialettica interna, come quella che si può trovare anche nella Lega – altro partito con un leader molto forte. Finché Berlusconi sarà in grado di stare a capo del partito, il partito sarà sotto il suo comando.

Eppure anche la Lega Nord pare voler sostenere B. nonostante gli scandali e i processi
La Lega ha rincorso il progetto di alcune grandi riforme dello Stato fin dalla sua nascita. Ora vuole spingere il proprio programma il più in là possibile finché si può. Anche se la base protesta contro l’alleanza, far cadere il governo ora vorrebbe dire rischiare di bloccare il processo delle riforme e pagare duramente la decisione nelle urne.

Le alternative: quando Fini lasciò il Pdl, molti videro l’opportunità di una nuova forza di centro-destra alternativa a B. Pochi mesi, e Fli ha a malapena i numeri.
Futuro e libertà ha sicuramente perso il suo momento, non solo in Parlamento ma anche sui media. Come per il Pd, ancge fra i futuristi c’è il dilemma strategico delle alleanze. Avendo come identità primaria un’alternativa di centro-destra al Pdl, un’alleanza con l’Udc è problematica – un partito più centrista e, soprattutto, cattolico. Allearsi con altri partiti a sinistra potrebbe distruggere il poco consenso rimasto.

Il Pd, dal canto suo, pare non essere ancora in grado di offrire un’alternativa credibile a Berlusconi.
La questione ha due aspetti. Il Pd è il più grande partito di opposizione, ma rimane sotto quel 30 per cento di voti che è uno dei requisiti minimi per guidare una coalizione di governo. E poi un’alleanza a guida Pd per un “governo in attesa” non viene accettata dalle altre forze di opposizione. Alcuni osservatori sostengono l’idea di un’alleanza di tutti i partiti opposti a Berlusconi, da Fli passando per l’Udc e dal Pd all’Idv e al Sel. Grandi coalizioni di questo tipo non si sono mai verificate nella storia politica italiana. Uno scenario improbabile, se non impossibile.

La crisi d’identità della sinistra è quindi senza uscita?
I predecessori di questo partito governarono l’Italia dal 1996 al 2001. La sinistra ha le carte per vincere le prossime elezioni, ristabilendo una struttura principalmente bipolare del sistema politico. Personalmente, credo che questo sarebbe di grande beneficio per l’Italia.

Insomma, il suo è un ritratto a tinte fosche
La tesi di Patrick McCarthy dice che in Italia la politica è diventata una lotta di potere tra clan. La trovo vera e inquietante. E poi c’è anche Paul Ginsborg che sostiene che la politica italiana è diventata neo-patrimoniale. Berlusconi ha una concezione patrimoniale dello stato. Il leader politico non è solo il titolare degli uffici pubblici, ma accumula un immenso potere personale economico e mediatico, oltre che governativo, anche in questioni di politica economica internazionale – penso agli affari di Berlusconi con la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi. Rimane anche il problema dell’immensa influenza sulla cultura e l’informazione interna, che ancora va contro il principio del pluralismo.







L’ultima balla? La villa a Lampedusa. - di Marco Lillo


L’ultima balla? La villa a Lampedusa

Ho comprato, comprerò, non compro più. Ecco come trasformare una tragedia in una farsa in tre mosse. Silvio Berlusconi, nel giorno in cui si dovrebbe parlare solo dei 250 uomini annegati tra i flutti e dei bambini scomparsi nel mare forza 6, riesce a monopolizzare l’attenzione con il suo tormentone immobiliare. “Voglio diventare lampedusano e quindi mi sono attaccato ieri notte a Internet e ho comprato una villa bellissima a Cala Francese”, così il Cavaliere aveva sancito con il cemento il 30 marzo il suo patto d’onore con gli isolani.

