martedì 18 ottobre 2011

Profumo accusato di frode fiscale Sequestrati 245 milioni a Unicredit.




Sotto inchiesta altri 16 manager. Il reato risalirebbe al 2007-2008 e sarebbe stato commesso con la banca inglese Barclays. L'istituto di credito italiano avrebbe risparmiato.

MILANO - Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit, è indagato dalla Procura di Milano per frode fiscale nell'ambito del caso 'Brontos'. Con lui, sotto inchiesta, altri 16 manager. E a Unicredit sono stati sequestrati 245 milioni, quantificati come il profitto del reato che sarebbe stato commesso dalla banca tra il 2007 e il 2008 attraverso l'operazione. La presunta maxi frode fiscale sarebbe stata organizzata con la banca inglese Barclays, con interessi travestiti da dividendi.

In base alla normativa italiana, Unicredit avrebbe dovuto pagare le tasse sul 100% degli interessi di deposito interbancario e invece  ha pagato soltanto il 5% sui dividendi dell’apparente operazione «pronti contro termine», perché per legge essi sono deducibili al 95%. Travestendo in dividendi quelli che erano interessi insomma - secondo il procuratore aggiunto Alfredo Robledo - Unicredit avrebbe ottenuto un enorme risparmio di imposte Ires e Irep: al fisco sarebbe così stato sottratto un imponibile di centinaia di milioni di euro.

Il banchiere Profumo è accusato di «dichiarazione fiscale fraudolenta mediante altri artifici» per aver dato il via libera alla richiesta di approvazione dell'operazione. Indagate altre 16 persone, compresi gli allora responsabili in Unicredit spa dell’area Finanza (Luciano Tuzzi), dell’area Affari fiscali (Patrizio Braccioni) e della Direzione Programmazione-finanza-amministrazione (Ranieri De Marchis). Altri tre indagati appartengono invece alla banca inglese Barclays, che avrebbe proposto l'operazione Barclays. 



http://www.repubblica.it/cronaca/2011/10/18/news/profumo-23458258/



Il 15 ottobre segna uno spartiacque.




Assieme a centinaia di migliaia di persone mi sono sentito espropriato di un diritto democratico, quello di manifestare pacificamente contro il Governo e la Banca Centrale Europea, cosi come deciso dai promotori della manifestazione del 15 ottobre.
Un diritto democratico che appartiene a tutti e se altri soggetti pensano che bisogna cercare lo scontro con la polizia e il saccheggio della città hanno il diritto di farsi la “loro manifestazione”.
Ciò che non è tollerabile è quello di usare strumentalmente come scudo protettivo centinaia di migliaia di persone per perseguire vigliaccamente il loro obiettivo.
L'oceanica manifestazione del 15 ottobre è stato oggetto dell'aggressione da parte di gruppi organizzati con un piano preordinato che aveva l'obiettivo di fare fallire, dimostrare l'impossibilità di potere svolgere una pacifica manifestazione con la sua conclusione in Piazza S.Giovanni. 
Ci sono riusciti, hanno raggiunto l'obiettivo ed ora tenteranno una campagna di reclutamento, perchè loro, insieme al Governo e alla BCE, sono i “vincitori” di quella giornata.
Di questo stiamo parlando e non di fantomatiche rivolte e/o di gente incazzata, di disagio sociale che non c'entrano assolutamente nulla. Se il corteo fosse entrato in Piazza S. Giovanni sarebbe successo un macello dalle proporzioni inimmaginabili ed è per questa ragione che vari spezzoni del corteo, dagli studenti a Uniti per l'Alternativa, alla Fiom hanno deciso di deviare per altri percorsi, dal Circo Massimo a Piazza Vittorio.
Non dico nulla sulle responsabilità politiche, la situazione della sinistra, la polizia, che considero scontate perché quello che mi interessa è il futuro di questo Movimento che doveva trovare nel 15 ottobre un momento di crescita e di espansione importante, ed invece, oggi deve fare i conti con un disastro politico.
Da dove ripartire?
Da quel corteo che inveiva contro gli omini vestiti di nero, che urlava “fascisti” e “fuori, fuori dal corteo”; dal corteo di decine di migliaia di giovani che la sera si sono riappropriati della manifestazione tornando alla Sapienza.
Questo Movimento, penso agli studenti, ai Referendum, ai Metalmeccanici hanno fatto della democrazia e della partecipazione un aspetto decisivo, eversivo rispetto ai processi sociali, istituzionali e politici in atto, che oggi deve fare i conti con un soggetto comunque camuffato che teorizza e pratica l'opposto, quello dei commando militari, della negazione della democrazia.
Non ci possono essere ambiguità, perché i guasti che si sono prodotti sono pesanti per tutti e non ci troviamo di fronte alla espressione sbagliata di una parte del Movimento, ma alla sua totale estraneità, alla sua totale contrapposizione. Il 15 ottobre non può che essere uno spartiacque, tanto più con le sfide che avremo di fronte, per la crescita di un Movimento dalle molteplici voci ed esperienze di lotta che ha assunto la  democrazia come pratica  identitaria e dunque non può ne giustificare, ne tollerare ciò che è accaduto.

