venerdì 31 agosto 2012

I preti pedofili? Vittime di bambini assatanati di sesso. By ilsimplicissimus



Non c’è davvero un limite alla vergogna, ma anche alla sua totale assenza in persone che si propongono come depositari dell’etica. Dopo il clamore per gli infiniti casi di pedofilia esplosi a ripetizione nella chiesa, ecco che finalmente un sacerdote  grida allo scandalo per questa ingiustizia. Peccato che nella sua grottesca visione delle cose le vittime siano i sacerdoti adescati da bambini e da ragazzini:  ”La gente crede che siano i preti a coltivare cattive intenzioni. Ma non è così. Nella maggior parte dei casi è il ragazzino a sedurre il sacerdote“. E aggiunge: “Storicamente le relazioni tra ragazzi e uomini maturi non erano considerati crimini, non si pensava così fino a 10 – 15  anni fa. Sono perciò incline a pensare che i sacerdoti non dovrebbero andare in prigione per questo”.
Così la pensa padre Benedict Groeschel, dell’ordine dei frati francescani del Rinnovamento,  da lui stesso fondato. Anzi non si è fatto scrupolo di dirlo  -papale papale – in un’ intervista al National Catholic Register, come riferisce l”Huffington Post (qui), Non stupirà apprendere che sia i francescani del rinnovamento, sia il Register, (rivista dei Legionari di Cristo americani)  siano su posizioni ultraconservatrici,  parti di quella galassia integralista e politicamente reazionaria che sta profondamente condizionando gli Usa. Ma sono pur sempre dentro la chiesa cattolica e il fatto stesso che certe inammissibili dichiarazioni  passino sotto silenzio, senza nemmeno una voce ufficiale di contrasto o un invito alla moderazione, dimostra ancora una volta la cattiva, anzi pessima coscienza delle gerarchie ecclesiastiche che da sempre hanno coperto  la pedofilia e imposto il silenzio con le autorità civili.
Il fatto che il Papa – protagonista in passato di un ‘occhiuta politica del segreto – si sia battuto il petto è stato interpretato come una definitiva condanna e soprattutto un’apertura della chiesa all’intervento delle autorità civili. Ma  si è trattato di un equivoco: il pentimento è stato un modo da parte della Chiesa proprio per rivendicare – in cambio  dell’autodafé – autonomia nel trattamento di questi casi, che poi così casi non sono. In un modo o in un altro, in toni ipocriti, evasivi o con le arroganti e deformi parole di Groeschel, la realtà è invece è che si pretende che i preti vengano considerati con occhio particolare, come altro rispetto alla società e rispondenti solo alle autorità religiose. Vuoi perché portano il peso della castità, vuoi in virtù della loro missione o perché sono vittime di seduzione, come nel grottesco parossismo del francescano opportunamente rinnovato. Un pentimento vero dovrebbe suggerire provvedimenti, richiami, magari una replica ufficiale. E invece un totale silenzio che fa sospettare segrete condivisioni: sedotti e abbottonati.

'Fermate i Pm, lo dice D'Alema'. - Stefania Maurizi

Massimo D Alema

Dai file di WikiLeaks emerge che la diplomazia Usa era spaventata dalle indagini dei magistrati italiani. E che in questa battaglia trovava sponde nei politici. Inclusi alcuni di centrosinistra, come l'ex ministro degli esteri.

Chiusa, inflessibile, una macchina che sforna carriere basate sul clientelismo, un potere schermato da qualsiasi forma di controllo da parte sia del governo sia degli elettori. Per gli americani, la magistratura italiana è una bestia nera. E ora che lo scontro sulla giustizia torna a farsi duro, con le telefonate tra il presidente della Repubblica, Napolitano, e l'ex presidente del Senato, Mancino, che hanno scatenato l'ennesima polemica sul tema delle intercettazioni, non è difficile immaginare da che parte sia schierata l'ambasciata di via Veneto.

A rivelare l'insofferenza degli americani sono i cablo della diplomazia Usa rilasciati da WikiLeaks. Il 3 luglio 2003, il giorno dopo il celebre attacco di Berlusconi all'eurodeputato tedesco Martin Schulz in cui venivano criticate le procure italiane, l'ambasciatore Mel Sembler scrive a Washington un rapporto riservato su quella bagarre, sparando anche lui a zero contro l'istituzione «politicizzata, corporativista, preoccupata per prima cosa e soprattutto di autopreservarsi», che «annovera anche un bacino di magistrati di sinistra che sfruttano la propria indipendenza per perseguire apertamente obiettivi politici» e che in alcuni casi «ritengono sia un loro affare (perfino un loro dovere costituzionale) guidare il corso della democrazia italiana attraverso il loro attivismo giudiziario». 

L'indipendenza delle toghe è un problema spinosissimo per gli americani: quando la magistratura va a toccare i loro interessi, non sanno come intervenire, perché non c'è un canale diretto come con la politica italiana, sempre pronta a soddisfare le loro richieste. E così quando il funzionario del Sismi, Nicola Calipari, viene ammazzato a Baghdad, e a Roma parte l'inchiesta, l'ambasciata di via Veneto consiglia un'unica soluzione radicale al Dipartimento di Stato: nessuna collaborazione con i magistrati italiani, perché «sono fieramente indipendenti e non rispondono a nessuna entità e autorità del governo, neppure al ministero della Giustizia». Mentre Berlusconi, Letta, Fini e l'ex ministro della Difesa, Antonio Martino, sono a portata di mano. E così anche con il caso Abu Omar, l'imam egiziano rapito a Milano in una delle famigerate rendition della Cia. Contro un magistrato come Armando Spataro, che chiede l'arresto e l'estradizione di ventidue agenti della Cia coinvolti nell'operazione, c'è una lunga schiera di big della politica avvicinabili e pronti a dare una mano. Come l'ex ministro leghista della Giustizia, Roberto Castelli, che si rifiuta di inviare in Usa le richieste di estradizione degli agenti Cia. O l'ex sottosegretario del primo ministro Prodi, Enrico Letta, che consiglia all'ambasciatore americano, Ronald Spogli, di «discutere la cosa personalmente con il ministro della Giustizia, Mastella». 


