mercoledì 8 giugno 2011

Galan: ministeri al Nord? Una puttanata intercontinentale


Il ministro della Cultura boccia la proposta leghista:
solo propaganda che mette in difficoltà gli alleati

Galan (Omniroma)
Galan (Omniroma)
ROMA - «Una puttanata intercontinentale». Così il ministro della Cultura Giancarlo Galan definisce la proposta leghista di trasferire alcuni ministeri al Nord. «È tutto tranne che una cosa seria - dice Galan a Radio Radicale -, anzi, se non fossi in onda su Radio Radicale direi che è una puttanata intercontinentale e mi meraviglio che non la si tratti come tale».

«SOLO PROPAGANDA» - Di più, il ministro della Cultura (del Pdl) spiega: «È semplicemente una iniziativa propagandistica - prosegue Galan - che mette in difficoltà gli alleati e che non ha alcuna possibilità di essere attuata. È sgradevole e inutile anche perché dà la sensazione che chi dovrebbe battersi per risparmiare nella spesa pubblica in realtà la dilata, chi dovrebbe contrarre la pubblica amministrazione in realtà la dilata. Insomma un errore fondamentale, marchiano, evidente sotto tutti i profili».

http://www.corriere.it/politica/11_giugno_08/galan-ministri-nord-puttanata-intercontinentale_e385be44-91c0-11e0-9b49-77b721022eeb.shtml



Sul quorum il rebus del voto all'estero ma il governo rischia l'autogol


Dal Viminale la conferma che gli italiani all'estero non potranno votare sulle nuove schede. Aver modificato la legge e il conseguente cambio del quesito potrebbe portare però al paradossale risultato di rendere più facile il raggiungimento del 50%. Il radicale Staderini: "Tutti gli italiani che vivono fuori dal paese sono stati messi in condizione di votare? Il governo risponda, è una questione di democrazia".


ROMA - Appelli, mobilitazioni, flash mob, passa parola in rete. La battaglia per il raggiungimento del quorum ai referendum del 12 e 13 giugno si combatte con molte armi, ma alla fine la battaglia decisiva sarà probabilmente quella che si disputerà a partire da lunedì pomeriggio in Cassazione attorno al voto degli italiani all'estero. Oggi il Viminale, attraverso la comunicazione al Parlamento del ministro Elio Vito, ha reso noto che sono in corso di stampa e distribuzione in tutto il Paese le schede di colore grigio con la nuova formulazione del quesito sul nucleare, così come disposta dall'ordinanza 1 giugno 2011, depositata il 3 giugno dell'ufficio centrale per il Referendum presso la Cassazione.

Le nuove schede però non saranno nuovamente inviate agli italiani residenti all'estero, dal momento che il voto poteva essere espresso solo entro il 2 giugno. Le vecchie schede già votate saranno conteggiate ai fini del risultato ma soprattutto ai fini del raggiungimento del quorum? Su questo punto Vito non si è espresso. E' logico pensare però che il governo dopo i ripetuti tentativi di sabotare la consultazione non rinuncerà a considerare anche i 3,2 milioni di italiani residenti oltreconfine parte della base elettorale su cui calcolare il 50% di votanti necessario a rendere valido il referendum.

Proprio il pasticcio combinato da Berlusconi e Romani con la finta moratoria inserita nel dl omnibus rischia però di depotenziare l'arma più efficace posseduta dal Governo per far fallire i quesiti. Per capire il perchè è necessario però fare un passo indietro.

Come ha spiegato Antonio Di Pietro a Repubblica Tv 1, contando gli italiani all'estero - che hanno votato però su un quesiti che non esiste più - il quorum sale in realtà al 58%. Anche se le schede spedite per corrispondenza tra il 25 maggio e il 2 giugno fossero conteggiate, difficile sperare che siano poco più di qualche decina di migliaia. Se dei referendum si è parlato poco o nulla qui da noi, è facile capire quanto ancor meno ne siano stati informati gli italiani all'estero, tra l'altro tendenzialmente più distratti e inclini all'astensionismo (alle ultime politiche, per dire, ha votato solo il 39,5%). Detto in altre parole, se si fosse votato tutti con il vecchio quesito il raggiungimento del quorum sarebbe stato davvero ai limiti dell'impossibile. Ma il governo, con la sua smania di sabotaggio, è riuscito nell'impresa di far votare italiane e italiani all'estero con due schede diverse, spalancando così la porta a un ricorso che Di Pietro ha già annunciato di voler presentare entro le 15 di lunedì alla Cassazione.

Precedenti in materia non ce ne sono, ma che i giudici - che tra l'altro sino ad oggi hanno sempre dato ragione ai reclami dei referendari - possano decidere di non cosiderare validi ai fini del quorum i voti espressi su schede diverse da quelle su cui ci si esprime ai seggi il 12 e 13 appare più di un'ipotesi. Nel caso le cose andassero davvero così, le possibilità che il referendum sia valido crescerebbero vertiginosamente. "A superare il muro del 50 per cento ce la facciamo, del 58 no", profetizzava sempre Di Pietro. Che a quel punto avrebbe "azzeccato" anche un'altra profezia: "Berlusconi lo ringrazio. Meno male che si attornia di tanta gente incompetente e incapace: prima fa un decreto per fermare il referendum sul nucleare, poi ricorre alla Cassazione, poi alla Consulta, con il risultato che oggi tutti parlano del referendum".

