Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 14 settembre 2011
La Merkel risponde a Berlusconi- l'Unità.mp4
La satira di Simone Salis sui presunti giudizi sul Cancelliere tedesco che il nostro premier avrebbe confidato al telefono a Tarantini...
http://virus.unita.it/caro-silvio-te-piacerebbe-br-merkel-risponde-a-berlusconi-1.331479
Palamara (Anm): “Legittimo l’accompagnamento del premier”. - di Giovannij Luzzi
L’eventuale accompagnamento coatto di Silvio Berlusconi davanti ai pm di Napoli è una “procedura è regolare e prevista in base al principio di eguaglianza di fronte alla legge”. Lo afferma a ilfattoquotidiano.it Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Palamara difende l’operato “legittimo” della Procura guidata da Giovandomenico Lepore, che ieri ha recapitato al premier una citazione che gli impone di incontrare i magistrati entro domenica 18 settembre. L’inchiesta è quella sulla presunta estorsione nei confronti di Berlusconi relativa al caso escort. Il caso ha riacceso la polemica tra centrodestra, che parla di “velleità golpiste”, e giudici. Polemiche “trite e ritrite”, dice Palamara, che invita a “discutere invece di problemi seri della magistratura e della riforma della giustizia”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/14/palamara-anm-legittimo-laccompagnamento-del-premier/157352/
Caso Milanese, la Giunta dice ‘no’ ad arresto dell’ex braccio destro di Tremonti.
Bossi: "Misure cautelari una forzatura, ma sentirò il gruppo". Casini: "Ai deputati Udc libertà di coscienza". Pd e Udc: "Voto in Aula sia palese"
Alla fine il “massacro” è stato solo mediatico. Sì perché la Giunta per le autorizzazioni a procedere di Montecitorio ha detto ‘no’ alla richiesta d’arresto dei pm di Napoli per Marco Milanese, l’ex braccio destro del ministro dell’Economia Giulio Tremonti sotto inchiesta per corruzione e altri reati. La votazione si è conclusa con 11 voti favorevoli alla proposta del relatore Fabio Gava(contrario all’arresto) e 10 contrari che sono venuti da Pd, Idv e Terzo polo.
Un voto largamente annunciato con la Lega che ieri aveva anticipato il suo No in Giunta e libertà di coscienza il 22, quando la richiesta arriverà in Aula. Ma a tale riguardo il leader del CarroccioUmberto Bossi è stato chiaro. Se ieri il Senatùr ha detto “a me non piace fare arrestare la gente”, oggi commenta: ”Devo sentire ancora il gruppo, ma i miei dicono che è un po’ una forzatura”. Difficile quindi che gli esponenti padani cambiaranno orientamento come sottolinea anche Marco Reguzzoni, capogruppo della Lega alla Camera: “Anche sul caso di Alfonso Papa, abbiamo avuto un comportamento coerente tra Giunta e Aula”.
Libertà di coscienza avranno anche i deputati dell’Udc. “E’ una scelta delicata, bisogna verificare se non sussista il fumus persecutionis – dice Pier Ferdinando Casini - è giusto quindi che si decida secondo coscienza”. L’Udc chiede poi che il voto in Aula del 22 settembre sia palese. Il commissario centrista in giunta per le autorizzazioni e responsabile riforme istituzionali del partito,Pierluigi Mantini, spiega: “Riteniamo che i gruppi debbano assumersi la responsabilità del voto davanti agli italiani”. Contro il voto segreto è anche il Pd: ”La politica deve riprendersi in mano le redini di questa deriva rischiosa, e prendersi la responsabilità di fronte a reati devastanti come la corruzione”, afferma al termine della riunione della giunta sul caso Milanese la capogruppo Pd,Marilena Samperi, sottolineando che “il voto segreto è previsto dal regolamento e se qualcuno lo chiederà sarà indispensabile darlo”.
Un voto largamente annunciato con la Lega che ieri aveva anticipato il suo No in Giunta e libertà di coscienza il 22, quando la richiesta arriverà in Aula. Ma a tale riguardo il leader del CarroccioUmberto Bossi è stato chiaro. Se ieri il Senatùr ha detto “a me non piace fare arrestare la gente”, oggi commenta: ”Devo sentire ancora il gruppo, ma i miei dicono che è un po’ una forzatura”. Difficile quindi che gli esponenti padani cambiaranno orientamento come sottolinea anche Marco Reguzzoni, capogruppo della Lega alla Camera: “Anche sul caso di Alfonso Papa, abbiamo avuto un comportamento coerente tra Giunta e Aula”.
