venerdì 27 maggio 2011

Tangenti nella sanità piemontese. Indagato l’assessore regionale Caterina Ferrero. - di Andrea Giambartolomei


L'esponente del Pdl sarebbe coinvolta in un giro di tangenti e bandi truccati. Indagato anche un suo collaboratore. Misure cautelari per cinque persone. Contestati i reati di turbativa d'asta, corruzione

Scandalo sanità piemontese, conferenza stampa del Pdl. Nella foto Agostino Ghiglia ed Enzo Ghigo

Nuova, pesante tegola per la giunta di Roberto Cota. L’assessore alla Sanità, Caterina Ferrero, è indagata dalla Procura di Torino, mentre Piero Gambarino, per gli inquirenti il braccio destro dell’assessore, è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta che coinvolge anche Pierfrancesco Camerlengo, amministratore e socio di un grosso gruppo di cliniche private, e altre cinque persone.

Si tratta di una vasta “operazione chirurgica”, usando il gioco di parole del gip, partita da controlli su bandi e gare d’appalto “turbati” della Regione Piemonte per la fornitura di materiale sanitario e per l’assegnazione di una collaborazione ben remunerata. Gli altri episodi vanno dalla corruzione e turbativa d’asta, per la costruzione di una clinica privata, fino alla concussione, per bloccare la responsabile del servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro (Spresal). Secondo il gip che ha convalidato le misure cautelari emerge “un quadro a tinte fosche” in cui c’è un “sistematico sviamento a fini privati della funzione pubblica”.

Nell’autunno scorso alcuni bandi di gara della Società di committenza regionale (Scr), di cui Gambarino è consigliere, sollevano i dubbi della Guardia di Finanza. Andava assegnato il servizio di fornitura triennale di pannoloni e per il primo lotto, dall’importo di 50 milioni di euro, venne effettuata una gara, poi revocata con una delibera dell’assessore Ferrero per la revisione e la riorganizzazione del servizio. In realtà, secondo le fiamme gialle, era già stato definito un accordo tra Gambarino e due rappresentanti della Federfarma, la federazione dei titolari di farmacie, il presidente regionale Luciano Platter e il segretario cittadino Marco Cossolo, affinché la fornitura fosse data senza una gara alle farmacie, per un prezzo più alto delle base d’asta. Da questa mattina i due uomini di Federfarma sono agli arresti domiciliari. Un altro “sviamento a fini privati della funzione pubblica” riguarda l’assegnazione di un incarico a un “collaboratore designato”. Per attribuire l’incarico alla direzione regionale della sanità, Ferrero e Gambarino avrebbero fatto predisporre un bando “su misura” di un ex funzionario di un’Asl: laurea in economia e commercio, esperienza nella gestione di servizi sanitari e monitoraggio dei costi, conoscenza della normativa nazionale e regionale del servizio sanitario.

Gli altri episodi non riguardano l’assessore regionale, ma sempre il suo fido collaboratore. Un’asta ritenuta truccata per l’acquisto di ex capannoni industriali da trasformare in residenze sanitarie a Cavagnolo (To), definita grazie a un incontro promosso dal commissario dell’Asl 5 di Torino Vito Plastino (arrestato stamattina) tra Gambarino e un architetto collaboratore di Camerlengo,Pasqualino Fico, nella sede di un’impresa del gruppo della sanità privata. Nell’occasione il sindaco di Cavagnolo Franco Sampò aveva messo a disposizione l’ufficio tecnico del Comune, concordato i tempi di pubblicazione del bando (a ridosso delle festività natalizie, così che possa passare inosservato) e non aveva concesso la proroga dei termini richiesta da un concorrente. Per questa complicità anche lui è stato tratto in arresto. Risulta anche che Camerlengo, insieme all’odontoiatra Marco Mozzati, abbia corrotto Plastino con false fatture passate tramite lo studio dentistico di Mozzati. Infine Gambarino è indagato per concussione: su segnalazione di una consigliere regionale del Pdl ha cercato di rimuovere dall’incarico la responsabile dello Spresal, che aveva trovato delle irregolarità in un’azienda di un imprenditore vicino al consigliere trasmettendole in procura. “Mi ha detto tutto a posto – disse la Ferrero a Gambarino riportando l’apprezzamento del politico – grazie, sei stato bravissimo”.

La complicità dell’assessore in questo sistema getta ombre sulla giunta di Cota che, a giorni, potrebbe essere colpito da un’altra tegola. Martedì è attesa la sentenza per le firme false di Michele Giovine, consigliere regionale. Nel marzo scorso aveva ottenuto 32 mila voti, più del triplo dello scarto tra Cota e Mercedes Bresso.



G8: Carlà bacia tutti. Tranne Berlusconi.



L'arrivo dei capi di Stato accolti dalla consorte di Sarkozy. L'ex modella è affettuosa con tutti, un po' meno col premier italiano.



All' "Adotta un astensionista" c'è chi risponde con "Bruciacchia il tuo comitato".



Il finto attentato al comitato elettorale di Lettieri.
Si capisce subito che è stato organizzato ed anche male.


BERLUSCONI : OBAMA = SINDONA : REAGAN. - di Andrea Sceresini



Mentre il premier Berlusconi denuncia al presidente degli Usa Barack Obama: "Sono perseguitato dai giudici di sinistra, in Italia c'è una dittatura", riemerge dagli archivi una lettera dal carcere che Michele Sindona scrisse nel 1981 a Ronald Reagan e che rivela un inedito parallelo.