E un'altra, importante, questione la pone il segretario dei Radicali Mario Staderini. "Tutti gli italiani all'estero sono stati messi nelle condizioni di votare?" si chiede il leader radicale. "I dubbi sulla regolarità del voto degli italiani all'estero - dice - riguardano tutti e quattro i referendum, non solo quello sul nucleare. La questione non è tanto se chi ha già votato sul nucleare debba o no rivotare, bensì se gli oltre 3 milioni di italiani all'estero sono stati messi effettivamente nella condizione di votare per i quattro referendum". "Siamo davvero sicuri - insiste - che siano stati tutti informati nei loro attuali recapiti della possibilità di votare? Il plico contenente le schede referendarie non è inviato tramite raccomandata, per cui non v'è certezza sulla sua effettiva ricezione. Peraltro, sono sempre di più le segnalazioni che sto ricevendo i italiani all'estero a cui le schede non sono arrivate nonostante al consolato risultasse di si. Lo stesso voto all'estero avviene con posta ordinaria, per cui chi ha votato non saprà mai se il suo voto è arrivato a destinazione.
E poi, quali informazioni di merito e occasioni di conoscenza i consolati hanno garantito affinché l'interesse a votare non fosse soffocato? Dal momento in cui il quorum condiziona la validità del voto di decine di milioni di italiani, la verifica su cosa accaduto ai 3 milioni di votanti all'estero è condizione essenziale di democrazia. Chi non è stato messo in condizione di votare non deve essere conteggiato nel quorum. Sto valutando la possibilità di fare un ricorso in Cassazione".



L'austerity deve colpire la politica. - di Mario Deaglio


Senza riduzione del debito pubblico non c’è crescita. Senza crescita, però, la sola riduzione del debito pubblico spinge l’economia verso una nuova fermata.

E’ in queste condizioni difficili che la Commissione dell’Unione Europea ha inviato ieri le sue «raccomandazioni» ai ventisette governi degli Stati membri, intenti a preparare le leggi finanziarie per il 2012: una novità del sistema europeo di governo dell’economia, introdotta per evitare ripetizioni della «tragedia greca» della finanza pubblica e impedire politiche troppo disinvolte a spese di tutti.

Nelle «raccomandazioni» la Commissione schiaccia fino in fondo il freno del rigore: «Non abbiamo alcun desiderio di imporre l’austerità agli europei - hanno scritto i commissari - ma è un fatto che l’insostenibilità delle finanze pubbliche sta limitando il nostro potenziale di crescita». Giudica generalmente «troppo poco ambiziosi» e troppo vaghi i piani dei governi ai quali indica una serie di priorità: aumento dell’età pensionabile, riduzione dei pensionamenti anticipati, aggancio dei salari alla produttività, semplificazioni burocratiche per le imprese e incentivi per la ricerca e lo sviluppo. Non c’è male sul piano dei principi, soprattutto per chi non deve la propria carica al consenso degli elettori, ma la traduzione di questi propositi abbastanza nobili in proposte concrete è difficilissima per governi alle prese con un’impopolarità crescente.

La Commissione bacchetta un po’ tutti, ma indirizza un discorso particolarmente severo proprio all’Italia, forse perché in realtà proprio l’Italia è il Paese-chiave per la tenuta dell’euro. Sostiene che fino al 2012 i programmi italiani sono sostanzialmente in linea con gli impegni presi di riduzione di deficit e di debito, ma che i piani fiscali per il 2013-14 non sono adeguati all’obiettivo; in questo è in linea con il giudizio di Moody’s, l’agenzia internazionale che ha confermato la sua valutazione sullo stato attuale della finanza italiana ma ha peggiorato la valutazione futura. Quello che è richiesto all’Italia è, in pratica, un cambiamento radicale e gigantesco del settore pubblico. Dietro l’espressione, apparentemente «innocente», di «riforme di struttura» si cela un rinnovamento profondo di tutte le procedure amministrative.

Rinnovamento, è inutile dirlo, che risulterà in una sensibile riduzione del numero dei dipendenti pubblici a tutti i livelli nel giro di pochissimi anni. Le forze politiche saranno costrette a presentarsi agli elettori alla fine di questa legislatura- sia che essa arrivi al suo termine naturale sia che invece venga anticipata - non già con la lista dei regali e delle promesse, ma con la lista dei tagli.

Al primo posto di questa lista non può non esserci la stessa politica. Tagli profondi nella spesa pubblica non possono essere credibilmente proposti da chi non è disposto a tagliare la spesa relativa alle proprie funzioni. Devono quindi costituire il punto di partenza di chi vuol governare il Paese nel prossimo futuro. A un calcolo approssimativo, non dovrebbe essere troppo difficile ottenere un taglio di 1-2 miliardi di euro l’anno, agendo sulla riduzione sia dei privilegi della politica sia sul numero di quanti ne hanno diritto.

Solo con questa premessa sarà possibile cercare davvero di rendere al tempo stesso più efficienti, meno complicate e meno care le procedure amministrative: i burocrati dovranno essere sostituiti, dove possibile, dai computer. Alcune fasi del processo amministrativo dovranno essere saltate, magari prendendo a esempio quanto già si fa in molti Paesi. E un pilastro fondamentale, quello da cui è auspicabile che derivi il maggior contributo, sarà una lotta accanita all’evasione fiscale, un terreno sul quale si è ottenuto parecchio in questi anni ma che comincia a provocare forme vistose di risentimento.

