martedì 6 dicembre 2011

Terremoto, Letta scrisse a Bertolaso "Caro Guido, aiuta gli amici di Verdini". - di Giuseppe Caporale


Nuova inchiesta sugli appalti per la ricostruzione post-sisma, ancora una volta sul ruolo del consorzio Federico II in cui aveva interessi il coordinatore del Pdl. Al centro del ricorso della Procura in Cassazione, il messaggio dell'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio all'ex capo della Protezione civile. "Semplice raccomandazione", per il Gup. "Serrata attività di condizionamento", secondo il sostituto procuratore.


L'AQUILA  -  C'è una lettera di raccomandazione sotto inchiesta. E' una lettera firmata da Gianni Letta, ex sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri con il governo Berlusconi. Venti righe su carta intestata del sottosegretario per favorire un gruppo di imprenditori negli affari del post-terremoto. Venti righe che ora sono oggetto di indagine da parte della Procura dell'Aquila. 


GUARDA LA LETTERA 1

Il destinatario della lettera è Guido Bertolaso, all'epoca capo del dipartimento della Protezione Civile (struttura sotto la direzione della Presidenza del Consiglio). L'obiettivo è aiutare gli amici di un amico speciale, specifica lo stesso Letta nel documento - "come potrai facilmente immaginare, non posso sottrarmi a tale richiesta..." - Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl.

L'impresa da aiutare è  -  ancora una volta  -  il consorzio Federico II, ovvero il raggruppamento di società che aveva al suo interno Riccardo Fusi, imprenditore (amico e in passato anche socio di Verdini) e una serie di imprese abruzzesi legate alla Carispaq, banca del territorio aquilano. Non solo Fusi secondo le verifiche dei Ros risulta debitore per una cifra intorno ai 20 milioni di euro nei confronti del Credito Cooperativo Fiorentino, presieduto all'epoca dei fatti proprio da Verdini. 



La lettera. "Caro Guido, come ho avuto modo di accennarti per telefono l'altro giorno, l'onorevole Denis Verdini mi ha presentato un gruppo di imprenditori aquilani che insieme ad una grande impresa nazionale, hanno dato vita al consorzio Federico II, per la ricostruzione dell'Abruzzo. Adesso, a pochi giorni dall'incontro, lo stesso Verdini mi sollecita di nuovo il contatto con te (o con la tua struttura) e come potrai facilmente immaginare, non posso sottrarmi a tale richiesta. Nell'appunto che ti invio troverai la descrizione degli obiettivi e delle finalità del consorzio e il profilo delle imprese locali e nazionali che hanno dato vita all'iniziativa. Ti sarò grato perciò, se per non deludere Denis Verdini, potrai dedicare a questi imprenditori dieci minuti del tuo preziosissimo tempo per poi affidarli a chi riterrai possa diventare il loro interlocutore istituzionale. Sicuro della tua comprensione, ti chiedo scusa per il fastidio e ti ringrazio di cuore. Perdonami e grazie (scritto a mano, ndr). Gianni Letta". E poi ancora a penna "Gianni". 

Verdini e Fusi, già prosciolti per la raccomandazione. Proprio per la vicenda degli appalti del consorzio Federico II negli affari post-sisma, Verdini e Fusi sono stati prima indagati e poi prosciolti dal tribunale dell'Aquila perché "il fatto non sussiste". Secondo il giudice per le udienze preliminari Romano Gargarella  -  che si è pronunciato a riguardo appena il mese scorso - quella di Verdini per l'imprenditore Fusi fu una "mera raccomandazione" non prefigurabile come reato penale. Ma contro questa decisione il sostituto procuratore Stefano Gallo ora ha presentato ricorso in Cassazione puntando come elemento centrale proprio sulla missiva, svelando così anche una parte della nuova indagine che stavolta vede al centro Letta.