Il ritratto della magistratura che Spogli trasmette a Washington è impietoso - «un sistema sfasciato», forse anche «impossibile da riparare» - a tratti sfuma perfino nel maccartismo: «Negli anni '60 e '70, i comunisti italiani hanno fatto uno sforzo comune per "infiltrare" la magistratura». Ma quando il problema sono le toghe, gli Usa sanno di poter contare anche sul soccorso rosso. «Nonostante sia considerata tradizionalmente di sinistra», scrive Spogli, «Massimo D'Alema, ha raccontato all'ambasciatore che è la più grave minaccia allo Stato italiano. E che, dopo 15 anni di discussione su come riformarla, non è stato fatto alcun progresso».


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/fermate-i-pm-lo-dice-dalema/2190139

Il Quirinale: «Napolitano non è ricattabile Torbida manovra destabilizzante»


Giorgio Napolitano

Il capo dello Stato sulla ricostruzione di Panorama: manipolazioni e falsi. Cancellieri: indignata. Il Csm: attacchi strumentali. Mancino non conferma e non smentisce. La procura: notizie inesatte ma indaghiamo.

ROMA - Il capo dello Stato Giorgio Napolitano reagisce con rabbia alle indiscrezioni del settimanale Panorama sul contenutodelle telefonate con l’ex ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio superiore della magistratura Nicola Mancino intercettate dalla procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte trattative tra Stato e mafia negli anni delle stragi. E mentre Napolitano riceve una solidarietà bipartisan il Pdl e l'Udc chiedono di accelerare sulle intercettazioni.

La ricostruzione di Panorama. Sotto il titolo «Ricatto al Presidente» pubblica una ricostruzione delle chiamate. In realtà non c’è la trascrizione delle intercettazioni. Si tratta invece di una ricostruzione (sulla cui attendibilità non c’è conferma) fatta dai giornalisti del settimanale berlusconiano in rapporto con fonti probabilmente della stessa Procura. In questa ricostruzione si attribuiscono al capo dello Stato frasi su Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro e parte della magistratura inquirente di Palermo. 

«Risibile è la pretesa, da qualsiasi parte provenga, di poter “ricattare” il Capo dello Stato», è il commento in una nota del presidente della Repubblica, che respinge poi con forza «ogni torbida manovra destabilizzante», in riferimento alle ultime indiscrezioni giornalistiche sulle intercettazioni.

«Alle tante manipolazioni si aggiungono così autentici falsi», continua la nota del Quirinale. «La "campagna di insinuazioni e sospetti"» nei confronti di Napolitano «ha raggiunto un nuovo apice», sostiene ancora il colle.

«Il Presidente, che non ha nulla da nascondere ma valori di libertà e regole di garanzia da far valere, ha chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi in termini di principio sul tema di possibili intercettazioni dirette o indirette di suoi colloqui telefonici, e ne attende serenamente la pronuncia», precisa poi il comunicato del Quirinale. 

Interviene la Procura. 
Sul caso interviene la stessa Procura che non esclude di indagare sulla fuga di notizie precisando: «L'intenzione di disporre accertamenti non significa necessariamente attribuire validità alle notizie che sono state diffuse. Anche la diffusione di una notizia parziale o inesatta rende ipotizzabile che vengano disposti accertamenti in questo senso», ha spiegato il procuratore di Palermo Messineo. Alfredo Mantovano che si era chiesto come potesse il procuratore valutare se aprire un'inchiesta sulla ricostruzione delle conversazioni intercettate tra l'ex ministro Nicola Mancino e il capo dello Stato, «visto che lo stesso magistrato aveva detto che quanto pubblicato sul settimanale non risponde al vero». «Confermo che le anticipazioni non trovano corrispondenza con il contenuto delle telefonate intercettate - aggiunge Messineo - ma ovviamente non intendo fornire particolari sugli elementi di difformità».

Il Viminale. «Chi offende Giorgio Napolitano offende anche il popolo italiano», ha detto il ministro dell'Interno, Annamaria Cancellieri, esprimendo «solidarietà piena e totale al Capo dello Stato come istituzione e anche all'uomo che ha passato una vita in rettitudine». Il ministro dell'Interno ha espresso «la massima indignazione» dopo l'articolo di Panorama. «Ogni italiano - ha sottolineato - dovrebbe provare disprezzo per ciò che sta accadendo». Rispondendo poi ad una domanda su possibili azioni in merito da parte del Viminale, il ministro ha assicurato che «se c'è qualcosa che potrà servire la farò».

Il Csm. Il Comitato di Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura esprime «piena solidarietà al Presidente della Repubblica, oggetto da tempo di attacchi tanto infondati quanto strumentali». «Nel dare atto al proprio Presidente della assoluta correttezza dei suoi comportamenti in tutta la vicenda - sottolineano in una nota il Vice presidente del Csm Michele Vietti, il Primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo e il Procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani - oggetto, ancora di recente, di pretese rivelazioni giornalistiche, il Comitato di Presidenza ricorda in particolare che le conversazioni intercettate non sono nella disponibilità del Capo dello Stato sia perché ancora sottoposte a segreto di indagine, che certo non si potrebbe istigare a violare, sia perché oggetto del conflitto di attribuzione sollevato dinnanzi alla Corte Costituzionale che ne deve decidere liberamente il destino, sia perchè la loro riservatezza attiene direttamente alle prerogative istituzionali e non personali del Presidente della Repubblica».