Quello che state per leggere è un documento inedito. Nel 1981 il banchiere Michele Sindona si trovava in carcere a Springfield, Missouri. Sul suo capo gravavano ben 65 accuse: frode, spergiuro, false dichiarazioni bancarie, appropriazione indebita di fondi bancari. Anche la giustizia italiana, oltre a quella statunitense, lo aveva ormai incastrato. Si sentiva in trappola. Così scrisse molte lettere, tra queste una, interminabile, destinata a Ronald Reagan, il presidente degli Stati Uniti.
La missiva fu inviata e ricevuta, ma non ottenne risposta. Per trent'anni un'unica copia di quel documento è rimasta sepolta nell'archivio del figlio di Sindona, Nino.
Oggi Nino Sindona, che era stato coinvolto nell'inchiesta giudiziaria per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli da parte di un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano e poi assolto, vive in Brasile, dove si è sposato e ha avuto un figlio. Gestisce una catena di ristoranti italiani, ma ha tagliato ogni ponte con il suo Paese d'origine. E' stato lui a decidere, dopo decenni di silenzio, di consegnarci una copia della "Lettera al Presidente". E' una lunga arringa difensiva: l'ultimo grido d'aiuto del potentissimo banchiere piduista, uno dei grandi vecchi della Prima Repubblica.

(GQ) Fa uno strano effetto il parallelismo tra le parole pronunciate oggi dal premier Silvio Berlusconi in presenza del presidente americano Barack Obama e quelle della lettera inedita del bancarottiere Michele Sindona all'allora presidente americano Ronald Reagan. Siamo nel 2011, la lettera è invece datata 1981. Sono passati trent'anni, ma i temi di fondo sono gli stessi: la magistratura è di sinistra e perseguita chiunque si metta contro i comunisti che dominano l'Italia. I valori patriottici di Sindona, come quelli di Berlusconi, vengono calpestati e i loro portatori diventano bersaglio di inchieste giudiziarie mirate a eliminarli. La sola differenza è il finale: Sindona rimase in un carcere americano nonostante la supplica a Reagan, Berlusconi è diventato presidente con il libero voto degli italiani e a Obama si rivolge mentre frequentano vertici internazionali.


Ecco il contenuto della lettera, che si può vedere nella gallery sopra. Domani, sempre su GQ.com, altri dettagli sulla lettera.

7 settembre 1981

Al Presidente degli Stati Uniti
Casa Bianca
Washington, D.C. 20500

Signor Presidente:

Il mio nome è Michele Sindona. Sono un cittadino italiano e ho 61 anni. Sono un detenuto delle prigioni federali degli Stati Uniti d'America dal 7 febbraio 1980.

Attualmente sono nel Centro Medico della prigione federale di Springfield, Missouri. Il mio numero di matricola è 00450-054. Sono stato condannato due volte a 25 anni di carcere per bancarotta fraudolenta.

Io mi sono sempre sentito un amico degli Stati Uniti d'America. Sono stato perseguitato dalla Sinistra italiana soltanto perché mi sono battuto con tutte le mie forze per il rispetto delle istituzioni italiane e l'elezione di un governo veramente democratico che potesse onorare le alleanze con i Paesi occidentali, in primo luogo con gli Stati Uniti.

(…) Ho comprato un giornale italiano in lingua inglese per evitare che cadesse nelle mani della sinistra (…) Ho studiato il modo per evitare che la sinistra italiana prendesse il controllo della stampa e della televisione. Per questi miei tentativi la sinistra italiana ha fatto di me un bersaglio e ho rischiato la vita in più di una occasione.

(…) Il Consiglio superiore della magistratura, di cui fanno parte in maggioranza rappresentanti della sinistra, ha cacciato il presidente della Corte di Cassazione che aveva sottoposto un affidavit nel quale si affermava che i giudici italiani avevano illegalmente dichiarato che le mie banche fossero in bancarotta.

(…) Ho descritto solo una parte delle incredibili torture morali, psicologiche e talora perfino fisiche che ho dovuto subire. Ora mi rivolgo a Lei, signor presidente, con la speranza di ottenere protezione e serenità per la mia famiglia. Gli Stati Uniti hanno duramente criticato le dittature che perseguitano le famiglie di coloro i quali considerano criminali. Io mi sono soltanto battuto per la democrazia e la giustizia, e a causa di questo sono stato perseguitato dai comunisti italiani. Sono ancora convinto che gli Stati Uniti siano il solo Paese capace di salvare la mia patria e l'intero mondo libero dalla minaccia comunista. L'Italia ha bisogno di recuperare tre valori: lavoro, famiglia e fede. La propaganda di sinistra ha distrutto questi valori, così come ha distrutto la democrazia e il tessuto stesso dello Stato. Nessuno vuole più lavorare perché confida nell'assistenza sociale. La ricca famiglia italiana di un tempo è ora soltanto un ricordo. Quanto alla fede, un tempo valore stabilizzante, è stata perduta dagli italiani. (…) Io resto nella tempesta e da qui le grido: "E' questo quel che accade a un amico degli Stati Uniti?"