Il pm: "portata dirompente dei nuovi documenti"
. "Bisogna tener conto della portata dirompente dei nuovi documenti depositati", scrive Gallo nel ricorso in Cassazione producendo la lettera di Letta. "I termini usati dal potente sottosegretario di Stato sono assolutamente significativi della concreta possibilità dell'onorevole Denis Verdini di incidere sulle scelte degli apparati dello Stato in ordine all'affidamento dei lavori post-terremoto" scrive nel ricorso. E aggiunge: "Come va interpretato il non posso sottrarmi alla richiesta?". Così la lettera di Letta oltre a essere alla base del nuovo fascicolo potrebbe far riaprire l'inchiesta su Fusi e Verdini, oltre che chiamare nuovamente in causa Guido Bertolaso. E il sostituto procuratore Gallo  -  come annunciato nel ricorso  -  ha intenzione di interrogare sia Letta che Bertolaso per verificare la veridicità della lettera. 

Ma per Gup la lettera di Letta è solo una raccomandazione. Il nuovo documento, in realtà, era stato già depositato all'ultima udienza per la vicenda Verdini e Fusi, ma il giudice Gargarella aveva derubricato anche questo documento come prova di "mera raccomandazione". Per la procura dell'Aquila invece è la dimostrazione del tentato condizionamento di alcuni appalti post-terremoto. Per i magistrati infatti, seppure la missiva pare sia arrivata in procura in forma anonima, è "vera". Gli inquirenti al riguardo hanno già eseguito una perizia sulla grafia dello scritto ed è risultata chiaramente riconducibile a Letta. Così come sono "perfettamente coincidenti" date e altre circostanze citate nella lettera e poi riscontrate nelle intercettazioni e nelle informative dei carabinieri del Ros. 

L'altra prova: la mail di Verdini a Letta. Non solo, la procura ha in mano anche molti altri documenti. 
Tra questi, un'altra lettera questa volta inviata da Verdini (attraverso la mail del credito fiorentino) a Letta e datata sempre 22 maggio: "Caro Gianni, a seguito dell'incontro con Fusi, presidente della Baldassini Tognozzi Pontello s. p. a., Ettore Barattelli (dell'omonima azienda), il direttore della cassa di risparmio dell'Aquila Rinaldo Tordera e il suo vice Angelo Fracassi, ti invio l'informativa sul consorzio Federico II come tu mi avevi richiesto. Ti prego di contattarmi al più presto perché tutti i partecipanti all'incontro sono rimasti favorevolmente impressionati dalla tua cortesia e dal tuo sincero interessamento, che corrisponde al loro sentimento di abruzzesi. Potrai notare l'enorme professionalità e potenzialità del consorzio e il forte radicamento territoriale e come ricorderai, il prezioso sostegno della cassa di risparmio dell'Aquila. Denis Verdini". 

Ci sono anche altri risconti, indizi e prove. La riunione che si tenne effettivamente a palazzo Chigi il 12 maggio 2009 tra Letta, Verdini, Fusi e gli altri imprenditori abruzzesi (incontro che fu confermato sia da Verdini che da Fusi durante gli interrogatori); la costituzione del consorzio appena tre giorni dopo l'incontro con Letta; il successivo incontro tra Bertolaso e il consorzio il 3 giugno del 2009. E poi gli appalti: i lavori della caserma Capomizzi (11 milioni di euro) e i lavori per la scuola Carducci (7 milioni di euro). 

Il pm: serrata azione di condizionamento degli appalti. "Altro che semplice raccomandazione  -  conclude Gallo nel ricorso  -  vi fu una serrata attività di orientamento e condizionamento delle scelte statuali per l'affidamento dei lavori post-sisma". Fin qui i fatti. Al momento dal palazzo di giustizia dell'Aquila non emerge di più. L'indagine è coperta dal più stretto riserbo e non è dato sapere se, formalmente, il nome di Letta sia stato effettivamente iscritto nel registro degli indagati. Certo è che questa volta la nuova inchiesta della procura dell'Aquila è incentrata sulla sua lettera e sulle presunte pressioni per affidare gli appalti del post terremoto.

Funzionario del Comune preso in ascensore con la tangente in mano.