Libertà di coscienza avranno anche i deputati dell’Udc. “E’ una scelta delicata, bisogna verificare se non sussista il fumus persecutionis – dice Pier Ferdinando Casini - è giusto quindi che si decida secondo coscienza”. L’Udc chiede poi che il voto in Aula del 22 settembre sia palese. Il commissario centrista in giunta per le autorizzazioni e responsabile riforme istituzionali del partito,Pierluigi Mantini, spiega: “Riteniamo che i gruppi debbano assumersi la responsabilità del voto davanti agli italiani”. Contro il voto segreto è anche il Pd: ”La politica deve riprendersi in mano le redini di questa deriva rischiosa, e prendersi la responsabilità di fronte a reati devastanti come la corruzione”, afferma al termine della riunione della giunta sul caso Milanese la capogruppo Pd,Marilena Samperi, sottolineando che “il voto segreto è previsto dal regolamento e se qualcuno lo chiederà sarà indispensabile darlo”.
Napoleoni: “Dal crollo dell’economia nasce una rivolta che cambierà il mondo”. - di Lorenzo Galeazzi.
L'economista torna in libreria con "Il Contagio", un saggio che prende le mosse dagli effetti della crisi mondiale per spiegare la rivolta sociale che ha acceso le piazze arabe ed europee. Un movimento che vola grazie alla forza di Internet e dei social network.
Dagli indignados di Madrid e Barcellona alle “primavere” di piazza Tahrir al Cairo e della kasbah di Tunisi fino al movimento che in Italia ha portato alla vittoria dei Sì ai referendum di giugno. C’è un filo rosso che collega l’ondata di proteste che ha coinvolto le giovani generazioni delle due sponde del Mediterraneo: un rinnovato impegno civile e la critica radicale alle leadership, democratiche e non, al potere in quei paesi. Ne è convinta Loretta Napoleoni, saggista, docente ed esperta di economia, che in questi giorni torna in libreria con “Il Contagio. Perché la crisi economica rivoluzionerà le nostre economie”.
Secondo la scrittrice, la miccia che ha acceso le recenti sollevazioni popolari è proprio la crisi. “Le rivolte che hanno interessato i paesi nordafricani sono prima di tutto economiche – sostiene Napoleoni – I cittadini hanno rovesciato quei regimi che da una parte vivevano solo di repressione e dall’altra erano incapaci di dare le risposte adeguate all’impoverimento della popolazione”. Casa, lavoro e libertà al posto di disoccupazione, precariato e corruzione: secondo la saggista, i giovani dei paesi che si affacciano sul mare nostrum non sono più disposti a essere le vittime delle misure di austerità messe in campo per fronteggiare la situazione economica. E le violente proteste che hanno accompagnato i piani di risanamento della Grecia imposti dalle istituzioni internazionali sono la dimostrazione più lampante.
Da nord a sud la parola d’ordine è “riprendiamoci la democrazia”. Che nei paesi come Egitto e Tunisia significa in primo luogo rovesciare governi non democratici, mentre in Europa vuole dire farla finita con una classe politica giudicata corrotta e inadeguata di fronte alla crisi dell’euro. Una presa di coscienza globale come il crollo dell’economia, trainata soprattutto dalla diffusione massiccia di Internet e del web 2.0. Sì perché è grazie a Facebook, Youtube e soprattuttoTwitter che i giovani in lotta contro le oligarchie al potere sono riusciti a comunicare fra loro e verso l’esterno le loro rivendicazioni. “Ecco il senso del ‘contagio’ – spiega l’economista – La Rete ha avviato ed è stata catalizzatrice di una rivoluzione culturale senza precedenti che ben presto è diventata rivolta sociale”. E’ stata la diffusione capillare di Internet il principale strumento di “empowerment” della società civile mondiale. “Ciò che ha sconvolto il mondo nell’ultima decade non è il terrorismo né lo scontro fra civiltà. E’ la Rete”, spiega la docente che aggiunge come il processo in corso sia destinato a crescere: “Se oggi il caso della caduta del tycoon Murdoch è emblematico, fra 10 anni un personaggio come Berlusconi non potrà mai prendere piede”.