Mancino. «Io ho mantenuto un mio atteggiamento di carattere istituzionale, non sono io che devo dire se corrisponde al vero o non corrisponde al vero quanto detto da Panorama», commenta Nicola Mancino parlando al Fatto quotidiano. L'ex ministro non conferma e non smentisce la veridicità della ricostruzione pubblicata questa mattina dal settimanale della famiglia Berlusconi. «Gli atti dovrebbero stare secretati e non si capisce chi è che ne ha violato la secretazione», aggiunge. Quanto alla veridicità della ricostruzione di Panorama Mancino non si pronuncia, si limita a dire: «Non lo so, non lo dovete chiedere a me, ma a Panorama. Non dico niente, non intendo scendere nel merito. Quando intendo fare una dichiarazione la faccio tramite agenzie. Se poi il quotidiano ritiene di riprenderla».

Bisognerebbe spiegare alla Cancellieri che noi cittadini onesti non abbiamo ricevuto benefici, come lei, dal Presidente Napolitano, ma solo pesci in faccia. Perchè se un Presidente della Repubblica intende bloccare o fare cancellare le inte
rcettazioni che lo riguardano da vicino è come se prendesse a pesci in faccia i cittadini della sua Repubblica. Se mostrasse un po' più di rispetto nei nostri confronti, forse potremmo anche ricrederci sul suo operato. Se lui, invece di nominare un governo tecnico tenuto sotto scacco da un parlamento di corrotti, avesse prima sciolto le camere, ora forse avremmo di lui una diversa opinione. 
Si chieda invece, sempre la Cancellieri, chi potesse essere a conoscenza del contenuto delle intercettazioni e le abbia divulgate (forse Mancini stesso?), e prenda seri provvedimenti! 
Siamo stanchi di prese in giro! Non siamo noi i responsabili della situazione nella quale ci troviamo: noi siamo solo le vittime della pessima gestione di un Governo che non funziona, a cominciare dal Quirinale! 
By Cetta.

GRILLO PAGATO IN NERO? ECCO LA FATTURA CHE LO SCAGIONA .



La notizia è destituita da ogni fondamento. Ecco la fattura che lo dimostra.

"L'accusa mossami da Giovanni Guerisoli sui 10 milioni cash in nero è totalmente infondata. Sarà querelato dai miei avvocati al più presto". Lo scrive su twitter Beppe Grillo, rispondendo così alle parole di Giovanni Guerisoli che ieri alla "Zanzara" aveva accusato Grillo di avere chiesto, per uno spettacolo, 10 milioni di lire cash senza fattura.

In merito alla notizia riportata da alcuni quotidiani su un presunto compenso in nero percepito da Grillo per la partecipazione ad una iniziativa sindacale, la Cisl precisa in una nota che la notizia è destituita da ogni fondamento. "L'evento sindacale a cui fu invitato anche Beppe Grillo dalla Cisl, si svolse a Rimini il due febbraio del 1996. In nessuna altra occasione Beppe Grillo ha partecipato ad iniziative della Cisl".

Cisl allega anche il programma della manifestazione di Rimini del 1996 e riconferma che in quella occasione fu regolarmente emessa dall'impresario di Beppe Grillo una regolare fattura come quietanza, fattura tuttora conservata negli archivi della Cisl. 


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Nel video, la replica di Bonanni che smentisce le dichiarazioni di Giovanni Guerisoli: 


Fonte: Agi 


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Legge elettorale, i partiti lavorano all'editto "ad MoVimentum" 
http://www.cadoinpiedi.it/2012/08/30/grillo_pagato_in_nero_ecco_la_fattura_che_lo_scagiona_-_foto.html

Il Colle al telefono secondo Panorama: “Insulti a B, Di Pietro e pm di Palermo”.


