Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 23 aprile 2012
Cellule staminali del cervello, scoperto meccanismo chiave. - Arianna Laurenti
Le cellule staminali del cervello restano ancorate alla loro nicchia, rimanendo bambine, oppure si distaccano per divenire adulte grazie ad un meccanismo simile ad una zip.
A rivelarlo lo studio del team di ricercatori della Columbia University di New York coordinato dagli italiani Antonio Iavarone e Anna Lasorella.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Cell Biology, non solo fornisce nuovi spunti per comprendere lo sviluppo normale e anomalo delle cellule del cervello, ma potrebbe anche condurre a nuove terapie rigenerative per le malattie neurologiche.
Le cellule staminali nel cervello, restano giovani finché si trovano nella loro nicchia e solo se e quando si staccano crescono fino a diventare adulte. Per capire cosa accade in questo processo, i ricercatori hanno condotto alcuni studi su topi transgenici nei quali sono state silenziate le proteine Id.
Dagli studi è emerso che queste proteine regolano la produzione della proteina Rap1Gap, che a sua volta controlla un gene particolare chiave per l’adesione cellulare.
"Potrebbero esserci altri meccanismi coinvolti ma noi pensiamo che questo sia il meccanismo chiave", ha spiegato Iavarone. "Ci sono buone ragioni per credere - ha aggiunto - che questo meccanismo funzioni anche in altri tipi di staminali, e stiamo cercando di scoprirlo".
http://www.vitadidonna.org/salute/news/-cellule-staminali-del-cervello-scoperto-meccanismo-chiave-8678.html
Def, la Corte dei Conti: "Troppe tasse". -
«Il pericolo corto circuito rigore-crescita non è dissipato»
Nel 2013 gli effetti recessivi delle manovre brucerebbero oltre 37 miliardi di euro. È l’allarme lanciato dal presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, durante l’audizione di oggi davanti alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato sul Documento di Economia e Finanza 2012. «Prendendo a riferimento il 2013 - l’anno del ’pareggio' - si può calcolare - ha aggiunto Giampaolino - che l’effetto recessivo indotto dissolverebbe circa la metà dei 75 miliardi di correzione netta attribuiti alla manovra di riequilibrio».
«La pressione fiscale salirà salirà dal 42,5 per cento del 2011 al oltre il 45 per cento per l’intero triennio successivo». È la previsione del presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, intervenuto oggi davanti alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato per il ciclo di audizioni sul Documento di Economia e Finanza 2012. Le scelte operate di recente, con il decreto legge di semplificazione fiscale modificato alla camera, «offrono più di un elemento di perplessità». È quanto afferma il presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, nel corso dell’audizione sul Def nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato. In primo luogo la necessità di ottenere un miglioramento nell’efficienza gestionale ha spinto finora a puntare a una «semplificazione nella gestione dei servizi offerti dagli enti locali prevedendo la gestione associata delle funzioni».
Il decreto che la scorsa settimana ha ottenuto la fiducia a Montecitorio e che è passato al Senato per l’ok definitivo, «ampliando i margini per assunzioni negli enti locali, oltre che ad indebolire il rigore delle scelte finora assunte, attenua la spinta per l’individuazione di assetti organizzativi dimensionalmente più efficienti rispondendo a logiche individuali di una struttura territoriale considerata, a ragione, troppo frazionata», dice Giampaolino. Altra critica mossa dalla Corte dei conti riguarda l’introduzione del Patto di stabilità orizzontale nazionale. «Di fatto -dice Giampaolino- neutralizza l’operare della concertazione a livello regionale che nell’anno appena concluso aveva conosciuto le prime esperienze di un qualche rilievo in molte realtà regionali». Una scelta, evidenzia la magistratura contabile, «che sembra contraddire gli interventi diretti a valorizzare il ruolo del decentramento, rafforzando le forme di cooperazione tra enti diversi della stessa regione e contribuendo, per questa via, ad attribuire al sistema delle autonomie un ruolo nella politica di risanamento della finanza pubblica».
