giovedì 9 febbraio 2012

Se la Fornero facesse l’operaia. - di Alessandro Robecchi.




Scene di lotta di classe ai tempi della crisi e della “monotonia” del posto fisso? 
Randellate a colpi di curricula spessi come le Pagine Gialle? 
Si sta trasformando in questo, lentamente ma inesorabilmente, la piccola polemica sul caso di Silvia Deaglio, figlia della ministra Fornero, docente universitaria (medicina) nella stessa università (Torino) dove insegnano papà (economia) e mammà (pure). 
Dalla rete sale la solita furente indignazione, dai piani alti della società e dei giornali piovono nobili difese: una spaccatura rivelatrice. La dottoressa Deaglio se ne tira fuori con una certa eleganza (“Per me parla il mio curriculum”, Corriere della Sera), ma l’impressione è che non basti. Mai come in questa occasione sembra di assistere a un dialogo con due lingue diverse: da una parte chi brandisce l’invidiabile curriculum della dottoressa Deaglio in difesa del famoso “merito”; dall’altra chi dice che non è questione di talento ma di opportunità e di “partire tutti da uguali posizioni”. In più, va notato, se mammà non stesse picconando i diritti di molti sottoforma di articolo 18 e se un’altra ministra, la signora Cancellieri, non avesse ironizzato sui giovani che “vogliono il lavoro vicino a papà e mamma”, probabilmente nessuno ne parlerebbe: le università in cui pullulano cognomi uguali sono un classico italiano. 
Ma qui c’è di più. C’è sullo sfondo, bloggante e twitterante, una comunità dolente che vede ancora una volta consegnato un premio di maggioranza alle solite nomenclature, convinta di venir scippata di opportunità per la sola colpa di non avere il cognome giusto. Una plebe sapiente che vede accanto a sé corsie preferenziali per i soliti noti e che si sente ferma nel traffico, a passo d’uomo, in fila indiana, mentre altri sfrecciano con il lampeggiante e la sirena. Ed ecco gli strali, anche scomposti, dettati da indignazione, contro la dottoressa Deaglio.
Ma il caso personale, il caso specifico, come sempre è fuorviante. Non si tratta qui di decidere se la dottoressa Silvia Deaglio abbia i titoli (e li ha) per ricoprire il suo incarico e per occupare il suo “monotono” posto fisso. Piuttosto si tratta di chiedere se tutti coloro che hanno lo stesso talento e le stesse capacità abbiano avuto le stesse possibilità. In sostanza, dunque, non della dottoressa Deaglio si parla, ma di tutti i possibili dottori e dottoresse che fin lì non sono potuti arrivare per questioni di ceto, cognome, appartenenza dinastica o estrazione sociale. Su questo sì, la dottoressa Deaglio potrebbe dire qualcosa: conoscerà certamente la situazione dell’università italiana e potrebbe senz’altro argomentare su tanti lavoratori del sapere che il posto fisso non ce l’hanno e forse non l’avranno mai, anche con ottimi curricula.
E la lotta di classe, direte voi, che c’azzecca? Ma sì che c’azzecca. Perché a ben vedere la figlia dei due docenti universitari (uno dei quali ministro) che fa la docente universitaria non è una notizia, esattamente come il cane che morde l’uomo. Se si scovasse in qualche anfratto del Paese, in qualche provincia remota, in qualche sottoscala umido e male areato un figlio di ministro che lavora in un call-center, con contrattini variabili e poverissimi, ricattabile e precario, impossibilitato a chiedere un mutuo (ma figurati!) o a fare dei figli (miraggio!), allora sì che sarebbe una notizia. Allora sì che avremmo l’uomo che morde il cane, con conseguente scoop e giusto stupore. Questa è la vera questione politica, che merita di essere girata non alla dottoressa Deaglio, ma alla mamma ministro del Lavoro.
Rimbalza sui blog (nel partito dei difensori) la notizia che la dottoressa Fornero, ministro del Lavoro, è figlia di un ferroviere, e che nonostante questo è arrivata fin lì, addirittura a sedere nel governo, mirabile esempio di giustizia sociale interclassista. Ottima notazione: negli anni Sessanta e Settanta (Fornero è del ’48) ciò era possibile. Era ancora possibile. La domanda a cui bisognerebbe rispondere – e a cui il ministro del Lavoro dovrebbe rispondere per prima – è: oggi è ancora così? Con una forbice tra ricchi e poveri sempre più larga, con un Paese che sta ai primi posti per diseguaglianza economica nel mondo, può succedere ancora? E quando ai ceti medi e bassi verranno tolte alcune garanzie di sicurezza come il ministro Fornero si appresta a fare, sarà ancora possibile far funzionare l’ascensore sociale come ha funzionato nel suo caso? Come si vede, i curricula spessi come le Pagine Gialle c’entrano sempre meno, si perdono sullo sfondo. Mentre l’esistenza di una questione “di classe” (che parole antiche!) prende la scena e conquista il primo piano. Ciò che ieri era possibile, oggi sembra inarrivabile. E’ questo che ci dice un piccolo “caso” come quello di Silvia Deaglio e di mamma Fornero, è questa la luna che il dito della rete ha indicato. Certo, come al solito, guardare il dito – un poderoso e meritatissimo curriculum – è più comodo, fa fine e non impegna.



