domenica 29 maggio 2011

Marcello Lonzi



Marcello Lonzi: verità per la morte di un detenuto, articolo di Luigi Manconi

L’Unità, 25 novembre 2003

Marcello Lonzi morto tra le 19.50 e le 20.14 dell’11 luglio 2003, nel carcere delle Sughere di Livorno. Era detenuto per tentato furto (4 mesi di reclusione ancora da scontare). È stato trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione non hanno dato alcun esito. I familiari sono stati avvertiti 12 ore dopo il decesso. Nel frattempo, sul corpo di Marcello Lonzi, erano stati effettuati i primi esami autoptici. L’esito di queste analisi ha indicato in un’aritmia maligna la causa più probabile della morte. Ma ci sono troppe cose che non tornano, in questa vicenda. Sul volto del giovane l’autopsia ha riscontrato tre gravi ferite, prodottesi con tutta probabilità "simultaneamente".

Sul suo torace, una strana escoriazione a forma di "V". La relazione di consulenza tecnica medico legale, predisposta dal Tribunale di Livorno, imputa le ferite al viso alla dinamica del decesso: Marcello Lonzi sarebbe stato colto da malore e, cadendo, avrebbe violentemente picchiato il volto contro un termosifone o contro lo stipite della porta. Alla stessa origine viene ricondotta l’escoriazione sul torace, mentre altri "fatti traumatici" vengono attribuiti ai tentativi di rianimazione (come la frattura della seconda costola di sinistra in sede iuxta - cartilaginea).

Tutto regolare, dunque; tutto spiegabile, in apparenza, secondo le indagini sin qui svolte. Ma, in verità, qualcosa non torna. Sulla morte di Marcello Lonzi nasce un caso, nel quale è la determinazione della madre, Maria Cioffi, a giocare un ruolo fondamentale.

Fin dal primo istante, la donna non ha creduto all’ipotesi della morte per esclusive cause naturali; e fin dal primo istante ha cercato di documentare le voci, sempre più insistenti, che circolano all’interno del carcere, e che adombrano un’altra ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica della morte.

Lonzi era un ragazzo sano e di costituzione robusta; le uniche alterazioni riscontrate nella sua fisiologia e giudicate, dall’autopsia del tribunale, "relativamente modeste", sono a carico dell’apparato cardiaco (riduzione del calibro di un ramo coronario); ma non sono state rilevate occlusioni che potessero portare all’infarto del miocardio.

L’ipertrofia ventricolare è, ad oggi, la causa di morte più accreditata, semplicemente perché non lascia tracce nell’organismo; semplicemente perché, non potendosi dimostrare alcuna altra patologia, se ne ipotizza una che non ha bisogno di "prove". Quanto alle ferite rinvenute sul cadavere, è la loro entità a sollevare dubbi. Una raggiunge l’osso sottostante, un’altra penetra profondamente fino a comunicare con il vestibolo. Per queste ragioni, l’avvocato della famiglia chiede se sia "compatibile la gravità e profondità di simili lesioni con una mera caduta da fermo"; e se non sia necessaria una ulteriore spinta o pressione per produrre tali conseguenze".

Nel frattempo, Maria Cioffi ha ricevuto numerose telefonate anonime, da qualcuno che - considerata la precisione nel riferire dettagli e particolari - potrebbe essere una fonte bene informata.

Le è stato detto che suo figlio, durante l’isolamento, è stato ripetutamente picchiato; e le è stato riferito di scontri con altri detenuti e con il personale penitenziario. È probabile che Marcello Lonzi non sia stato ucciso dai traumi conseguenti a questi fatti, se questi fatti si sono effettivamente verificati. Ma la stessa aritmia maligna sin qui ipotizzata potrebbe essere insorta - è un’ipotesi medica plausibile - come reazione alle eventuali percosse.

