giovedì 16 giugno 2011

Royalty petrolio:4% all'Italia, 85% alla Libia, 80% alla Russia.


La Transunion ha già annunciato ai comuni iblei che a fine aprile inizierà a sondare il fondale dello specchio d'acqua davanti a Pozzallo, a 27 chilometri dalla costa. L'Audax, invece, di sonde non ha più bisogno: in estate, si legge sul suo sito web, potrebbe cominciare a trivellare a 13 miglia da Pantelleria. Non molto lontano, nei dintorni delle Isole Egadi, anche la Northern Petroleum riscalda i motori delle sue piattaforme.

Sotto l'ombra dell'inferno libico e quella di un possibile blackout energetico, la primavera delle trivelle sul mar Mediterraneo - esorcizzata dal ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo che prometteva di difendere a spada tratta il Canale di Sicilia, costi quel che costi - è oramai alle porte.

Secondo i dati delle associazioni ambientaliste, sarebbero più di cento i permessi di ricerca di idrocarburi richiesti o vigenti nel Mediterraneo. Alcuni concessi a un tiro di schioppo da sabbie dorate e banchi corallini. Le piattaforme, che - secondo quanto riportato dai bollettini pubblicati sui siti delle compagnie petrolifere - potrebbero già entrare in azione tra poche settimane, confermano i timori manifestati negli ultimi mesi dagli ambientalisti: il decreto anti-trivella, firmato e fortemente voluto dal ministro Prestigiacomo, emanato lo scorso 26 agosto, non servirà a proteggere le acque del Mediterraneo.

La Northern Petroleum lo sa e lo scrive: "La legislazione italiana che vieta le trivellazioni off-shore entro le 12 miglia dalla costa - si legge nel comunicato - avrà un effetto irrilevante sugli assetti della compagnia". Così, in barba al no della Regione e a quello dei sindaci, la Northern fa sapere di poter estrarre dai suoi giacimenti ben 4 miliardi di barili che tradotti in quattrini significano 400 miliardi di euro nelle tasche dei petrolieri. Briciole o nulla per lo Stato italiano dove le royalty che le compagnie minerarie lasciano al territorio dove estraggono senza imporre franchigie arrivano a malapena al 4 per cento contro l'85 di Libia e Indonesia, l'80 di Russia e Norvegia, il 60 in Alaska, e il 50 per cento in Canada.

"Al di là dell'aspetto ecologico, per l'Italia le trivelle sono anche antieconomiche" spiega Mario Di Giovanna, portavoce di "Stoppa la Piattaforma". "Se ci adeguassimo agli standard delle royalty degli altri paesi, facendo i conti della serva, potremmo estinguere, solo con una minima parte del canale di Sicilia, il 25 per cento del debito pubblico italiano".

In Italia, la franchigia per le piattaforme off-shore è di circa 50.000 tonnellate di greggio l'anno, equivalenti a 300 mila barili di petrolio. Sotto questo tetto di estrazione, le società non sono tenute a pagare nemmeno l'esiguo 4 per cento di royalty. La piattaforma Gela 1, a 2 km dalle coste siciliane, dal 2002 al 2008 ha prodotto petrolio e gas sempre sotto la soglia di franchigia. La Prezioso e la Vega producono invece il doppio oltre il limite (circa 100/120 mila tonnellate), pagando la franchigia solo per la metà della loro produzione. Forti delle agevolazioni fiscali italiane, le società le decantano ai loro investitori. A pagina 7 del rapporto annuale della Cygam (società petrolifera con interessi nell'Adriatico) si parla del nostro paese come il "migliore per l'estrazione di petrolio off-shore", sottolineando la totale "assenza di restrizioni e limiti al rimpatrio dei profitti".