Gli uffici comunali in via Pirelli 39 (Salmoirago)
Gli uffici comunali in via Pirelli 39 (Salmoirago

Il dipendente aveva appena ricevuto mille euro. La mazzetta era stata richiesta per non chiudere una boutique.

MILANO - «O mi pagate, - aveva detto - o vi chiudo la boutique di via della Spiga». Gli è andata male. L'hanno preso con la mazzetta in mano, nell'ascensore del palazzo che, lento, faceva su e giù per i quattro piani della palazzina di via Pirelli 39, dove si trova l'ufficio protocollo del settore sportello unico per l'edilizia di Milano. «Geometra - gli hanno detto i carabinieri nel tardo pomeriggio di ieri - venga con noi...». E lui, Gianluca Carta, funzionario dell'urbanistica del Comune di Milano, s'è afflosciato come una palla bucata. L'hanno sorretto i militari che l'hanno portato in caserma. Dove, a notte fonda, tra un pianto e l'altro, il geometra stava ancora raccontando la sua verità. Non doveva andare come è andata. Avrebbe dovuto incontrare un geometra - sì, proprio un tecnico come lui - un responsabile della «Blumarine» di Carpi, nota griffe di moda. Avrebbe dovuto intascare al volo la seconda tranche di una mazzetta sollecitata dal telefono fisso del suo stesso ufficio di via Pirelli per poi andarsene in tutta fretta a casa, dalla compagna. Roba di minuti, nei suoi piani.
L'INTERVENTO - Ma il meccanismo s'è inceppato. Perché prima di andare negli uffici del Comune, il geometra della Blumarine ha bussato alla porta dei carabinieri che in poche ore hanno messo in piedi la trappola e, coordinati dall'aggiunto di Milano Alfredo Robledo e dal sostituto Grazia Colacicco, hanno arrestato il funzionario di Palazzo Marino per concussione. In tasca gli hanno ritrovato i mille euro di banconote segnate prima di fare scattare il blitz. Cosa gli abbiano invece trovato nell'ufficio dell'urbanistica e nell'appartamento, perquisiti per ore, non si sa. Ai magistrati e ai militari, il geometra della casa di moda ha raccontato di una richiesta di denaro per non intralciare il loro punto vendita in via della Spiga al numero 30. «O mi pagate o il negozio Blumarine chiude, perché voi avete il permesso per il civico 45...». Più o meno così, ha minacciato al telefono il funzionario Gianluca Carta.
ALTRI PAGAMENTI - Ma il geometra della griffe, che racconta di avere già versato nelle tasche del funzionario milanese una mazzetta di mille euro, ha registrato tutto e con quel file audio s'è presentato ai carabinieri. «Non vogliamo più pagare - ha denunciato al colonnello Antonino Bolognani, del nucleo investigativo di Milano - aiutateci voi...». In caserma, Gianluca Carta si è sentito male. Soffre d'asma e per non rischiare complicazioni l'arrestato è stato accompagnato al pronto soccorso del Fatebenefratelli. Una visita, le buone notizie, e allora subito di nuovo in caserma in via Moscova, davanti al pm che ha iniziato l'interrogatorio. «Io quei soldi me li sono ritrovati in mano, mica li volevo, e nemmeno li ho chiesti...». Ha iniziato a difendersi così, il geometra Carta. Nega le minacce, la voglia di creare complicazioni alla Blumarine e tutto il resto. Le prossime ore serviranno a capire di più.

Minzolini a giudizio per peculato. La Rai si costituisce parte civile.

Augusto Minzolini


Inchiesta sulle spese sostenute con la carta aziendale. Il direttore del Tg1: «Masi pusillanime». Il cdr: ora una svolta.