Maria Cioffi ha scritto al Ministro della Giustizia, si è rivolta ad alcuni parlamentari e allo stesso capo dello Stato: vuole la verità. E che sia convincente. C’è un giudice a Livorno? (C’è: e ha aperto un fascicolo). C’è un parlamentare che voglia andare fino in fondo?


http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/lonzi/rassegna.htm


Le foto:

http://mmedia.kataweb.it/foto/17714176/2/marcello-lonzi-le-immagini-del-cadavere



Sei mesi senza un ministro delle Politiche europee. E in Ue l’Italia perde posizioni. - di Alessio Pisanò


Ancora vuota la sedia lasciata libera da Andrea Ronchi il 15 novembre scorso. Tra i papabili per la nomina che potrebbe essere imminente c'è Franco Frattini. Ma intanto sono sempre meno gli italiani nei posti chiave dell'Unione europea. Rinaldi (Idv): "Pesa la scarsa capacità di fare squadra tra Roma e Bruxelles"

Mentre Bruxelles si attesta sempre di più come il vero centro decisionale europeo, l’Italia è senza ministro alle Politiche comunitarie da ben sei mesi. Libia, nucleare, immigrazione. Le ultime grandi crisi interne ed internazionali hanno visto l’Unione europea giocare un ruolo da protagonista: i suoi commissari sono stati definitivamente elevati al rango di super ministri. Ma in Italia da mesi non c’è nessuno a fare da collante tra Bruxelles e Roma.

Se n’è accorto Franco Frattini che, nell’ultimo Consiglio affari esteri a Bruxelles, si è auto candidato come successore di Andrea Ronchi, ministro dimissionario il 15 novembre scorso dopo l’adesione a Fli e l’uscita dal governo. Da allora il ministero alle Politiche comunitarie è rimasto vacante, tant’è che qualche settimana fa si è fatto addirittura il nome di Claudio Scajola, di ritorno dal suo esilio nella natìa Imperia dopo lo scandalo del ‘mezzanino’ con vista sul Colosseo.

“A me farebbe molto piacere”, ha confessato Frattini, già ex commissario Ue a Giustizia, libertà e sicurezza dal 2004 al 2008. Intanto Rocco Buttiglione, che non riuscì a diventare commissario per le sue affermazioni intolleranti nei confronti degli omosessuali, ammette: “Questo ministero è vacante ormai da troppo tempo. Si tratta di un posto sottovalutato, diventato ormai uno snodo cruciale per l’Italia, dato che molte cose importanti si decidono a Bruxelles”.

Adesso bisognerà vedere cosa deciderà di fare Silvio Berlusconi visto che la poltrona di ministro alle Politiche europee fa gola a molti. Certo Frattini parte con un vantaggio, ovvero sa l’inglese. Cosa non scontata a Bruxelles, dove purtroppo l’Italia sta perdendo peso anno dopo anno. “L’Italia oggi ha più funzionari europei di Gran Bretagna e Francia, al livello della Germania”, ha dichiarato Frattini qualche giorno fa. Meno male che non ha contato i posti top level, dove gli italiani sono ormai in via d’estinzione. Si pensi ai presidenti del gruppi politici al Parlamento (quasi tutti tedeschi), ai portafogli più importanti della Commissione europea (all’Energia un tedesco, al Mercato interno un francese, alla Concorrenza uno spagnolo, all’Alto rappresentante della politica estera Ue l’inglese Catherine Ashton, in una posizione che aveva fatto gola pure a Massimo D’Alema) e alle ultime nomine dei 29 capi delegazioni Ue all’estero decise lo scorso settembre: l’Italia ha dovuto accontentarsi di Albania e Uganda, mentre i tedeschi preso la Cina, gli austriaci il Giappone, e gli olandesi il Sud Africa.