Intanto Atwood Eagle, la contestatissima trivella dell'Audax che dall'11 luglio scorso galleggiava a 13 miglia dalle coste di Pantelleria, dopo un temporaneo abbandono dell'area, tra qualche mese potrebbe riprendere i sondaggi, mentre Shell ha già detto di aspettarsi dal Canale di Sicilia 150mila barili al giorno. Qualche settimana fa la Transunion Petroleum Italia ha inviato ad alcuni comuni della zona iblea, tra cui Pozzallo, Modica e Ragusa, un'istanza di avvio della procedura di valutazione d'impatto ambientale relativa ad un'area con un'estensione di 697,4 km quadrati, situata nel Canale di Malta. Le autorità locali hanno tempo fino al 27 aprile per le dovute osservazioni.

Il decreto anti-petrolio potrebbe non salvare nemmeno il mare agrigentino, dove la Hunt Oil Company ha avanzato una richiesta di permesso a poche miglia dall'Isola Ferdinandea, una delle tante bocche vulcaniche di un massiccio complesso sottomarino: il regno di Empedocle, l'Etna marino, il gigante sommerso che fa ancora tremare i fondali.


http://www.facebook.com/notes/antonio-grazia-romano/royalty-petrolio4-allitalia-85-alla-libia-80-alla-russia/155568194512606



La “mission impossible” di Angelino e Giulio.

Dopo le recenti disavventure il PdL cerca di correre ai ripari nominando Alfano alla segreteria e “strattonando” Tremonti sul fisco, ricevendo per questo consensi dal vertice, qualche mugugno fra i colleghi e molte perplessità fra i commentatori politici. E anche noi, semplici uomini della strada, abbiamo le nostre.

Questa volta non si tratta di un film d’azione anche se la similitudine potrebbe essere calzante. L’obiettivo dichiarato è infatti quello di ridare smalto al partito dopo le recenti debacle di elezioni e referendum attraverso due mosse ad effetto. Diversa organizzazione e riforma fiscale. E Alfano, i numeri per fare bene li ha tutti, anzi è proprio l’uomo perfetto per questo ruolo. Ha un’esperienza politica importante maturata in ambienti democristiani, ha frequentato personaggi per così dire poco puliti, questo almeno dicono “La Repubblica” e “Wikipedia”, e poi è un fedelissimo del Cav, un “libero servo” come dice Ferrara, attitudine che ha ampiamente dimostrato durante il mandato di Ministro della Giustizia promulgando i famigerati provvedimenti “ad personam” a favore del Presidente e manifestando, al contempo, il massimo disinteresse per la cosa pubblica, per la giustizia che riguarda i cittadini comuni insomma. Massima ubbidienza quindi, devota e assoluta, la stessa ubbidienza che Galli della Loggia sul “Corriere” identifica come causa principale della mediocrità imperante del direttivo del PdL. In altre parole un curriculum perfetto.

E ancora sul “Corriere” è lo stesso Alfano ad indicare i punti su cui lavorerà ripetendo, quasi a memoria, ciò che il Cav. aveva già precedentemente fatto capire. Non sarà in altre parole un lavoro di facciata, ma non sarà neppure una rivoluzione, piuttosto una evoluzione. D’altro canto, continua Alfano, le cause del disastro sono da attribuirsi alla normale sfiducia verso l’esecutivo di governo impegnato ad arginare la forza travolgente della crisi mondiale, in copione già noto anche in altri paesi, il resto, aggiungiamo noi riassumendo i commenti dei più autorevoli esponenti del partito, è solo discredito dei media, cattiva comunicazione, candidati sbagliati, stupidità degli elettori e perfino la guerra di Libia.

