lunedì 27 giugno 2011

Ruby, i pm: “Da Fede, Mora e Minetti sistema per fornire prostitute a Berlusconi”.

Caso Ruby, Ambra e Chiara parti civili contro Mora, Fede e Minetti

Un bordello per compiacere Berlusconi. Un autentico sistema strutturato per fornire ragazze disponibili a prostituirsi al premier”. Parole durissime pronunciate dal procuratore aggiunto di Milano Pietro Forno e dal pm Antonio Sangermano, per chiedere il rinvio a giudizio per: Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti. Una richiesta che arriva al termine dell’udienza preliminare davanti al Gup Maria G. Domanico nel processo al tribunale di Milano, dove i tre sono imputati per induzione e favoreggiamento della prostituzione. Secondo la pubblica accusa “esiste una convergenza di vari elementi tale da giustificare la richiesta di processare i tre”. Un ”sistema – definiscono ancora i magistrati – che si avvaleva della mercificazione della fisicità della donna e della mortificazione della dignità femminile”.

I pm milanesi hanno anche “delineato” i ruoli dei tre: Lele Mora era “l’arruolatore” di ragazze; il direttore del Tg4, Emilio Fede, era il “fidelizzatore”, colui che doveva testare l’affidabilità della persona a fare sesso, il grado di riservatezza e, poi, c’era lei, Nicole Minetti, con il compito di fare da “filtro“, una specie organizzatrice economico-logistico, colei che metteva in contatto Berlusconi alle ragazze. Colei che secondo gli inquirenti, amministrava “il bordello”.

Un ruolo che combacia con quanto raccontato al settimanale Vanity Fair da Simone Giancola, nell’anticipazione del numero che uscirà mercoledì, e da poche settimane ex della consigliera regionale lombarda Minetti. “Ho capito che Nicole – dichiara Giancola – per il suo ruolo politico, aveva funzione di filtro tra Berlusconi e quelle ragazze. Era il punto d’incontro formale. A quelle cene non sono mai stato, ma – conclude – non mi scandalizza certo l’idea che potessero esserci anche giovani ‘animatrici‘”.

Il processo che vede imputati Fede, Minetti e Mora è cominciato stamattina alle 9 circa, anche se i tre hanno deciso di disertare l’udienza preliminare. Accusati di induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile, per le feste hot nella residenza privata del premier Silvio Berlusconi ad Arcore. Secondo i magistrati della procura di Milano i tre avrebbero reclutato a pagamento, o dietro promesse di regali, numerose ragazze anche minorenni per festini hard. Ognuno con il proprio compito. Alla consigliera regionale lombarda Nicole Minetti, sarebbe toccato ad esempio quello di istruire al Bunga Bunga le giovani ragazze invitate alle serate ad Arcore. E’ lei che in unaintercettazione telefonica con un’amica dirà: “Non me ne fotte un cazzo se lui è il presidente del Consiglio o, cioè, è un vecchio e basta. A me non me ne frega niente, non mi faccio prendere per il culo. Si sta comportando da pezzo di merda pur di salvare il suo culo flaccido”.

Il dispiegamento di cameraman, fotografi e cronisti davanti al tribunale di Milano è quello delle grandi occasioni. Gli obiettivi, però, sono tutti per il collegio di avvocati dei possibili parti civili. Primi fra tutti i legali di Karima El Mahroug, in arte Ruby. La diciottenne marocchina al centro dello scandalo che vede implicato in un altro processo il presidente del Consiglio, accusato di prostituzione minorile e concussione.

Egidio Verzini, il legale che assiste Ruby, ha annunciato ai cronisti prima di entrare che Karima potrebbe costituirsi parte civile sia nell’udienza preliminare a carico del trio Fede, Minetti, Mora e sia nel processo che si celebra con rito immediato nei confronti del Cavaliere. “Stiamo valutando gli atti per decidere”, ha dichiarato Verzini.

Saranno invece sicuramente parte civile Ambra Battilana e Chiara Danese, due delle tante ragazze ospiti alle serate di Arcore. Le due giovanissime testimoni che, interrogate dagli inquirenti hanno raccontato di essere rimaste “scioccate” dopo le notti passate nella villa del premier.