Certo gli italiani di per sé non hanno responsabilità, visto il nutrito numero di chi lavora nelle istituzioni. Ragazzi e ragazze iper qualificati che hanno passato un pubblico concorso molto difficile. Ma allora qual è il problema? Secondo Niccolò Rinaldi, capo delegazione Idv al Parlamento europeo con un passato di 10 anni come Segretario generale aggiunto ed esperienze in Commissione e all’Onu, “la posizione di un italiano che lavora nelle istituzioni internazionali è molto difficile. Fa male vedere la quantità di occasioni perse dal nostro Paese. Oggi anche la Polonia sa far valere i propri interessi meglio di noi”. Secondo Rinaldi si tratta di un “complesso culturale d’inferiorità” che fa sì che “l’Italia ne esca penalizzata proprio in quei settori che dovremmo difendere”, senza pensare agli “ingenti finanziamenti che potrebbero arrivare nel nostro Paese e che invece perdiamo”. Uno dei problemi principali sembra proprio “la scarsa capacità di fare squadra” soprattutto tra Bruxelles e Roma e “la mancata scelta delle persone giuste nei posti giusti: troppo spesso si viene reclutati sulla base di conoscenze personali, semi clientelari o di fedeltà di apparato e non su criteri meritocratici”.

Adesso sarà interessante vedere con che criteri verrà reclutato il nuovo ministro alle Politiche europee, visto che fonti governative ne hanno annunciato l’imminente nomina. Intanto, proprio questa settimana, è stato celebrato il 25esimo anniversario della morte di Altiero Spinelli, padre fondatore dell’Unione europea, a cui è dedicato l’edificio principale del Parlamento europeo. Ma quelli erano altri tempi.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/05/28/sei-mesi-senza-un-ministro-delle-politiche-europee-e-in-ue-litalia-perde-posizioni/114435/


L'auto dei VVFF per portare allo stadio il figlio del prefetto. - di Jolanda Bufalini


Auto e autista sarebbero destinati al soccorso ma vengono esonerati per accompagnare allo stadio il figlio del dirigente e “altra persona estranea”. Si dicono estremamente preoccupate le rappresentanze sindacali dei vigili del fuoco per i comportamenti che stanno prendendo piede ai vertici del Corpo più amato dagli italiani.

«Noi – dicono – siamo costretti a garantire quotidianamente la soccorsi e sicurezza ai cittadini e facciamo i conti con la carenza di mezzi, che sono anche vecchi, spesso malsicuri e, altrettanto spesso fermi per manutenzione, con esborso di denaro pubblico che sarebbe meglio utilizzato con l’acquisto di mezzi nuovi». Non solo, gli organici dei vigili del fuoco sono drammaticamente al di sotto delle necessità, i pagamenti di emolumenti e straordinari sono in ritardo e, dulcis in fundo, il taglio in finanziaria è stato del 50%.

A Roma, in particolare, la carenza di autisti è causa, talvolta, della sospensione dei mezzi di soccorso. Ma, evidentemente, recriminano, “i sacrifici non sono per tutti”. Dunque la richiesta di chiarimenti al comando romano.

I fatti, documentati da un’inchiesta interna, risalgono all’11 maggio, quando allo stadio Olimpico della Capitale, si gioca Roma-Inter per la coppa Italia. E’ l’occasione nella quale autista e mezzo di soccorso vengono distolti dal servizio per essere utilizzati come Ncc, noleggio con conducente ma gratuito, per accompagnare il figlio del dottor Francesco Paolo Tronca e un’altra persona a un incontro di calcio.

STIMA LEGHISTA
Il prefetto Tronca è stato nominato nel novembre 2008 dal ministro dell’Interno Roberto Maroni capo del dipartimento dei vigili del fuo- co del soccorso pubblico e della difesa civile, è persona di cultura, laureato in giurisprudenza e storia, Grande ufficiale al merito. Gran parte della sua carriera prefettizia si è svolta al nord, fra Varese, Milano e Brescia, dove si deve essere guadagnato la stima del ministro leghista. Ma la Roma dei ministeri esercita una grande attrazione sull’anti-burocratico Nord, come dimostra la più recente rivendicazione della Lega. Nell’attesa di trasferire a Milano qualche dicastero, la strategia, almeno per quanto riguarda i pompieri, sembra essere un’altra: mezzi nel Nord-est e dirigenti nella Capitale. Con relativi benefits. Al prefetto Tronca, ad esempio, sarebbero stati assegnati ben due attici, in via Piacenza, a due passi dal Quirinale. Alloggi di servizio che non gli spetterebbero.