Ma questa volta qualcosa è cambiato davvero, i cittadini hanno, per così dire, “mangiato la foglia”, e gli ultimi quindici anni di palazzo Chigi hanno sviluppato il vaccino, questo è il punto, nel senso che gli italiani hanno finalmente capito che il PdL ha nel suo DNA una serie di anomalie incompatibili con la democrazia, come lo stesso Montanelli aveva evidenziato dalle colonne della “Voce” già nel 94 e come altri media internazionali hanno successivamente ribadito più volte, ricordiamo su tutti il memorabile numero dell’Economist del 2001. Anomalie, come si diceva, che si possono sostanzialmente riassumere in due punti, il conflitto di interessi che porta una persona ricca a curare i propri affari prima di quelli della collettività, e le narcisistiche smanie di potere di un “uomo dei miracoli” narcotizzato da un “ego” sfrenato, perfetto per cavalcare il populismo di mussoliniana memoria. Il PdL ruota solo ed esclusivamente attorno al suo fondatore, significante e significato del partito dove, scriveva ancora Montanelli, “non ci sono idee, solo interessi” di un imprenditore, aggiungiamo noi, padrone assoluto della comunicazione, cioè la spina dorsale delle moderne democrazie.

Sono queste contraddizioni che hanno portato alla progressiva degenerazione del sistema, un parossismo del resto inevitabile per poter sopravvivere, ma che i cittadini hanno aborrito. E non poteva essere diversamente perché i metodi della gestione di un’impresa, così cari al Cav. sono lontani anni luce da ciò che invece è necessario nella gestione di un paese, che, guarda caso, vuole anche definirsi democratico. Se aggressività, decisionismo, opportunismo, potere, ubbidienza, scarsa trasparenza, interesse privato, annientamento della concorrenza, uso ed abuso della pubblicità possono essere accettati in ambienti imprenditoriali dove, molto spesso, il “fine giustifica i mezzi” e “chi comanda ha ragione”, in democrazia le regole si declinano in modo diverso e pretendono rispetto, moralità, mediazione, verità, etica, trasparenza, dialogo, interesse collettivo, senso dello stato, il fine insomma non giustifica assolutamente i mezzi. Mai. Per questo i cittadini non hanno gradito la delegittimazione, la violenza del metodo Boffo e Sallusti, le leggi “ad personam”, l’ossessione verso i giudici, la giustizia a due velocità, la pretesa di uno sfacciato diritto all’impunità, l’odio verso i diversi, zingari, mussulmani, omosessuali, immigrati, per non parlare poi dei comunisti e forse anche gli ebrei. E non hanno gradito neppure la caduta della politica divenuta uno sguaiato insieme di spot pubblicitari, sensazionalismo, slogan venduti come un detersivo da imbonitori pronti a qualunque mercimonio pur di salvaguardare nepotismo e interessi personali. Tutto questo per nascondere la pochezza della realtà.

Ma, caro Angelino, per raddrizzare la rotta ci vuole ben altro che una semplice “evoluzione”, non sono sufficienti le moltitudini osannanti del popolo dell'amore al grido di "menomale che Silvio c'è" e, ormai vaccinati, anche noi, semplici “uomini della strada” siamo in grado di distinguere chiaramente la mistificazione dalla realtà, nonostante la propaganda asfissiante della “piovra mediatica”. Forti di questa “corazza” non crediamo neppure all’ennesima bugia della riforma fiscale che, seppur controvoglia, Tremonti sta studiando. Da anni paventata, annunciata, propagandata è sempre stata la Cenerentola delle riforme, comunque mai realizzata, anzi in verità neppure seriamente proposta, nonostante la palese immoralità della situazione attuale, come già più volte affermato dallo stesso Tremonti. E non per caso, ma per preciso calcolo politico, perché recuperare l’evasione fiscale, vero obbiettivo della riforma, significherebbe “penalizzare” quella parte di elettorato in maggioranza orientato a destra, significherebbe impedire il saccheggio nei confronti di un pezzo onesto del paese, i lavoratori dipendenti, per far pagare chi ruba. (di alfadixit)

http://www.agoravox.it/La-mission-impossible-di-Angelino.html


Veltroni, mea culpa: «Conflitto interessi colpa centrosinistra».