Gianni Rinaldini


Gli "arresti preventivi" di Robert Kennedy



Kennedy si confronta con lo sceriffo della contea di Kern sul tema degli "arresti preventivi".



A Cicchitto: ''Il capo è fuori brocca, ti devo parlare''.



Lavitola chiama il capogruppo del Pdl alla camera, Cicchitto: ''Ti devo parlare 


subito, per una cosa del capo''. Cicchitto: ''Adesso non posso parlare e delle cose 


del capo me ne sbatto il c..."


http://tv.repubblica.it/politica/a-cicchitto-il-capo-e-fuori-brocca-ti-devo-parlare/78480/76870?pagefrom=1

Mancato controllo sui fondi agricoli. Ue all’Italia: restituisca 78 milioni. - di Alessio Pisanò




L'Italia deve restituire a Bruxelles 78,5 milioni di euro per irregolarità nella gestione dei fondi assegnati al settore lattiero-casearo e per carenza di controlli. Se non paga si va in Corte di Giustizia e poi scatta la multa. E intanto si definisce la nuova Politica agricola comune. A rappresentare l'Italia ci sarà il ministro Romano.
Questa volta il conto è di quasi 78,5 milioni di euro. Quasi 71 milioni da restituire al più presto a Bruxelles “come rettifica proposta per gli esercizi finanziari 2005-2007 per controlli tardivi nel settore dei prodotti lattiero-caseari”, a cui vanno ad aggiungersi 7,6 milioni di aiuti agricoli per spese effettuate in modo irregolare. Un assegno non facile da staccare visto il periodo di vacche magre, è il caso di dirlo, per un Paese alle prese con tagli selvaggi e una quadratura di bilancio che proprio non arriva. E il capitolo di spesa maggiore di quanto chiede la Ue (71 milioni) sono legati alla gestione delle cosiddette quote latte.

Si tratta di fondi della Politica agricola comune (Pac) dei quali sono responsabili gli Stati membri, sia della loro ridistribuzione sul territorio che del loro effettivo utilizzo, ad esempio verificando le domande che gli agricoltori compilano per ottenere i pagamenti diretti. Succede che la Commissione, vista il numero dei beneficiari in Europa, fa 100 controlli a campione ogni anno. Verifica anche che le eventuali “correzioni” apportate dagli Stati membri siano efficaci a garantire che i fondi europei siano stati spesi correttamente. Sì perché come ha confermato un recentissimo rapporto Ocse, una fetta rilevante degli aiuti Ue all’agricoltura finiscono a chi di aiuto non ha proprio bisogno, o peggio ancora a chi con l’agricoltura non centra davvero niente .

E di magagne quest’anno la Commissione ne ha trovate parecchie, e non solo in Italia. Sorpresa sorpresa la Svezia, ad esempio, dovrà restituire ben 76,6 milioni di euro per “carenze nel sistema di identificazione delle particelle agricole (Sipa), di informazione geografica (Sig), nei controlli amministrativi e nelle sanzioni relativi alle spese per gli aiuti per superficie”. La Danimarca dovrà dare indietro 22,3 milioni per carenze nei sistemi Sipa e Sig, nei controlli in loco e nel calcolo delle sanzioni”. E poi ancora Cipro 10 milioni, il Regno Unito 6 milioni e l’Olanda 2,2 milioni. Nessuna pietà nemmeno per la Grecia, che dovrà restituire 10 milioni.

Bruxelles sta diventando piuttosto attenta alla spesa dei fondi comunitari, soprattutto perché gli aiuti all’agricoltura costituiscono una bella fetta dell’intero bilancio europeo. Nel periodo 2007-2013 la quota della spesa agricola costituisce addirittura il 34% dei 142 miliardi di euro spesi dall’Ue, a cui va aggiunto l’11% dedicato allo sviluppo rurale. Ovviamente la Commissione europea non può essere ovunque, quindi questi finanziamenti vengono principalmente amministrati dagli Stati nazionale e dalle Regioni, che a loro volta lanciano dei bandi per aggiudicarli e dovrebbero essere responsabili dei controlli sul loro utilizzo.