Dallo sport all’agricoltura, i sussidi, anche quelli giustificabili e ragionevoli, dovranno essere rivisti con spirito molto critico; nelle «libere» professioni occorre liberalizzare l’entrata, resa sempre più difficile nel corso dei decenni. E’ inevitabile che molte missioni militari all’estero debbano essere terminate. E forse bisognerà decidersi a vendere un po’ di quell’oro, acquistato decenni fa a trentasei dollari l’oncia, che ora ne vale più di millecinquecento, una mossa che i governi di ogni colore sono sempre stati molto restii a prendere in considerazione. Da tutte queste misure risulterà probabilmente un insieme non trascurabile di risorse da destinare non solo alla riduzione del debito ma anche a progetti di crescita.

Chi vuole governare questo Paese nei prossimi anni potrà essere davvero credibile agli elettori e ai partner europei solo se si presenterà con un programma in regola su questi punti. In caso contrario, bando alle ipocrisie: prepariamoci, di qui a qualche anno, ad abbandonare l’euro e a riprendere il vecchio ciclo di inflazione e svalutazione.



Senza Gabanelli la Rai può chiudere. - di Aldo Grasso.


MILANO - Fra le trasmissioni di successo, «Report» è l'unica che conserva la missione di servizio pubblico nella sua accezione più alta, di indagine e di senso civico. Se la Rai si lascia sfuggire Milena Gabanelli può chiudere bottega, diventerebbe un'azienda televisiva fra le altre, faticherebbe non poco a giustificare la richiesta di un canone.

LE INCHIESTE - Non basta fare le inchieste, bisogna anche chiedersi che esito hanno avuto, come sono andate a finire. In queste puntate di fine stagione, «Report» fa il punto sul suo lavoro, a cominciare dalla «puntata riparatrice» chiesta dall'Agcom (una vera assurdità che mette a nudo il carattere essenzialmente politico delle nostre Autorità di garanzia) a compensazione di un'inchiesta del 24 ottobre sulla manovra economica. In assenza di un intervento diretto del ministro Giulio Tremonti, Stefania Rimini ha intervistato Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis chiedendo loro un giudizio positivo sull'operato del governo: una vera assurdità targata Agcom.

EXPO 2015 - Il servizio che più mi ha colpito è stato quello sull'Expo 2015: la questione dei terreni, la speculazione edilizia, il ruolo di Lucio Stanca che spavaldamente rivendicava il doppio stipendio di parlamentare e di a.d. di Expo 2015 (non è che la Moratti ha perso le elezioni anche per queste arroganti storture?), il fallimento dell'affascinante progetto Boeri-Petrini sugli orti planetari che pure aveva affascinato il Bureau International des Expositions: «Questo progetto - conclude la Gabanelli - è troppo rivoluzionario. Si preferisce il supermarket del cibo e i tradizionali padiglioni e quando la fiera finisce si smobilita e si edifica. A meno che il nuovo sindaco, che dovrà correre perché fra 4 anni si inaugura e c'è ancora tutto da fare, non abbia il coraggio del nuovo. Una domanda: ma la Moratti rimane commissario straordinario?».



Rai, il silenzio dei garanti. - di Aldo Grasso.


La vicenda del divorzio di Michele Santoro
da Viale Mazzini rappresenta un danno oggettivo per l'azienda.
Ma in tutta questa vicenda di Santoro qual è il ruolo di Paolo Garimberti? Un presidente di garanzia della Rai può accontentarsi di fare il pesce in barile limitandosi a dichiarare il suo «profondo rispetto per il diritto di ciascuno di essere artefice del proprio destino»? È indispettito per non essere stato coinvolto nella trattativa?

Da qualunque parte la si legga, la vicenda del divorzio di Michele Santoro da Viale Mazzini rappresenta un danno oggettivo per l'azienda. Sì, è vero ci sono rilevanti questioni politiche e partitiche (come sempre, quando si parla di Rai), ma un presidente di garanzia deve innanzitutto tutelare il servizio pubblico che idealmente gli è stato affidato. Se non ci riesce, se viene messo da parte, se viene trattato alla stregua di un notaio, beh forse è il caso di inviare un segnale forte, dare persino le dimissioni, come in passato ha fatto Lucia Annunziata. Santoro faceva un programma fazioso, «anti-sistema», paradiso degli indignati, a volte con il gusto di irridere l'avversario, lo abbiamo detto più volte, però era anche uno dei pochi programmi che teneva in piedi e «illuminava» Raidue (insieme a X Factor, già cancellato, e a Simona Ventura, dal futuro incerto). In una democrazia matura, in un servizio pubblico, ad Annozero si contrappone un altro talk di segno opposto. Ci hanno provato ed è andata male. Così, la rottura appare non solo come una vendetta personale di Berlusconi, che attribuisce a Santoro la sconfitta nei ballottaggi e come il capitano Achab insegue ossessivamente il suo leviatano, ma anche un danno oggettivo per la Rai. Nel primo round Santoro aveva sconfitto il direttore generale Mauro Masi, costringendolo ad andarsene, nel secondo, ai punti, con guanto felpato, Lorenza Lei ha piegato Santoro, indebolendo però l'azienda.

Se il sistema tv italiano non fosse così anomalo, il cambio di guardia di un conduttore o di un giornalista non dovrebbe suscitare tanto scalpore, esattamente come succede nella carta stampata: ciascuno è artefice del proprio destino. Ma con Viale Mazzini, da tempo bottino di guerra dei vincitori, e con Mediaset, di proprietà del presidente del Consiglio, le cose non stanno così. Se, come probabile, Raidue rischierà il tracollo, di chi sarà la colpa? Il presidente Garimberti sarà in grado di chiedere la testa della Lei nel caso in cui La7 «rubi» una consistente fetta di audience alla Rai?