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La legge sul conflitto di interesse non fu fatta perchè «si decise di provare a fare una riforma istituzionale attraverso una bicamerale e quindi fu messa da parte. Su questo non solo faccio autocritica ma dico che addirittura che rimane una delle colpe maggiori del centrosinistra». Lo ha detto Walter veltroni, intervistato da Giovanni Minoli per 'La storia siamo noì. «È passato il tempo necessario per parlarne tranquillamente - ricorda Veltroni - io volevo farla nei primo periodo del governo dell'Ulivo che, per altro, considero uno dei migliori governi della storia repubblicana. Allora - continua - si decise di cercare di fare un'esperienza di riforma istituzionale attraverso la Bicamerale e, quindi, il conflitto d'interesse fu messo da parte».

Uno, cento, mille Brunetta.







Per anni si è detto, soprattutto fra chi si definisce “di sinistra” e ha l’insopprimibile vizio dell’autoflagellazione panizanche noto in psichiatria forense come “spararsi sugli zebedei”, che niente sarebbe mai cambiato perchè nell’opposizione non ci sono leader, idee, proposte, alternative, blah blah. Poi, appena arriva il momento del panico e delle sberle, riaffiorano dai canali di scarico personaggi come Brunetta – colui al qual Venezia fece trombetta (Dante, Inferno, XXI), nelle elezioni comunali – che insolentisce milioni di precari, un partito, in Italia, come l’alieno chiaramente piombato sulla Terra a Roswell chiamato Paniz, quello della “nipote di Mubarak”, o come Stranamore Stracquadanio che insulta tutti i dipendenti pubblici (4 milioni) accusandoli di “non fare un cazzo” (sic). I grandi leader che stanno demolendo l’era Berlusconiana brunetta001ci sono già e si chiamano Brunetta, Stracquadanio, Santanchè, Gasparri, “Guaddro Gaccia” LaRussa, Minzolini, Cicchitto, Calderoli, Trota Bossi, Sallusti, Belpietro e tutti coloro la cui alluvionali apparizioni sugli schermi e le cui esternazioni si rivelano sempre più micidiali per il loro Beneamato. Con un Brunetta al governo, chi ha bisogno di un’opposizione?





Berlusconi teme un nuovo '92. - di Ugo Magri


Per una volta che i pm non azzannano lui, ma mettono sulla graticola amici incrollabili come Letta, personaggi devoti come Verdini, e tutto un certo mondo di cui si è servito, da cui si è fatto servire, ecco Berlusconi tirar fuori un tratto nuovo del suo carattere, tra il cinico e lo zen.

La tarda metamorfosi dell’uomo lo porta (secondo testimoni degni di fede) non a reagire con ira, ma quasi a girare le spalle. «Riparte da Napoli l’assalto dei magistrati? Puntano a coinvolgere Gianni? Bah... tante volte ci hanno già provato, finirà allo stesso modo», pare sia stata la prima reazione. Quasi distratta.

A notte Letta medesimo e il capogruppo Cicchitto ragguagliano Berlusconi. Più che dalle indagini sulla P4, più che dall’arresto di quel Bisignani che aveva una stanza a Palazzo Chigi, che addirittura gli fece far pace con la Santanchè (pentendosene molto, a quanto pare), la mente del Cavaliere in questo momento è ossessionata dai «suoi» processi, in special modo dai 750 milioni di euro che rischia di risarcire a De Benedetti: come se Paperone dovesse consegnare il Deposito all’odiato Rockerduck. In Sant’Ambrogio, tra le lacrime per l’ultimo saluto a Comincioli, vecchio compagno di scuola, Silvio commiserava ieri mattina la propria sorte: non saprebbe dove prendere tutti quei soldi se arrivasse la condanna tempo due settimane. «Vive un momento particolare, non ha la lucidità di sempre», qualcuno della vecchia guardia prova a giustificarlo. Altri azzardano un paragone terribile: «Siamo nella stessa condizione del Vaticano quando moriva un Papa, e usciva il francobollo della serie “Sede Vacante”...».