MILANO - Il direttore del Tg1 Augusto Minzolini è stato rinviato a giudizio per il reato di peculato, in relazione all'uso della carta di credito aziendale. Il processo a carico del giornalista comincerà l'8 marzo prossimo, davanti ai giudici della VI sezione collegiale. La Rai ha annunciato che «si costituirà parte civile entro il termine di decadenza previsto dalla legge, che è quello dell'udienza dibattimentale fissata per il prossimo 8 marzo, per il danno di immagine e per i residuali profili di danno non patrimoniale»
IL GIORNALISTA: «MONDO DI TROGLODITI» - «Volevano farmi saltare dalla direzione del Tg1 già quando c’era il voto di fiducia al Senato il 14 dicembre 2010 - il commento a caldo del giornalista -. Quello che non sopporto di questa vicenda è che vengono utilizzati strumenti del genere per raggiungere l’obiettivo. Questo vi dà l’idea della società di trogloditi in cui viviamo». Il direttore del Tg1 punta poi il dito contro Mauro Masi, ex dg della Rai. «In questa vicenda - attacca - è stato un pusillanime, uno leggero, perché per due anni l’azienda non mi ha contestato nulla».
FUORI BUDGET - Minzolini avrebbe sforato in 14 mesi il budget a sua disposizione per circa 65 mila euro. Tale somma è stata già restituita dal direttore all'azienda. A decidere il rinvio a giudizio il gup del Tribunale di Roma Francesco Patrone.
CDR ALL'ATTACCO - Per il comitato di redazione del Tg1 è giunta l'ora di cambiare: «Serve una svolta, un direttore autorevole, di indiscusso profilo professionale e morale, super partes, che segni - afferma il cdr in una nota - una forte discontinuità editoriale col passato». La rappresentanza sindacale è da tempo in rotta di collisione con Minzolini: «Il direttore farebbe bene a fare un passo indietro. Non ci sono più alibi. L'azienda deve dare risposte chiare e immediate alla redazione. Il cdr non ha aspettato la notizia del rinvio a giudizio per denunciare - ormai da molto tempo - il fallimento del progetto Minzolini, che ha portato gli ascolti del giornale al minimo storico e ha fatto perdere credibilità alla principale testata del servizio pubblico, come sottolineato anche dalla ricerca della Cattolica di Milano».

Caso De Mauro, interrogato Marcello Dell’Utri. La chiave è il capitolo scomparso di Petrolio. - di Giuseppe Pipitone.




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La scomparsa del cronista, la morte di Mattei e l'omicidio Pasolini potrebbero essere collegate; nella parte mancante dell'ultimo romanzo dell'intellettuale la possibile risoluzione del giallo. Nel 2010 il senatore del Pdl dichiarò di potersela procurare: ora gli inquirenti vogliono sapere chi doveva dargliela.