Il Gup Maria Grazia Domanico ha infatti accolto l’istanza del legale delle due ragazze. Sono state loro a raccontare ai pm con ampia dovizia di dettagli le notti del “bunga-bunga”, con le cene dove la statuetta di Priapo, personaggio mitologico dagli enormi organi genitali, veniva fatta passare tra le ragazze che erano invitate a toccarla. L’avvocato Stefano Castrale ha dichiarato ai cronisti che le due giovani “si costituiranno parte civile e, in caso di condanna, potranno pretendere il risarcimento didanni morali e di immagine“.

Ipotesi a cui si erano opposti i legali dei tre imputati. Secondo Nadia Alecci, legale di Emilio Fede, “il motivo della loro costituzione non è contemplato dal reato contestato a Minetti, Mora e Fede” e aggiunge “le ragazze hanno posto come motivo della loro costituzione un danno all’immagine, cosa che non è rapportabile alle contestazioni mosse, posto che si tratta di reati contro la morale pubblica”.

Oggi in ogni caso difficilmente si entrerà nel merito della discussione. L’udienza è infatti divisa in due tronconi: quello del merito delle accuse contro i tre imputati e poi la parte che riguarda la trascrizione delle intercettazioni telefoniche. E dopo la costituzione delle parti dovrebbe essere trattata la questione delle telefonate. I procuratori aggiunti Pietro Forno, Ilda Boccassini e il pm Antonio Sangermanohanno chiesto la nomina di un perito che trascriva le telefonate da utilizzare nell’udienza di merito. Ma non è tutto. Le difese potrebbero anche sollevare l’eccezione sulla competenza territoriale dei magistrati milanesi. Secondo la difesa dei tre, visto che i festini sarebbero stati fatti in provincia di Monza, provincia dove ricade il comune di Arcore, il tribunale di Milano non sarebbe competente nel giudizio.

In mattinata non era mancata qualche polemica tra i funzionari del palazzo di giustizia e la stampa, quando ai cronisti è stato impedito l’accesso al corridoio nella sezione del tribunale dove è in corso l’udienza.



Giustizialismo? No, si chiama trasparenza. - di Filippo Rossi

Filippo Rossi

Prendersela con le intercettazioni
è come mettersi a guardare il dito mentre si indica la luna. A me interessa la luna. Del dito non me ne frega nulla. E non me ne frega nulla di elucubrazioni mentali su garantismo sì garantismo no, su giustizialismo sì o giustizialismo no. Non m’importa quanto sono garantista e quanto giustizialista. M’importa di sapere il più possibile di quanto ha fatto e sta facendo una cosca mafiosa che è riuscita a occupare le stanze della democrazia. Perché i cittadini devono avere il diritto di controllare chi li governa. Il politico non è un cittadino comune. Il politico è pagato da tutti noi. E tutti noi abbiamo il sacrosanto diritto di sapere per cosa lo paghiamo: se davvero fa i nostri interessi o quelli di qualcun altro. Servono le intercettazioni? Ben vengano. Quanto è controllato l’impiegato di un’azienda? Quanto è controllato un nostro militare in guerra? Quanto una donna di servizio? E quanto uno studente in classe?

I cittadini hanno il diritto e il dovere di controllare i politici. Le stanze del potere dovrebbero essere come quelle del Grande Fratello: tutti dovremmo sapere cosa si fa e si dice là dentro. Giustizialismo? No. Si chiama trasparenza.



Diritto d'autore Il controllo spetta al giudice. - Juan Carlos De Martin.


Ameno di un cambio di direzione dell’ultimo minuto, l’Italia si appresta a mostrare al mondo come un grande Paese democratico possa distrarsi al punto da permettere a un’autorità amministrativa, invece che a un giudice, di decidere cosa è lecito pubblicare.