Rispettosamente suo,

Michele Sindona

http://www.gqitalia.it/viral-news/articles/2011/5/silvio-berlusconi-a-obama-come-michele-sindona-a-ronald-reagan-in-italia-giudici-di-sinistra#?refresh=ce


Berlusconi all’ultima spiaggia. - di Patrizia Rettori

Niente di nuovo sotto il sole. Berlusconi va in tv (ancora!) a dire che non è colpa sua: sono gli altri, i candidati deboli, gli alleati infidi, gli elettori senza cervello, ad azzopparlo. Ma state tranquilli, lui non se ne andrà, anche se perdesse Milano o Napoli o tutte e due. Davvero?

In realtà nel centro destra sembra accaduto qualcosa di irreparabile. Non è tanto la sconfitta al primo turno quanto il fatto che a quella sconfitta il capo non sia stato capace di reagire. Non si sono viste armi segrete, alzate d’ingegno, trovate sorprendenti. Solo il solito Berlusconi che ripropone all’infinito se stesso e il consueto armamentario propagandistico. Per ora gli elettori non hanno abboccato, e speriamo che confermino la scelta nei ballottaggi. Ma la sensazione inedita è che, comunque vada il voto, a non abboccare più siano le sue truppe.

Il blocco sociale che lo sosteneva si va sgretolando: c’è un mondo, che va dagli imprenditori alla gerarchia cattolica, che non gli crede più e, anzi, lo ritiene ormai impresentabile. Fa impressione vedere un personaggio come AntonioD’Amato, leader della Confindustria più berlusconiana di sempre, tifare esplicitamente De Magistris. O un grande vecchio come Cesare Romiti dichiarare il suo appoggio a Pisapia. Per non parlare delle posizioni prese dal cardinale Tettamanzi e da giornali come Avvenire e Famiglia cristiana.

È ovvio che tutto questo disorienti lo schieramento politico di governo. Perdere supporter di quel calibro deve fare molto male. E nessuno, tranne qualche fedelissimo, vuole essere travolto dal crollo dell’imperatore. Non Bossi, che infatti già cerca di riposizionarsi e riduce al minimo sindacale il suo appoggio ai candidati berlusconiani. E nemmeno larghi settori del Pdl, che lavorano freneticamente a nuove aggregazioni capaci di avere un futuro.

Tutto questo lavorio verrà alla scoperto in fretta se Milano e Napoli saranno conquistate da Pisapia e De Magistris. Il fatto che Berlusconi abbia sentito il bisogno di dire e ripetere che non ci saranno contraccolpi sul governo significa proprio che si sente in allarme rosso. Ma la novità che si percepisce in queste ore convulse è che se pure accadesse l’imprevedibile, e cioè se Moratti e Lettieri la spuntassero, la situazione non sarebbe comunque più recuperabile. Certo, ci sarebbe una battuta d’arresto e in un primo momento si sprecherebbero le professioni di lealtà. Ma la consapevolezza di averla scampata per il rotto della cuffia e di essere all’ultima spiaggia riporterebbe presto alla luce tutte le tensioni nascoste. Pensate alla manovra economica che dovrà essere varata per far fronte agli impegni di risanamento presi con l’Europa: Bossi avrà la sua ricetta e nel Pdl ne verranno avanzate altre quattro o cinque. Ciascuno cercherà interlocutori dentro e fuori la maggioranza, e gli interlocutori detteranno le loro condizioni, la prima delle quali sarà di mettere da parte il Cavaliere. Né sembrano fondate le speranze dei berlusconiani ortodossi di cercare l’intesa con Casini.

Al leader dell’Udc si possono imputare molte cose, ma non la stupidità. Che senso avrebbe, per lui, trasformarsi in stampella per un premier a fine corsa? Nessuno. L’Udc ha un progetto preciso: cambiare la legge elettorale con un sistema alla tedesca e attuare una parte dimenticata della Costituzione attraverso una legge sulla democrazia nei partiti. E’ un’idea impegnativa, che ha molti difetti e però ha anche qualche pregio: prosciuga l’acqua del berlusconismo archiviando l’era del bipolarismo muscolare, e cancella il fenomeno dei partiti personali (Pdl compreso) rendendoli scalabili da parte di una nuova classe dirigente.

In ogni caso, il dibattito post elettorale si svolgerà su un terreno già deberlusconizzato. E sarà un bel banco di prova per la sinistra in generale e per il Pd in particolare. Ne parleremo. Ma ora l’importante è vincere i ballottaggi. Perché se ci riusciremo tutti i processi saranno accelerati, idee e proposte verranno allo scoperto e si potrà finalmente ragionare sul futuro.

http://www.libertaegiustizia.it/2011/05/26/berlusconi-allultima-spiaggia/



Le comiche finali. - di Arturo Meli.

Siamo alle comiche finali. Già, perché il fuori programma di Berlusconi che prende alle spalle Obama, gli dà un’affettuosa pacca, per “scippargli” un colloquio di due minuti, sotto l’occhio accigliato di Sarkozy e della Merkel, al G8 di Deauville, in Francia, è uno di quegli show che in tv fanno sbellicare dalle risate.

Il problema è che, come accade quando c’è di mezzo il Cavaliere, la farsa confina con la tragedia.

Le iniziative del premier meriterebbero di essere sepolte sotto una grossa risata, ma sono un dramma per la dignità del Paese che lui è chiamato a rappresentare.

Le telecamere hanno captato il fuori onda dell’inatteso siparietto.