Il punto però è quale sarà la situazione fra 10 anni. Un problema che riguarda più che altro la sponda nord del Mediterraneo e in particolare l’Italia. “Il pericolo è che quello che è accaduto nei paesi arabi si verifichi anche da noi”, avverte Napoleoni che fa notare come il welfare di cui godono le giovani generazioni sia in gran parte rappresentato dalla famiglia e non dallo Stato. “Ma cosa succederà quando gli stipendi e le pensioni di noi genitori non saranno più in grado di sostenere i nostri figli?”, si chiede la scrittrice. La risposta è che allora non ci sarà più molta differenza fra gli italiani e le popolazioni del sud del Mondo.
Ma se sullo sfondo del crack dell’economia si è innestata una rivolta “contagiosa”, la stessa forza dirompente può arrivare anche a produrre nuovi modelli economici e innovativi stili di vita. Un fenomeno che in parte è già realtà. E’ quella che Napoleoni chiama Pop economy, uno choc destinato a ridisegnare i comportamenti dei cittadini del nord del mondo. Le parole che descrivono questo nuovo approccio sono spesso mutuate dal linguaggio di Internet: co-housing (condivisione con altri condomini di alcuni elementi della vita familiare: dalla lavanderia alla cura dei bambini),bike e car sharing, i Gas, gruppi di acquisto collettivo direttamente dagli allevatori e coltivatori della zona in cui si vive. Un’economia partecipata e a basso impatto che potrebbe diventare lo stile di vita di una generazione che è stata relegata al di fuori dei modelli economici classici. Al posto del mantra della crescita a tutti i costi, del consumo sfrenato e dell’incubo del default, secondo Napoleoni, si sta facendo largo un approccio diverso che trova nei concetti di libertà, partecipazione e condivisione le proprie parole d’ordine. Tutti principi che prendono forma, ancora una volta, grazie a Internet e in particolare al web 2.0.
Secondo la scrittrice, la miccia che ha acceso le recenti sollevazioni popolari è proprio la crisi. “Le rivolte che hanno interessato i paesi nordafricani sono prima di tutto economiche – sostiene Napoleoni – I cittadini hanno rovesciato quei regimi che da una parte vivevano solo di repressione e dall’altra erano incapaci di dare le risposte adeguate all’impoverimento della popolazione”. Casa, lavoro e libertà al posto di disoccupazione, precariato e corruzione: secondo la saggista, i giovani dei paesi che si affacciano sul mare nostrum non sono più disposti a essere le vittime delle misure di austerità messe in campo per fronteggiare la situazione economica. E le violente proteste che hanno accompagnato i piani di risanamento della Grecia imposti dalle istituzioni internazionali sono la dimostrazione più lampante.
Da nord a sud la parola d’ordine è “riprendiamoci la democrazia”. Che nei paesi come Egitto e Tunisia significa in primo luogo rovesciare governi non democratici, mentre in Europa vuole dire farla finita con una classe politica giudicata corrotta e inadeguata di fronte alla crisi dell’euro. Una presa di coscienza globale come il crollo dell’economia, trainata soprattutto dalla diffusione massiccia di Internet e del web 2.0. Sì perché è grazie a Facebook, Youtube e soprattuttoTwitter che i giovani in lotta contro le oligarchie al potere sono riusciti a comunicare fra loro e verso l’esterno le loro rivendicazioni. “Ecco il senso del ‘contagio’ – spiega l’economista – La Rete ha avviato ed è stata catalizzatrice di una rivoluzione culturale senza precedenti che ben presto è diventata rivolta sociale”. E’ stata la diffusione capillare di Internet il principale strumento di “empowerment” della società civile mondiale. “Ciò che ha sconvolto il mondo nell’ultima decade non è il terrorismo né lo scontro fra civiltà. E’ la Rete”, spiega la docente che aggiunge come il processo in corso sia destinato a crescere: “Se oggi il caso della caduta del tycoon Murdoch è emblematico, fra 10 anni un personaggio come Berlusconi non potrà mai prendere piede”.
