Prosegue l'inchiesta su quei sette sportelli che l'hanno fatto diventare grande. Al centro dell'indagine i conti correnti di Dell'Utri e del premier, gli 800mila euro di Flavio Carboni. Per il coordinatore del Pdl questo è stato un annus horribilis che lo ha visto coinvolto in tre inchieste dalla Cricca alla P3
Denis Verdini: comprereste una banca usata da quest’uomo? Iniziano a chiederselo, da qualche mese, nel circuito del credito cooperativo della Toscana. La “banca del Verdini” è stata commissariata da Bankitalia, si presume che lo sarà per altri 8 mesi, e poi si dovrà decidere. Qualcuno dovrà comprarla, se non riesce a superare la crisi con le proprie gambe. Questa “banchina” da sette sportelli, nata a Campi Bisenzio, è però anche il motore del “sistema” Verdini. E – di riflesso – anche del “sistema” messo in piedi da Riccardo Fusi, l’ex patron dalla Btp, ora commissariata, per tenere in piedi il suo impero finanziario. Il cuore d’una formica, il peso d’un elefante. Il sistema collassa e, per di più, l’elefante si muoveva con la sua grazia nella più classica delle cristallerie. Le maggiori inchieste giudiziarie – quella sulla “cricca” che gestiva i grandi eventi e quella sulla “P3” – portano lì: nel credito cooperativo fiorentino, fondato nel 1909, per artigiani e bottegai della provincia. È lì che il 78enne sardo Flavio Carboni – indagato con Verdini a Roma per associazione segreta – versa 800 mila euro: per la Procura di Roma potrebbero essere il frutto d’una tangente sull’affare dell’eolico. I soldi finiscono nella “Società toscana edizioni” – sempre di Verdini, l’ala editoriale del suo sistema – destinati, dice lui, a un aumento di capitale. E ancora: che c’entra il siciliano Marcello Dell’Utri – condannato a sette anni per concorso esterno alla mafia – con i sette sportelli di Campi Bisenzio? C’è un conto aperto anche per lui: nel 2008 confluisce un bonifico di Silvio Berlusconi da 1,5 milioni di euro. Dell’Utri aveva un’esposizione di 2,8 milioni di euro e alcune rate di mutuo non pagate.
Nelle casse del Credito cooperativo fiorentino, nate con i risparmi dei bottegai, confluiscono i soldi del presidente Berlusconi (P2), di Verdini (presunta P3) e Dell’Utri (legato a Cosa Nostra). I vertici del Pdl. E ora confluiscono anche i soldi d’un altro parlamentare del Pdl, Antonio Angelucci, editore di Libero, ex editore del Riformista che, come ha scritto ieri il Corriere della Sera, ha sborsato 5 milioni di euro proprio per risanare la posizione di Verdini, che gli ha ipotecato una villa nel Chianti. Suo figlio Giampaolo è sotto processo a Bari, per una presunta maxi tangente, versata nel 2005 sui conti del movimento “La Puglia prima di tutto”, del ministro Raffaele Fitto, per ottenere – secondo la procura – un appalto da 198 milioni di euro nella sanità pugliese.
È questo il livello di potere che ruota intorno alla “banchina”. Un tempo non era così. Fin quando, nei primi anni Novanta, “il Denis” non riesce a raccogliere le deleghe dei soci: “Porta a porta”, raccontano gli impiegati, che chiedono l’anonimato. È così, porta a porta, che nasce il suo “sistema”. Ottiene la maggioranza e diventa presidente. La prima mossa? Bonus annuale per gli stipendi dei dipendenti: “Un media di tre milioni di lire ciascuno”. Verdini inizia ad acquisire consenso. E a diventare il padre-padrone. Straordinari spesso non registrati, qualche impiegato che fa da autista alla sua signora, e passo dopo passo, dal “si sta tutti bene, si passa al terrore d’essere invisi al presidente”. La piccola banca non usa più i servizi dei piccoli crediti cooperativi, ci dicono alla Cisl, ma s’affida a grossi gruppi esterni, come la “Cedacri”, per i sistemi informatici. Intanto molte operazioni non vengono segnalate all’anti riciclaggio. I commissari di Bankitalia le stanno scoprendo una dopo l’altra. Le radici della “banchina” vengono tradite: troppi soldi ai grossi gruppi, pochi spiccioli per le famiglie. Le indagini fanno saltare il tappo, nel luglio 2010 Verdini si dimette. E sono gli impiegati che convincono i piccoli risparmiatori a non chiudere i conti: 69 dipendenti che temono per il proprio futuro, orfani del padre-padrone, tutelati dai commissari di Bankitalia e dall’attivissimo sindacato della Cisl, che spiega: “Concentrazione dei finanziamenti a pochi gruppi, quasi tutti dello stesso settore, poi il conflitto d’interessi di Verdini e l’assenza di contrappesi con il cda e il collegio dei sindaci: questo era il problema”, dicono i sindacalisti Maria Manetti e Nicola Spinetti. Basti pensare che un membro del collegio sindacale, Antonio Marotti, divide lo studio legale con il vice presidente della banca, Marco Rocchi, che oggi è il difensore di Verdini. E che la contabilità privata di Verdini è stata trovata nello studio di un altro membro del collegio sindacale: Luciano Belli. Come distinguere, nella realtà, i controllori dai controllati? Intrecci dentro, intrecci fuori.