E, allora, di che cosa ha parlato Berlusconi con il presidente americano? Forse della crisi libica, dei tempi di una guerra che ci tocca da vicino? Proprio no. Il Cavaliere ha riproposto la sua ossessione giudiziaria: la “dittatura dei giudici di sinistra”, che intende cancellare con la sua riforma “epocale” della giustizia. Dunque, il capo del potere esecutivo attacca e denigra, al vertice tra i grandi della democrazia mondiale, il potere giudiziario, e presenta un’Italia in cui la democrazia è a rischio. Pare che, sul finire, il Cavaliere sia riuscito, con una battuta, a far sorridere l’aggrondata Angela Merkel. Come pubblico intrattenitore, in realtà, Berlusconi incontra. Il guaio è che fa il presidente del Consiglio. E che, in questa veste, gode all’estero di un impressionante discredito.

L’ennesima “bizzarria” (è un eufemismo) di Berlusconi dà il suggello a un voto amministrativo che ha gettato nel panico il centrodestra. Lui, il “grande comunicatore”, il “grande seduttore”, è in crisi. E’ stanco come è stanca la sua faccia, vecchio come vecchie sono le sue parole, gli slogan che ripete ossessivamente. L’estremismo è il capitolo principale della sua propaganda perché non ci può essere mai moderazione negli schemi della sua democrazia mediatica, personalistica e spettacolare. Ma questa volta la vecchia arma non paga. Come si può credere alle bugie su una Milano che si trasformerebbe, qualora vincesse Pisapia, in una zingaropoli, centro d’attrazione per rom, terroristi islamici, estremisti d’ogni tipo, froci, lesbiche, drogati? Una campagna grottesca, che offende anzitutto il buon senso. Berlusconi rappresenta una leadership incapace di ritrovare una rotta appena credibile. Paventa la sconfitta. E mette le mani avanti. Per salvarsi, adotta la vecchia pratica dello scaricabarile: se le cose non vanno bene, è colpa dei candidati che sono deboli e non tirano. Scava la sua trincea perché non ha alcuna intenzione di mollare. Ma così lascia allo sbando i suoi. Che si sentono indifesi nel caos politico e organizzativo dal quale il Pdl è attanagliato.

È chiaro che da lunedì sera nulla potrà più essere come prima. La Lega ha già intrapreso la sua marcia di smarcamento. Certo, la questione dei ministeri al Nord non ha nulla da spartire con l’idea di un buon federalismo. E, quando il ministro Calderoli minaccia lo sciopero fiscale per ottenerne il trasferimento, e chiede addirittura di portare il Quirinale a Milano, siamo alla provocazione bella e buona. In queste forzature, nell’affermazione che i lombardi devono sentirsi “rappresentati come entità autonoma”, c’è chi vede profilarsi di nuovo il fantasma della secessione. È più probabile, invece, che la Lega, al momento, si preoccupi soprattutto di parlare alla pancia del partito, di risollevare una base abbattuta dalla sconfitta inattesa, che ha subito al primo turno elettorale. Sta di fatto comunque che nel centrodestra gli scontenti si stanno organizzando e che la tenaglia si stringe intorno a una premiership sempre più imbalsamata. È difficile, però, avanzare previsioni; molte sono le varibabili di un processo che potrebbe essere lungo. Affrontiamo il voto con il massimo impegno, dunque. La ragione spinge all’ottimismo, ma la prudenza consiglia di restare vigili fino all’ultimo. Se si vuole la svolta, bisogna per prima cosa vincere.

http://www.libertaegiustizia.it/2011/05/27/le-comiche-finali/



Berlusconi: “Giustizia italiana è una patologia della democrazia. Devo spiegarlo all’estero”


Dopo le sue lamentele di ieri con il presidente Usa Obama a proposito della "dittatura dei giudici", il premier risponde in una conferenza stampa. E rilancia: "I giudici vogliono favorire la sinistra e l'informazione delegittima le istituzioni"

“Nuovo mondo, nuove idee”. La fida campeggia alle sue spalle, nella scenografia del G8 diDeauville. Ma il premier rispolvera le sue ossessioni: la giustizia e l’informazione parziale. Argomenti non nuovi, ma sempreverdi, tanto da essere portati in sede internazionale. “E’ mio preciso dovere istituzionale, ogni volta in cui incontro capi di Stato e di governo, informare sulla situazione in Italia” spiega Silvio Berlusconi in una conferenza stampa in conclusione del vertice. E’ la sua risposta alle critiche per “la conversazione informale”, come la definisce, avuta ieri con il presidente statunitense Barack Obama. Al G8 si sarebbe dovuto discutere di Libia, Siria, sicurezza nucleare, ma il premier ha trovato spazio per sfogarsi con il presidente Usa riguardo alla “dittatura dei giudici” presente in Italia. “Abbiamo presentato una riforma della giustizia che per noi è fondamentale – registrano la voce del Cavaliere le telecamere a circuito chiuso – perché in questo momento abbiamo quasi una dittatura dei giudici di sinistra” [Leggi la cronaca].