IL CASO CORTINA
I mugugni fra gli operativi dei vigili del fuoco, però, non finiscono qui perché a disposizione dell’alto dirigente ci sarebbero anche auto nuove dei vvf di Cortina d’Ampezzo. A Cortina la caserma dei vigili del fuoco è stata inaugurata l’anno scorso, in coincidenza con la prima parata nazionale del corpo che si è svolta, appunto, lungo le strade della Regina delle Dolomiti. Una sede bellissima, “belle camere e sui- te di lusso” ma, denuncia un comunicato della Usb di Belluno del mar- zo scorso, con scarso personale assegnato e turni di sei ore da coprire percorrendo, andata e ritorno, 70 chilometri di strada. E non finisce qui, il comando provinciale di Padova, per esempio, è sprovvisto di autogru – la vecchia entra e esce dall’officina di manutenzione - e la prima autobotte, immatricolata nel 1983, conta 28 anni di onorata carriera. Rinnovare il parco degli automezzi per i comandi provincia- li è un’utopia. In compenso, nota il Sindacato di base, “ai piani alti del dipartimento non si bada a spese”, vengono in particolare contestati i due aerei Piaggio in dotazione del Corpo utilizzati per i viaggi istituzionali. Mancano i soldi per il carburante ai mezzi di soccorso ma non quelli per il leasing, la manutenzione e la propulsione degli “aerei presidenziali”.



Milano, per ogni voto Moratti spende 287 euro. - di Thomas Mackinson



Il sindaco uscente spende una fortuna ma conquista solo il record del voto più caro d'Italia. Il centrosinistra si scopre formica: la coalizione di Pisapia spende dieci volte di meno e mette in tasca 80mila voti in più

L’elettore più caro d’Italia abita a Milano e vota Letizia Moratti. Ogni preferenza al sindaco uscente è “costata” la cifra record 287,8 euro. Lo rivelano i prezzi del “supermarket elettorale”, visitato rapportando le spese delle liste in competizione con i risultati del primo turno (guarda la tabella). Lo schieramento che sostiene Letizia Moratti ha speso oltre 11 milioni e mezzo di euro in manifesti, eventi, spese di personale e così via. Quello per Giuliano Pisapia si ferma a 814.800 euro, dieci volte di meno. Una differenza che si ritrova anche nello sforzo economico profuso dai singoli partiti: il Pdl, ad esempio, ha investito ben tre milioni di euro per sostenere il proprio candidato mentre il Pd ne ha spesi 10 volte di meno per il proprio, 300mila euro tondi tondi. La Lega Nord segue il pacchetto di liste pro Moratti piazzandosi al sesto posto per spese elettorali (350mila euro) e terza in città per numero di preferenze (57.403, il 9,64%). Il partito di Bossi non ha seguito il Pdl nell’escalation degli investimenti: un voto in camicia verde è costato 6 euro. Ma se il centrodestra ha speso tanto, quanto ha incassato in termini di voto?

Per saperlo bisogna mettere in rapporto le cifre di spesa ufficiali depositate in Comune con il numero di voti preso. Lo schieramento di liste e candidati che appoggia Letizia Moratti ha investito 11,6 milioni di euro e ha ricevuto 273,542 voti (41,59%), spendendo così per ogni voto una media di 40,4 euro per ogni preferenza ricevuta mentre lo schieramento in sosteno a Giuliano Pisapia ha speso 814.820 euro e ha incassato 315.999 voti (il 48,05% del totale) arrivando ad un costo per voto pari a 2,58 euro.