http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201202/se-la-fornero-facesse-loperaia/

'ndrangheta, arrestati i familiari della pentita uccisasi con l'acido. - di Giuseppe Baldessarro




Secondo la procura la madre, il padre e il fratello di Maria Concetta Cacciola avrebbero portato la donna a suicidarsi "attraverso reiterati atti di violenza fisica e psicologica". Le avevano fatto scrivere sotto la minaccia di non farle più vedere i suoi figli una lettera di ritrattazione di quanto aveva raccontato ai magistrati antimafia.


'ndrangheta, arrestati i familiari della pentita uccisasi con l'acido
Maria Concetta Cacciola

REGGIO CALABRIA - L'hanno picchiata fino a rompergli le costole, le impedivano di uscire di casa e quando capitava la facevano seguire dai loro scagnozzi. Ma quel più le faceva male era quando la minacciavano di non farle vedere i suoi tre figli. Per questo Maria Concetta Cacciola ha deciso di farla finita bevendo l'acido muriatico. Per questo una donna di 31 anni che pure aveva iniziato a collaborare con la giustizia, aveva ritrattato tutto. Le avevano fatto scrivere sotto dettatura una lunga lettera pubblica e, come se non bastasse, le avevano fatto registrare un nastro audio nel quale confermava che le cose dette ai magistrati della Dda di Reggio Calabria erano false. Tutte false. Stamattina Michele e Giuseppe Cacciola, padre e fratello della donna, e la madre Anna Rosalba Lazzaro, sono stati arrestati. Contro di loro la Procura della Repubblica di Palmi muove un'accusa terribile: "Attraverso reiterati atti di violenza fisica e psicologica" l'avrebbero portata "a togliersi la vita".

La storia di Maria Concetta affonda le sue radici nella sua adoloscenza, quando a 13 anni sposa un uomo che non ama e da cui non è amata. Appartiene ad una famiglia contigua ai clan della 'ndrangheta di Rosarno. Una che insomma ha per anni respirato l'aria dei padrini della Piana di Gioia Tauro. Una vita di sofferenze e privazioni che lei stessa descrive in alcune lettere inviate alla madre il giorno in cui decide di lasciare Rosarno per affidarsi ai magistrati. Sceglie ad un certo punto della sua vita di seguire le orme di sua cugina, di Giuseppina Pesce, l'altra pentita della cosca riuscita a sfuggire assieme ai figli dalla Calabria solo pochi mesi prima. Maria Concetta parte, ma compie un errore. Affida alla madre i tre ragazzini, confidando nella solidarietà tra donne. E' un errore perché i bambini diventano lo strumento di pressione psicologica attraverso cui la famiglia la farà tornare a casa. 

Ed è qui che scattano le ritorsioni, feroci. La Cacciola tenta più volte di chiamare i carabinieri a cui chiede di andarla a prendere assieme ai figli. Ma c'è sempre gente in casa, è sempre circondata. E per le forze dell'ordine non è possibile fare irruzione in quella casa. Lei stessa aveva detto agli uomini del Ros che non voleva andarsene in presenza della madre contro cui si sarebbe scatenata l'ira del resto della famiglia. Deve essere lei a uscire volontariamente in un momento in cui non è vista. E' questo l'accordo preso il 18 agosto scorso con le forze dell'ordine. Qualcosa però non va per come sperato e la donna si uccide. Nel più atroce dei modi. Bevendo l'acido muriatico, il 20 agosto.