Il punto però è quale sarà la situazione fra 10 anni. Un problema che riguarda più che altro la sponda nord del Mediterraneo e in particolare l’Italia. “Il pericolo è che quello che è accaduto nei paesi arabi si verifichi anche da noi”, avverte Napoleoni che fa notare come il welfare di cui godono le giovani generazioni sia in gran parte rappresentato dalla famiglia e non dallo Stato. “Ma cosa succederà quando gli stipendi e le pensioni di noi genitori non saranno più in grado di sostenere i nostri figli?”, si chiede la scrittrice. La risposta è che allora non ci sarà più molta differenza fra gli italiani e le popolazioni del sud del Mondo.
Ma se sullo sfondo del crack dell’economia si è innestata una rivolta “contagiosa”, la stessa forza dirompente può arrivare anche a produrre nuovi modelli economici e innovativi stili di vita. Un fenomeno che in parte è già realtà. E’ quella che Napoleoni chiama Pop economy, uno choc destinato a ridisegnare i comportamenti dei cittadini del nord del mondo. Le parole che descrivono questo nuovo approccio sono spesso mutuate dal linguaggio di Internet: co-housing (condivisione con altri condomini di alcuni elementi della vita familiare: dalla lavanderia alla cura dei bambini),bike e car sharing, i Gas, gruppi di acquisto collettivo direttamente dagli allevatori e coltivatori della zona in cui si vive. Un’economia partecipata e a basso impatto che potrebbe diventare lo stile di vita di una generazione che è stata relegata al di fuori dei modelli economici classici. Al posto del mantra della crescita a tutti i costi, del consumo sfrenato e dell’incubo del default, secondo Napoleoni, si sta facendo largo un approccio diverso che trova nei concetti di libertà, partecipazione e condivisione le proprie parole d’ordine. Tutti principi che prendono forma, ancora una volta, grazie a Internet e in particolare al web 2.0.
L'Avvenire: Una follia denunciare il Papa all'Aia sulla pedofilia.
Per il quotidiano della Cei i denuncianti cercano solo pubblicità e soldi su pelle vittime.
Roma, 14 set. (TMNews) - "Enorme piccineria". Così l'Avvenire, il quotidiano della Cei, definisce in un editoriale la denuncia del Papa e dei cardinali Sodano, Bertone e Levada alla corte penale internazionale dell'Aja con l'accusa di stupro, violenza sessuale e tortura per aver "tollerato e permesso" abusi sessuali sui minori.
"Non è la trama di un fantathriller - scrive il giornale dei vescovi - e se non ci fosse di mezzo l'orrore per quella che lo stesso Benedetto XVI ha definito una tragedia, ci sarebbe solo da buttarla sul ridere, tanto scoperta, smaccata, è la strategia mediatica scelta dai denuncianti (l'associazione statunitense di vittime di preti pedofili Snap e il Center for Constitutional Rights) per alzare il livello dello scontro. Che, tanto per chiamare le cose con il loro nome, significa pubblicità e soldi. Non a caso i due organismi hanno già annunciato un tour europeo di sensibilizzazione. Da farsi cadere le braccia di fronte all'enormità di una tale piccineria".
"Ma - osserva Avvenire - di mezzo ci sono le vittime, dalla cui parte, proprio per volontà di Benedetto XVI la Chiesa si è schierata senza se e senza ma e pronta a pagare per questo il prezzo della vergogna gettata sulla Chiesa stessa dai colpevoli, sacerdoti indegni del loro ministero. Le stesse vittime che oggi rischiano di essere nuovamente straziate da cinici e scaltri azzeccagarbugli che provano a rendere più grasso il piatto dei rimborsi da chiedere in sede civile".
"Una follia - insiste il quotidiano della Cei - tanto più che con tutta evidenza mai bersaglio poteva essere più sbagliato. Perché il 'denunciato' Papa Benedetto è lo stesso che, ancora cardinale, col suo predecessore Giovanni Paolo II iniziò l'era della tolleranza zero riguardo a questo odioso crimine. Di che si parla allora? Delle capziosità giuridiche che tentano di far rientrare dalla finestra un principio di responsabilità stiracchiato quasi all'infinito, già rifiutato dalle giurisprudenze di mezzo mondo? O dell'infinita tristezza, meschinità, di chi, non esitando a tirare fango sulla figura stessa del Papa per uno scoperto tornaconto, torna a violentare le stesse vittime di ieri colpendo proprio chi con tanta incrollabile passione se n'è fatto difensore?".