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Silvio Berlusconi è preoccupato per la sentenza Ruby e preme per le elezioni anticipate a novembre. E il settimanale di famiglia pubblica una "ricostruzione esclusiva" senza virgolettati delle intercettazioni tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino. Per Ingroia "è un ricatto al Presidente della Repubblica".
Si tratterebbe di una “ricostruzione esclusiva” delle telefonate tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino intercettate nell’inchiesta della Procura di Palermo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Il settimanale Panorama in edicola oggi pubblica le “indiscrezioni sul contenuto delle conversazioni tra Napolitano e Mancino” nelle quali, sempre secondo il giornale della famiglia B, sarebbero stati espressi “giudizi e commenti taglienti su Silvio BerlusconiAntonio Di Pietro e parte della magistratura inquirente di Palermo”. Nella ricostruzione non ci sono virgolettati (“avventurarsi nei virgolettati è un esercizio pericoloso e soggetto a facile smentita, dal momento che non esistono tracce di questi colloqui nelle carte processuali” scrive l’autore dell’articolo Giovanni Fasanella), ma nel sommario del pezzo dedicato alla vicenda si legge: “Nel tentativo di delegittimare il presidente della Repubblica, alcuni giornali fingono di avanzare ‘ipotesi di scuola’ che tanto somigliano alla verità. Ma finiscono per dare concretezza a un tentativo di ricatto”. Il riferimento va in particolare al Fatto Quotidiano e a Repubblica, e nell’articolo la ricostruzione parte dagli interventi di Ezio MauroMarco Travaglio e Adriano Sofri che nei giorni scorsi hanno alimentato il dibattito politico, specie sul conflitto di attribuzioni sollevato dal Colle in merito all’intercettabilità del Capo dello Stato. Per il pm Antonio Ingroia quello di Panorama (giornale che in passato “ha tirato a indovinare” ha detto il magistrato di Palermo) è “un ricatto” ai danni del Presidente della Repubblica.
Fatto sta, che la ricostruzione dal settimanale arriva in un momento delicato per il Cavaliere, preoccupato per la sentenza sul caso Ruby. La prossima udienza è fissata per il 5 ottobre ed entro Natale ne sono previste altre dieci. Rimangono da sentire 99 testimoni “pro Berlusconi”, come ricorda oggi Repubblica, per cui basterebbero “cinque udienze”. In tutto, quaranta ore. Quindi significa che “la sentenza potrebbe arrivare tranquillamente entro l’anno”. Da qui l’urgenza dell’ex premier di spingere per le elezioni anticipate a novembre, che potrebbero metterlo al riparo da un’eventuale condanna. L’urgenza delle urne è stata ribadita anche qualche giorno fa dal segretario del Pdl Angelino Alfano che al Corriere della Sera ha dichiarato: “Silvio Berlusconi che guida una campagna elettorale che punta al pareggio? Noi corriamo per vincere e governare”.
Nell’articolo sulle presunte “ricostruzioni”, il settimanale oggi in edicola aggiunge: “Diverse fonti hanno confermato a Panorama nei giorni che hanno preceduto gli interventi di Mauro, Travaglio e Sofri che il contesto da loro delineato, e abilmente dissimulato, è molto prossimo alla verità. Per essere ancora più espliciti: le telefonate dirette tra il capo dello Stato e Mancino risalirebbero al periodo dell’ultima crisi di governo (siamo agli sgoccioli del 2011) con corollario di giudizi su diversi protagonisti di quella fase, alcuni dei quali molto ruvidi e ovviamente impossibili da rintracciare nelle dichiarazioni ufficiali dell’epoca o successive”. Ma delle telefonate non c’è traccia e l’articolo prosegue con le ipotesi e la convinzione che “la pubblicazione di robusti giudizi su leader politici finirebbe per collocare le parole del Capo dello Stato fuori dal contesto in cui sono pronunciate”. E se invece venissero pubblicate? “Finirebbero inevitabilmente per aumentare un clima già rovente, con effetti destabilizzanti non solo per la tenuta e il ruolo terzo del Quirinale, ma anche per l’attuale governo”.
Sulla vicenda interviene anche il procuratore di Palermo Francesco Messineo che puntualizza: ”Valuteremo, quando avremo acquisito tutti gli elementi utili, se aprire un’inchiesta sulla fuga di notizie perchè è evidente che c’è stata una rivelazione di cose coperte dal segreto istruttorio”. Se debbano indagare Palermo o Caltanissetta,  dal momento che, in via teorica, non può escludersi che il presunto responsabile della fuga di notizie possa essere stato un pm palermitano Messineo considera “prematuro interrogarsi ora su chi sia competente a indagare” e smentisce comunque che la ricostruzione delle telefonate fatta da Panorama corrisponda al loro reale contenuto.
Parla di “regole del diritto calpestate” l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini perché “in questo caso le intercettazioni indebitamente raccolte e poi pubblicate riguardano addirittura conversazioni del Capo dello Stato”. Eppure Panorama non ha pubblicato nessuna intercettazione. Nonostante questo Frattini prosegue: “Intercettazioni – aggiunge – che si dovevano distruggere subito, e non raccogliere per ulteriori valutazioni, e che – come in molti altri casi, anzitutto nei confronti di Berlusconi premier – sono finite sui giornali”. Secondo l’ex ministro con le “ricostruzioni esclusive” del settimanale “si vuole colpire la funzione e la persona del presidente Napolitano per destabilizzarne il ruolo sinora esercitato – prosegue Frattini – e che nei prossimi mesi dovrà ancora esercitare, per la gestione della difficile crisi italiana. Occorre tenere giù le mani dalla istituzione (e dalla persona) che presidia al massimo livello in questa fase complessa per l’Italia le garanzie costituzionali per tutti i cittadini”. 
Le ‘rivelazioni’ del settimanale Panorama sono utili, secondo il senatore del Pdl Sandro Bondi, perché “confermano tre punti indiscutibili: in primo luogo che nessuna autorità istituzionale nel nostro Paese ha saputo mantenere un profilo completamente indipendente dalle battaglie politiche; in secondo luogo le azioni internazionali e nazionali esercitate allo scopo di giungere alla formazione di un governo presieduto dal prof. Monti sono approdate, come nel 1994, con il rovesciamento della volontà popolare; infine la necessità ormai indifferibile di una legge che tuteli la riservatezza delle comunicazioni personali, dal Presidente della Repubblica fino al più semplice cittadino”. 
Anche Repubblica sottolinea che lo ‘scoop’ di Panorama “non cita tra virgolette il testo delle intercettazioni. Si limita a ipotizzare per sommi capi gli argomenti e precisa come mai spunti anche il nome di Berlusconi nei colloqui: le conversazioni si riferirebbero al periodo novembre-dicembre 2011, cioè al momento delle dimissioni del Cavaliere e all’insediamento del governo Monti. Inoltre il direttore di Panorama Giorgio Mulè, nell’editoriale, “spiega che è proprio il clima di allusioni alimentato dai pm a prefigurare un tentativo di condizionamento del capo dello Stato. Per questo, scrive, “basta giochetti, le ipocrisie fanno solo il gioco dei ricattatori”. 
Per il quotidiano Il Tempo, invece, si tratta di “un piatto avvelenato” o di “una bomba che farà un gran rumore”. E domanda: “Da dove sono uscite le intercettazioni pubblicate da Panorama? Antonio Ingroia, prudentemente, mette le mani avanti: ‘Qualcuno sapeva, a partire dagli stessi indagati, di aver parlato con varie persone, anche con il Capo dello Stato. Lo sapeva non solo chi indagava, ma anche chi aveva parlato al telefono. Sapeva con chi e cosa aveva detto, non escludiamo anche questo’”. Inoltre per il pm “qualora le intercettazioni che sono pubblicate fossero corrispondenti al contenuto e questo va accertato, bisognerà capire anche da chi sono uscite. Sarebbe un gravissimo illecito, e la Procura di Caltanissetta dovrebbe accertare responsabilità, visto che fra i sospettati ci sarebbero anche magistrati di Palermo. Ma noi abbiamo la coscienza a posto, non abbiamo messo in giro le intercettazioni”.

«Il Colle spinse Boccassini» - Ulisse Spinnato Vega


Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.