Quell’acquisto, già stipulato, era per tutti la sua prova d’amore eterno nei confronti dell’isola che “al primo consiglio dei ministri (oggi, ndr) sarà candidata al Nobel per la Pace”. Incassato il risultato mediatico, il premier si era guardato bene dal far seguire alle parole i fatti. Eppure, a parte qualche piccolo articolo sui giornali, non ne aveva pagato lo scotto mediatico. Fin quando martedì sera a Ballarò, l’ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli ha svelato il bluff del Cavaliere: “Conosco il proprietario di quella villa che è una delle più belle di Lampedusa e so per certo che non è stata acquistata da Silvio Berlusconi, è una bugia”.

Immediata nel pomeriggio di ieri è arrivata la reazione indignata dei difensori del Cavaliere contro“l’accusa inconsistente” di Mieli. “Già la settimana scorsa – ha detto indignato il deputato-avvocato del Pdl e del premier Niccolò Ghedinisi è raggiunto un accordo con la proprietà, che afferma di non aver mai parlato con il dottor Mieli, per l’acquisto fissando definitivamente il prezzo. Ovviamente – aggiungeva come se fosse un cavillo insignificante Ghedini – l’acquisto è stato subordinato ai consueti accertamenti burocratici che obbligatoriamente debbono svolgersi prima dell’acquisto di qualsiasi immobile. Tra i legali delle parti e il notaio già incaricato per il rogito, sono intercorsi in questi giorni continui contatti con numerosi scambi di mail e documenti, facilmente riscontrabili, che comprovano la totale inconsistenza della grave accusa del dr. Mieli, guarda caso subito fatta propria dall’on. Veltroni”. Dopo l’intervento di Mieli, infatti, Walter Veltroni aveva preso la parola per dire che “se non è vero quello che ha detto il presidente del Consiglio di fronte a tante persone che soffrono, Berlusconi dovrebbe fare quello che si fa in un paese civile, ossia un passo indietro. Se è vero che ha ingannato i cittadini dovrebbe risponderne”.

Per Ghedini l’unico ingannatore di questa storia era proprio Veltroni, perché l’acquisto sarebbe stato imminente: “È ovvio quindi che il passaggio di proprietà si perfezionerà all’esito, certamente breve, delle verifiche di legge, ma la volontà delle parti è assolutamente chiara e univoca”. Ovvio. Chiaro. Univoco. Breve.

Passano un paio di ore e gli aggettivi perentori di Ghedini si sgonfiano di fronte alla volontà vera del premier. Ai governatori delle Regioni che erano andati a Palazzo Chigi per parlare dei problemi degli immigrati, il premier dice esattamente l’opposto di quanto Ghedini (evidentemente non informato dal suo principale sulla nuova exit strategy) aveva appena dichiarato: “Non posso più comprare la villa di Lampedusa che avevo visto su Internet” perché, sostiene il premier, “è su unterreno demaniale.

Che qualcosa non stesse andando per il verso giusto si capiva dai discorsi della mattina in Transatlantico. Quando i deputati del centrodestra dicevano ai cronisti che la villa non era stata acquistata per problemi di “ipoteche” accumulate sulla casa dal venditore. Basta fare una verifica alla conservatoria per scoprire che le cose non stanno così e che, evidentemente, il centrodestra, da Ghedini in giù, era impegnato come un sol uomo nella titanica impresa di trovare una scusa plausibile per l’indecorosa ritirata.

I proprietari di Villa due palme, infatti, sono tre: Pietro e Caterina De Stefani e Luca Pirri Ardizzone, che l’hanno ereditata nel 2007 dopo la morte della signora Silvia Vita, madre dei De Stefani e zia di Pirri Ardizzone. Sulla villa pende solo un’ipoteca della Gerit per un debito fiscale di 5 mila euro. E Pietro De Stefani smonta punto per punto la versione del presidente del consiglio: “La villa non sorge su terreno demaniale. Come tutte le case di Lampedusa che sorgono sul mare presenta alcuni vincoli ma la questione era ben chiara agli avvocati. Alle 17 di ieri i miei legali e quelli di Berlusconi erano in contatto. Eravamo rimasti d’accordo”, prosegue sconsolato De Stefani,“che avremmo fatto richiesta al comune per risolvere il problema. Come ha dichiarato anche Ghedini alla stampa. Poi all’improvviso”, continua De Stefani sempre più sorpreso, “Berlusconi se ne è uscito con questa dichiarazione in cui sostiene che non comprerà perché il terreno è del Demanio. Ma non è vero niente. Anche la storia dell’ipoteca è una stupidaggine. Sulla villa c’è solo una piccola ipoteca per un debito che nemmeno ricordavamo per una piccola tassa. È ridicolo pensare che Berlusconi si sia fatto spaventare dall’ipoteca della Gerit. Sono deluso. Evidentemente ha cambiato idea ma bastava dirlo”.