“Dalla stampa è stato riportato solo un frammento della mia conservazione con il presidente – spiega oggi il premier -, il ragionamento era più ampio e di giustizia si è parlato solo per tre minuti”. Sarebbe stato poco lo spazio dedicato alla “patologia della democrazia”, definizione della giustizia appena più limata rispetto a quella di “cancro”. Scopo della sua chiacchierata con Obama, riferisce, era quello di approfondire “vicende che potrebbero minare la credibilità di chi deve guidare il Paese”. Cioè le sue traversie giudiziarie. E così torna ad attaccare la magistratura. “Si è interferito nella vita politica italiana – spiega – creando crisi di governo e caduta di governi democraticamente eletti”. Di questo tipo la strategia messa in atto nei suoi confronti, “per favorire un mio avversario politico e la sinistra”, continua. Stavolta però il premier aggiunge un dettaglio a quella che lui stesso definì la “strategia eversiva dei pm”. “Mi vogliono aggredire anche sul piano patrimoniale”, denuncia.

In questa “situazione intollerabile”, un ruolo fondamentale è giocato dall’informazione. Che, secondo il premier, “delegittima le istituzioni” e molto spesso devia dalla verità. Proprio come nel caso della conversazione con il presidente Usa: un dovere, secondo il presidente, informare i colleghi all’estero dell’accanimento italiano contro di lui; una polemica gonfiata invece dalla stampa, ancora secondo il Cavaliere. “Una sua ossessione” è invece il commento del segretario generale del Pd, Pier Luigi Bersani, secondo cui il premier si trova “dentro un film” e intanto il Paese “è in caduta libera nella credibilità internazionale” e “sta andando con il pilota automatico da mesi e mesi”. “E’ molto grave che sia accaduto all’estero – dichiarava ieri Luca Palamara, presidente dell’associazione nazionale magistrati – e che una fondamentale istituzione dello Stato venga denigrata anche agli occhi di uno dei più potenti capi di Stato al mondo”. Impossibile invece per Berlusconi non accorgersi del fatto che ormai “sono venuti meno quei bilanciamenti previsti dalla Costituzione”, e così i magistrati responsabili di persecuzioni, come quella nei suoi confronti, “non sono mai stati riconosciuti colpevoli”. “E’ assurdo – aggiunge il premier rivolto ai cronisti – che voi giornalisti non vi scandalizziate quando avete avuto la prova, per 24 volte, che le accuse nei miei confronti erano infondate”. Anzi, aggiunge: “Vergognatevi”. E promette di non lasciare la politica “fino a quando non ci sarà una giustizia giusta”.




Tra aziende fantasma e finti corsi così vengono rubati 5 miliardi Ue. - di ANTONIO FRASCHILLA



Da Nord a Sud imprenditori imbroglioni truffano l'Europa: ogni anno vengono accertate mille frodi, ma almeno diecimila sfuggono a ogni controllo. Uno dei trucchi più usati è la falsa fatturazione. In Lombardia inventati falsi stage di formazione.


ROMA - Fabbriche fantasma al Sud, finti corsi di formazione al Nord. E in tutte le regioni finte fatturazioni per ottenere soldi nel settore agricolo. È così che gli italiani hanno scalato - fino a raggiungere un poco invidiabile primo posto - le classifiche delle frodi all'Unione europea. Basta leggere gli ultimi dati dell'Olaf, l'organismo della Commissione che si occupa delle irregolarità nell'utilizzo dei fondi: le ultime frodi accertate erano state 1.131 nel 2009, per un ammontare di 328 milioni di euro. Trend confermato e in crescita nel 2010. Secondo la Guardia di finanza in Calabria e Sicilia, due sole regioni, lo scorso anno sono state denunciate frodi ai danni della Ue per 212 milioni di euro. Il 2011? I primi cinque mesi promettono bene. L'ultimo caso, di pochi giorni fa, è quello delle società milanesi che avrebbero messo in piedi corsi di formazione fantasma per 50 milioni di euro. E il comandante della Gdf in Sicilia, Domenico Achille, già in aprile aveva lanciato un altro allarme: "I finanziamenti europei sono entrati nel mirino della criminalità organizzata". Peccato però che questa sia solo la punta dell'iceberg: l'ex direttore dell'Olaf, Nicholas Llet, ha dichiarato alla Bbc che "gli Stati membri perseguono solo il 7 per cento dei casi sospetti". Il che significa, che solo in Italia sarebbero stati truffati 4,6 miliardi di euro.
Fra l'altro, spiegano poi i sindacati, l'attività di questa grande Azienda Italia specializzata nel truffare
l'Europa porta con sé macerie sociali e ambientali: operai che da un giorno all'altro finiscono in mobilità, cattedrali di cemento che si ergono vuote e abbandonate nel cuore delle aree industriali da Napoli a Palermo, da Foggia a Cosenza. "Ci troviamo così a dover difendere lavoratori truffati come lo è stata l'Unione europea da pseudo imprenditori che una volta ottenuti i finanziamenti vengono fermati con l'accusa di truffa. O, peggio, finito il periodo di start-up dichiarano crisi di mercato e fuggono via", dicono i segretari della Fiom Cgil di mezza Italia. Ma chi sono i signori della truffa? Piccoli imbroglioni di provincia o gruppi organizzati in "centrali" specializzate nel canalizzare i soldi europei?