Con Berlusconi «assente», l’inchiesta di Woodcock viene vissuta nel Pdl come un salto di qualità nella lunga lotta tra centrodestra e procure. L’intero gruppo dirigente, senza eccezioni, ritiene che siamo alla resa dei conti. I pm (è la tesi collettiva) puntano a una crisi non solo di governo ma di regime, dell’intero sistema di potere berlusconiano che ha impregnato di sé l’ultimo ventennio. Mirano a destrutturarne il blocco politico (che effetto avrà domenica su Pontida questa nuova raffigurazione di Roma «capitale infetta», con il cuore dell’infezione proprio a Palazzo Chigi? Come reagirà la base della Lega?). I pm puntano, secondo la resistenza berlusconiana, a scompaginare il personale politico ancora fedele al Capo. Gianni Letta è rimasto l’unico, nella Sede Vacante, a sbrigare gli affari correnti, a fornire l’illusione di una continuità amministrativa ispirata a decoro. L’altro giorno ha voluto incontrare il presidente della federazione internazionale di pallavolo, Jizhong Wei, tenendo in anticamera una folla di ministri, da Calderoli alla Prestigiacomo, e tutto per consegnare all’ospite cinese un’alta onorificenza tricolore. Il galateo, le forme: venisse meno Letta, resterebbe il deserto.

Di tutto ciò si parlava ieri, nei conciliaboli di via dell’Umiltà. Del «tempismo assoluto», secondo Cicchitto, con cui le inchieste sono ripartite «tutte insieme dopo lo scossone politico». E dell’indagine a carico del governatore siciliano Lombardo avocata invece dal procuratore di Catania, «due pesi politici e due misure» secondo i pasdaran berlusconiani. E dell’altro arresto di ieri, quello a Torino dell’assessore Ferrero, vissuto nel giro del premier come un classico esempio di politica «commissariata dai giudici». Osvaldo Napoli teorizza: «Quando la politica diventa debole, le procure colmano il vuoto». Quagliariello, che tra le menti berlusconiane è la più capace di suggestioni, scorge «segni evidenti di ritorno al ’92», alla crisi della Prima Repubblica crollata sotto i colpi di Tangentopoli. Perché oggi, proprio come allora, sono protagonisti Di Pietro e le toghe».

Ma sotto sotto tutti quanti ammettono, sotto voce: ce la siamo andata un po’ a cercare. Perché la campagna forsennata a Milano contro i giudici «brigatisti» ha trasformato il voto nel trionfo della Boccassini; perché a Napoli il «partito dei giudici» ha imposto non solo De Magistris come sindaco, ma pure il pm che inquisì Cosentino come assessore; perché il referendum sul legittimo impedimento mette di fatto la pietra tombale su qualunque futura legge «ad personam». Prima a farne le spese sarà la cosiddetta «prescrizione breve». «Berlusconi può scordarsela», dice chi ha svolto gli opportuni sondaggi sul Colle, «Napolitano non gliela firmerà mai».



Milano, a Malpensa business & decessi Scalo sotto inchiesta per “disastro ecologico”. - di Thomas Mackinson


Un documento esclusivo inchioda Sea, la società che gestisce l'aeroporto, per aver messo a rischio la salute di 250mila persone. Nella zona le vittime di malattie respiratorie sono quattro volte di più del resto della provincia. Un altro duro colpo ai piani di espansione dell'azienda in Borsa. E adesso la palla passa alla magistratura


“Disastro ecologico nell’area adiacenteMalpensa, nel pieno Parco del Ticino, dovuto al sorvolo degli aeromobili in decollo”. Una riga che ha il peso di un macigno per chi vive sotto le rotte dello scalo, per i progetti di espansione dell’aeroporto che vuol diventare il grande hub padano e sulla quotazione del gestore Sea che il Comune di Milano ha pianificato in autunno. Grazie a documenti esclusivi raccolti dal fattoquotidiano.it si scopre che l’aeroporto della salvezza in realtà è una condanna per l’ambiente e per le popolazioni che vivono entro un’area di 100 chilometri quadrati, una minaccia per la salute di 250mila cittadini sacrificati sull’altare della ragion politica. La nuova giunta Pisapiadovrà presto farci i conti e intanto i decessi in zona Malpensa per malattie respiratorie sono 4 volte superiori rispetto al resto della provincia.