Il record spetta a Letizia Moratti: per la propria campagna elettorale dichiara di aver speso 4,5 milioni di euro e in termini di voto ha ricevuto 15.634 preferenze, con una media di 287,83 euro spesi per ogni voto ricevuto. Come si è arrivati a questo calcolo è semplice. Per ottenere le preferenze del candidato sindaco di uno schieramento basta prendere i voti totali e sottrarre quelli riconducibili a liste e candidati diversi dal candidato sindaco. La differenza coincide con il voto di preferenza. Sono stati 15.635 i cittadini che hanno scritto Moratti. Pisapia la doppia con 34.371 preferenze.

Rimanendo ai dati finora noti. Perché , in realtà, il sindaco uscente non ha ancora ufficializzato l’intera somma investita. E questo aveva dato adito a polemiche proprio sulla trasparenza delle singole liste. Si è ipotizzato che Moratti avesse stanziato qualcosa come 20 milioni di euro. Così è intervenuta in prima persona per chiarire: “Ritengo che la spesa sarà come quella del 2006 pari acirca 6,5 milioni di euro” . Eppure secondo gli atti ufficiali depositati per legge in Comune ha speso 4,5 milioni. Dove sono finiti due milioni di euro? Si ritrovano spalmati in tre liste in sostegno del sindaco uscente. “Milano al centro” di Mariolina Moioli e Giovanni Terzi ha speso 1,4 milioni di euro. Ancora più sospetta la lista “Giovani per l’Expo! Insieme a Letizia Moratti” che conta 48 candidati, tutti dal profilo giovanissimo e senza alcuna esperienza, che ha speso 970mila euro. E la lista che fa campo a un ex assessore (Edoardo Croci), cui la stesa Moratti aveva ritirato le deleghe, torna a sostenerla con una dote elettorale di 550mila euro. Nei giustificativi presentati non è obbligatorio indicare la provenienza dei fondi ma solo il totale della cifra.

L’iniezione di soldi, secondo molti, ha trasformato le amministrative del 2011 in un supermarket del voto. Paragonabile al mercato calcistico creato Silvio Berlusconi quando ha iniziato a pagare i giocatori con cifre a sei zeri, alterando gli equilibri. Ma Milano, guardando al risultato del primo turno, sembra essere diventata refrattaria alla logica economica del più forte. Ma chi sono allora i veri vincitori? Si è parlato tanto del Movimento a Cinque Stelle perché con soli settemila euro di spese per la campagna elettorale sono stati abbondantemente premiati dalle urne (21.251 voti presi pari al 3,2 per cento delle preferenze). Un voto è costato ai cosiddetti “grillini” 0,32 centesimi. Ma il recordman del voto “meglio speso” è Giancarlo Pagliarini, fuoriuscito della Lega della prima ora confluito nel gruppo misto per manifesta lontananza dal partito: ha speso mille euro di tasca propria e ha incassato 4mila voti. Una preferenza gli è costata 0,26 centesimi, meno di chiunque altro. Si scopre decisamente caro l’arancio, simbolo della lista di Milly Moratti, cognata milionaria del sindaco. La sua lista civica spende 93mila euro, incassa 7.940 voti (1,33%) e finisce per quotare un voto a 11,7 euro. Si vedrà adesso il risultato del ballottaggio. Se cioè l’investimento morattiano può sortire effetti positivi nella fase finale della corsa elettorale. E’ però evidente, a oggi, che per vincere le elezioni non basta avere più soldi degli avversari da investire nella propaganda.

DOCUMENTI: LA TABELLA DELLE SPESE ELETTORALI



Ballottaggio sotto scorta agenti in borghese nei seggi.


Urne aperte oggi e domani per eleggere il nuovo sindaco, mobilitazione per portare alle urne chi si è astenuto al primo turno. De Magistris e Lettieri in campagna elettorale fino alla fine.


di DARIO DEL PORTO

Sfida finale per Palazzo San Giacomo. Dopo due settimane di polemiche, scontri televisivi e scambi di accuse, una Napoli sfregiata dall’emergenza rifiuti e ferita da episodi di violenza si prepara a scegliere il nuovo sindaco. La partita è fra Gianni Lettieri e Luigi de Magistris, i due candidati che hanno raggiunto il ballottaggio e si giocano ora la successione alla poltrona occupata per dieci anni da Rosa Russo Iervolino. Urne aperte oggi dalle 8 alle 22 e domani dalle 7 alle 15. Le tensioni dei giorni scorsi hanno indotto il prefetto Andrea De Martino a chiedere espressamente massima attenzione nei servizi di controllo. I seggi saranno presidiati anche da pattuglie in borghese delle forze dell’ordine.