SCATOLE VUOTE
L'Olaf nel suo report annuale analizza tutti i paesi che a vario titolo hanno ricevuto finanziamenti dall'Unione nella programmazione 2000-2006 e in quella 2007-2013, quest'ultima comunque ancora al palo con una spesa media di appena il 15 per cento. Sul fronte delle truffe, i 320,1 milioni di euro accertati (sul totale di 28 miliardi di fondi erogati) sono solo la parte più evidente di un sistema illegale più ampio. Se oltre alle frodi si aggiungono le irregolarità, cioè mancato avvio del progetto e non corretta presentazione dei documenti, i casi salgono a quota 1.491 per 422 milioni di euro, di cui sono stati recuperati appena 50 milioni di euro. Il resto è svanito nel nulla, e il dipartimento Politiche comunitarie italiano calcola ancora in 400 milioni di euro la cifra da chiedere indietro a società che hanno ottenuto illecitamente i finanziamenti. Al secondo posto in questa classifica dei furbetti d'Europa si piazza la Polonia, che a fronte di 7,9 miliardi di euro di contributi erogati ha registrato truffe per 65 milioni, con una percentuale dello 0,8. La Germania, l'unico paese che ha avuto più soldi dell'Italia (ben 29 miliardi di euro) ha accertato appena 361 frodi per un importo di 34 milioni di euro. Conti alla mano, le truffe in Italia rappresentano più della metà di quelle realizzate in tutti gli altri paesi dell'Unione. Ma come si fa a truffare l'Europa? Quali sono le tecniche illegali più utilizzate?

La prima è quella della finta certificazione d'investimenti privati necessari per poter accedere ai fondi di Bruxelles. A Cosenza, per esempio, è stata scoperta una truffa da 25 milioni di euro: soldi incassati da una società che sosteneva di avere ingenti capitali arrivati da soci esteri, ma che in realtà era una scatola vuota. Infatti erano state create ben 11 società nel settore della produzione di carta che formalmente operavano in mezzo mondo, dalla Spagna a Dubai, ma che a loro volta erano altre scatole vuote. Con la cessione di quote di queste società tra loro stesse erano stati creati capitali fittizi per cofinanziare i progetti. Un altro meccanismo tra i più diffusi per truffare Bruxelles è quello della falsa attestazione di spese con fatture taroccate per dimostrare di aver acquistato impianti o macchinari: a Ragusa sono così finiti in manette 11 imprenditori agricoli che avevano finto di acquistare macchine per le loro aziende, incassando 1,3 milioni di euro di contributi.
Sempre sul fronte certificazioni, molti per ottenere i contributi denunciano di avere nella loro disponibilità aree e terreni che in realtà non hanno. A Trento sono stati condannati ben 28 allevatori che hanno incassato 10 milioni di euro sostenendo di portare al pascolo le mucche in terreni che erano solo costoni rocciosi. Ma il vero capolavoro della truffa l'hanno messo in piedi 23 piccoli imprenditori di Milano, Bergamo, Varese, Modena, Cosenza, Crotone, Catanzaro e Lamezia Terme: con false fatture emesse da società estere, con sede a Panama e alle Isole Vergini, avevano finto di avviare un'attività industriale. In più hanno chiesto perfino il rimborso dell'Iva sulle stesse finte fatture. Totale della truffa, 20 milioni di euro.

LE FABBRICHE FANTASMA
C'è però un rovescio della medaglia di questa macchina delle truffe: perché appunto a essere gabbata non è solo l'Ue, che difficilmente riesce poi a recuperare i fondi, ma pagano anche operai e dipendenti che per qualche mese avevano pensato di aver raggiunto il tanto ambito posto di lavoro, e poi si sono ritrovati con un pugno di mosche. Ne sanno qualcosa i 120 dipendenti della Blue Boat, azienda nel settore della cantieristica navale che nel 2008 ha aperto i battenti nell'area industriale di Termini Imerese, a due passi da Palermo. Gli operai hanno lavorato poco più di un anno. Poi nel marzo del 2010 i titolari dell'azienda, Roberto Grippi e Salvatore Catalano, sono stati arrestati con l'accusa di aver ottenuto false fatture per 90 milioni di euro, il tutto per incassare 30 milioni di fondi Ue. Adesso il processo stabilirà se davvero c'è stata truffa o meno, di certo però gli operai da allora vivono un incubo: "L'azienda è stata sequestrata e oggi è gestita dall'Agenzia del demanio, che di punto in bianco ha aperto la procedura di mobilità per tutti i lavoratori", racconta Roberto Mastrosimone, segretario della Fiom di Palermo. Che aggiunge: "Ci vorrebbe una seria selezione anche nel mondo imprenditoriale: il danno sociale fatto da finti manager e finti imprenditori è incalcolabile". Oggi la sede della Blue Boat è abbandonata, e tutto il cantiere è deserto. Stesso discorso accade a Cosenza. Qui due mega costruzioni di cemento sono rimaste scheletri vuoti: si tratta di due aziende, la Sensitec e la Printec, che hanno incassato 6 milioni di euro di contributi europei per avviare la produzione di contatori per gas liquido e oggetti da cancelleria. Tra i finanziatori dell'iniziativa c'erano alcuni industriali tedeschi, che secondo la Gdf avevano messo in piedi un giro di fatture false e acquistato macchinari fatiscenti per fingere d'iniziare la produzione assumendo una cinquantina di operai. Scoperto l'inganno, il mese scorso ne è stato richiesto il giudizio insieme ad alcuni colletti bianchi della zona che avevano certificato il collaudo degli impianti fasulli.

