Torna in aula Giovanni Brusca. E’ stato lui stesso a chiedere alla Corte che presiede il processo contro il Generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra di potere essere risentito. Il suo intento – ha spiegato parlando mediante video conferenza – era di precisare alcune dichiarazioni rilasciate nelle scorse udienze dato che ripensando alle domande che gli erano state poste gli sono tornati in mente alcuni dettagli rilevanti.
Il più importante è certamente la collocazione temporale del dialogo che ebbe con Salvatore Riina a proposito dell’ormai famigerato “papello”. Brusca ha raccontato decine di volte in decine di processi che all’interno della casa di Girolamo Guddo, dove poi si sarebbe tenuta una riunione con alcuni dei capi mandamento palermitani, si era appartato con Riina il quale alla sua domanda di novità gli rispondeva “tutto contento” che si “erano fatti sotto”, intendendo con questo “lo Stato” cui aveva inviato un elenco di richieste “un papello tanto”.
Brusca non è mai stato preciso sulla datazione dell’episodio in questione ma questa mattina si è detto in grado di circoscrivere il fatto in un periodo compreso tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio. Questo perché si è ricordato di essersi recato a casa di Salvatore Biondino, braccio destro di Riina, il giorno 16 luglio per chiedergli la cortesia di occultare la macchina di Vincenzo Milazzo e Antonella Bonomo, poi uccisi. In quell’occasione Biondino gli disse che “erano sotto lavoro”, senza fornirgli ulteriori dettagli. Pochi giorni dopo lui capì a cosa si riferiva perché esplose la bomba di via D’Amelio.
Sarà la Corte a stabilire se sia attendibile questa nuova ricostruzione di Brusca, ma di certo non è l’unico a porre il cuore della trattativa, cioè la negoziazione del “papello”, prima della strage di Via D’Amelio. Lo aveva già sostenuto Massimo Ciancimino che aveva anticipato gli incontri del padre con il generale Mori e ancora prima lo aveva spiegato Salvatore Cancemi.
Non a caso il pm Di Matteo ha chiesto al presidente di poter acquisire agli atti le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (deceduto il 14 gennaio scorso). Si tratta di quelle relative al racconto di una riunione, sempre nella casa di Guddo, in cui Riina mostrò a lui, a Raffaele Ganci e ad altri un elenco di 6/7 punti, che anche in quell’occasione chiamò “papello”, cui se lo ritenevano potevano fare aggiunte. Senza indugio Cancemi aveva sostenuto che il periodo era anteriore all’omicidio Borsellino.
Il pm ha sottolineato che Cancemi ha reso queste dichiarazioni il 23 aprile 1998, solo 5 anni dopo essersi consegnato allo Stato durante i quali è stato gestito esclusivamente dal Ros, ai procuratori di Firenze e Caltanissetta.
Poter provare che la cosiddetta trattativa si sia svolta prima del 19 luglio 1992 non avrebbe un grande valore solo per il processo in corso, ma vorrebbe dire di poter fissare un punto fermo, un tassello cruciale, per comprendere uno dei moventi dell’assassinio Borsellino poiché già la procura di Caltanissetta è stata in grado di affermare con un ampio margine di certezza che il giudice ne era al corrente.
Brusca ha anche voluto aggiungere alcuni dettagli circa la mancata strage dell’Olimpico che gli avrebbe riferito il neocollaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, recentemente riammesso al programma di protezione, secondo il quale il progetto di attentato avrebbe avuto come finalità la vendetta contro i carabinieri perché non avevano rispettato i patti.
Solo per deduzione Brusca, leggendo anche le cronache giornalistiche, ha collegato che il carabiniere che aveva tradito le aspettative dei mafiosi poteva essere il generale Mori.
In conclusione dell’udienza il pm Di Matteo ha chiesto anche di poter depositare al fascicolo dibattimentale l’ordinanza di archiviazione per Michele Riccio dall’accusa di calunnia contro Mori e Obinu, diversi articoli di stampa che vanno dal 8/6/1992 al 19/07/1992 relativi all’emanazione del decreto 41-bis e soprattutto una serie di circolari riservate del Ministero dell’Interno custodite dalle segreterie di sicurezza datate tra il 14 gennaio e il 31 marzo 1992 nelle quali si leggono “intensi allarmi per una campagna terroristica contro esponenti politici” di allora e in particolare “minacce di morte contro signor Presidente del Consiglio, ministro Carlo Vizzini, ministro Calogero Mannino”.
Nello specifico si tratta di telegrammi, fonogrammi e altri documenti sulla "possibile campagna di destabilizzazione del Paese". Le informative corrispondono in maniera impressionante al contenuto delle riunioni di Cupola, quando Riina aveva deciso la resa dei conti da far scontare ai traditori e ai voltagabbana. E’ certamente singolare che a parte l’indifendibile Lima e ai due magistrati, tutti i politici si siano salvati.
Il procuratore Grasso l’aveva spiegata così: “Probabilmente i mafiosi cambiarono obiettivo perché capirono che non potevano colpire chi avrebbe dovuto esaudire le loro richieste”.