La polizia municipale guidata dal generale Luigi Sementa schiera nelle attività collegate alle elezioni 873 agenti, si annuncia imponente anche l’impiego di personale da parte della polizia, con la Digos diretta dal vicequestore Filippo Bonfiglio, e dei carabinieri del comando provinciale guidato dal colonnello Mario Cinque. Tolleranza zero contro i “galoppini” che tenteranno di condizionare gli elettori all’ingresso delle sezioni e linea dura contro qualsiasi episodio di inquinamento del voto. Controlli rigorosi sono stati chiesti dalla prefettura ai presidenti di seggio che dovranno far rispettare il divieto di introdurre nella cabina telefonini o altri strumenti utilizzabili per fotografare le schede e vigilare su eventuali tentativi di votare due volte.

Le 886 sezioni elettorali del comune di Napoli si sono regolarmente costituite ieri pomeriggio. Sono stati sostituiti 8 presidenti di sezione, la composizione dei seggi sarà la stessa del primo turno. Per votare servono un documento e la tessera elettorale. In caso di furto o smarrimento sarà possibile chiedere il duplicato anche oggi e domani, nello stesso orario delle votazioni, negli uffici delle municipalità dove sono stati potenziati i drappelli della polizia municipale addetti a ricevere le denunce di smarrimento o di furto. Se l’elettore ha perso la tessera o gli è stata rubata, dovrà allegare la denuncia alla richiesta di duplicato. Se intende sostituire la tessera deteriorata, dovrà esibire quella vecchia. Alle 17 di ieri erano stati rilasciati 807 duplicati di tessere elettorali.

I due candidati arrivano al ballottaggio dopo una campagna elettorale aspra, condotta su toni costantemente accesi e senza esclusione di colpi bassi. Imprenditore ed ex presidente dell’Unione industriali, Lettieri è il candidato del centrodestra sostenuto dal Pdl e da altre 10 liste. Al primo turno ha ottenuto 179 mila pari al 38,52 per cento. Ex pm a Napoli e Catanzaro, europarlamentare dell’Italia dei Valori, de Magistris è appoggiato da Idv e da tre liste civiche, con il sostegno esterno di Pd, Sel, Riformisti e lista Morcone. Al primo turno ha ottenuto 128 mila preferenze pari al 27,52 per cento. La vittoria dell’uno o dell’altro candidato influirà in maniera determinante sulla composizione del nuovo consiglio comunale (vedi tabella nella pagina) perché la legge elettorale riconosce al sindaco un premio di maggioranza distribuito sulla base delle liste formalmente “apparentate”. E dunque, in caso di elezione di Lettieri, il Pdl otterrebbe 18 consiglieri, il Pd 8, 3 l’Idv. Con de Magistris sindaco invece sarebbero 14 i consiglieri dell’Idv, 8 quelli della lista civica “Napoli è tua”, il Pdl eleggerebbe 8 consiglieri e il Pd 5.

Gli aventi diritto al voto sono oltre 800 mila. Il Terzo polo, che al primo turno aveva scelto come candidato sindaco Raimondo Pasquino ottenendo il 9,74 per cento, ha lasciato libertà di scelta ai suoi elettori anche se Pasquino ha espresso riserve su Lettieri. Ma la vera incognita che pesa su questo secondo, decisivo, turno elettorale è rappresentata dall’astensionismo. Due settimane or sono andò a votare il 60,32 per cento degli elettori. La percentuale era stata più alta alle amministrative del 2006, quelle concluse con la riconferma della Iervolino senza neppure bisogno del ballottaggio, quando alle urne andò il 66,67 per cento degli aventi diritto. Dunque il “partito del non voto”, con il suo 40 per cento del 1516 maggio, può davvero diventare l’arbitro della corsa più lunga, quella verso Palazzo San Giacomo.


