Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 8 aprile 2012
La rivolta degli ingenui. - Paolo Flores d’Arcais
Tangentopoli era un “piccolo mondo antico” di peccati veniali, rispetto al baratro di debordanti liquami corruttivi in cui è precipitata l’Italia nel quasi ventennio berlusconiano, grazie anche al corrivo atteggiamento bipartisan del centrosinistra sulla giustizia (abbiamo dimenticato che il ministro nominato da Prodi a Largo Arenula si chiamava Mastella?). Ormai siamo alla cupa orgia di illegalità, onnipervasiva, i cui putridumi vengono alla luce in quantità industriale non appena una procura riesca ad avviare un’indagine, rompendo il muro di omertà di politicanti, cricche, “giornalismo” servile e anche magistratura di regime stile P3 e P4, ben ramificata fino ai piani alti e altissimi.
Mitridate, re del Ponto, è passato alla storia per essersi reso immune ai veleni, ingerendone ogni giorno quantità minime ma crescenti. La nostra è una società mitridatizzata rispetto alla corruzione e alla illegalità, e alla dismisura che queste tabi della convivenza civile hanno ormai raggiunto. Questa è la vera e devastante vittoria storica dell’intreccio corruttivo politico-finanziario-mafioso: l’egemonia in cui ha imbozzolato istituzioni e “informazione”, l’assuefazione in cui ha invischiato ormai decine di milioni di cittadini, rendendoli incapaci di indignazione e rivolta.
Diventare un paese normale significa liberarsene. Solo una politica di INGENUITA’ può salvarci. Lucida e consapevole ingenuità, che sbandieri apertamente il programma di ragionevolezza e di equità che impone il buon senso, senza la paralizzante paura di essere accusata di “semplicismo”: per ogni futura “manovra” economica e finanziaria, e per il rilancio in grande del welfare (sanità, asili, salario di cittadinanza), neppure un euro va preso ai ceti medi (e meno che mai a disoccupati, precari, pensionati), ma tutto deve essere a carico dei ricchi, molto ricchi, mega ricchi, cominciando dalle ricchezze illegali della corruzione e dell’evasione (200 miliardi all’anno).
Il deterrente sono confisca e manette, strumenti ordinari in quel santo Graal del capitalismo che si chiama America. E l’obbligo in dichiarazione dei redditi di “qualsiasi rapporto bancario di cui si abbia disponibilità”. E pene draconiane per il reato di ostruzione di giustizia, di falso in bilancio, di falsa testimonianza. E abrogazione della prescrizione dopo il rinvio a giudizio. E nel 2013 una “lista dell’ingenuità” di sindacalisti, magistrati, preti di strada. Estremismo? Allora ci si accomodi in terza classe sul Titanic, a ingrassare i grassatori di sempre, e amen.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-rivolta-degli-ingenui/
I nasi comunicanti. - Marco Travaglio
Nella classifica delle peggiori pagliacciate
leghiste a carico nostro, vince ai punti la
rinoplastica finanziata coi rimborsi elettorali
per Eridanio Sirio Bossi: cioè abbiamo
pagato pure il naso nuovo all’ultimogenito del
Senatur, che ora va in giro con un naso non più suo,
ma parastatale. Medaglia d’oro. L’argento spetta di
diritto al diploma e alla laurea comprati dall’ex
tesoriere Belsito (cioè dagli ignari contribuenti) per
tale Pier Moscagiuro in arte Pier Mosca, 36 anni,
poliziotto in aspettativa, distaccato alla
vicepresidenza del Senato con regolare contratto
come segretario molto particolare della sua
attempata fiamma, Rosi Mauro detta “la Nera”, 49
anni, segretaria del presunto sindacato padano
Sinpa, numero due di Palazzo Madama, ma
soprattutto badante tuttofare del vecchio leader. Il
Moscagiuro (che Nadia Dagrada chiama nei verbali
“G i u ra m o s c a ”, forse influenzata dalle avventure di
Ettore Fieramosca), è anche un eccellente cantante,
molto apprezzato nella “batelada”, la tradizionale
gita in barca sul lago di Como che il Sinpa organizza
a ogni Primo Maggio (quest’anno si spera non più),
dove il Pier e la Rosi erano soliti esibirsi in
memorabili duetti tipo “La coppia più bella del
mondo” degli incolpevoli Adriano Celentano e
Claudia Mori. Ma il brano più celebre dell’usignolo
padano, versione celtica di Apicella, rimane quello
inciso per beneficenza con Enzo Iacchetti: “Ko o ly
n o o dy ”, allitterazione di culi nudi, autentico
reperto di un’epoca. La medaglia di bronzo, in tutti
i sensi, va invece ai papaveri verdi che sfilano a ogni
ora del giorno e della notte avanti e indietro da Via
Bellerio, tutti intenti a giurare che “ha fatto tutto
Belsito”, “Bossi non c’e n t ra ”, “ora facciamo pulizia”
e “voltiamo pagina”. È una parola. Il più pensoso è
Roberto Castelli del comitato amministrativo,
quello che aveva avviato addirittura un’inda gine
privata, tipo Sherlock Holmes, perché “Belsito non
mi faceva vedere i conti”. Chissà che avrebbe fatto
se glieli avesse mostrati: Castelli è lo stesso che nel
2001, divenuto ministro della Giustizia, affidò
l’edilizia carceraria a un consulente molto esperto:
Giuseppe Magni, sindaco leghista di Calco, in quel
di Lecco, dove Castelli è nato e vive, ma soprattutto
ex artigiano metalmeccanico (ramo fili da saldatura)
ed ex grossista di pesce alla Seamar (“commercio di
prodotti ittici vivi, freschi, congelati e surgelati”),
nonché – si leggeva nel curriculum– “socio
militante della Lega Nord dal 1995 e parlamentare
eletto al Parlamento di Chignolo Po” dove i lumbard
giocavano alla secessione. Magni scorrazzò per
quattro anni su e giù per l’Italia, con auto blu
blindata e scorta armata, per il modico stipendio di
100 milioni di lire, raddoppiato a 100 mila euro
quando cambiò la moneta. Risultato, secondo il pm
della Corte dei Conti: “Attività dall’i n d e fi n i t o
c o n t e nu t o ” senza “raggiungere alcuno degli
obiettivi menzionati nel decreto di incarico”,
presentando “relazioni quasi in codice, con
riferimenti per così dire criptici” e allusioni ad
“alcuni progetti (quali?)”. Un pataccaro. Per un’a l t ra
consulenza inutile, la Corte dei Conti condannò
Castelli a risarcire 100 mila euro allo Stato in solido
col suo vicecapogabinetto, quell’altro galantuomo
di Alfonso Papa. Ora indaga sui soldi della Lega,
finiti peraltro in buone mani: il “nu ovo ” tesoriere è
Stefano Stefani, noto per la sua oculatezza, avendo
messo mano a geniali operazioni finanziarie come il
villaggio padano in Croazia (bancarotta), la banca
padana Credieuronord (fallimento), il Bingo padano
(dissesto), il giornale fantasma Quotidiano d’Italia (14
milioni pubblici). Insomma, una garanzia. Su tutti
vigilerà il triumviro Calderoli, che di soldi se ne
intende: l’ottimo Fiorani ha raccontato di aver
girato 200 mila euro a lui e a Brancher. Ma è tutto
calcolato: basterà lasciar fare i “nuovi leader” per un
paio di mesi, poi tutti chiederanno il ritorno di quei
galantuomini di Bossi e Belsito, a furor di popolo.
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