Le indagini sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro potrebbero avere un nuovo inaspettato impulso. Una spinta investigativa che incrocerebbe anche le inchieste su altri due grandi misteri italiani: la morte di Enrico Mattei, precipitato nei cieli di Bascapè il 27 ottobre 1962, e il pestaggio letale di Pier Paolo Pasolini, il 2 novembre 1975 a Ostia.
Stamattina infatti negli uffici della procura di Palermo si è materializzato a sorpresa Marcello Dell'Utri. Il senatore del Pdl è stato sentito come teste d'eccezione dal procuratore aggiunto della dda Antonio Ingroia e dal sostituto Sergio Demontis, che dal 2005 indagano sulla morte del cronista de L'Ora, svanito nel nulla il 16 settembre 1970.
Il primo grado del processo davanti la corte d'assise di Palermo si è concluso nel giugno scorso con l'assoluzione dell'unico imputato: il super boss di Cosa Nostra Totò Riina. E in attesa che vengano depositate nei prossimi giorni le motivazioni della sentenza di primo grado, una pista parallela dell'inchiesta, non approfondita in precedenza, è tornata prepotentemente ad essere battuta dagli inquirenti.
Oggetto dell'udienza di Dell'Utri è stato infatti il presunto ritrovamento dell'Appunto 21 da parte del senatore condannato in appello a 7 anni per mafia. Nel marzo del 2010 Dell'Utri, appassionato bibliofilo, dichiarò in un'intervista a Il Tempo di essere in condizione di ritrovare il capitolo scomparso di Petrolio, il libro incompiuto di Pasolini. Il capitolo s'intitolava Lampi sull'Eni e sarebbe la chiave di volta del romanzo a cui l'intellettuale stava alacremente lavorando prima di essere massacrato sul lungomare di Ostia.
Dell'Utri, intervistato dal iquadernidelora.it, ha raccontato di essere stato avvicinato a Milano durante una mostra da un oscuro personaggio che gli avrebbe rivelato di essere in possesso del capitolo svanito. Ma non avendo dato molto peso al misterioso emissario, il senatore lo avrebbe liquidato lasciandogli soltanto il suo biglietto da visita. E' proprio per questo che i pm palermitani hanno deciso di sentire direttamente il senatore del Pdl: per cercare di capire chi sia quell'uomo indecifrabile che sarebbe stato in grado di condurre Dell'Utri al capitolo svanito del libro di Pasolini. Una parte importante che per stessa ammissione del senatore potrebbe svelare scenari sconvolgenti. L'Appunto 21 infatti potrebbe gettare una luce nuova sull'ultimo lavoro dell'intellettuale friulano. Un lavoro che potrebbe collegare la morte di De Mauro e quella di Pasolini alle indagini sulla tragedia aerea che costò la vita al presidente dell'Eni Mattei.
In pratica alla base dei tre misteri ancora oggi insoluti potrebbe esserci un'unica pista, una scia lineare che seguirebbe il nero del petrolio. Una pista che incrocerebbe le indagini della procura di Palermo con quelle della procura di Roma, dove il pm Francesco Minisci indaga dal 2009 sulla morte dell'autore di Petrolio.
Sia de Mauro che Pasolini infatti nell'ultimo periodo di vita stavano cercando di scavare sulla fine di Mattei. Il cronista de L'Ora nell'estate del 1970 era stato incaricato dal regista Franco Rosi di preparare una sceneggiatura sugli ultimi due giorni di vita del presidente dell'Eni, .che prima di precipitare a Bascapè si era recato a Gagliano Castelferrato in provincia di Enna. De Mauro avrebbe capito in anticipo su tutti che la causa della morte di Mattei sarebbe da ricercare nella sua politica d'indipendenza energetica dell'Italia, e conseguentemente nei rapporti burrascosi con il suo vice presidente Eugenio Cefis, allontanato proprio un anno prima di morire. Il giornalista avrebbe messo le mani si un vero e proprio scoop, dato che è proprio in Sicilia che l'aereo di Mattei venne manomesso. Non sarebbe stato in grado però di rivelare a nessuno le sue scoperte: venne rapito davanti casa e successivamente ucciso 41 anni fa.
Anche Pasolini stava lavorando sull'oscura morte del presidente dell'Eni. L'intellettuale raccolse parecchi elementi nel manoscritto di Petrolio, che sarebbe poi stato dato alle stampe soltanto nel 1992. Il libro non è solo un romanzo ma anche un 'incredibile inchiesta che dietro lo schermo dell'allegoria racconta dell'ultimo periodo di vita di Mattei (impersonato nel romanzo dal personaggio di Buonocore) e dei difficili rapporti con il suo vice Cefis (che Pasolini chiama Troja). Dal alcuni riferimenti contenuti nei capitoli successivi si intuisce che nell'Appunto 21 Pasolini avrebbe potuto narrare dei rapporti del presidente dell'Eni con il suo ex vice e di come quest'ultimo ne avrebbe decretato la soppressione.
Per omicidio di Pier Paolo Pasolini fu condannato negli anni '70 il solo Pino Pelosi, all'epoca minorenne ragazzo di borgata. Ma quella sera all'idroscalo di Ostia Pelosi e Pasolini non erano soli: recentemente infatti è stato ritrovato dal Ris di Parma il dna di un terzo uomo sugli abiti indossati da Pasolini quella notte. L'inchiesta sul pestaggio omicida è stata riaperta recentemente dopo l'uscita di Profondo Nero, il libro di Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco, dove gli autori ricostruiscono i tre misteriosi assassinii seguendo un'unica pista di base. Proprio la stessa battuta adesso dagl'inquirenti palermitani. Che in attesa del processo d'appello sul caso De Mauro vogliono capire quanto i tre delitti siano collegati. Ma per capirlo bisognerà trovare il mister X che avrebbe avvicinato Dell'Utri.