Di fronte alle proteste dei direttori di rete - Mauro Mazza, Massimo Liofredi e Paolo Ruffini - che hanno abbandonato la sala consiliare per contestare le proposte di palinsesto decise dalla Lei, il presidente di garanzia si limita a prenderne atto? Saltato il consiglio di amministrazione previsto per domani, forse è il caso che, nel frattempo, Garimberti si faccia sentire, forte e chiaro, per tutelare un bene che è di tutti.

Un segnale ce lo aspettiamo anche da Sergio Zavoli, presidente della commissione di Vigilanza Rai, soprattutto per la grande stima professionale e istituzionale che proviamo per lui. Non si può andare avanti trattando la Rai come spoglie di guerra (per di più di una guerra di bande cui non è estranea la Lega, fino a ieri corifea del «Roma ladrona»). Dei morti si parla sempre bene e quando, giorni fa, è mancato Biagio Agnes tutti a dire che aveva tenacemente difeso l'azienda e garantito il pluralismo. Forse è il caso che Garimberti e Zavoli si facciano lodare anche da vivi.

http://www.corriere.it/editoriali/11_giugno_08/grasso-rai-silenzio-garanti_b66a3de8-9190-11e0-9b49-77b721022eeb.shtml


L’ombra di Tremonti. - di Alessandro De Angelis


Mani legate. Dall’Europa un sostegno alla linea del superministro. Maroni punta sul voto anticipato. Berlusconi: «Così non duriamo». E per blindare palazzo Chigi si converte alle primarie: «Vediamo chi mi sfida». Oggi vertice a palazzo Grazioli. E sul successore di Alfano il Cav colleziona rifiuti.

«Ormai con Tremonti è una sfida aperta, e noi abbiamo le mani legate. Vuole costringerci a cedere, colpo dopo colpo. Punta tutto su uno scenario di emergenza». Lo spettro «Giulio» si materializza quando il premier legge il documento approvato dalla Commissione europea.
Il piano di consolidamento dei conti italiani è credibile fino al 2012, ma richiede ulteriori misure per far fronte a un deficit strutturale, ovvero la manovra da quaranta miliardi che sarà varata entro l’estate. È un sostegno aperto alla linea del rigore che il superministro ha difeso senza esitazioni, pure di fronte alle pressioni della Lega, durante il tormentato vertice di lunedì.
Berlusconi pensa che l’intervento europeo sia in parte autentico, ma in parte anche concordato nella durezza. Non è un mistero che il superministro è considerato un referente affidabile, se non l’unico, di cancellerie e euroburocrati. Ci parla, è ascoltato, ha familiarità con Barroso. E non sarebbe la prima volta che il vincolo esterno viene usato per imporre una politica di lacrime e sangue. Il che rende difficile, quasi impossibile, qualunque discorso sulla riforma fiscale, unico volano di un rilancio possibile: «Ormai - dice un ministro berlusconiano a microfoni spenti - per capire come andrà a finire sul fisco e su tutto il resto serve un veggente o un medium».
Un’ossessione, la manina tremontiana. Che il premier vede ovunque. Del resto i segnali di sostegno alla linea del rigore senza se e senza ma ieri sono arrivati da vari terminali della «rete di Giulio», neanche ci fosse stata una chiamata alle armi. Il presidente della Confcooperative, Luigi Marino, nella sua redazione annuale, ha usato toni da portavoce del Tesoro: «Sulla riforma fiscale si concentrano aspettative irrealistiche come quella di una drastica riduzione delle tasse». Pure Domenico Siniscalco, presidente di Assogestioni, intervistato da Sky, interpreta il documento della commissione europea come un invito a proseguire sulla strada intrapresa, che non consente diversivi. Ecco la sensazione di impotenza, di mani legate. Quel «può succedere di tutto» sussurrato da Berlusconi a più di un ministro mostra che il Cavaliere stavolta ha davvero paura. E non è un caso che nella war room nessuno si sbilancia sulle previsioni in materia di referendum. Per come viene percepito l’esito è comunque negativo per il governo: se non si raggiunge il quorum non cambia nulla, se dovesse essere superato sarebbe una sconfitta del Cavaliere. Che renderebbe possibili gli scenari più foschi.
Perché le rassicurazioni di Bossi sulla tenuta dell’alleanza bastano, ma fino a un certo punto. I sensori berlusconiani hanno intercettato che un pezzo consistente del Carroccio (vai alla voce: Roberto Maroni) ormai punta apertamente al voto nel 2012. E il semplice galleggiare - senza fisco, senza riforme - favorisce la manovra. E favorisce anche una sensazione di smarrimento delle truppe pidielline. Per dirne una, Berlusconi non è ancora riuscito a trovare il nome per il successore di Alfano alla giustizia, per mancanza di disponibilità: «Non ho ancora chiaro chi fare - ha confidato a un fedelissimo - visto che non c’è nessuno che si vuole accollare quel ministero». È una postazione troppo esposta, la prima trincea a sgretolarsi quando cade il Capo.
Tremonti, Maroni, le inceretezze pidielline. Difficile galleggiare a lungo senza un rilancio sull’economia. Per questo il premier ha convocato per oggi capigruppo, triumviri e neosegretario a palazzo Grazioli. Occorre un “piano B”, tutto politico, per blindare la legislatura. Ieri il premier ha cominciato a parlare con Gasparri e Quagliariello di legge elettorale. La proposta, di un premio di maggioranza nazionale al Senato, è stata già depositata: «Con la legge attuale - spiega una fonte vicino al dossier - la golden share ce l’avrebbe il terzo polo, se cambiamo come diciamo noi è vero che la diamo a Bossi ma almeno rafforziamo l’alleanza».
Ma la vera novità è che Berlusconi è diventato un acceso sostenitore delle primarie. Già oggi, al convegno dei «servi liberi e forti» di Giuliano Ferrara, potrebbe lanciarle in grande stile nel suo intervento. E non perché condivide l’afflato democratico, anzi. Riflettendo sul meccanismo ha pensato che potrebbe tornare utile per far uscire allo scoperto i cospiratori, e abbatterli a colpi di voti: «Voglio vedere - è il suo ragionamento - chi ha il coraggio di candidarsi contro di me, quando sarà». E per questo ha ragionato con Quagliariello di rendere le primarie obbligatorie per legge, aggiungendo qualche comma al testo della riforma elettorale. Fissato il metodo, fissato il timing per tenerle, ovvero quattro mesi prima delle elezioni, il Cavaliere avrebbe trovato un modo per rilegittimarsi in vista della corsa a palazzo Chigi. Chissà. Segno dei tempi, proprio quando il Capo si è appassionato al nuovo giocattolo più di un pidiellino che conta è piombato nello sconforto più cupo. Perché il meccanismo era stato pensato per il “dopo” Berlusconi. Se se ne appropria lui, il dopo non inizia mai.