Luc/Dmo
"Non è la trama di un fantathriller - scrive il giornale dei vescovi - e se non ci fosse di mezzo l'orrore per quella che lo stesso Benedetto XVI ha definito una tragedia, ci sarebbe solo da buttarla sul ridere, tanto scoperta, smaccata, è la strategia mediatica scelta dai denuncianti (l'associazione statunitense di vittime di preti pedofili Snap e il Center for Constitutional Rights) per alzare il livello dello scontro. Che, tanto per chiamare le cose con il loro nome, significa pubblicità e soldi. Non a caso i due organismi hanno già annunciato un tour europeo di sensibilizzazione. Da farsi cadere le braccia di fronte all'enormità di una tale piccineria".
"Ma - osserva Avvenire - di mezzo ci sono le vittime, dalla cui parte, proprio per volontà di Benedetto XVI la Chiesa si è schierata senza se e senza ma e pronta a pagare per questo il prezzo della vergogna gettata sulla Chiesa stessa dai colpevoli, sacerdoti indegni del loro ministero. Le stesse vittime che oggi rischiano di essere nuovamente straziate da cinici e scaltri azzeccagarbugli che provano a rendere più grasso il piatto dei rimborsi da chiedere in sede civile".
"Una follia - insiste il quotidiano della Cei - tanto più che con tutta evidenza mai bersaglio poteva essere più sbagliato. Perché il 'denunciato' Papa Benedetto è lo stesso che, ancora cardinale, col suo predecessore Giovanni Paolo II iniziò l'era della tolleranza zero riguardo a questo odioso crimine. Di che si parla allora? Delle capziosità giuridiche che tentano di far rientrare dalla finestra un principio di responsabilità stiracchiato quasi all'infinito, già rifiutato dalle giurisprudenze di mezzo mondo? O dell'infinita tristezza, meschinità, di chi, non esitando a tirare fango sulla figura stessa del Papa per uno scoperto tornaconto, torna a violentare le stesse vittime di ieri colpendo proprio chi con tanta incrollabile passione se n'è fatto difensore?".
Luc/Dmo
Parigi rompe l’ultimo tabù: lo Stato dentro il capitale delle banche in crisi”. - di Leonardo Martinelli
Allarme rosso per i principali istituti di credito francesi che sono stati declassati da Moody's. Fra le cause del downgrading la troppa esposizione ai titoli italiani
E se la soluzione migliore, alla fine, fosse nazionalizzare, almeno parzialmente? In questi giorni di caos sui mercati e di sfiducia crescente anche nei confronti della Francia e delle sue banche, l’argomento a Parigi non è più tabù. Tanto più questa mattina, dopo che Moody’s ha declassato due dei colossi del credito d’Oltralpe,Société Générale (da Aa2 a Aa3) e Crédit Agricole (da Aa1 a Aa2), mantenendo Bnp Paribas “sotto osservazione negativa”.
Il valore in Borsa di questi colossi del credito si sta ormai liquefacendo. “Too big to fail”, non possono crollare: si porterebbero dietro svariate controllate qui e là in Europa (vedi la nostra Bnl, proprietà di Bnp Paribas). Ebbene, la maggior parte di loro avrà bisogno di una ricapitalizzazione. Ma di questi tempi chi oserà metterci qualche soldo?
Potrebbe farlo lo Stato francese. E a quel punto ne prenderebbe il controllo o comunque pretenderebbe di imporre una certa influenza sulla gestione, in proporzione alla quota di capitale detenuta. Già nel 2008, dopo il crack di Lehman Brothers, i contribuenti francesi avevano messo mano al portafogli: un totale di 10,5 miliardi di euro di obbligazioni distribuite fra i soliti noti, soprattutto il trio Bnp Paribas, Société Générale e Crédit Agricole, che oggi si ritrova nell’occhio del ciclone. Quei fondi erano poi stati restituiti prima che lo Stato potesse approfittare dei successivi rimbalzi in Borsa dei titoli delle banche. Che avevano beneficiato di una boccata d’ossigeno in piena tempesta, mantenendo la loro piena indipendenza. Stavolta, invece, le cose potrebbero andare diversamente. E il Governo imporre una quota di partecipazione vera e propria. Badiamo bene, siamo ancora a livello di ipotesi. Giudicate “totalmente premature” dal ministro dell’Industria, Eric Besson.