http://napoli.repubblica.it/cronaca/2011/05/29/news/ballottaggio_sotto_scorta_agenti_in_borghese_nei_seggi-16891568/?ref=HREA-1



Equitalia: "stop procedure esecutive"

Federcontribuenti: «Battaglia vinta, ora bisogna vincere la guerra»

La Federcontribuenti informa della decisione presa da parte del presidente di Equitalia, Attilio Befera, di fermare, momentaneamente, tutte le procedure esecutive nei confronti dei contribuenti italiani. Il commento a caldo del presidente Finocchiaro: «Atto dovuto. Adesso, per risolvere a monte il problema, occorrono riforme fiscali e tributarieprogettate con la collaborazione di tutte le parti, compresa la nostra». Dopo le barricate, la rabbia dei colpiti, l'escalation di mobilitazioni su scala nazionale e tenendo conto dell'incredibile numero di cause civili avviate contro Equitalia e che stanno congelando i tribunali italiani, la stessa ha deciso di intervenire fermando tutte le esecuzioni e annunciando un intervento legislativo per garantire una maggiore flessibilità' nell'attività di riscossione fiscale. Il documento sarà martedì prossimo in discussione in commissione Finanze della Camera. La preoccupazione della Federcontribuenti sta nella velocità in cui tutto si sta compiendo: «fermare le esecuzioni era inevitabile ma, sentiamo parlare di testi di legge già pronti e questo ci preoccupa in quanto se venisse a mancare condivisione e collaborazione tra le parti potrebbe trattarsi di una montatura. Oppure, di propaganda prima del ballottaggio».

Quel che teme l'organizzazione è che a seguito di questa crescente e preoccupante ondata di rabbia contro Equitalia si sia voluto, con questa mossa, raggelare l'insorgenza civile, calmare le acque e salvare i ballottaggi. Inoltre, segnala la Federcontribuenti, si parla solo di imprenditori in crisi ma ci si dimentica delle famiglie italiane, «la prepotenza di Equitalia non colpisce duramente solo gli imprenditori vittime della crisi, ma, anche le famiglie e anche queste subiscono cartelle esattoriali e procedure esecutive al limite della legalità». La risoluzione annunciata, inoltre, propone l'invio di solleciti solo in caso di importi entro i 2mila euro; elevazione a 20mila euro della soglia al di sotto della quale non e' possibile far scattare l'ipoteca o l'espropriazione e prevedendo la comunicazione preventiva in caso di prima casa; la riforma del meccanismo di calcolo delle sanzioni tributarie, "in particolare escludendo forme di anatocismo". Finalmente si ammette la pratica anatocistica sul calcolo delle sanzioni. Tutto questo, perFedercontribuenti, non basta e non risolve il problema alla radice. Una buona riforma fiscale e tributaria va scritta a più mani e deve essere ad ampio raggio.