Rai preoccupata per minori introiti il govero studia l'aumento del canone.


Una mossa per recuperare anche i mancati introiti pubblicitari. Possibile l'inserimento nella bolletta elettrica. L'impegno preso dal ministro Romani in una telefonata di congratulazioni.


di CARMELO LOPAPAROMA - E adesso il governo studia l'aumento del canone. Una bella cura da cavallo, stavolta, non l'euro e 50 centesimi del ritocco 2011. Ci sono i costi del servizio pubblico che galoppano, certo, ma dal prossimo anno andrà compensato - tra le altre voci in perdita - anche il mancato introito pubblicitario del prime time del giovedì su Raidue, che con Santoro e Annozero ha garantito dal 2006 incassi a sei zeri.

Quando ieri mattina il ministro alle Comunicazioni Paolo Romani ha chiamato il direttore generale Rai Lorenza Lei per congratularsi del benservito a Michele Santoro, per aver compiuto "con successo" la missione nella quale aveva fallito per due anni l'ex Mauro Masi, l'impegno (verbale) è stato preso. La dg le congratulazioni le ha incassate, ma ha anche esternato tutte le sue preoccupazioni per le prospettive non rosee dell'azienda di Viale Mazzini. E l'ex imprenditore televisivo milanese, vicinissimo al premier, su questo è stato in grado di sbilanciarsi, promettendo un intervento del governo.

Il dossier "canone" è sulla scrivania di Romani. E tra le ipotesi contempla anche la possibilità di agganciarne il pagamento alla bolletta elettrica. Espediente ritenuto utile per combattere l'evasione, che sulla tv è ancora dilagante. Nella stagione televisiva che sta per concludersi, il programma di Santoro ha avuto una media di 5,8 milioni di spettatori, con uno share del 20,71, stando ai dati diffusi dallo staff di Annozero. Garantendo così a Raidue il successo in prima
serata il giovedì: il 12 per cento in più rispetto alla media di rete. Non è un caso, d'altronde, se ieri a Piazza Affari i titoli de La7, la TiMedia, hanno subito un balzo del 17,56 per cento, dopo le indiscrezioni sul passaggio di Santoro alla controllata Telecom. Una crescita del valore delle azioni in Borsa stimato in 29 milioni di euro.

A tutto questo, meglio, al già previsto crollo pubblicitario la Rai chiede al governo di porre rimedio. E l'unica leva sarà appunto il canone (oggi già a 110,50 euro). La pillola amara al contribuente sarà somministrata a fine anno, quando Tesoro e Comunicazioni dovranno annunciare che l'aumento di 1,50 euro del 2011 non è stato sufficiente. Ha permesso d'altronde di incassare 30 milioni di euro in più, poca cosa, appena il 10 per cento rispetto ai 300 milioni di fabbisogno che aveva stimato la dirigenza Rai.

Tutto questo, al momento, al presidente del Consiglio Berlusconi interessa poco, raccontano. Soddisfatto com'è del risultato raggiunto con la liquidazione di Santoro. Anche perché al momento della nomina della Lei, il Cavaliere non aveva fatto mistero con la dg del suo personale auspicio. Suo, ma non di Fedele Confalonieri. Sembra che già ieri il numero uno di Mediaset abbia confidato al vecchio amico di sempre tutte le sue preoccupazioni per i pezzi pregiati che la Rai sta "regalando" a La7, con tutte le ripercussioni che il terremoto dei palinsesti avrà sullo share della tv in chiaro dal prossimo autunno.



NOTAV: COMUNICATO STAMPA LISTE CIVICHE VALSUSA.

Appresa notizia di una busta contenente un proiettile intercettata presso gli uffici postali e destinata all’Onorevole Stefano Esposito

Preso atto della strumentalizzazione di tale deprecabile circostanza e delledichiarazioni dei vertici del P.D. provinciale e regionale in merito all’utilizzo della forza per il posizionamento di una recinzione in località Maddalena del Comune di Chiomonte in ambito realizzazione TAV TO-Lione;

Considerata la violenza mostrata contro una popolazione in lotta per il proprio futuro da parte di detti personaggi del P.D. e dell’Assessore Regionale Barbara BONINO.