A definire “disastro ecologico” l’impatto di Malpensa è una nota del ministero dell’Ambiente del 7 ottobre 2010 trasmessa a tutti gli enti con competenze aeroportuali: Regione Lombardia, ente Parco del Ticino, ministeri di Trasporti e Agricoltura. Peccato che quel dossier sia rimasto nel cassetto, forse per non danneggiare l’imminente collocamento del titolo Sea che dovrebbe portare al Comune di Milano un dividendo da 160 milioni, già scritto a bilancio dalla giunta Moratti. La notizia rischia di far saltare l’operazione: dopo gli addii di Alitalia nel 2007 e Lufthansa oggi, chi mai investirebbe su un “disastro ecologico”? Chi comprerebbe azioni di una società che va incontro a milioni di euro di indennizzo?

Alla comunicazione ministeriale è allegata una relazione del Corpo Forestale dello Stato, comando di Varese, che attesta la moria degli uccelli e la desertificazione dei boschi e termina ipotizzando “un’eventuale costituzione di parte civile del ministero dell’Ambiente”. I lumbard sono seduti su una bomba pronta a esplodere in una guerra legale di tutti contro tutti: ministero contro ministero, enti locali contro Sea, comitati contro la Regione.



Da anni si sapeva tutto. Malpensa, disastro ecologico. Eppure c’è chi sapeva tutto e niente ha fatto per impedirlo. Nel 1999 il signor Umberto Quintavalle, proprietario di un fondo di 210 ettari nel Parco del Ticino, ha intentato una causa-pilota contro Sea per danno biologico alla propria terra, desertificata dagli idrocarburi scaricati dagli aerei in decollo. La perizia disposta dal Tribunale di Milano attesta che, nei terreni del parco (protetto dall’Unesco), i livelli di idrocarburi superano la soglia consentita e sono addirittura cinque volte superiori rispetto a quelli del casello di Melegnano (A1), il più trafficato d’Italia. A ottobre 2008 è arrivata la sentenza che condanna Sea a risarcire la proprietà con 5 milioni di euro. La società pubblica è ricorsa in appello con poche speranze di ribaltare un giudizio che, per la prima volta in Italia, riconosce il danno ambientale causato dal sorvolo degli aerei e apre la via ad analoghi procedimenti in altre aeree aeroportuali.

Dal 2008 alcuni studi sulla qualità dell’aria hanno rafforzato poi l’allarme sulla pericolosità di Malpensa per la salute della popolazione residente. Negli ultimi due anni Arpa Lombardia, proprio a seguito della sentenza Quintavalle, ha effettuato numerose campagne di misurazione nei comuni di sedime aeroportuale e ha riscontrato livelli di ozono, idrocarburi, metalli pesanti e particolato superiori alle soglie consentite. Con quali effetti sulla salute lo rivela poi un’indagine epidemiologica della Asl della Provincia di Varese condotta nei comuni intorno allo scalo varesino. Lo studio ha analizzato i dati clinici di 12 anni (1997-2009) e ha registrato un aumento della mortalità per malattie respiratorie del 54,1% e un balzo nei ricoveri ospedalieri pari al 23,8%, contro medie per tutta la provincia del 14 e del 7,8%. Anche un recentissimo studio dell’Università Cattolica di Brescia sulla qualità dell’aria mette in croce Malpensa. Si tratta di in un campionamento dei valori inquinanti con diverse postazioni nei comuni intorno all’aeroporto. I risultati sono stati presentati a maggio e segnalano la criticità raggiunta da alcuni inquinanti cancerogeni come il benzopirene che a Besnate ha raggiunto il livello di guardia. Anche questi dati sono stati ignorati dagli enti preposti alla tutela dell’ambiente e della salute.