Migranti, Maroni: “Francia ostile” Parigi risponde: “No all’ondata dall’Italia”


Berlusconi firma il decreto per la concessione dei permessi di soggiorno temporanei. Bagarre alla Camera durante la relazione del ministro degli Interni: il deputato Zazzera dell'Idv espone il cartello "Maroni assassino". Scontro con il ministro dell'Interno francese: "Respingeremo i migranti anche se hanno visti di Roma". Ue: "Permessi di soggiorno non è permesso automatico di viaggio in area Schengen"

Il ministro dell'Interno Roberto Maroni

Gli immigrati avranno un permesso di soggiorno temporaneo. Berlusconi ha firmato il decreto dopo le polemiche scoppiate con il governo francese. Da una parte il ministro dell’Interno italianoRoberto Maroni, dall’altra il suo omologo d’oltralpe Claude Gueant. “Firmeremo il decreto per concedere ai migranti arrivati in Italia il permesso di soggiorno temporaneo. Il documento “consentirà di circolare in tutti i Paesi dell’area Schengen” e, ha spiegato il ministro, “verrà dato a coloro, e sono la stragrande maggioranza, che vogliono andare in Francia ed in altri Paesi”, ha detto Maroni nell’audizione alla Camera. E annunciava: “A questo proposito, domani mattina incontrerò il ministro dell’Interno francese, che ha chiesto di vedermi, per definire un sistema di intervento comune”. La tattica è chiara: da un lato chiudere il rubinetto che dalla Tunisia porta gli immigrati verso l’Europa, dall’altro aprire il tappo dei confini italiani per “svuotare la vasca”, per dirla con Bossi. Il tutto sotto l’occhio vigile degli elettori della Lega che, tra riforme della Giustizia, nucleare e pasticci sull’immigrazione, cominciano a non poterne più della continua e reiterata promessa di federalismo.

Insomma, tutto preparato per funzionare. Invece, il ministro dell’interno francese ha risposto “picche”. Prima ha inviato a tutti i prefetti del paese una circolare in cui ricorda cinque regole molto rigide per l’ingresso in Francia da “un paese terzo” membro dello spazio Schengen. Poi ha dichiarato: “Parigi è assolutamente nel suo diritto di rimandare in Italia i migranti che non possiedano i requisiti chiesti dal governo francese”. In Senato contemporaneamente Maroni bollava l’atteggiamento della Francia come “ostile”.

La circolare inviata questa mattina da Gueant spiega che gli immigrati provenienti da un paese Schengen “possono effettuare in Francia soggiorni che non superino i tre mesi” ma devono rispettare diverse condizioni: essere in possesso “o di un documento di soggiorno valido emesso da uno stato membro dello spazio Schengen e del proprio passaporto”, “o di un’autorizzazione provvisoria di soggiorno valida, emessa da uno stato membro, accompagnata da un documento di viaggio emesso dallo stesso stato membro”. “In ognuna di queste ipotesi, questi titoli di soggiorno e autorizzazioni provvisorie di soggiorno – viene spiegato ai prefetti – sono accettabili soltanto se notificate alla Commissione europea dallo stato che li ha emessi”. Oltre a “un documento di soggiorno valido” e “un documento di viaggio valido riconosciuto dalla Francia”, gli stranieri interessati devono “giustificare di avere risorse sufficienti” e di “non rappresentare con la loro presenza in Francia una minaccia per l’ordine pubblico”. I prefetti sono invitati a “verificare se le cinque condizioni sono tutte soddisfatte. In ogni altro caso, gli stranieri vengono riconsegnati allo stato membro di provenienza”.

Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha definito l’atteggiamento francese “non particolarmente amichevole”. Ma a Gueant dà ragione la Commissione Ue: “Dare un permesso temporaneo agli immigrati non implica che queste persone abbiano un permesso automatico di viaggiare. Queste persone devono rispettare alcune condizioni”, ha detto il portavoce Marcin Grabiec.

Domani incontro Maroni-Gueant

Quale sia l’esito dello scontro si capirà domani. Il bilaterale tra Roberto Maroni e il collega francese, Claude Gueant, si terrà infatti alle 11 nella sede della Prefettura a Milano.

Mantovano ritira le dimissioni e Gabrielli diventa commissario straordinario
Durante il Consiglio dei ministri di oggi, Silvio Berlusconi ha firmato il decreto per la concessione dei permessi di soggiorno temporaneo agli immigrati. Dalla riunione sono poi uscite due novità: la nomina del capo del Dipartimento della Protezione civile, Franco Gabrielli, a commissario straordinario per l’emergenza immigrati e il ritiro delle dimissioni da sottosegretario all’Interno da parte di Alfredo Mantovano. Che ha quindi raccolto l’appello di Berlusconi, che in una nota diffusa in precedenza aveva fatto sapere di aver chiesto a Mantovano di ritirare le dimissioni: “Gli ho chiesto di entrare nell’Unità di Crisi istituita al Viminale e nella cabina di regia presso la Conferenza unificata. Ho infine sottolineato all’on. Mantovano che gli impegni assunti con lui e con i rappresentanti parlamentari della Puglia, a nome del Governo nei giorni scorsi, troveranno attuazione”. Dopo le rassicurazioni del premier anche il sindaco di Manduria, Paolo Tommasino, ha ritirato le dimissioni che aveva rassegnato il 30 marzo scorso.

Il Cdm ha poi dichiarato uno stato di emergenza per consentire l’adozione delle concordate misure umanitarie nel Nord Africa.

L’accordo tra Italia e Tunisia

Computer e fuoristrada. In cambio della garanzia di avere rimpatri e pattugliamenti da parte delle autorità tunisine. E’ il cuore del ‘Processo verbale’ siglato due giorni fa a Tunisi fra i due ministri dell’Interno Roberto Maroni e Habib Hessid, anticipato dal Corriere della Sera.
Nell’accordo si prevedono “28 fuoristrada giapponesi e 14 motori Caterpillar per motovedette” da consegnare entro due giorni. E da inviare entro dieci giorni “20 postazioni pc fisse con tastiera in arabo, 20 postazioni pc analogici fissi, 20 metal detector portatili destinati alla circolazione transfrontaliera”.
Nel testo si specifica poi che per chi arriverà dopo la firma dell’accordo “la verifica della cittadinanza tunisina sarà realizzata nel luogo di arrivo in Italia, sulla base di procedure semplificate” e che la “riammissione dovrà in ogni circostanza realizzarsi alla presenza del’autorità consolare tunisina e nel rispetto dei diritti dell’uomo e della dignità umana”.
In primis, comunque, bisognerà rafforzare “la cooperazione fra le forze di sicurezza dei due Paesi al fine di prevenire l’attraversamento illegale delle frontiere” e si specifica, all’articolo 4, che “Italia e Tunisia procederanno alla designazione reciproca di punti di contatto per scambiare in tempo reale ogni utile informazione operativa”. Il nostro Paese, poi, contribuirà all’addestramento delle forze di polizia locali.
Prevedendo altri sbarchi, infine, Maroni, sempre secondo il quotidiano di via Solferino, avrebbe anche proposto la nomina del Capo della protezione civile, Franco Gabrielli, come nuovo commissario per l’emergenza che si occupi di tutta Italia. Nomina che potrebbe arrivare al prossimo Consiglio dei ministri.