Comunichiamo quanto segue :

  1. Per capire la provenienza del proiettile è sufficiente chiedersi chi ne trae vantaggio. Non certo il movimento NO-TAV e tanto meno la Valle di Susa. Le uniche forze che possono utilizzare la pallottola spuntata inviata all’onorevole Esposito sono proprio quelle che il TAV lo vogliono fare a tutti i costi.

Altra possibilità è che sia il gesto di qualche sconsiderato per finalità che stanno tutte nella testa di una persona che può avere mille motivi o non averne nessuno in particolare.La Magistratura vaglierà e ci auguriamo verrà a capo del miserabile mistero. L’unica certezza è che il gesto non è ascrivibile al Movimento NO-TAV che può avere molti limiti ma di certo non quello dell’autolesionismo.

  1. Nel rispetto delle reciproche posizioni in merito alle diverse e articolate vicende che ineriscono l’utilizzo di denaro pubblico, riteniamo inaccettabile che un qualsiasi partito chieda di risolvere problemi di conflittualità e opposizione con l’uso della violenza per di più giustificata con pratiche di mistificazione della realtà. La maggioranza della popolazione Valsusina e il movimento NO-TAV, dopo vent’anni di profondo studio del problema, continuano a ritenere che l’opera sia inutile, dannosa e affamatrice di denaro pubblico e di servizi. Ci può essere un’altra opinione ed è legittimo che ci sia. Chiedere però di militarizzare un territorio e di usare violenza a molti dei suoi abitanti al fine di dirimere una questione complessa e delicata per l’intera nazione, riteniamo sia atto violento, prevaricatore, inaccettabile e inquietante per l’intero impianto democratico che trova profonde e nobili radici nelle idealità dei Padri costituenti.
  2. La popolazione NO-TAV della Valle di Susa che in questo momento è accusata di violenza, in vent’anni la violenza l’ha sempre subita. Le cronache sono oggettiva testimonianza di questa verità. Crediamo che a fronte di tale prevaricazione poche altre realtà hanno saputo dimostrare un così elevato livello di pazienza e determinazione ad utilizzare metodologie di lotta completamente incentrate sul concetto di non violenza. Non riteniamo debba essere considerata forma di violenza il porre pacificamente la propria persona inerme di fronte agli eventi contro cui ci si batte.
  3. Chiediamo alle Donne e agli Uomini che si riconoscono nelle proposte politiche del P.D. di ragionare sulle stupidaggini urlate dai propri vertici. Personaggi come l’Onorevole Esposito che hanno fatto della politica il loro mestiere e che siamo convinti non sarebbero mai stati eletti in Parlamento se non fossero stati designati, non possono rappresentare i valori fondanti di un Partito come il P.D.

Il ruolo della politica deve essere quello di elemento mediatore tra interessi economici e interessi dei cittadini. I vertici regionali e provinciali del P.D. questo ruolo l’hanno dimenticato da tempo appiattendosi sugli interessi del potere economico. Un aspetto così importante per il futuro della libertà collettiva, al di là di come la si pensi sul TAV, l’hanno percepito moltissimi militanti, amministratori ed elettori P.D. della Valle di Susa. Persone che hanno continuato a praticare il partito rendendosi però autonomi dalle scelte imposte dall’alto e ragionando sulla specificità dei vari argomenti seguendo le linee valoriali che li hanno portati alla scelta di stare in quel partito.

  1. Esprimiamo seria e fondata preoccupazione per l’evolversi della situazione e invitiamo le organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani ad essere presenti in Valle di Susa così come auspichiamo l’invio di osservatori neutrali da parte della Comunità Europea. Condanniamo, con tutta la forza derivataci dal mandato elettorale ricevuto da migliaia di cittadini, gli inviti all’uso della violenza esternati dai vertici regionali e provinciali del P.D. e da rappresentanti istituzionali regionali del P.D.L. Riteniamo pacifica, non violenta e legittima la protesta dei cittadini della Valle di Susa contro un’opera dannosa, inutile e inaccettabile dal punto di vista dei costi economici e sociali.
  2. Proponiamo ricorso preventivo alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo verso i comportamenti istituzionali tenuti dai Sigg.i BONINO Barbara, ESPOSITO Stefano, MERLO Giorgio, MORGANDO Gianfranco, SAITTA Antonio. Riteniamo infatti che le reiterate esternazioni e richieste di utilizzo della forza della violenza si configurino come una istigazione alla violazione delle norme previste all’articolo 2 comma 1 e all’articolo 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Rimettiamo ai nostri legali mandato di adire querela nei confronti dei suddetti rappresentanti istituzionali per gravissime lesioni all’immagine del movimento NO-TAV. Lesioni rafforzate in riferimento a persone specifiche che si riconoscono e vengono riconosciute quali rappresentanti pubblici di tale movimento.

Chiediamo agli stessi rappresentanti istituzionali l’immediato ritiro delle richieste di uso della violenza contro il movimento NO-TAV e i cittadini della Valle di Susa e l’altrettanto immediata correzione di giudizi in merito all’attribuzione di eventi non ascrivibili al movimento stesso.

Siamo certi che solo il ripristino delle normali condizioni di rapporto dialettico proprio della politica possa scongiurare pericolose involuzioni anti democratiche che creerebbero precedente inquietante nel quadro dei rapporti tra cittadini e stato.