Tuttavia l’effetto domino è iniziato. Lo smottamento innescato da Quintavalle ha prodotto una valanga nel resto d’Italia: il 2 marzo il ministero della Salute ha finanziato con 550mila euro uno studio epidemiologico coordinato tra le Asl di Torino, Pisa, Verona, Milano. Roma è esclusa perché Ciampino è già oggetto d’uno studio denominato “Sera”, presentato nel 2009, che conferma la correlazione tra aeroporto ed esposizione a inquinanti acustici e chimici. I risultati arriveranno tra 2 anni ma le conclusioni, visti i precedenti, lasciano poco spazio all’ottimismo. A Malpensa analisi di tal tipo erano previste fin dal 1999, quando un decreto del governo D’Alema dava il via libera all’espansione a condizione che fosse istituito un “Osservatorio permanente” su salute pubblica e ambiente, mai insediato. Ora i nodi vengono al pettine.

Ma chi sono i responsabili del “disastro ecologico”? Fin da Malpensa 2000 Regione Lombardia, Comune di Milano e il governo centrale hanno assecondato il sogno di un grande hub padano e hanno incaricato Sea di realizzarlo, abdicando al loro ruolo di indirizzo e lasciando che un soggetto pubblico si comportasse come un privato, cieco davanti ai profitti (da portare in dote al proprio azionista, il Comune di Milano) e sordo alle richieste dei residenti.

E la storia si ripete con il piano investimenti Sea (2010-2020) da 1,3 miliardi di euro che ruota attorno alla “Terza pista” e che suscita tanti dubbi perché le previsioni di crescita del traffico aereo poste a base del piano risultano sovrastimate: la capacità delle piste attuali supera i 38 milioni di passeggeri/anno quando l’esigenza di oggi non va oltre i 18 e le previsioni per il 2025 i 30. Le stesse compagnie aeree mettono in dubbio l’utilità di una nuova pista: Alitalia e Lufthansa hanno lasciato lo scalo varesino e altri operatori hanno ridimensionato i loro collegamenti. Perfino Confindustria (Assaereo) ha bollato come inutile una nuova pista. E contrari sono anche i comitati delle popolazioni locali che vengono tacciati di “estremismo ambientalista” e ignorati nonostante anni di manifestazioni, banchetti, raccolta firme, appelli e denunce. Sindaci, associazioni ambientaliste, comitati territoriali sono esclusi dal tavolo che decide del loro destino. Chiedono una Valutazione Ambientale Strategica (Vas) che faccia luce sui i rischi connessi al raddoppio del traffico ma senza trovare alcuna disponibilità. Si procederà come sempre, derogando ai piani regolatori e costruendo a suon di varianti urbanistiche. “Nessuna sorpresa. Malpensa è nata come un grande abuso edilizio”, accusa il vicesindaco di Casorate Sempione (Va), Tiziano Marsonconvinto che la 3a pista sia solo un pretesto per requisire altre aree boschive e proseguire lo sviluppo cementizio nel Parco.

Così i comuni di Lonate Pozzolo, Turbigo, Casorate e Nosate si sono rivolti a legali per tutelare ambiente e salute. “Siamo obbligati a farlo, non voglio fare allarmismo ma qui la gente muore”, denuncia il sindaco di Casorate Sempione (Va) Giuseppina Quadrio (Pd) sostenendo che “se le istituzioni non ci danno risposte, ci rivolgeremo alla Magistratura”. Perfino le amministrazioni di centrodestra impugnano i codici: “Sono pronto a far causa a Sea pur di difendere i miei cittadini”, annuncia il sindaco di Lonate Pozzolo Piergiulio Gelosa (Pdl) perché “Malpensa non ha portato ricchezza e benessere come sostengono esponenti del mio partito ma danni ambientali e problemi per residenti e imprese costretti a fuggire altrove”.

Ma Sea e Regione Lombardia tirano dritto verso il potenziamento aeroportuale. Toccherà alla magistratura, ora, fare luce sul “disastro ecologico” e supplire a quel ruolo di indirizzo e controllo che le istituzioni preposte hanno smesso di esercitare.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/16/business-decessi-schianto-malpensa/118423/