Il problema è che la situazione sta precipitando. Ieri i titoli bancari a Parigi hanno finalmente guadagnato ma Société Générale resta ancora sotto di oltre il 55 per cento rispetto all’inizio dell’anno e del 28 rispetto a un mese fa. Per Bnp Paribas i cali sono stati rispettivamente del 41 e del 25 per cento e per Crédit Agricole del 46 e del 23,5 per cento. Oggi, poi, è arrivata la nuova mazzata: Moody’s ha proceduto al downgrading del rating di due dei tre colossi e messo le mani avanti sul terzo. Alle tre banche viene rinfacciata un’eccessiva esposizione nei confronti della Grecia. Se si considerano sia i titoli di Stato ellenici che i crediti concessi al sistema privato, le banche francesi risultano le più a rischio d’Europa: la loro esposizione ammonta a 92 miliardi contro i 69 di quelle tedesche e i 20 delle britanniche. Ma se la sfiducia è lievitata cosi’ tanto negli ultimi giorni è per un’altra ragione. E questa si chiama Italia. I nostri titoli di Stato totalizzano più di 1.600 miliardi di euro. E ben 550 si trovano in mani francesi contro i 120 della Germania e i 77 delRegno Unito. Non solo, le banche d’Oltralpe hanno fatto shopping nel mondo del credito italiano (fino a poco tempo fa ritenuto redditizio, grazie a una ricchezza privata elevata): chi si è impossessato di Bnl (Bnp Paribas,) chi di Cariparma (Crédit Agricole). E cosi’ via.
Insomma, se l’Italia scivolasse sul dirupo, per le banche francesi sarebbe terribile. E quindi occorre ricapitalizzare. E per questo l’intervento dello Stato sarà forse necessario. Il primo a rompere il tabù è stato Marc Fiorentino, economista apprezzato e senza particolare colore politico. “Lo Stato farebbe bene a prendere una volta per tutte questa decisione – ha sottolineato – : nazionalizzare le banche per tre o quattro anni e rimetterle in sesto, distruggendo una volta per tutte i loro stock di armi di distruzione di massa e riportarle al loro ruolo principale al finanziamento dell’economia”. Insomma, finirla con la ricerca del profitto a ogni costo rischiando in Paesi che non se lo meritano e giocando con i derivati. E recuperare la funzione più sana degli istituti di credito, i finanziamenti alle imprese e alle famiglie, possibilmente in Francia. Tanto più che, sempre secondo Fiorentino, visti i bassissimi livelli delle azioni, lo Stato potrebbe cavarsela con “appena” 25 miliardi di euro. E con questo gruzzolo prendere il controllo delle banche più importanti.
Quella che poteva apparire come una pura provocazione è stata raccolta con entusiasmo da diversi economisti e politici. Per Jean-François Copé, segretario generale dell’Ump, il partito di Nicolas Sarkozy, “non si puo’ lasciar cadere le nostre banche” e non esclude che “lo Stato entri nel loro capitale”. Per Pierre-Alain Muet, consigliere economico di Martine Aubry, uno dei candidati alle imminenti primarie socialiste per scegliere il rivale della destra alle presidenziali 2012, “se il Governo deve intervenire, lo farà ovviamente prendendo una quota del capitale delle banche”. A destra riemerge l’antica passione gollista della partecipazione pubblica. A sinistra la mai sopita ambizione di uno Stato dirigista. Intanto oggi comincia una nuova giornata in Borsa. Dopo la bocciatura di Moody’s, probabilmente di dolori.
Il valore in Borsa di questi colossi del credito si sta ormai liquefacendo. “Too big to fail”, non possono crollare: si porterebbero dietro svariate controllate qui e là in Europa (vedi la nostra Bnl, proprietà di Bnp Paribas). Ebbene, la maggior parte di loro avrà bisogno di una ricapitalizzazione. Ma di questi tempi chi oserà metterci qualche soldo?