Spesso ad attrarre finti imprenditori sono proprio le aree del Sud che mettono a disposizione contributi pubblici per incentivare l'apertura di nuove aziende, che rimangono poi cattedrali nel deserto. Come accaduto nel "patto d'area di Manfredonia", in Puglia. Qui la Menti group, società vicentina, era sbarcata nel 2003 per aprire uno stabilimento di lavorazione del ferro e fabbricare utensili. "Questa società ha ottenuto le agevolazioni con fondi statali ed europei, ha assunto una ventina di operai, ma poi un blitz della Finanza ha svelato l'inganno - racconta Antonio La Daga, segretario della Fiom Cgil di Foggia - Il meccanismo era semplice: l'azienda comprava macchinari nuovi, beneficiando dei contributi, poi li rivendeva e acquistava degli impianti di seconda mano". Da sei anni la fabbrica è ferma.
Spesso invece gli impianti rimangono solo sulla carta. O meglio, ci sono nella documentazione necessaria a ottenere i fondi, ma nella realtà non esistono: a Siracusa un gruppo d'imprenditori siciliani e milanesi ha utilizzato 10 milioni di euro di contributi europei non per realizzare un impianto fotovoltaico, come da progetto, ma per acquistare Bot e Btp.

IL MASTER INESISTENTE
Ma in Italia quali sono le regioni con il tasso più alto di truffe? E, soprattutto, quali sono i settori più a rischio oggi? La Guardia di finanzia ci tiene a dire che l'Italia è lo Stato che fa il maggior numero di controlli. Il comandante del nucleo per la repressioni frodi della presidenza del Consiglio, Gennaro Vecchione, in questi giorni visita le regioni del Sud per presentare il piano operativo della Fiamme gialle contro le truffe. I dati che va snocciolando fanno paura. Soltanto in Calabria sono state denunciate frodi nel 2010 per un importo record di 145 milioni di euro. In Sicilia le frodi segnalate dalla Finanza sono state 206 per 67,2 milioni di euro, il 73 per cento in più dell'anno precedente. Per di più c'è una nuova frontiera della frodi: il 2010 e questo scorcio di 2011 hanno alzato il velo su un settore ad alto rischio. Quello della formazione e dell'istruzione, che può contare su una dotazione di contributi europei di quasi 2 miliardi di euro. La settimana scorsa a Milano la Commissione europea ha annunciato di volersi costituire parte civile in un eventuale processo per una truffa ai danni della Ue pari a 50 milioni di euro per corsi di formazione "inventati", come sostiene la Procura milanese che ha notificato l'avviso di chiusura indagini a 23 persone. Secondo i magistrati, attraverso una finta partnership tra società con sede in Inghilterra, Francia, Grecia, Austria, Svezia, Slovenia e Polonia, un gruppo d'imprenditori milanesi ha ottenuto finanziamenti per 22 corsi di formazione mai realizzati. Se confermata da una sentenza, si tratterebbe di una delle più grandi truffe ai danni della Ue.

Il motivo di questa escalation di truffe? Il direttore del Censis, Giuseppe Roma, non ha dubbi: "In Italia ci s'inventa imprenditori pur di accaparrarsi il finanziamento pubblico, visto come un fine e non come un mezzo per sviluppare la propria attività - dice Roma - Poi c'è un problema legato alla burocrazia italiana che disperde i fondi in mille rivoli e rende più difficile i controlli: secondo i nostri dati con la vecchia programmazione 2000-2006 sono stati finanziati ben 280 mila attività con un importo medio di meno di 100 mila euro, il che significa fare assistenza e non puntare allo sviluppo".



Le smentite simultanee del Governo Berlusconi...

L'occasione persa del Cavaliere. - di Cesare Martinetti



Se il capo del governo italiano, che a differenza dei suoi colleghi di Russia, Canada, Giappone e Francia, non è stato invitato a nessun incontro bilaterale (uno di quei faccia a faccia in cui si possono anche dire cose riservate), avesse avuto la possibilità di scambiare due parole con il Presidente degli Stati Uniti che cosa gli avrebbe potuto chiedere?

L’agenda nazionale e internazionale è piuttosto ricca. Cominciamo dall’ultima questione, quella che in Italia è stata giustamente chiamata emergenza e che ha spinto il governo a un duro confronto con l’Unione europea e la Francia: la crisi libica e i profughi di Lampedusa. Il capo del governo italiano, che a lungo ha esitato a impegnarsi contro il regime amico di Tripoli, avrebbe potuto chiedere al Presidente degli Stati Uniti lo stato delle cose, per quanto tempo si pensa ancora di condurre le operazioni militari, il modo in cui si pensa di uscire dal confronto e innescare la fase due, quella della ri-costruzione.

E in questo quadro capire come affrontare insieme (con Usa e Onu, tanto per estendere l’orizzonte europeo che, Roma lamenta, pare a noi tanto ostile) l’ondata di profughi e restituire sicurezza agli italiani che si vedono minacciati dall’invasione straniera.

Il capo del governo italiano avrebbe poi potuto chiedere qualche risposta chiara sull’orizzonte delle cosiddette rivolte arabe. Il Presidente degli Stati Uniti ha tenuto nei giorni scorsi due importanti discorsi: uno sul futuro del Medio Oriente, l’altro - da Londra, dove con il premier David Cameron ha ricostruito su altre basi quel tandem che il suo predecessore Bush ebbe con Tony Blair - sul ruolo e i valori del nostro mondo occidentale. L’Italia deve ben sapere come orientarsi su entrambi i piani: siamo il molo dell’Europa proteso verso Medio Oriente e Maghreb. Abbiamo una parte da giocare: responsabilità ma anche un ruolo attivo, nella politica e nel business. Abbiamo oltre duemila soldati in Libano, il contingente più numeroso dell’Unifil, interessi diffusi, antichi e nuovi legami. Che cosa si pensa a Washington?