Secondo i resoconti di un recente incontro a Roma tra alcuni esponenti della società civile e il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò, infatti, l’Autorità si accinge a varare un provvedimento che si preannuncia a dir poco controverso. In base alle linee guida pubblicate dall’Autorità in occasione di una consultazione pubblica tenutasi a inizio anno, l’Agcom vorrebbe istituire una procedura veloce e puramente amministrativa di rimozione di contenuti online considerati in violazione della legge sul diritto d’autore. L’Autorità potrebbe sia irrogare sanzioni pecuniarie molto ingenti a chi non eseguisse gli ordini di rimozione, sia ordinare agli Internet Service Provider di filtrare determinati siti web in modo da renderli irraggiungibili dall’Italia. Il tutto senza alcun coinvolgimento del sistema giudiziario.

Anche ammettendo che l’Agcom abbia tali poteri sanzionatori su questa specifica materia – e ci sono esperti che lo dubitano – e trascurando per il momento gli aspetti pratici (è in grado l’Agcom di gestire potenzialmente migliaia di richieste di intervento?), concentriamoci sulla modalità - amministrativa invece che giudiziaria. Perché il passaggio da un giudice, in pieno contraddittorio e con tutte le garanzie del caso, è indispensabile? Perché se alcuni casi di violazione del diritto d’autore sono relativamente semplici da determinare, la liceità o meno della pubblicazione di un contenuto genera spesso considerevoli dubbi anche agli esperti della materia. Il diritto d’autore, infatti, è di una complessità a volte notevole, come è possibile riscontrare, per esempio, quanto si cerchi di determinare con certezza se una certa opera è o non è nel pubblico dominio in un dato Paese. Inoltre, anche contenuti protetti dal copyright possono essere utilizzati, con dei limiti, per critica, discussione, insegnamento, ricerca, eccetera. E’ davvero concepibile che possa essere un organo amministrativo, per di più con tempi molto stretti, a decidere, per esempio, se un cittadino possa pubblicare o meno sul suo blog l’estratto di una trasmissione di informazione televisiva per finalità di discussione?

L’Agcom – che pure in passato aveva dimostrato altra sensibilità sul tema del diritto d’autore online (si pensi, per esempio, all’indagine conoscitiva pubblicata a inizio 2010) – ha scelto di percorrere, tra l’altro con una fretta e con modalità che lasciano perplessi, una strada sbagliata e potenzialmente pericolosa.

Innanzitutto, la fretta. Alla pubblica consultazione di inizio anno, infatti, doveva seguire la redazione di una proposta di provvedimento seguita da una nuova consultazione: che fine hanno fatto queste fasi? E perché il relatore del provvedimento, il consigliere Nicola D’Angelo, critico dell’impostazione prevalente in Autorità, è stato esautorato dal dossier senza preavviso e senza motivazione? Su una materia così delicata l’assenza di risposte pesa.

Strada sbagliata perché qualunque materia che riguardi diritti fondamentali deve passare dal Parlamento. Quindi, che si proponga eventualmente una legge e che tale legge venga pubblicamente discussa, come per altro chiesto a febbraio da un’interpellanza urgente a prima firma del deputato Roberto Cassinelli (PdL) e sottoscritta da 45 parlamentari del Pdl, Pd, Udc, Fli e Lega Nord. In Spagna si è seguita tale strada: la legge cosiddetta Sinde, dal nome del ministro della Cultura, che intendeva introdurre un meccanismo simile a quello pensato dall’Agcom, è stata lungamente discussa in Parlamento, che l’ha infine bocciata.

Come ricordato di recente dall’avvocato generale presso la corte di giustizia europea, Pedro Cruz Villalon, l’art. 52 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea recita: «Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge». L’Agcom è ancora in tempo a fare un passo indietro, lasciando, come è giusto, la parola al Parlamento.



L'eccitato immobilismo della politica. - di Gian Enrico Rusconi


La stampa internazionale «liberal» ha registrato con enorme attenzione, carica di simpatia, quanto è successo in Italia nelle settimane scorse. Dopo l’esito dei referendum ci si aspettava che da un giorno all’altro, sotto la spinta di quello che era stato presentato come un grande movimento democratico dal basso contro Berlusconi, accadesse ancora un «miracolo italiano». Invece non è accaduto nulla e non sta accadendo nulla di politicamente innovativo.