La telefonata di Napolitano a Caltanissetta.
Si aggiunge un nuovo capitolo sulla presunta ingerenza del Colle nella gestione delle indagini sulla trattativa Stato-mafia e sui fatti del '92-'93. Questa volta sotto la lente non è la procura di Palermo, ma quella di Caltanissetta a cui il presidente Giorgio Napolitano telefonò per perorare l'applicazione all'inchiesta su via D'Amelio di Ilda Boccassini. Operazione ideata dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.
La polemica sollevata intorno al capo dello Stato non accenna quindi a placarsi. E continua a dividere stampa e opinione pubblica.
IL RUOLO DELLA PROCURA NISSENA.Esiste infatti un precedente finora inedito e un po’ più datato rispetto agli eventi del 2012.
Da quanto risulta a Lettera43.it, si tratta di una telefonata fatta tre anni fa dal presidente della Repubblica in persona al procuratore capo nisseno, Sergio Lari (che ha smentito l'indiscrezione), in relazione alle nuove indagini su via D’Amelio.
Un evento che se paragonato alle mosse di Mancino e del consigliere del Quirinale, Loris D’Ambrosio, poteva avere effetti ben più clamorosi  per le inchieste sui fatti del ’92-’93.

La nuova inchiesta e le presunte pressioni del Colle

Nel 2009, stando alla ricostruzione fornita dalle fonti, la procura di Caltanissetta riaprì i faldoni sulla strage di Via D’Amelio dopo che le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza avevano mandato in frantumi l’impianto di tre processi con tanto di sentenze definitive.
GRASSO PUNTA SU BOCCASSINI. Il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, accarezzò a quel punto l’idea (in nome del coordinamento tanto evocato anche tre anni dopo da Mancino al telefono con D’Ambrosio) di applicare alla nuova indagine il giudice Ilda Boccassini, spostandola così da Milano a Caltanissetta. E in maggio lo comunicò ai magistrati nisseni.
L’esperta toga napoletana era stata infatti tra i primi, verso la fine del 1994, a intuire il bluff del falso pentito Vincenzo Scarantino intorno al quale erano state costruite le vecchie inchieste sulla strage di Via D’Amelio e, secondo Grasso, avrebbe potuto dare, ancora una volta, un contributo importante alla nuova indagine basata sulla fonte Spatuzza.
LA TELEFONATA A LARI. Alte cariche istituzionali appoggiarono la manovra del procuratore antimafia e, nella primavera del 2009, elemento finora mai trapelato, Napolitano in persona si mosse: il capo dello Stato chiamò infatti almeno una volta il procuratore Lari per perorare presso i magistrati nisseni la soluzione Boccassini. E fornì, dunque, un’altissima copertura istituzionale all’operazione voluta da Grasso.

Il cavillo che poteva compromettere l'intera indagine

Operazione che tuttavia spiazzò, irritò e preoccupò non poco le toghe di Caltanissetta. Infatti Boccassini, avendo già partecipato all’inchiesta sulla morte di Borsellino e dei suoi uomini incardinata sul depistaggio Scarantino-Candura, era testimone dei fatti in oggetto e non poteva certo occuparsene di nuovo.
Si trattava di un dettaglio, un vizio di forma che poteva generare delle incompatibilità e al quale un qualunque azzeccagarbugli avrebbe potuto aggrapparsi per far saltare l’intera indagine.
MANOVRA SVENTATA. L’incauta manovra Grasso, che sarebbe stata appoggiata (c’è da supporre in assoluta buona fede) da Napolitano in persona, venne per fortuna sventata dallo stesso pool di Caltanissetta che passò al contrattacco e nel giugno 2009 decise di interrogare Boccassini come persona informata dei fatti.
Quelle otto pagine scarse di verbale salvarono al tempo l’inchiesta perché crearono una condizione ostativa formale, facendo sì che Boccassini non potesse essere applicata alla nuova indagine su via D’Amelio.

Trattativa, ricostruzioni ‘esclusive’ di Panorama. Ingroia: “Ricatto”.


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Anche il leader Idv d'accordo con il pm della procura siciliana. Per settimanale della famiglia Berlusconi nelle telefonate tra Mancino e Napolitano ci sarebbero "giudizi e commenti taglienti su Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro e parte della magistratura inquirente di Palermo".

“Se così fosse sarebbe un grave illecito”. Di più: “Un ricatto”. Ha reagito così il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, interpellato sulleanticipazioni del settimanale Panorama, che oggi in edicola ha pubblicato “una ricostruzione esclusiva” delle telefonate tra il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Quelle telefonate sono diventate caso politico e oggetto di un ricorso che lo stesso Napolitano ha promosso di fronte alla Consulta contro i pm di Palermo che indagano sulla presunta trattativa Stato-mafia. Per ora il Quirinale ha preferito non commentare le indiscrezioni giornalistiche.
Il settimanale ha pubblicato una sua “ricostruzione delle telefonate”, aggiungendo quali sono gli argomenti trattati nelle conversazioni. Scrive che si tratta di “giudizi e commenti taglienti su Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro e parte della magistratura inquirente di Palermo”. Proprio Antonio Di Pietro, tra l’altro, alla notizia dell’anticipazione è nuovamente tornato sulla vicenda: “Probabilmente – ha detto il leader dell’Idv – Napolitano si sarà lasciato scappare qualche parolaccia di troppo nei confronti dei magistrati di Palermo e questo, detto dal presidente del Csm, non appare opportuno”. Secondo il leader Idv “lo avrà fatto per delle ragioni sue personali”, e ha invitato il Capo dello Stato a ritirare il ricorso. E si è detto d’accordo con Ingroia, parlando anche lui di “ricatto”
In serata Ingroia ha però sottolineato come “in passato Panorama ha tirato ad indovinare”. Le indiscrezioni sulle intercettazioni – dice il magistrato, che ha anche ricordato come il presidente Scalfaro nel 1997, intercettato, non sollevò alcun conflitto – sono iniziate ad uscire sul settimanale già da tempo. “Qualcuno sapeva, a partire dagli stessi indagati, di aver parlato con varie persone, anche con il Capo dello Stato. Lo sapeva non solo chi indagava, ma anche chi aveva parlato al telefono”. Duro contro il pm della procura di Palermo il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, secondo cui”Ingroia sta mettendo le mani avanti rispetto al disastro politico e istituzionale che lui ed altri della procura di Palermo hanno combinato”, aggiungendo che “c’é qualcuno che ha giocato in modo irresponsabile ad un attacco alle istituzioni e adesso cerca goffamente di cancellare le impronte”.
Un’ulteriore indiscrezione è circolata su “Lettera 43″. Il quotidiano online riferisce di una presunta telefonata di Napolitano al procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, nel 2009 per “spingere” l’applicazione del pm di Milano Ilda Boccassini alla procura nissena che indaga sulla strage di via D’Amelio in cui morì Borsellino. Ma Lari ha smentito “categoricamente” qualsiasi “pressione dal Quirinale” sulla Boccassini e “in generale sulle indagini relative alla trattativa condotte dal mio ufficio”. Un anno dopo l’inizio della collaborazione del pentito Gaspare Spatuzza, ha spiegato Lari, “il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso mi propose l’applicazione della Boccassini alle indagini sulla strage di via D’Amelio. Io risposi dicendo che, pur riconoscendo le grandi doti della collega, ritenevo inopportuna l’applicazione in quanto si era occupata già dell’inchiesta (Boccassini ha lavorato a Caltanissetta tra il ’92 e il ’94, ndr) e avremmo dovuto sentirla come testimone. La cosa finì lì. Ma ci tengo a ribadire che né Napolitano né il suo staff si è mai occupato della vicenda”.