Secondo il presidente Finocchiaro sono altre le misure da adottare: prima di tutto vietare di portar via la casa a chi non possiede altri immobili ed elevare comunque la soglia dei ventimila euro. Abbassare, vertiginosamente, i tassi di interesse applicati sulle cartelle esattoriali. Gli imprenditori che lavorano in Italia ma hanno la residenza in nazioni a basso regime fiscale non devono sfuggire al fisco italiano; vanno sanzionati coloro che decidono di chiudere una fabbrica o azienda in Italia per aprire in paesi europei a basso regime fiscale e salariale; bisogna snellire il fisco alle piccole imprese e agevolarle, sempre fiscalmente, nei primi anni di vita e soltanto a chi non ha altre imprese; far rientrare tutti dal debito fiscale ricalcolando i tassi da usura applicati e allungando le mensilità in base alle fonti di reddito di ognuno;vietare il fermo amministrativo sui mezzi di lavoro. Le tasse si pagano se sei messo in condizione di lavorare. «Intervenire blandamente per scongiurare questa offensiva popolare è pericoloso poiché potrebbe trasformarsi in benzina buttata su un fuoco già acceso, - conclude Finocchiaro -, chiediamo, come maggiore organizzazione nazionale a difesa dei contribuenti, di essere ascoltati in merito alla questione fiscale e tributaria e di avviare urgentemente un tavolo tecnico che ci veda partecipi». Adesso non bisogna cadere preda di facili entusiasmi, bisogna seguire da vicino l'evolversi legislativo «senza abbassare la guardia». Federcontribuenti, a proposito della manifestazione contro Equitalia e per sostenere una valida riforma fiscale, organizzata a Roma per il 16 giugno prossimo, fa sapere: « Se in questa settimana non riterremo sufficienti le misure adottate dal governo, confermeremo la manifestazione e porteremo in piazza , nuovamente, gli italiani, stanchi e vessati».

http://www.agoravox.it/Equitalia-stop-procedure-esecutive.html


Pisapia Moratti : il duello finale.



Bellissime le immagini finali della passeggiata in bicicletta e delle ovazioni spontanee a Pisapia...mi hanno commossa e ridato speranza. Abbiamo bisogno di gente che voglia prendersi cura di noi e non del proprio portafoglio.


Salario medio sotto 1.300 euro


Rapporto Istat sul 2010. Per donne 20% piu' basso.


Lo stipendio netto di un italiano in media non supera i 1.300 euro mensili, una cifra che nasconde, però, la forte differenza che c'é tra uomini e donne, con le lavoratrici che hanno retribuzioni più basse del 20%. Ancora peggio va per gli stranieri, che ricevono una busta paga sotto i mille euro. I giovani, invece, scontano il fatto di essere neo-assunti e nei primi due anni di lavoro il salario medio è di appena 900 euro. E' questa la fotografia scattata dall'Istat sulle retribuzioni nette mensili per dipendente nel 2010. Nel Rapporto annuale sulla situazione del Paese, l'Istituto calcola, infatti, che lo stipendio medio di un cittadino italiano è di 1.286 euro, frutto di una ricompensa di 1.407 euro per i lavoratori e di 1.131 euro per le lavoratrici; in altre parole le donne sono pagate un quarto in meno.

Sugli stranieri la riduzione è ancora più forte, visto che la busta paga si ferma a 973 euro (-24%). A riguardo l'Istat spiega che "in confronto al 2009, lo svantaggio degli stranieri è divenuto ancora più ampio". Oltre al genere e al passaporto, un'altra differenza sul peso delle retribuzioni la fanno gli anni di lavoro: all'inizio della carriera si parte sotto i 900 euro superando la soglia dei mille solo dopo 3-5 anni di servizio e il tetto dei 1.300 compiuti i 20 anni di attività. D'altra parte, emerge sempre dal rapporto annuale dell'Istat, la spesa che lo stato italiano indirizza agli aiuti al reddito é inferiore rispetto alle quote sborsate nel resto d'Europa. Nel volume si legge, infatti, che "l'Italia si colloca all'ultimo posto tra i paesi Ue per le risorse destinate al sostegno del reddito, alle misure di contrasto della povertà o alle prestazioni in natura a favore di persone a rischio di esclusione sociale". Stando a dati del 2008, sottolinea l'Istat, "la maggior parte delle risorse sono assorbite da trasferimenti monetari di tipo pensionistico, mentre quote molto residuali e inferiori alla media Ue vengono destinate alle funzioni dedicate - appunto - al sostegno delle famiglie, alla disoccupazione e al contrasto delle condizioni di povertà ed esclusione sociale". Più in particolare, le uscite per protezione sociale sono assorbite per il 51,3% dalla voce 'vecchiaia', mentre solo il 4,7% va alla famiglia, ancora miniore è la fetta dedicata ai disoccupati (1,9%).