E l’Afghanistan? Eliminato Osama Bin Laden, qual è il vero orizzonte di quella guerra che l’Occidente sta combattendo da dieci anni? Il capo del governo italiano avrebbe potuto chiederlo al Presidente degli Stati Uniti. Anche laggiù i nostri soldati impegnati nel contingente Isaf sono numerosi, quasi tremila e 37 di loro sono anche caduti. Fino a quando si inseguirà il fantasma del mullah Omar? Al Qaeda è ancora una minaccia per l’Occidente? Cha facciamo?

E poi ci sono i temi più propri della crisi delle economie occidentali, casa nostra, i nostri conti, addirittura i nostri risparmi. Il lavoro, le famiglie, il nostro modello di welfare nel quale le nostre società sono cresciute e si sono sviluppate e che per la prima volta in modo così radicale è stato messo in crisi. Ogni settimana escono bollettini statistici che raccontano dell’Italia Paese scoraggiato, dove la crescita (diciamo così) è la più lenta d’Europa, dove la metà dei pensionati deve cavarsela con 500 euro al mese. Ecco, il capo del governo italiano avrebbe potuto chiedere al Presidente degli Stati Uniti come stanno le cose o dire la sua sulle ricette che il G8 si apprestava a raccomandare ai membri del suo club di Stati un tempo ricchi.

E la crisi della Grecia può finire in un default? Le misure di salvataggio sono sufficienti? Cosa pensa Washington del modo in cui l’Unione europea ha reagito? E cosa si pensa della «simpatica» Italia, cui di qua e di là dell’Atlantico si associa sempre un sorrisino. Ce la facciamo? Ce la faremo, nonostante quei menagramo di Standard&Poor’s o anche noi rischiamo la via greca?

Il fatto è che il capo del governo italiano, ieri, ha avuto la possibilità di scambiare qualche parola con il Presidente degli Stati Uniti d’America. In modo irrituale, non previsto, fuori dal protocollo e persino dal galateo delle riunioni internazionali. Poco prima che iniziasse la seduta, il capo del governo italiano si è avvicinato al Presidente degli Stati Uniti, gli ha messo una mano sulla spalla ed ha cominciato a parlare. Il Presidente ascoltava con l’aria abbastanza stupefatta, era chiaro che non capiva una parola, un’interprete è venuta in soccorso, i microfoni già accesi ci hanno regalato i contenuti di quel furtivo faccia a faccia. Ha detto il capo del governo italiano al Presidente degli Stati Uniti: «Abbiamo presentato la riforma della giustizia che per noi è fondamentale». Pausa e poi: «Perché in questo momento abbiamo quasi una dittatura dei giudici di sinistra...».

Barack Obama non ha risposto, nemmeno una parola. Si era preparato sulla crisi libica, le rivolte del mondo arabo, il nuovo assetto del Medio Oriente, la lotta al terrorismo, la strategia militare in Afghanistan, il nuovo ordine globale, come affrontare Cina e globalizzazione, come rispondere alle richieste dei Paesi «Brics» che chiedono la poltrona lasciata vergognosamente vuota da Dominique Strauss-Kahn. Si era preparato su tutto, il Presidente degli Stati Uniti. Ma sulle faccende personali di Silvio Berlusconi non aveva davvero niente da dire.



Cattivi esempi.



Il presidente del colosso dell’energia crollato in Borsa dopo il disastro di Fukushima ha convocato una conferenza stampa per chiedere scusa ai giapponesi. Si è prodotto nel classico inchino e ha lasciato la poltrona per sempre, senza pretendere neppure una busta-paga d’addio. Anche il primo ministro ha rinunciato al suo stipendio fino a quando l’emergenza nucleare non sarà superata. Si tratta di reazioni emotive, tipiche dei Paesi meno evoluti. Da noi, per dire, non potrebbero verificarsi. Il capo di un’azienda sull’orlo del fallimento convocherebbe una conferenza stampa per insultare chiunque osasse muovergli una critica. Si atteggerebbe a vittima di un complotto, a capro espiatorio, a benefattore incompreso dell’umanità. Infine si degnerebbe di rassegnare le dimissioni, ma solo dopo aver trattato con il suo successore una liquidazione miliardaria.

Proprio l’aspetto economico, se vogliamo il più prosaico, è quello che alimenta le mie perplessità di cittadino poco evoluto. Non metto in dubbio che l’aggressività, il vittimismo e la maleducazione siano i requisiti del vero leader. Stento invece a cogliere il nesso fra i risultati fallimentari e i riconoscimenti in denaro, specie quando i soldi appartengono ai contribuenti. Non dico di abbassarci al livello del Giappone. Ma (l’esempio, sia chiaro, è puramente ipotetico) se un programma della tv di Stato venisse chiuso per mancanza di pubblico dopo appena una puntata, non sarebbe un comportamento fin troppo evoluto versare egualmente al protagonista del programma la cifra pattuita di un milione di euro?