Le polemiche alla Camera
Dopo il pienone di ieri sera per le votazioni sul processo breve, la Camera è semivuota in occasione dell’informativa del ministro dell’Interno Roberto Maroni sulla crisi dell’immigrazione. Accanto al ministro Brunetta e Calderoli. L’opposizione schiera, oltre a diversi deputati, i suoi leader: nell’emiciclo ci sono Bersani (Pd), Di Pietro (Idv) e Casini (Udc). Più vistosi, invece, i vuoti nei banchi della maggioranza ma anche in quelli di Fli. Assenze dovute forse dall’ora tarda in cui la seduta notturna di ieri si è conclusa. E nell’aula semi vuota, al termine dell’intervento di Maroni,Pierfelice Zazzera dell’Idv ha esposto nell’Aula della Camera un cartello con la scritta “Maroni assassino”. Il cartello gli è stato strappato dalle mani da Giancarlo Giorgetti della Lega. Il gesto è stato condannato dal leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro che si è subito scusato con Maroni.

In tarda mattinata arrivano anche le scuse dello stesso Zazzera: ”Ho superato il limite e per questo chiedo scusa. Ci tengo a precisare, però, che il mio gesto non voleva essere un attacco personale al ministro Maroni, ma una provocazione e denuncia politica per quanto sta accadendo con i migranti”, ha detto il deputato dell’Idv. “I 250 morti di ieri, tra cui molti bambini, mi hanno turbato profondamente. Quanto sta accadendo in Puglia dimostra l’assenza delle istituzioni e il disagio della popolazione pugliese che si è trovata sola a gestire l’emergenza. Ritiro, dunque, anche se tardivamente, quel cartello, ma resta la denuncia politica”, ha concluso Zazzera.



Da Chernobyl a Fukushima, il disastro tra errore umano e contesto sociale. - di Marcello Cini.



Tutti sono d'accordo se dico che un'auto può anche essere dotata dei più raffinati dispositivi di sicurezza, ma diventa un oggetto molto pericoloso se alla sua guida c'è un ubriaco. Così come tutti ci aspettiamo che il pilota dell'aereo sul quale stiamo salendo sia sobrio e periodicamente aggiornato e controllato.

Molti invece dimenticano che anche le centrali nucleari hanno bisogno di un guidatore e dunque che la sicurezza intrinseca garantita dal progetto e dalla manutenzione di queste macchine è soltanto un elemento necessario ma certamente non sufficiente. Un documentario di grande interesse trasmesso poche sere fa in tv sulla ricostruzione storica della catastrofe di Chernobyl ci ha per esempio ricordato che fu il delirio di onnipotenza dell'ingegnere capo dell'impianto a fargli ordinare di procedere, nonostante il parere contrario dei suoi sottoposti, all'esecuzione di un test (paradossalmente un test di sicurezza!) estremamente rischioso mai eseguito prima, innescando così il surriscaldamento del nocciolo del reattore e la sua esplosione in conseguenza dell'aumento incontrollato della pressione del vapore al suo interno.

Anche il precedente incidente (1979) della centrale di Three Miles Island negli Usa, che per miracolo non provocò un disastro paragonabile, ha avuto inizio, così almeno si disse allora, dall'omesso intervento di un addetto al controllo, al quale la pancia troppo abbondante aveva impedito di vedere le luci d'allarme che si accendevano sul pannello al quale stava appoggiato. Una cosa comunque è certa: che la debolezza di una catena è quella del suo anello più debole, e che siamo proprio noi umani, che inevitabilmente facciamo parte di qualunque sistema da noi costruito per soddisfare i nostri bisogni, che alla fine ne diventiamo il punto di rottura.

In un recente articolo Andrea Masullo, docente di Sostenibilità Ambientale all'Università di Camerino, che da giovane voleva fare l'ingegnere nucleare, spiega che tra le ragioni della sua rinuncia c'è stata proprio questa consapevolezza. «I maggiori incidenti negli impianti nucleari - scrive - sono stati generati da errori umani di sottovalutazione o da fattori esterni non previsti - lo tsunami dopo il terremoto che blocca i circuiti di raffreddamento - possiamo pensare a operatori addetti al controllo che non sono lucidi mentalmente e al loro posto per la paura del terremoto e la centrale va fuori controllo e la scienza della sicurezza non serve più a nulla. Nella disperazione tutto viene affidato all'improvvisazione».