Nel caso dell’Italia proprio i controlli, guarda caso, sono il principale problema. Infatti i 71 milioni di euro da restituire si riferiscono proprio a controlli carenti e solo per l’anno 2005-2007, il che lascia intendere che ci potrebbero essere altre rate da pagare. E in questo caso chi apre il portafogli? Non potendo indagare tutti i beneficiari di questi finanziamenti, a pagare sarà Roma, quindi tanto per cambiare le casse pubbliche. E non è finita qui. Come nel caso di altri fondi stanziati in modo irregolare, vedasi gli aiuti di stato per le calamità naturali del 2002-2003, l’Italia non è un fulmine a restituire l’illegittimo a Bruxelles. E allora cosa succede? Solita trafila: Corte di Giustizia, sollecito di pagamento e multa aggiuntiva.

Tra l’altro proprio in questi mesi a Bruxelles è in corso la revisione della politica agricola comune. La Commissione europea ha annunciato un paio di giorni fa una proposta che vedrebbe da un lato maggiori controlli e dall’altro un tetto ai finanziamenti massimi per ogni Stato. Se approvata così come proposta, la nuova Pac comporterà per l’Italia un cospicuo taglio ai 5,5 miliardi di euro che ogni anno riceve da Bruxelles, tra aiuti diretti ai produttori e misure di sviluppo rurale. Il 7 Novembre, rappresentanti della Commissione europea, del Parlamento e del Consiglio Ue si riuniranno per iniziare i negoziati. A rappresentare l’Italia, a meno di novità dell’ultim’ora, ci sarà il ministro italiano dell’agricoltura Saverio Romano.


Minetti e indignados, la profanazione a orologeria. - di Davide Vecchi

Davide Vecchi


A leggere LiberoIl Giornale, Il Foglio (e compagni) uno pensa: si sono finalmente accorti del crocifisso tra le tette della Minetti. “E’ un’offesa all’uomo”. “Un gesto blasfemo di profanazione che non ha alcun senso”. Difendono con la penna lo spirito cattolico “profanato”. Non dal premier con l’igienista dentale, però, ma dagli indignados che hanno distrutto, sabato a Roma, un crocifisso e una statua della Madonna di Lourdes. Indignazione sacrosanta: i luoghi di culto vanno rispettati (tutti) – come i simboli religiosi, di tutti – che merita però una riflessione.

L’Italia è un paese cattolico. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una sorta di guerra santa portata avanti da questi governanti (Lega e Pdl) e fortemente sponsorizzata da giornali e tv di riferimento del Presidente del Consiglio (Libero, Il Gionale, Il Foglio, Panorama, Tg5, Studio Aperto, Tg4, Tg1, ecc, ecc, ecc…) per difendere il crocifisso nelle scuole e nei luoghi pubblici. Hanno tentato di inculcarci, su una presunta e costante emergenza sicurezza e insinuando il terrore nei cittadini (a Milano e in altre città ci sono uomini dell’esercito agli angoli delle strade), che chi non prega il nostro Dio è un criminale da emarginare, potenzialmente terrorista, sicuramente sovversivo, decisamente sporco, brutto e cattivo. E oggi, alla faccia degli insegnamenti cristiani di cui pretendono di essere paladini, puntano il dito, accusano, condannano, invocano il patibolo per chi sbaglia.

Sono gli stessi del Family day, della cristianità da sbandierare in modo opportunistico: quando serve alla causa del capo di Arcore. Perché altrimenti non si spiega il motivo per cui un crocifisso in terra è “un gesto blasfemo di profanazione che non ha alcun senso” (giustissimo) mentre quando Silvio Berlusconi infila il crocifisso tra le tette di Nicole Minetti va bene. E quando il cardinal Bagnasco (che credo sia più vicino ai “piani alti” di quanto lo siano Feltri & company) si scaglia contro il governo che ha smarrito i valori cristiani, loro criticano Bagnasco e difendono il capo.

Torna alla mente una delle barzellette ideate da Roberto Benigni e poi ripresa (e rivista) da Berlusconi. Il cavaliere muore e si ritrova davanti a San Pietro che, dopo avergli dato il benvenuto e averlo ringraziato per l’opera svolta in terra, lo accompagna al cospetto di Dio. E Berlusconi prende l’iniziativa: “Piacere, sono dio”. Ecco, forse, nei giornali e nei tg del Cavaliere, regna la confusione su quale sia la figura di Dio.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/18/lesa-la-credibilita-dei-credenti/164575/comment-page-1/#comment-2530073