Falsi invalidi: nel 2010 revocate 9801 pensioni, dati shock su alcune regioni.



Ecco i dati diffusi dal Ministero del Lavoro: è evidente come la media sia più elevata nel mezzogiorno rispetto al nord: ma anche dal "centro" arrivano dati allarmanti: in Umbria revocate 415 pensioni su 2.036 pari al 20,4% dei soggetti controllati, il dato più alto d'Italia, mentre nelle vicine Marche si registra il dato più basso: su 2422 soggetti sottoposti a verifica, sono state revocate solo 20 pensioni, pari allo 0,8%: viene da chiedersi se nelle Marche i cittadini siano così virtuosi, oppure se i controlli hanno avuto le maglie troppo larghe...  

http://www.nocensura.com/2011/10/falsi-invalidi-nel-2010-revocate-9801.html

Intervista col morto. - Marco Travaglio



Le prossime elezioni rischiano di costare la
pelle non solo ai grandi partiti, ma anche agli
editori e ai prenditori che ingrassano alle loro

spalle. Dunque prepariamoci a dosi
quotidiane di olio di ricino (quando B. era il nemico,
qualcuno avrebbe detto “metodo Boffo”) per i
nemici della strana maggioranza Pdl-Udc-Pd, che poi
tanto strana non è: Di Pietro, Grillo, alcuni pm che
insidiano il nuovo regime tripartito, già bollati di
“fa s c i s t i ” e “populisti”, diverranno prossimamente
nazisti, poi magari pedofili. Nessun mezzo o
mezzuccio verrà risparmiato. L’antipasto lo fornisce
La Stampa, che inaugura contro Di Pietro un nuovo
genere giornalistico: l’intervista col morto. Il
trapassato di turno è l’ex ambasciatore Usa in Italia
Reginald Bartholomew, deceduto domenica. Ieri, a
cadavere caldo, Maurizio Molinari ha pubblicato
parte di un colloquio avuto con lui “il mese scorso”
in un ristorante di Manhattan. Così il defunto non
può smentire, né essere querelato. Titolo in prima:
“Rivelazione: ‘Così fermai lo strano flirt fra l’Amer ica
e Di Pietro’”. Dunque nel '93 (quando Bartholomew
divenne ambasciatore a Roma) Di Pietro aveva uno
“strano flirt con l’America”. Senonché nell’articolo
Di Pietro è nominato una sola volta, e per dire che
l’ambasciatore non incontrò né lui né alcun pm di
Mani Pulite. Di chi e di quale flirt stiamo parlando?
“Bartholomew si accorge che qualcosa nel
Consolato a Milano ‘non quadrava’”. Cosa? Mistero.
Bartholomew aveva una tal “urgenza di lasciare una
testimonianza” a Molinari che non gliel’ha detto. “Se
– scrive Molinari – fino ad allora il predecessore
Secchia aveva consentito al Consolato di Milano di
gestire un legame diretto con il pool di Mani Pulite,
‘d’ora in avanti tutto ciò con me cessò’, riportando
le decisioni in Via Veneto”. “Tutto ciò” cosa? Quali
“decisioni”? Mistero: il pover’uomo è spirato fra le
braccia del cronista con le risposte sulla punta della
lingua. Le sue uniche affermazioni su Mani Pulite
(mai su Di Pietro) sono suoi personalissimi giudizi
sul pool che “violava sistematicamente i diritti di
difesa degli imputati in maniera inaccettabile in una
democrazia come l’Italia, a cui ogni americano si
sente legato”. Ma guarda un po’: il cuoricino
candido dell’ambasciatore di un paese che ha ancora
la pena di morte sanguinava per quei poveri
tangentari arrestati. Così convocò “il giudice Scalia
della Corte Suprema per fargli incontrare sette
importanti giudici italiani (quali ovviamente non lo
dice, così nessuno può smentire, ndr) e spingerli a
confrontarsi sulla violazione dei diritti di difesa da
parte di Mani Pulite” alla luce del “diritto
anglosassone”. Infatti negli Usa i processi per i
“fe l o ny ” (i nostri delitti) partono con l’arresto
automatico dell’imputato che poi, se ha i soldi, esce
su cauzione. Nei due anni di Mani Pulite invece, su
5mila indagati, solo 900 furono arrestati. Non dai
pm, come vaneggiano Bartholomew e Molinari, ma
da un gip, di solito confermato da 3 giudici di
Riesame e 5 di Cassazione, a riprova del fatto che
non vi furono abusi. Ultima rivelazione: “Nel luglio
'94 il presidente Clinton arriva in Italia al G7 che il
governo Berlusconi ospita a Napoli” e proprio in
quel mentre “Mani Pulite recapita al premier un
avviso di garanzia. La reazione di Bartholomew è
molto aspra: ‘Si trattò di un’offesa al presidente Usa
perché era al vertice e il pool Mani Pulite aveva
deciso di sfruttarlo per aumentare l’impatto della sua
iniziativa giudiziaria contro Berlusconi”. Però, che
notiziona. C’è solo un piccolo dettaglio, sfuggito
all’anziano infermo e anche all’informatissimo
intervistatore: il primo “avviso di garanzia” (che poi
era un invito a comparire), fu recapitato a B. non nel
luglio '94 durante il G7 di Napoli, ma il 21 novembre
durante un incontro internazionale anti-crimine,
dove non c’era ombra di Clinton. Ora però Molinari
annuncia altre “puntate” con nuove mirabolanti
“r ivelazioni”. Nella prossima, Di Pietro pedofilo e i
pm cannibali. L’ha detto il morto.