Quello che mi preme sottolineare con questa premessa è che la tendenza a decontestualizzare i problemi, isolandoli come se la loro origine e la loro soluzione dipendessero solo dagli elementi costitutivi della realtà all'interno di un perimetro teorico e pratico ben definito e dalle loro relazioni logicamente consistenti, è un errore concettuale pericoloso.

Ma dobbiamo fare un passo avanti. Se l'elemento umano è la goccia che fa traboccare il vaso, il vaso è stato prima riempito dal contesto sociale. In questo contesto domina il contrasto fra gli interessi della collettività e gli interessi privati di chi investe il proprio capitale nell'impresa coinvolta in una catastrofe. Gli ostacoli incontrati fin dall'inizio nell'affrontarne subito le reali dimensioni e le drammatiche conseguenze sociali sono frutto evidente del tentativo di salvare per quanto possibile i soldi da parte di chi ce li ha messi.

Si tratta di un fenomeno che, per esempio, si è già manifestato nel disastro ecologico della rottura del pozzo petrolifero off-shore della British Petroleum nel Golfo del Messico. Tutti ricordano l'impotenza di Obama di fronte a quello che diceva e faceva la Bp. È stato un fenomeno che potrebbe ripetersi anche più vicino a casa nostra, così come potrebbe manifestarsi in futuro anche nel campo delle biotecnologie o delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni. Sempre di più infatti le strutture di prevenzione e di controllo pubbliche a salvaguardia degli interessi della collettività risultano arretrate e inadeguate rispetto agli strumenti di conoscenza e di azione sviluppati e impiegati dalle imprese, che sono sempre finalizzati a massimizzarne i profitti e a minimizzarne le perdite. Se non vengono percepiti e affrontati subito, questi colossali conflitti di interessi sono destinati a moltiplicarsi e ad aggravarsi.

Anche la vicenda della centrale di Fukushima dimostra che persino nel paese che più di ogni altro al mondo è caratterizzato da un diffuso controllo sociale dei comportamenti e dei doveri di ogni individuo, il capitale e i suoi interessi prevalgono su ogni altra regola, tradizione o convenzione.

Per scendere nel caso italiano, parlare di sicurezza delle centrali come se costruire centrali nucleari da noi fosse la stessa cosa che costruirle in un altro paese, equivale a colpevolmente tapparsi gli orecchi e chiudere gli occhi. Le differenze materiali, culturali, civili, economiche e sociali con gli altri paesi industrialmente avanzati dove già le centrali esistono sono purtroppo evidenti, e sarebbero già comunque tutte a sfavore della scelta nucleare, anche se non fosse accaduta la catastrofe di Fukushima.

Nel concreto, sappiamo tutti che lo smaltimento dei rifiuti ordinari è spesso nelle mani delle organizzazioni mafiose, che la selezione degli appalti è affidata con criteri molto personali da parte di politici e amministratori corrotti, sappiamo dell'abitudine dei costruttori a sostituire il cemento con la sabbia e dei fornitori a non andare per il sottile sulla qualità delle forniture, sono forme, diciamo, di facilitazione delle attività produttive sempre più diffuse a tutti i livelli e in tutto il territorio nazionale. Sono forme però poco compatibili con le garanzie di sicurezza che la tecnologia nucleare può tollerare.

La decisione è tanto più irresponsabile, inoltre, anche perché il mantenimento in coma farmacologico del piano nucleare nella speranza di richiamarlo in vita tra un anno, impedisce l'adozione di misure, che sarebbero sempre più urgenti, di conversione economica e tecnologica verso lo sviluppo delle energie rinnovabili e delle pratiche di risparmio e di uso efficiente dell'energia. Non a caso esso si accompagna con la riduzione degli incentivi per lo sviluppo del fotovoltaico e la campagna contro l'eolico che sta colpevolmente stroncando sul nascere un promettente settore di piccole e medie industrie, il cui sviluppo avrebbe effetti benefici sull'occupazione, e dunque anche sull'economia del paese in generale.