Non è facile, soprattutto dall’estero, seguire e decifrare le contorsioni della Lega, che sembra essere l’unico fattore in grado di modificare il quadro politico. In compenso sullo sfondo è ricomparsa la spazzatura di Napoli - diventata l’icona della vergogna nazionale.

Episodio apparentemente inspiegabile, ma carico di allusioni criminose. Insomma si riconferma l’immagine dell’Italia degradata e paralizzata.

Magari adesso anche all’estero si prenderà nota delle parole di Nanni Moretti secondo cui «personalmente Berlusconi è più confuso che mai», ma non è il caso di «dare per morto il Caimano». Di questo fatto però non viene data dall’uomo di cinema una spiegazione convincente, ma agli occhi della stampa internazionale le opinioni dei Moretti o dei Saviano valgono di più delle analisi dei commentatori professionali. E quindi gli interrogativi sul perché il berlusconismo dichiarato finito vada avanti resteranno senza risposta.

Eppure la spiegazione è semplice e pesante: mentre da un lato si continua a coltivare un’enfatica idea della «società civile italiana» in fase di risveglio «per mandare a casa il Cavaliere», dall’altro non emerge alcuna classe politica alternativa autorevole. Non c’è neppure un serio rinnovamento dei gruppi dirigenti delle forze partitiche che da anni stanno all’opposizione. Ma senza una forte e autorevole guida politica alternativa, i movimenti sono insufficienti se non impotenti.

La retorica della «società civile» rischia di portare fuori strada. Non è forse «società civile» anche quella che abita la città di Napoli con le sue inestricabili connivenze e contraddizioni impietosamente portate alla luce oggi dalla questione della spazzatura? Non ha forse le sue radici nella «società civile» il contrasto che paralizza da anni la questione della Tav in Valle di Susa? Non è espressione della «società civile» il vergognoso ripiegamento su se stesse di aree della Lombardia e del Veneto, un tempo civilissime prima che si lasciassero sedurre e traviare dal leghismo? Non attraversano forse verticalmente la «società civile» i contrasti sempre latenti sull’etica pubblica o sull’etica familiare?

Di fronte a queste contraddizioni della «società civile» soltanto una classe politica autorevole potrebbe governare discriminando al suo interno tra interessi legittimi e interessi illegittimi, tra impulsi innovativi e impulsi regressivi. Solo un gruppo politico autorevole saprebbe staccare e attirare a sé alcune significative componenti disilluse se non disgustate dal berlusconismo, ad esempio quella cattolica. Ma i cattolici dentro il Pdl sono paralizzati e timorosi di abbandonare il Cavaliere per un’alternativa che sembra spaventarli più che attirarli. Se la leadership del centro-sinistra (o come lo si vuole chiamare) non riesce a guadagnare politicamente il mondo cattolico, il berlusconismo durerà - nonostante tutto.

Il punto critico è dunque il nesso tra la capacità di guida della classe politica e i fermenti o i mutamenti importanti di opinione pubblica. Un esempio positivo viene dalla Germania (ovviamente in un contesto partitico assai diverso dall’italiano) dove la cancelliera Angela Merkel ha colto tempestivamente il netto cambiamento dell’opinione pubblica circa l’abbandono del nucleare, non ha esitato a modificare i piani del suo governo pur di intercettare a proprio favore il netto mutamento dello spirito pubblico, rivelandosi ancora una volta una leader d’istinto. A costo di sollevare malumori all’interno della propria colazione.

Nulla di paragonabile nell’eccitato immobilismo della politica italiana. Il nucleo duro del berlusconismo - a dispetto delle sue incompatibilità interne - è costituito da un blocco di potere indifferente ai movimenti della «società civile» perché sente d’istinto che in realtà non esiste più una vera «società civile», ma soltanto una società, frammentata, incattivita, incivile. Tanto vale ricompattarne di volta in volta pezzi di interessi di settore, di categoria, possibilmente più forti, senza preoccuparsi di alcun disegno o interesse generale. Il leghismo è l’apoteosi di questo atteggiamento.