(ilFQ 30/8/2012)

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mercoledì 29 agosto 2012

Firth, i discorsi dei popoli. - Concita DeGregori



La storia la fanno i piantagrane, dice Colin Firth nel suo italiano eccellente e a tratti perfino desueto. Troublemakers, piantagrane. I giornali del mattino portano in prima pagina la foto delle Pussy Riot, capaci in questo tempo di fare più rumore di quel che tanti dissidenti fecero nel loro.
Pop star e divi del cinema hanno l' autorevolezza che fu degli intellettuali e il potere dei capi di stato: nella classifica di Forbes delle cento donne più influenti del pianeta Angelina Jolie occupa un posto fra Angela Merkel e Sonia Gandhi alla categoria "benefattrice". Si occupa di bambini. Il potere essendo responsabilità è difatti piuttosto importante, per chi mette la sua fama al servizio di una causa, stabilire che cosa si vuole promuovere oltre se stessi. "Chi aiuta chi", titolava giorni fa con leggerissima ambiguità di senso un settimanale inglese a proposito di star e associazioni benefiche. Colin Firth ha scelto il dissenso. Promuove la voce di chi non ha voce. L' altra storia: quella che la cronaca chiama delitto. Apre il suo computer e scorre la lista dei testi che conosce a memoria. Le ultime parole di un condannato a morte, un discorso di Bobby Sands, la lettera ai figli della donna che non volle abiurare al suo credo religioso, il Sir Thomas More di Shakespeare, il testo scaricato l' altro giorno da Youtube dell' invettiva di una ragazza senza lavoro. Le parole del dissenso, in ogni tempo. "Sono figlio di un professore di storia, ho studiato i testi classici e ho avuto nella vita la ventura di interpretare in teatro molte storie di re. Anche al cinema i re hanno avuto e hanno qualche popolarità" - sorride - "Ho tratto grande gioia nell' esercizio di prestare la mia voce e il mio corpo ai sovrani, gioisco ora del contrario". Il contrario sono le parole della gente, socialisti anarchici agitatori studenti donne senza nome, le voci che salgono dal basso. Voci contro. "La storia non è qualcosa che sta negli scaffali della libreria, la storia è fuori per strada". "The people speak": così si chiama il progetto e lo spettacolo che Colin Firth, premio Oscar per Il discorso del Re, produce dirige e per una parte interpreta a teatro. La voce di chi ha detto no, le ragioni del popolo. Uno spettacolo "virale": è nato in America dal lavoro fortunatissimo dello storico Howard Zinn, l' autore da poco scomparso della monumentale Storia popolare degli Stati Uniti. E' stato importato a Londra l' anno scorso da Firth e dall' agente letterario Antony Arnove, sostenuto da History Channel, tradotto in libro e in dvd. Fra poco più di due settimane sarà di nuovo in scena a Notting Hill, altri interpreti e altri testi. A fine gennaio arriverà in Italia, all' Auditorium di Roma, prodotta da Livia Giuggioli Firth, la moglie italiana di Colin, e da suo fratello Alessandro: in una versione naturalmente originale con brani tratti dalla storia popolare del nostro paese. La data di Londra è il 16 settembre, sette di sera. Al Tabernacle di Nottingh Hill insieme a Firth saliranno sul palco il grande Ian McKellen, Rupert Everett, Anna Chancellor ( Quattro matrimoni e un funerale ), il cantante Tom Robinson, il gruppo The Unthanks, Stephen Rea (V per vendetta ), Emily Blunt ( Il diavolo veste Prada) e molti altri autori e interpreti di grande successo. L' idea è che la popolarità degli interpreti renda popolari anche parole altrimenti destinate a restare sconosciute o ad essere dimenticate, dice Colin. "Qui gli attori sono chiamati non a fare da volto, da sponsor di qualcuno o di qualcosa, non ad abbracciare una causa. Devono fare piuttosto esattamente il loro lavoro, quello per cui sono normalmente pagati, se hanno imparato a farlo: leggere e interpretare le parole di altri".I testi scelti, aggiunge, sono da considerarsi un esempio, un "menu degustazione": "Vanno dal 1500 ad oggi e non abbiamo nessuna ambizione di aver fatto una selezione completa, al contrario. I brani sono stati scelti perché ci sono piaciuti. Grandi quantità di materiale sono state lasciate fuori. Spero che molti siano spinti a farlo notare e compilare un altro elenco, e poi un altro. Soprattutto spero che queste parole possano servire di ispirazione per spingere ciascuno a far sentire la sua voce sulle questioni che gli stanno a cuore. La democrazia è uno sport che non prevede spettatori". La selezione "incompleta e arbitraria" delle voci del dissenso nella storia inglese va da Shakespeare ai Monty Phyton, dalla "grave indecenza" del processo ad Oscar Wilde alla testimonianza anonima di una lesbica negli anni ' 50, le parole del pastore protestante Gerrald Winstanley, l' arringa contro lo schiavismo dell' avvocato Robert Wedderburn, nato nell' 800 in Giamaica, il discorso sullo sciopero del laburista Ben Tillet, 1911, la ballata del cantautore Frank Higgins sulla ragazzina che lavora in miniera, James Connoly sulla causa irlandese, la suffragetta Emmeline Pankhurst sul voto alle donne, Virginia Woolf nella stanza tutta per sé, Elvis Costello, Harold Pinter, le note di Glad to be Gay di Tom Robinson. Nel volume che Canongate ha pubblicato coi testi dello spettacolo dell' anno scorso Colin Firth ha scritto, nella prefazione: "Molte delle vere storie di Inghilterra mi si sono rivelate attraverso piaceri colpevoli. La musica che non avrei dovuto ascoltare, la battuta alla quale non avrei dovuto ridere, il libro che non avrei dovuto leggere. Storie spesso scritte da uomini e donne che non avevano nessun potere politico, che furono imprigionati, torturati, condannati e a volte uccisi per le loro parole e le loro azioni finché alla fine le loro idee sono state adottate e sono arrivate fino a noi come diritti fondamentali. Queste libertà sono ora sotto la nostra responsabilità di cura. Se non lavoriamo su di loro saranno perse molto più facilmente di quanto non siano state guadagnate". Perché la democrazia è uno sport che non prevede pubblico, appunto. Uno show dove non c' è posto per gli spettatori.