Camorra e politica, retata di casalesi. Chiesto l’arresto per Nicola Cosentino.

Oltre 50 arresti, ci sono anche politici. I pm chiedono alla Camera l'autorizzazione a procedere per il deputato Pdl, ex sottosegretario di B. per falso, riciclaggio e violazione della normativa bancaria.


L'ex sottosegretario all'Economia, Nicola Cosentino
Maxi blitz anticamorra in Campania. Personale della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Napoli e del Comando provinciale carabinieri di Caserta hanno eseguito decine di arresti, perquisizioni e sequestri nell’ambito dell’operazione ‘Il principe e la ballerina’contro numerosi esponenti e fiancheggiatori del clan dei casalesi, coordinata dalla Procura della Repubblica e dalla Dda di Napoli. Chiesto l’arresto anche per Nicola Cosentino, deputato del Pdl ed ex sottosegretario all’Economia nel governo Berlusconi. Cosentino è indagato per falso, riciclaggio e violazione della normativa bancaria, con l’aggravante di aver agevolato gli interessi del clan camorristico dei Casalesi. Per i pm, che hanno già inoltrato alla giunta di Montecitorio la richiesta di arresto, Cosentino era il “referente” del clan a livello politico. Al centro dell’inchiesta, i finanziamenti e le autorizzazioni per la costruzione di un centro commerciale. L’ex sottosegretario viene indicato come “sostenitore, attraverso attività illecite” del progetto (mai concretizzato) del centro ‘Il Principe’, a Casal di Principe (Caserta), da parte della società Vian srl, subentratata alla società Sirio, della quale avrebbero fatto parte alcuni presunti componenti del clan camorristico arrestati questa mattina.

Cosentino, già indagato per concorso esterno in associazione mafiosa – accusa per cui la Camera ha già rigettato una volta l’arresto – è accusato nello specifico di avere fatto pressioni su funzionari di una agenzia Unicredit di Roma perché concedessero un finanziamento di otto milioni di euro a esponenti del clan dei casalesi per la realizzazione del centro commerciale. Dalle indagini è emerso che il finanziamento sarebbe stato concesso ma successivamente bloccato perché la documentazione presentata era risultata falsa. Il parlamentare del Pdl avrebbe anche imposto al dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di dare via libera alla concessione per la costruzione del centro in violazione di tutte le norme urbanistiche.

L’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Cosentino, che riguarda anche un’altra cinquantina di persone, è stata firmata dal gip Egle Pilla, su richiesta dei pubblici ministeri Antonio Ardituro, Francesco Curcio e Henry John Woodcock (quest’ultimo applicato per quest’inchiesta alla Direzione distrettuale antimafia). L’inchiesta nella quale sono indagate complessivamente oltre 70 persone è considerata la più significativa tra quelle finora svolte sui rapporti tra camorra e politica.

Un secondo filone dell’indagine riguarda invece il voto di scambio. Questa l’accusa in base a cui sono stati arrestati politici locali del casertano, componenti delle giunte degli ultimi anni a Casal di Principe, roccaforte del clan dei Casalesi, governato da novembre da un commissario. Tra gli arrestati, Angelo Ferraro, ex assessore ai Beni confiscati, nominato ad agosto scorso dall’ultimo sindaco, Pasquale Martinelli, quando era già indagato; ma anche il fratello Sebastiano, ex consigliere provinciale per i Popolari Udeur, sospeso dal partito in via cautelativa nell’aprile 2010 dopo aver appreso che era stato raggiunto da un avviso di garanzia. In manette anche i fratelli Corvino, Antonio, ex assessore al Personale e alla Cultura della giunta di Cristiano Cipriano, primo cittadino in carica fino al 2009 e arrestato anche lui, e Demetrio, entrambi figli di Gaetano, già vice sindaco di Casal di Principe nella cui casa, con il blitz detto “di Santa Lucia”, le forze dell’ordine nel 1990 interruppero un summit di capoclan dei Casalesi.