Il nesso stretto che lega le prossime elezioni amministrative con i referendum per l'acqua pubblica e per le energie pulite non è stato ancora colto dall'opinione pubblica italiana, che non ha reagito a sufficienza al mancato accorpamento delle due consultazioni elettorali da parte del governo che punta a far mancare il quorum per seppellire definitivamente la questione. Dobbiamo fare in modo che la diffusa sfiducia dei cittadini nei confronti della politica non travolga con il disastro nucleare anche l'ultimo strumento che abbiamo per contrastarne i possibili nefasti effetti futuri.

http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/04/


Giuseppe Graviano a Sonia Alfano: "Se parlavo di Berlusconi, lui finiva in galera. Ma io ero solo tra due fuochi"


Incontro in carcere tra il boss di Brancaccio e Sonia Alfano che lo racconta nel suo libro 'La Zona d'ombra'

di Giuseppe Pipitone

Carcere di Opera, braccio speciale per i detenuti in regime di 41 bis. Maggio 2010. Una fioca luce artificiale illumina l’interno di una cella. Dentro ci sono due persone. La prima è un detenuto per associazione a delinquere di stampo mafioso. La seconda invece è una parlamentare europea e proprio per questo può visitare liberamente i carcerati, anche quelli detenuti in regime di “carcere duro”.

"Lei deve capire, cara onorevole, che i miei figli stanno pagando colpe che non hanno"
Sguardo fisso, un po' vacuo, il detenuto cerca di solleticare la compassione del suo interlocutore. Che però non abbocca.
"A tutto questo lei poteva anche pensare prima di commettere reati del genere"
"Ma quali reati? Io sono vittima di errori giudiziari, ha letto le carte dei miei processi?"
"Le ho lette, ed infatti non credo proprio che si tratti di errori giudiziari."
"E allora se lei la pensa così, noi non abbiamo niente da dirci".
A questo punto la parlamentare europea si alza immediatamente dalla sedia ed esce dalla cella. Ma un attimo dopo il detenuto le parla di nuovo.
"Se io parlavo di Berlusconi, e confermavo quello che aveva detto Spatuzza, Berlusconi sarebbe finito in galera ed io sarei diventato la persona migliore del mondo”
Occhi lucidi, voce impastata e nervosa. Poi ancora: “Ma io che dovevo fare? Ero solo tra due fuochi!".
Il secondino, fino a quel momento parte quasi integrante dell’arredamento carcerario, si attiva. "SignorGraviano stia zitto, la smetta di gridare così, lasci stare l'onorevole”.

Giuseppe Graviano Il “signor Graviano” è Giuseppe Graviano, boss mafioso del quartiere palermitano di Brancaccio. Nel gennaio del 2010 Graviano preferì non confermare le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, rifiutandosi di deporre per motivi di salute. Secondo le dichiarazioni di Spatuzza, Cosa Nostra avrebbe, nel 1993, stabilito un vero e proprio e patto con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi per sostenere Forza Italia. L’onorevole invece è Sonia Alfano, europarlamentare diItalia dei Valori, che dall’anno scorso gira le carceri incontrando tutti i più importanti boss di Cosa Nostra: da Totò Riina - che le ha confidato: “A voi deputati, vi farei fucilare tutti, non fate niente per farci stare meglio in carcere” - fino a Bernardo Provenzano - che invece le ha regalato una criptica e agghiacciante considerazione personale: “Nella vita solo i grandi uomini fanno grandi cose, poi arriva la natura e fa il suo corso”.