da LaRepubblica del 25.08.2012

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=353760888042416&set=a.236707446414428.59232.235982526486920&type=1

Se li conosci li eviti. - Marco Travaglio



Commentando nel web il dibattito di lunedì a La7 sulla trattativa Stato-mafia, molti rimproverano a Mentana di aver invitato Ferrara. Non sono d’accordo. Intanto va apprezzata la perfidia di Mentana, che ha invitato Ferrara a un programma intitolato Bersaglio mobile. E poi Ferrara, specie quando non dialoga con se stesso e veste come Bagonghi, va chiamato spesso, possibilmente sempre. Nessuno meglio di lui riassume, con una franchezza che sconfina nella spudoratezza, come ragiona (si fa per dire) il Potere in Italia. E dimostra, anche fisiognomicamente, la differenza fra i giornalisti che raccontano i fatti e quelli che programmaticamente li ignorano per non disturbare le proprie certezze malate.
Infatti s’è subito trasformato in una gigantesca macchinetta spara-palle, tipo quelle usate per allenare i tennisti: ne sparava così tante che era impossibile respingerle tutte. “Andreotti è stato assolto” (prescritto per “il reato commesso fino al 1980”). “La sentenza Iacoviello della Cassazione ha smentito che Dell’Utri sia mafioso” (Iacoviello è un sostituto Pg e non fa sentenze: la sentenza conferma che Dell’Utri è colpevole per il lungo periodo trascorso al servizio di B., mentre occorre un nuovo appello per provare che lo fosse anche nei tre anni al servizio di Rapisarda). “Anche Falcone trattò con la mafia, vedi Buscetta” (Falcone convinse Buscetta a collaborare non per trattare con la mafia, ma per processarla). “La mafia è stata sconfitta” (senza parole). “L’agenda rossa di Borsellino è una minchiata” (infatti l’han fatta sparire). “L’inchiesta sulla trattativa non è condivisa nemmeno dal procuratore Messineo” (il “visto” del capo non è previsto sull’atto di conclusione delle indagini; lo è invece sulle richieste di rinvio a giudizio ed è prontamente arrivato). “Il pm Di Matteo ha svelato aRepubblica le intercettazioni di Napolitano per ricattarlo” (le svelò Panorama). “Ingroia chiede il segreto di Stato perché alle accuse non crede neanche lui” (Ingroia chiede a chi giustifica la trattativa in nome della ragion di Stato di dire tutto ciò che sa e sfida i politici, se la condividono, a fare una legge che liceizzi ex post quella condotta criminale). “Ingroia fugge in Guatemala per non sostenere l’accusa al processo” (falso: l’invito dell’Onu per l’incarico in Guatemala risale a oltre un anno, e l’accusa ai processi la sostengono di solito i sostituti, non gli aggiunti).
Molto divertente il teorema secondo cui i pm di Palermo indagano sulla trattativa non perché sia una notizia di reato, su cui la Costituzione impone di indagare, ma “per fare carriera”: com’è noto, in Italia, il miglior modo di fare carriera è mettere sotto processo politici di destra e di sinistra più qualche ufficiale del Ros, e ritrovarsi subito dopo alle calcagna Quirinale, Avvocatura dello Stato, Consulta, governo, Parlamento, Pg della Cassazione, Csm, giornaloni e tg a reti unificate. Un carrierone. Molto opportuno anche l’invito di Mentana a Macaluso, che faticava a comprendere la differenza fra un giornale libero e un giornale di partito, scattava come la rana di Galvani solo alla parola “Napolitano”, scambiava per “attacchi al Quirinale” qualunque critica all’inquilino pro tempore ma poi mostrava gravi lacune sul conflitto di attribuzioni (l’amato Presidente non sostiene affatto che “nella Costituzione c’è un vuoto da colmare”, ma che i pm di Palermo han violato le sue presunte prerogative costituzionali).
Era presente, oltre a Di Pietro, un deputato del Pd, tal Boccia, accomunato agli altri due dall’assoluta ignoranza sul tema di cui si parlava: appena si tentava di spiegargli la trattativa, sorrideva beotamente, più divertito ancora di Ferrara. Ma è stato giusto invitare anche lui. Altrimenti non si capirebbe cosa sta diventando il Pd, perché si allea con Casini, perché molti elettori hanno l’ulcera perforata, perché Vendola ha vinto due primarie su due in Puglia e perché non basta essere giovani per essere meglio dei vecchi.
Il Fatto Quotidiano, 29 agosto 2012