Le lacrime e le parole. - di Barbara Spinelli

Le lacrime e le parole
Le lacrime del ministro Elsa Fornero nell'annunciare il blocco della rivalutazione delle pensioni (ansa)


TENDIAMO a dimenticare che in tutti i monoteismi, il cuore non è la sede di passioni o sentimenti sconnessi dalla ragione. Nelle tre Scritture, compresa la musulmana, il cuore è l'organo dove alloggiano la mente, la conoscenza, il distinguo.

Se il cuore di una persona trema, se quello del buon Samaritano addirittura si spacca alla vista del dolore altrui, vuol dire che alla radice delle emozioni forti, vere, c'è un sapere tecnico del mondo. Per questo il pianto del ministro Fornero, domenica quando Monti ha presentato alla stampa la manovra, ha qualcosa che scuote nel profondo. 

VIDEO La Fornero si commuove 1 

Perché dietro le lacrime e il non riuscire più a sillabare, c'è una persona che sa quello di cui parla: in pochi attimi, abbiamo visto come il tecnico abbia più cuore (sempre in senso biblico) di tanti politici che oggi faticano a rinnovarsi. Pascal avrebbe detto probabilmente: il ministro non ha solo lo spirito geometrico, che analizza scientificamente, ma anche lo spirito di finezza, che valuta le conseguenze esistenziali di calcoli razionalmente esatti. Balbettavano anche i profeti, per esprit de finesse.



VIDEORITRATTO Lady di ferro in una valle di lacrime2 di Laura Pertici


È significativo che il ministro si sia bloccato, domenica, su una precisa parola: sacrificio. La diciamo spesso, la pronunciano tanti politici, quasi non accorgendosi che il vocabolo non ha nulla di anodino ma è colmo di gravità, possiede una forza atavica e terribile, è il fondamento stesso delle civiltà: l'atto sacrificale può esser sanguinoso, nei miti o nelle tragedie greche, oppure quando la comunità s'incivilisce è il piccolo sacrificio di sé cui ciascuno consente per ottenere una convivenza solidale tra diversi.

Non saper proferire il verbo senza che il cuore ti si spacchi è come una rinascita, dopo un persistente disordine dei vocabolari. È come se il verbo si riprendesse lo spazio che era suo. Nella quarta sura del Corano è un peccato, "alterare le parole dai loro luoghi". Credo che l'incessante alterazione di concetti come sacrificio, riforma, bene comune, etica pubblica, abbia impedito al ministro del Lavoro  -  un segno dei tempi, quasi  -  di compitare una locuzione sistematicamente banalizzata, ridivenuta d'un colpo pietra incandescente. Riformare le pensioni e colpire privilegi travestiti da diritti è giusto, ma fa soffrire pur sempre.

Di qui forse la paralisi momentanea del verbo: al solo balenare della sacra parola, risorge la dimensione mitica del sacrificio, il terrore di vittimizzare qualcuno, la tragedia di dover  -  per salvare la pòlis  -  sgozzare il capro espiatorio, l'innocente.

Medicare le parole presuppone che si dica la verità ai cittadini, e anche questo sembra la missione che Monti dà a sé e ai partiti. Riportare nel loro luogo le parole significa molto più che usare correttamente i dizionari: significa rimettere al centro concetti come il tempo lungo, il bene comune, il patto fra generazioni.

Significa, non per ultimo: rendere evidente il doppio spazio  -  nazionale, europeo  -  che è oggi nostra cosmo-poli e più vasta res publica. Il presidente del Consiglio lo sa e con cura schiva il lessico localistico, pigro, in cui la politica s'è accomodata come in poltrona. Stupefacente è stato quando ha detto, il 17 novembre al Senato: "Se dovete fare una scelta  -  mi permetto di rivolgermi a tutti  -  ascoltate! non applaudite!".