Sei mesi fa la Procura di Firenze perquisisce gli avvocati Gian Paolo e Pier Ettore Olivetti Rason – che sono in rapporti con Licio Gelli e la sua famiglia – dopo aver scoperto che sono stati pagati, per una consulenza, da Riccardo Fusi. I due avvocati, nel frattempo, avevano versato un bonifico di 260 mila euro sul conto di Verdini. Secondo l’accusa sono fatture per operazioni inesistenti. Sul sito dello studio – i due avvocati offrono consulenza alle società in affari – si legge che, tra i clienti, c’è anche la Ede Spa, di Stefano Biagini, costruttore edile. E c’è un fatto curioso: il costruttore edile, tra il 2008 e il 2009, decide di darsi all’editoria, costituendo la “Edicopyright”. La sua più grande operazione? Acquista i diritti dei Diari di Mussolini di Dell’Utri. Gli stessi diari pubblicati da Libero, di proprietà Angelucci, che ora risana la posizione di Verdini. E le famiglie? I piccoli risparmiatori? I dipendenti di Fusi? A loro che succede? Per capirlo basta parcheggiare all’area di servizio Firenze Nord. Fino a tre mesi fa c’era l’hotel Unaway. Ora è chiuso: 27 dipendenti in cassa integrazione da marzo, ottenuta grazie alla trattativa della Cgil. Era Riccardo Fusi l’ex patron della BPT e della catena alberghiera Una Spa. La banca del Verdini gli ha concesso prestiti per almeno 28,6 milioni di euro. Anche per questo, s’intuisce dalle intercettazioni, Verdini sponsorizzava Fusi con i politici e spingeva sui ministri per la nomina dei provveditori alle opere pubbliche. La posizione della Una Spa ora è “incagliata”: difficile per la banca recuperare i soldi. Se non bastasse, quegli affidamenti, secondo gli ispettori, configuravano un “potenziale conflitto d’interessi”.
Tra il febbraio 2005 e il dicembre 2006 venivano concessi decine di milioni di euro alle società “Il Forte” e “Una Spa”, in “relazioni di affari” con la Parved, “società all’epoca controllata da Verdini”. L’affare era il preliminare di acquisto, del 10 per cento, del capitale della “Una hotel & Resort spa”. E su questo, alla sua banca, Verdini non fornì alcuna informativa. Nel leggere un altro documento, però, scopriamo che nel febbraio 2005 – proprio mentre inizia la pratica di affidamento a “il Forte” e “Una spa” – la società Autostrade stipula una convenzione. Con chi? Con Una Spa. Volevano realizzare “un network di 12 alberghi su altrettante aree di servizio della rete autostradale”. Progetto oggi fallito. Ed ecco i conti di Una spa: “Nel 2008 la perdita è stata pari a 23,6 milioni di euro, nel 2009 a 31,4 mentre, per il 2010 è attesa un’ulteriore perdita di 10 milioni”. Lo scrive l’a.d. Elena David, spiegando che il quadro, per i dipendenti, è allarmante: già 35 licenziamenti effettuati, altri 23 previsti per la fine dell’anno, 68 lavoratori passati alle dipendenze di altre società. E la Btp? “Quattro cantieri ancora aperti, tre sull’autostrada, ma nessun grande appalto in vista”, dice Flavia Villani della Fillea Cgil. “E 160 dipendenti in cassa integrazione – conclude – con l’incubo dello “spezzatino” e dei licenziamenti”.