In questa situazione nessuno è in grado di fare previsioni. Nel caso italiano questa impossibilità di prevedere non è semplicemente segno della incapacità degli osservatori e degli analisti, ma del livello di irrazionalità raggiunto dalla politica.



Crosetto attacca Tremonti: «Manovra da psichiatria».


Il sottosegretario alla Difesa: «vuole fare saltare il banco e il governo» Bonaiuti: «Parla a titolo personale»

Guido Crosetto (Ansa)
Guido Crosetto (Ansa)
MILANO - E' scontro nel governo sulla manovra. Le bozze della manovra di Giulio Tremonti «andrebbero analizzate da uno psichiatra» e dimostrano che il ministro dell'Economia vuole solo «trovare il modo di far saltare banco e governo».

L'ATTACCO - È questo il durissimo attacco che Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa, lancia all'indirizzo del titolare di via XX settembre, in cui il deputato del Pdl - al telefono con l'Ansa - si dice «stufo» di «sentire pontificare una persona che predica benissimo e razzola malissimo» visto che «l'unico ministero che non ha subito tagli alla spesa corrente, ma anzi l'ha aumentata, è il suo!». «Le bozze che sono filtrate sulla manovra - dice il sottosegretario che, fino a tre anni fa, era responsabile economico di Forza Italia -, più che connotate dal punto di vista economico, finanziario e di bilancio andrebbero analizzate da uno psichiatra. E evidente che il ministro dell'Economia vuole trovare esclusivamente il modo di far saltare banco e governo. In questi tre anni ha fatto di tutto per tenere in vita il malato Paese, ma l'ha fatto tenendolo in coma farmacologico. Ha dimostrato di non volere andare nel dettaglio della spesa pubblica, ma di preferire tagli senza razionalità. Non ha capito che l'economia reale andava aiutata ed anzi l'ha bloccata con regole di oppressione fiscale uniche al mondo che hanno distrutto lo statuto del contribuente».

NON HA AIUTATO LE PICCOLE IMPRESE -Crosetto imputa a Tremonti anche altro: «Ha promesso un aiuto alla piccola e media impresa - sottolinea il deputato del Pdl, da sempre molto in sintonia con le idee economiche dell'ex ministro Antonio Martino -, ma in realtà ha flirtato con le grandi banche ed i grandi gruppi. Visto che è una persona di cultura ed intelligenza non comune, lo dimostri proponendo un progetto serio per il Paese al consiglio dei ministri ed alle Camere». Ma, avverte il sottosegretario, nel farlo «sia aperto ai miglioramenti» perchè «lui non è il depositario del verbo e della verità; e non sono più i tempi nei quali il governo potrà permettersi di approvare in Consiglio una cartellina vuota che verrà riempita in seguito a via XX settembre, da un uomo solo e dai suoi pretoriani». Insomma, aggiunge, «non è più il momento di tacere per rispetto anche perché‚ mi sono stufato di sentire pontificare una persona che predica benissimo e razzola malissimo: l'unico ministero che non ha subito tagli alla spesa corrente, ma anzi l'ha aumentata, è il suo! Il ministero nei quali i dirigenti sono più pagati è il suo!». Infine, un'ultima stoccata sui tagli alla politica: «Se adesso l'ultima crociata di Tremonti, sullo stile di De Magistris, è quella di lanciarsi contro i privilegi - attacca Crosetto -, gli ricordo che ci sono privilegi ben maggiori delle auto blu e degli aerei di Stato che, tra l'altro, se vengono utilizzati nell'interesse del Paese non sono privilegi. Parlo, ad esempio, dei privilegi di poter disporre di migliaia di nomine all'interno dello Stato o altre cose meno evidenti sulle quali il Tesoro non ha mai coinvolto nessuno».

BONAIUTI - «Quella del sottosegretario alla Difesa Crosetto è un'uscita a titolo personale. Fa testo la dichiarazione del presidente del Consiglio ai Promotori della Libertà». Così il sottosegretario alla Presidenza e Portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, commenta la dichiarazione di Guido Crosetto con cui ha criticato il ministro Tremonti.