L'applauso, il peana ipnotico (meno male che Silvio c'è), le grida da linciaggio: da decenni ci inondavano. Era la lingua delle tv commerciali, del mondo liscio che esse pubblicizzavano, confondendo réclame e realtà: illudendo la povera gente, rassicurando la fortunata o ricca. Erano grida di linciaggio perché anch'esse hanno come dispositivo centrale il sacrificio: ma sacrificio tribale, che esige il capro espiatorio su cui vien trasferita la colpa della collettività.

Erano capri gli immigrati, i fuggitivi che giungevano o morivano sui barconi. E anche, se si va più in profondità: erano i malati terminali che reclamano una morte senza interferenze dello Stato e di lobby religiose. La nostra scena pubblica è stata dominata, per decenni, dalla logica del sacrificio: solo che esso non coinvolgeva tutti, proprio perché nel lessico del potere svaniva l'idea di un bene disponibile per diversi interessi, credenze. Solo contava il diritto del più forte, che soppiantava la forza del diritto.

Ascoltare quello che effettivamente vien detto e fatto non ci apparteneva più. Anche il ministro Giarda si è presentato domenica come medico delle parole: "Son qui solo per correggere errori". Non ha esitato a correggere i colleghi, e ha avuto l'umiltà di dire: "Se avessimo più tempo, certo la nostra manovra sarebbe migliore".

Monti ha fatto capire che questa, "anche se siamo tecnici", è però politica piena: "L'esperienza è nuova per il sistema politico italiano. A noi piace esser cavie da questo punto di vista". Singolare frase, in un Paese dove a far da cavie sono di solito i cittadini. Ma frase coerente alla politica alta: dotata di una veduta lunga, indifferente alla popolarità breve.

Pensare i sacrifici non è semplice, perché gli italiani e gli europei da tempo si sacrificano, e tuttavia constatano disuguaglianze scandalose. Perché sacrificandosi deprimono oltre l'economia. Lo stesso Sarkozy, che campeggiò come Presidente che poteva abbassare le tasse ai ricchi visto che le cose andavano così bene, è oggi costretto ad ammettere che i francesi "stringono la cinghia da trent'anni".

Quel che è mancato, nel sacrificio cui i popoli hanno già consentito, è l'equità, l'abolizione della miseria, delle disuguaglianze. Forse  -  l'emozione dei potenti resta misteriosa  -  Elsa Fornero ha pianto perché le misure sono dure per chi ha pensioni grame. Se solo le pensioni sotto 936 euro saranno indicizzate all'inflazione, tante pensioni basse rattrappiranno come pelle di zigrino.

Si poteva fare diversamente forse, e non tutte le misure sono ardite. La lotta all'evasione fiscale iniziata dall'ultimo governo Prodi ricomincia, ma più blanda. La cruciale tracciabilità introdotta da Vincenzo Visco (1000 euro come soglia, da far scendere in due anni a 100) è fissata durevolmente a 1000. Oltre tale cifra è vietato accettare pagamenti in contanti, che sfuggono al fisco: una draconiana stretta anti-evasione è evitata. Né si può dire che tutto sia equo, e la crescita veramente garantita.

Il fatto è che si parla di decreto salva-Italia, ma si manca di chiarire come il decreto sia anche salva-Europa. Non è un'omissione irrilevante, perché il doppio compito spiega certe durezze del piano. Speriamo sia superata. Ogni azione italiana, infatti, è urgentissimo accompagnarla simultaneamente ad azioni in Europa: per smuovere anche lì incrostazioni, privilegi, dogmi.

Per dire che non si fa prima "ordine in casa" e poi l'Europa, come nella dottrina tedesca, ma che le due cose o le fai insieme, con un nuovo Trattato europeo più solidale e democratico, o ambedue naufragheranno.
 

http://www.repubblica.it/politica/2011/12/06/news/le_lacrime_e_le_parole-26154641/?ref=HREA-1