In assenza di risposte alle presenti considerazioni riteniamo i rappresentanti istituzionali sopra richiamati, direttamente e personalmente responsabili di qualsiasi atto di violenza che potrà avvenire in Valle di Susa in merito all’apertura del cantiere della Maddalena.Ci riserviamo in tal senso di adire tutte le vie legali per la salvaguardia dei cittadini da noi rappresentati e per eventuali imputazioni di responsabilità sugli eventi occorrendi.

Chiomonte Lì 06.Giugno.2011

Per il Coordinamento Liste Civiche Valsusa

Il coordinatore

(CASEL Luigi)

http://www.violapiemonte.org/2011/06/08/notav-comunicato-stampa-liste-civiche-valsusa/



Trent'anni fa la tragedia di Alfredino, 60 ore di agonia sotto gli occhi degli italiani.


Roma - (Adnkronos) - Sono passati quasi trent'anni dalla tragedia di Vermicino, che si consumò passo passo sotto gli occhi di milioni di italiani, attraverso le immagini trasmesse dai telegiornali. Il bimbo di sei anni rimase imprigionato in un pozzo artesiano profondo 30 metri. Anche Sandro Pertini andò sul posto per rincuorare il bambino. Ma qualsiasi tentativo di salvarlo si rivelò inutile.

Roma, 7 giu. - (Adnkronos) - Sessanta ore di agonia in un pozzo artesiano profondo 30 metri, destinato a diventare la tomba del piccolo Alfredino Rampi, di appena sei anni. Sono passati quasi trent'anni dalla tragedia di Vermicino, che si consumo' passo passo sotto gli occhi di milioni di italiani, attraverso le immagini trasmesse dai telegiornali.

Sono le 19 del 10 giugno 1981 quando il padre del piccolo Alfredo, allarmato dall'assenza del figlio, chiama la polizia. Gli agenti, arrivati sul posto, si rendono subito conto della situazione: le urla di Alfredino provengono da un'apertura circolare del terreno, con un diametro di appena 30 centimetri. Un pozzo artesiano, tra le cui pareti che sprofondano per circa 30 metri si trova incastrato l'esile bambino.

Il telegiornale da' subito la notizia, intanto i vigili del fuoco tentano di tenere sveglio il piccolo. Con il passare delle ore ci si rende conto che liberarlo e' tutt'altro che facile, visto che i tradizionali mezzi di salvataggio si rivelano inutili. La disperazione cresce mentre arrivano sul posto tecnici e speleologici, ma senza alcun esito. Allora si comincia a tentare l'impossibile, si domanda l'aiuto di contorsionisti, nani, circensi, fantini: il risultato non cambia, tutti inesorabilmente falliscono, risalendo in superficie con ferite, escoriazioni e mani vuote.

La vicenda comincia a rimbalzare da un tg all'altro, entra prepotentemente nelle case degli italiani diventando un vero caso mediatico: la sera del 12 giugno 28 milioni di telespettatori restano incollati al video a seguire la tragedia del bimbo, le cui grida sono amplificate da un microfono calato giu' nel cunicolo.

Tra i tanti tentativi di salvare Alfredino, quello di Angelo Licheri, 37 anni, ex tipografo di origine sarda, che, complice il suo fisico minuto da contorsionista, si impegna nella missione impossibile di andare a prendere il bimbo nelle viscere della terra. Licheri si fa legare per i piedi e si fa calare a testa in giu' a una profondita' di trenta metri nel pozzo artesiano.

L'obiettivo, che poi risultera' vano, e' tentare di imbragare il piccolo e portarlo su. Licheri ci va vicinissimo, ma fallisce. Quando torna in superficie scoppia in un pianto dirotto. Da quell'esperienza Licheri non si riprendera' mai piu'. Per dimenticare trascorrera' anche una lunga permanenza in Africa.

Quando fallisce il tentativo di Angelo Licheri, si provano altre strade, sempre sotto la direzione dell'ingegner Elveno Pastorelli che coordina i soccorritori. Si cerca persino di scavare un pozzo parallelo per raggiungere piu' facilmente il piccolo, ma quanto piu' la trivella perfora il terreno, tanto piu' Alfredino sprofonda nel pozzo, sempre piu' esangue e disperato.

Intanto giungono a Vermicino decine e decine di persone, compreso il presidente della Repubblica di allora, Sandro Pertini, che tenta di rincuorare personalmente il bimbo, incitandolo a resistere. Ma la gravita' della situazione peggiora di ora in ora e ogni tentativo di salvataggio, anche il piu' rocambolesco, si spegne nella completa e totale inutilita'. Il fango all'interno del cunicolo, il terreno duro da penetrare, la confusione, l'impreparazione, la sfortuna, la fretta, tutto contribuisce a decretare la sconfitta.

La mattina del 13 giugno l'Italia si arrende al falllimento: dopo 60 ore di agonia, trasmessa in diretta a reti unificate, l'annuncio e' del conduttore del Tg1, Massimo Valentini. In lacrime il giornalista comunica che il corpo di Alfredino e' scivolato giu', sprofondando per 26 metri in fondo a quel pozzo nel quale sono rimaste sepolte anche le responsabilita', mai accertate, di chi lo lascio' scoperto. Ponendo fine per sempre all'allegra corsa di un bimbo di sei anni, che giocava tranquillamente in un prato.