Scrive il Gip di Palmi, Fulvio Accurso, nell'ordinanza di custodia cautelare: "Se le pagine del processo che saranno a breve esaminate non fotografassero una realtà brutale e soffocante, si potrebbe credere di leggere l'appassionante scenografia di un film, nella quale una giovane donna di soli 31 anni, madre di tre figli e costretta a vivere una vita che non le appartiene, decide in un anonimo pomeriggio di fine estate di togliersi la vita, ingerendo acido muriatico, nella disperata illusione di poter riacquistare la tanta sognata libertà". All'alba, mentre polizia e carabinieri eseguivano l'ordine di custodia cautelare contro i familiari della donna, la Dda di Reggio Calabria faceva eseguire agli uomini del Ros e del Comando provinciale altri 13 fermi. In manette sono finiti altri affiiati della cosca guidata da Ciccio Pesce. E contro di loro saranno usati anche i contenuti degli unici tre verbali di dichiarazioni lasciate ai magistrati da Maria Concetta.



http://www.repubblica.it/cronaca/2012/02/09/news/arresti_famiglia_pentita-29577508/?ref=HREC1-1

LA STREGA CATTIVA. - di Eugenio Benetazzo



Eugenio Benetazzo

Ho avuto modo recentemente all'interno di una piccola e media impresa della marca trevigiana di ascoltare la filippica di un sindacalista durante una giornata di sciopero sindacale, condita di informazione e critica contro il governo tecnico di Mario Monti e le strategie messe in atto dallo stesso per il rilancio del paese, soprattutto sul piano occupazionale. Sentirlo esporre le sue ragioni e preoccupazioni sul piano sindacale penso sia stata una delle migliori lectio magistralis a cui ho assistito durante la mia vita. Se non fosse che ad un certo punto mi è vibrato il cellulare per una chiamata e d'improvviso mi sono ricordato che eravamo nel 2012 e non nel 1950. Sono stato particolarmente colpito quando, menzionando le proposte di politica occupazionali di Elsa Fornero, la si è soprannominata la strega cattiva. Che triste destino che attende questo paese, soprattutto per le sue genti e la loro forma mentis, più che per la situazione pericolante dei suoi conti pubblici.
 
Ancora oggi ci sono lavoratori e rappresentanti degli stessi che non hanno ben compreso cosa sta accadendo attorno a loro: una trasformazione epocale dell'economia occidentale che nessun sindacato potrà mai fermare o invertire nella rotta. Forse non lo sapete ma se quantificassimo pari a cento il costo del welfare sociale di tutto il mondo (assistenza, previdenza e sostegno al reddito in tutte le sue forme) il sessanta per cento di questo costo sarebbe sostenuto in Europa, con l'Italia in prima fila a vantare il primato mondiale. Quando sentite parlare di riforme strutturali per il paese (e ne applaudite all'idea) per sganciarlo da quelle logiche medioevali di protezionismo viscerale significa anche ridefinire e riformare quasi completamente il mercato del lavoro. In un paese in cui la curva demografica è girata verso il basso, solo la ricerca della piena occupazione può consentire la generazione di gettito fiscale e di risorse previdenziali per la preservazione del grado di coesione sociale della sua popolazione così come la conosciamo.
 
Perciò non si tratta di una strega cattiva che vuole sottrarre qualcosa a qualcuno per cattiveria, ma di riformare quei diritti e privilegi acquisiti nel settore del lavoro dipendente che hanno creato nel tempo l'ennesima casta nel nostra paese. Per questo motivo in Italia esportiamo eccellenze intellettuali e importiamo manodopera extracomunitaria di basso profilo desindacalizzata: chi vuole e potrebbe assumere non rischia a farlo, chi ha bisogno di maestranze docili punta a disperati disposti a tutto pur di lavorare e migliorare il proprio status sociale. In un paese in cui esiste una giungla di contratti di lavoro (se ne stimano quasi quaranta) che ha prodotto causa deregulation una massa di lavoratori troppo protetti ed un'altra priva di quasi tutto, la exit strategy per il rilancio occupazionale passa proprio per una profonda liberalizzazione, se non desindacalizzazione della forza lavoro al fine di mettere le imprese in grado di riassumere con velocità, dinamismo e senza costi impliciti assurdi. Gran parte del tanto osannato modello scandinavo infatti si basa proprio su questo.

Il futuro del mercato del lavoro deve pertanto portare ad una democratizzazione del rischio di impresa, coinvolgendo tutti i soggetti con essa correlati e collegati, non si può più ipotizzare una responsabilità solo in senso unico, ma anche le maestranze saranno chiamate a partecipare all'alea dell'insuccesso, della competizione e del rischio imprenditoriale. Purtroppo questo cambiamento (se non un vero e proprio stadio pupale) che avrebbe dovuto verificarsi in due decenni per consentire l'adattamento di tutti i soggetti coinvolti nel mondo del lavoro si dovrà verificare in appena due anni, generando le più grandi tensioni e rivalità che il nostro paese abbia mai vissuto in precedenza. Le prossime proposte di legge che verranno adottate andranno quindi in questa direzione, con la triste consapevolezza che la nuova medicina produrrà maggiori benefici non per chi si trova in età lavorativa oggi ma per chi si trova ancora sui banchi di scuola.