Molti degli incontri avuti con i boss mafiosi di prima grandezza, Sonia Alfano li racconta nel libro La Zona d’Ombra, scritto per Rizzoli, nel quale l'europarlamentare di Idv riassume tutta la sua esperienza di vita dopo l’omicidio del padre, il giornalistaBeppe Alfano. “Ho cercato in questo libro di conservare la memoria di mio padre – dichiara la Alfano – raccontando passo dopo passo l’esperienza della mia famiglia dopo la sua uccisione. Il racconto parte proprio da quella terribile giornata in cui fu assassinato mio padre.”
L’8 gennaio del 1993 Beppe Alfano, collaboratore de La Sicilia , fu ucciso per mano mafiosa proprio mentre si trovava alla guida della sua auto, in via Marconi, a Barcellona Pozzo di Gotto. Dopo la sua morte si aprì un lunghissimo processo, ancora in corso, e in cui non sono ancora emersi i veri mandanti del delitto. “Nel libro – spiega Sonia Alfano – racconto anche le difficili vicende giudiziarie inerenti il processo sulla morte di mio padre. Dai vari depistaggi, fino ai momenti più difficili in cui noi familiari siamo stati costretti a difendere la memoria di mio padre, che in molti hanno cercato d’infangare.”

Ne La Zona d’Ombra sono raccontati anche gli anni in cui la Alfano si è impegnata per i diritti dei familiari di vittime della mafia, fino alla sua esperienza al Parlamento Europeo: “anche da parlamentare, ho sempre cercato di capire quale fosse l’essenza di Cosa Nostra. Prima ero governata da un sentimento di odio verso quelli che sono gli assassini di mio padre. Poi però ho deciso di mettere da parte i sentimenti negativi, che non portano a nulla, e ho cercato di riflettere. Per questo ho incontrato quasi tutti i boss mafiosi, per cercare di comprendere meglio cosa li avesse spinti a scegliere una vita del genere. Tutti però sembrano convinti di non aver sbagliato nulla, anzi invocano l’errore giudiziario”. La Zona d'Ombra uscirà nelle librerie il 6 aprile e sarà presentato alla libreria Kalhesa di Palermo domenica 10. Nel frattempo, però, l'autrice denuncia strane coincidenze telematiche: "Proprio oggi che è la vigilia dell'uscita del libro mi sono accorta che le mie pagine sul social network Facebook sono state parzialmente disattivate. Ovviamente non voglio pensare a nulla di male, è strano però che proprio ora qualcuno abbia segnalato 'contenuto offensivo' nell'account del principale mezzo di comunicazione da me utilizzato, dalle manifestazioni antimafia fino alle campagne elettorali".

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=134


Processo breve, il Pd fa "ostruzionismo creativo".



Tour de force a Montecitorio per approvare in tempi rapidi il processo breve. Il premier Berlusconi spinge infatti perchè il provvedimento diventi legge al più presto. Un pressing, riferiscono esponenti del Pdl, che ha causato anche alcuni momenti di fibrillazione nella stessa maggioranza, costretta a fare i conti con la necessità di accelerare i tempi e un calendario dei lavori non favorevole. Tutti i deputati della maggioranza vengono precettati in Aula, nessuna defezione è concessa e si va avanti ad oltranza, con l'opposizione che rallenta i lavori e fa ostruzionismo. La discussione va avanti fino a notte e, per evitare 'incidenti' che possano compromettere il voto finale del processo breve, anche il Consiglio dei ministri subisce il 'contingentamento' dei tempi. Giovedì la riunione è stata convocata dalle 13,30 alle 15, recita la nota ufficiale di palazzo Chigi. Giusto il tempo della necessaria pausa pranzo. I ministri così potranno partecipare alla riunione dell'esecutivo senza far mancare il loro voto alla Camera,come era successo giovedì scorso, quando si è scatenata una vera e propria bagarre. Nonostante il lavoro dello stato maggiore del Pdl per reclutare nuove forze continui a dare i suoi frutti, la maggioranza, per essere effettivamente tale, ha infatti ancora la necessità di chiamare a raccolta tutti i parlamentari, ministri compresi. Martedì, con il voto sul conflitto di attribuzione, è stata ancora una volta raggiunta quota 314: 12 voti in più rispetto all'opposizione e, soprattutto, tre nuovi voti - due dei liberaldemocratici Melchiorre e Tanoni, e uno dell'autonomista Aurelio Misiti. Ma, anche se dall'Mpa sono in arrivo un paio di altri possibili deputati, la fatidica quota 330, necessaria alla maggioranza per navigare tranquilla a Montecitorio, non è ancora raggiunta.

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