Trapani, la diocesi locale di monsignor Miccichè sotto inchiesta dal Vaticano










Due fondazioni della Curia sono finite nel mirino della Guardia di Finanza per un buco nel bilancio. C'è di pi§ l'autista dello stesso monsignore che sarebbe imparentato con una famiglia mafiosa locale

L’ultima volta era successo nel 1985 nella diocesi di Nicosia, in provincia di Agrigento. Ora, dopo più di trent’anni, il Vaticano è tornato di nuovo a inviare ispezioni ufficiali nelle periferiche diocesi siciliane. Proprio oggi infatti è stato reso noto che Papa Benedetto XVI ha nominato MonsignorDomenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e componente di spicco della Cei, ispettore della diocesi di Trapani. In linguaggio canonico si chiama “visitatore apostolico”. In realtà Mogavero è un vero e proprio ispettore mandato dalla Santa Sede per indagare e fare luce su i tanti punti ritenuti oscuri nella gestione della Curia trapanese, che dal 1998 è guidata da Monsignor Francesco Miccichè. “Le mie funzioni – ha dichiarato il neo visitatore Mogavero – saranno di tipo istruttorio. Dovrò fare luce su una serie di fatti poco chiari nella diocesi trapanese e riferirne quindi alla Santa Sede”.

Il ruolo di Mogavero sarebbe assimilabile quasi a quello di un commissario, nonostante al momento Miccichè rimarrà al vertice della Curia trapanese. Gli ambienti vaticani hanno mantenuto il massimo riserbo su quali “fatti poco chiari” abbiano portato Ratzinger a inviare Mogavero come “visitatore”, e quindi commissario, nella curia trapanese. Quel che è certo è che al decreto d’ispezione chiesto dal cardinale canadese Marc Oullet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, il Vaticano è arrivato soltanto dopo un accurato lavoro di indagine istruttoria condotto da Monsignor Giuseppe Bertello, delegato del Nunzio Apostolico per i rapporti tra la Santa Sede e le diocesi. Le informazioni raccolte da Bertello in pratica non hanno lasciato scelta: a Trapani bisognava per forza mandare un ispettore.

La diocesi più occidentale della Sicilia in effetti negli ultimi tempi ha destato più di un interrogativo. Dallo scorso febbraio infatti la locale sezione di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza indaga sulla gestione finanziaria di due fondazioni della Curia: la Auxilium e la Antonio Campanile. Dopo alcuni articoli del quindicinale L’Isola sotto la lente d’ingrandimento delle fiamme gialle sono finite le pratiche di fusione delle due fondazioni nel 2007: nei bilanci della Curia infatti si sarebbe creato un “buco” di oltre un milione di euro. Miccichè dichiarò di essere all’oscuro dell’indagine in corso declinando qualsiasi tipo di accusa. E’ lui che però, in qualità di presule della città delle saline, ricopre di diritto l’incarico di presidente delle due fondazioni.

L’Auxilium, in particolare, è una delle più importanti realtà socio assistenziali della Sicilia dato che, disponendo di un gande istituto psico-pedagogico e di un grosso centro fisioterapico in cui lavorano oltre 300 persone, può contare su una convenzione con l’Asp di Trapani del valore di oltre 5 milioni di euro di rimborso all’anno. Dal 2009 tra l’altro il vescovo di Trapani ha nominato procuratore dell’Auxilium l’ex dipendente regionale Teodoro Canepa che è anche suo cognato, avendone sposato la sorella Domenica. Su questo il Nunzio Apostolico Bertello deve aver lavorato prima d’inviare la sua relazione alla Congregazione per i Vescovi. Ma non solo. Nel fascicolo che ha convinto il cardinale Oullet e sua santità Benedetto XVI a mandare qualcuno a Trapani per capire cosa stesse succedendo, ci saranno forse anche alcune lettere spedite in passato da alcuni ignoti fedeli addirittura al Cardinale Tarcisio Bertone. Missive anonime in cui si accusa Monsignor Miccichè d’intrattenere pericolose relazioni con tale Orazio Occhipinti. Sulla carta si tratterebbe soltanto del suo autista. Ma secondo gli autori degli scritti anonimi il potere di Occhipinti proprio in seno alla fondazione Auxilium sarebbe notevole, anche in virtù del suo pedigree di provata fede mafiosa. Occhipinti infatti è erede della famiglia mafiosa di Dattilo, un piccolo comune del trapanese, sterminata negli anni ’80 dopo che suo padre Vito e suo zio Antonino furono trucidati durante la guerra tra le varie fazioni affiliate a Cosa Nostra. Una segnalazione – quella fatta dai fedeli anonimi – che se provata potrebbe aver infastidito molto le alte gerarchie ecclesiastiche.

L’interesse della Santa Sede nei confronti della Curia di Trapani si è accesso anche in relazione alla gestione pastorale della diocesi da parte di Miccichè. L’attenzione sarebbe infatti puntata anche sulla recente promozione da parte di Miccichè di un sacerdote, accusato nei primi anni ’90 di aver celebrato clandestinamente il funerale di un mafioso, ucciso in uno scontro a fuoco mentre era latitante. Una situazione quindi molto complessa quella che si presenta nella diocesi trapanese. Situazione sulla quale dovrà da oggi indagare monsignor Mogavero, che oltre ad essere presidente del Consiglio per gli Affari Giuridici della Cei, ha anche un’esperienza triennale alla guida della vicina Curia di Mazara del Vallo. Una conoscenza pregressa della difficile realtà trapanese che sicuramente gioverà all’incarico del neo ispettore. L’incarico di visitatore apostolico tra l’altro non ha alcuna scadenza. Mogavero potrà in pratica disporre tutti gli accertamenti che riterrà opportuni, riferendo l’esito alla Santa Sede, senza alcun limite di tempo. Toccherà poi al Vaticano decidere se e quali operazioni compiere nella Curia di Monsignor Francesco Miccichè.