Potrebbe farlo lo Stato francese. E a quel punto ne prenderebbe il controllo o comunque pretenderebbe di imporre una certa influenza sulla gestione, in proporzione alla quota di capitale detenuta. Già nel 2008, dopo il crack di Lehman Brothers, i contribuenti francesi avevano messo mano al portafogli: un totale di 10,5 miliardi di euro di obbligazioni distribuite fra i soliti noti, soprattutto il trio Bnp Paribas, Société Générale e Crédit Agricole, che oggi si ritrova nell’occhio del ciclone. Quei fondi erano poi stati restituiti prima che lo Stato potesse approfittare dei successivi rimbalzi in Borsa dei titoli delle banche. Che avevano beneficiato di una boccata d’ossigeno in piena tempesta, mantenendo la loro piena indipendenza. Stavolta, invece, le cose potrebbero andare diversamente. E il Governo imporre una quota di partecipazione vera e propria. Badiamo bene, siamo ancora a livello di ipotesi. Giudicate “totalmente premature” dal ministro dell’Industria, Eric Besson.
Il problema è che la situazione sta precipitando. Ieri i titoli bancari a Parigi hanno finalmente guadagnato ma Société Générale resta ancora sotto di oltre il 55 per cento rispetto all’inizio dell’anno e del 28 rispetto a un mese fa. Per Bnp Paribas i cali sono stati rispettivamente del 41 e del 25 per cento e per Crédit Agricole del 46 e del 23,5 per cento. Oggi, poi, è arrivata la nuova mazzata: Moody’s ha proceduto al downgrading del rating di due dei tre colossi e messo le mani avanti sul terzo. Alle tre banche viene rinfacciata un’eccessiva esposizione nei confronti della Grecia. Se si considerano sia i titoli di Stato ellenici che i crediti concessi al sistema privato, le banche francesi risultano le più a rischio d’Europa: la loro esposizione ammonta a 92 miliardi contro i 69 di quelle tedesche e i 20 delle britanniche. Ma se la sfiducia è lievitata cosi’ tanto negli ultimi giorni è per un’altra ragione. E questa si chiama Italia. I nostri titoli di Stato totalizzano più di 1.600 miliardi di euro. E ben 550 si trovano in mani francesi contro i 120 della Germania e i 77 delRegno Unito. Non solo, le banche d’Oltralpe hanno fatto shopping nel mondo del credito italiano (fino a poco tempo fa ritenuto redditizio, grazie a una ricchezza privata elevata): chi si è impossessato di Bnl (Bnp Paribas,) chi di Cariparma (Crédit Agricole). E cosi’ via.
Insomma, se l’Italia scivolasse sul dirupo, per le banche francesi sarebbe terribile. E quindi occorre ricapitalizzare. E per questo l’intervento dello Stato sarà forse necessario. Il primo a rompere il tabù è stato Marc Fiorentino, economista apprezzato e senza particolare colore politico. “Lo Stato farebbe bene a prendere una volta per tutte questa decisione – ha sottolineato – : nazionalizzare le banche per tre o quattro anni e rimetterle in sesto, distruggendo una volta per tutte i loro stock di armi di distruzione di massa e riportarle al loro ruolo principale al finanziamento dell’economia”. Insomma, finirla con la ricerca del profitto a ogni costo rischiando in Paesi che non se lo meritano e giocando con i derivati. E recuperare la funzione più sana degli istituti di credito, i finanziamenti alle imprese e alle famiglie, possibilmente in Francia. Tanto più che, sempre secondo Fiorentino, visti i bassissimi livelli delle azioni, lo Stato potrebbe cavarsela con “appena” 25 miliardi di euro. E con questo gruzzolo prendere il controllo delle banche più importanti.
Quella che poteva apparire come una pura provocazione è stata raccolta con entusiasmo da diversi economisti e politici. Per Jean-François Copé, segretario generale dell’Ump, il partito di Nicolas Sarkozy, “non si puo’ lasciar cadere le nostre banche” e non esclude che “lo Stato entri nel loro capitale”. Per Pierre-Alain Muet, consigliere economico di Martine Aubry, uno dei candidati alle imminenti primarie socialiste per scegliere il rivale della destra alle presidenziali 2012, “se il Governo deve intervenire, lo farà ovviamente prendendo una quota del capitale delle banche”. A destra riemerge l’antica passione gollista della partecipazione pubblica. A sinistra la mai sopita ambizione di uno Stato dirigista. Intanto oggi comincia una nuova giornata in Borsa. Dopo la bocciatura di Moody’s, probabilmente di dolori.