«La pressione fiscale salirà salirà dal 42,5 per cento del 2011 al oltre il 45 per cento per l’intero triennio successivo». È la previsione del presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, intervenuto oggi davanti alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato per il ciclo di audizioni sul Documento di Economia e Finanza 2012. Le scelte operate di recente, con il decreto legge di semplificazione fiscale modificato alla camera, «offrono più di un elemento di perplessità». È quanto afferma il presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, nel corso dell’audizione sul Def nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato. In primo luogo la necessità di ottenere un miglioramento nell’efficienza gestionale ha spinto finora a puntare a una «semplificazione nella gestione dei servizi offerti dagli enti locali prevedendo la gestione associata delle funzioni».
Il decreto che la scorsa settimana ha ottenuto la fiducia a Montecitorio e che è passato al Senato per l’ok definitivo, «ampliando i margini per assunzioni negli enti locali, oltre che ad indebolire il rigore delle scelte finora assunte, attenua la spinta per l’individuazione di assetti organizzativi dimensionalmente più efficienti rispondendo a logiche individuali di una struttura territoriale considerata, a ragione, troppo frazionata», dice Giampaolino. Altra critica mossa dalla Corte dei conti riguarda l’introduzione del Patto di stabilità orizzontale nazionale. «Di fatto -dice Giampaolino- neutralizza l’operare della concertazione a livello regionale che nell’anno appena concluso aveva conosciuto le prime esperienze di un qualche rilievo in molte realtà regionali». Una scelta, evidenzia la magistratura contabile, «che sembra contraddire gli interventi diretti a valorizzare il ruolo del decentramento, rafforzando le forme di cooperazione tra enti diversi della stessa regione e contribuendo, per questa via, ad attribuire al sistema delle autonomie un ruolo nella politica di risanamento della finanza pubblica».
Berlusque, la parodia delle cene eleganti.
Lo spettacolo teatrale della compagnia Oblivion ha anticipato clamorosamente le dichiarazioni di Silvio Berlusconi sui festini bollenti nella dimora di Arcore. Secondo l’ex premier, i vari travestimenti delle sue giovani e avvenenti ospiti, altro non erano che gare di burlesque (leggi)
Tanzi, condanna confermata in Appello Dovrà scontare 17 anni e 10 mesi. - di Nicola Lillo
I giudici ribadiscono le accuse e la pena emessa dal tribunale in primo grado per l'ex re del latte di Collecchio. In aula aveva chiesto scusa alle persone che aveva contribuito a rovinare.
17 anni e 10 mesi. È questa la condanna inferta in appello a Calisto Tanzi, 73 anni compiuti lo scorso novembre, considerato dal 2003 l’uomo del crac del Secolo. Una lieve riduzione di pena rispetto al primo grado, quando il 9 dicembre 2010 era stato condannato dal tribunale diParma a 18 anni di reclusione. Fausto Tonna, l’ex direttore finanziario (14 anni nel processo di primo grado) è stato condannato a 9 anni, 11 mesi e 20 giorni.
Dopo due settimane di camera di consiglio la corte d’assise d’Appello di Bologna, presieduta dal giudice Francesco Maddalo, ha emesso la sentenza di secondo grado per il filone principale del maxi processo per bancarotta fraudolenta nei confronti dell’ex patron della multinazionale di Collecchio. Processo per il crac da 14 miliardi di euro che nel 2003 mise in ginocchio il colosso agroalimentare Parmalat e sul lastrico oltre 30 mila risparmiatori.
Calisto Tanzi, l’ormai ex “Cavaliere” (il titolo gli è stato revocato dal presidente della Repubblica), fino al cinque maggio dello scorso anno, quando è stato arrestato, aveva ancora in mano le chiavi della sua città: Parma. Nonostante tutti i problemi giudiziari, dal 2003 allo scorso anno ha continuato a svolgere attività di impresa. E non solo. Nel frattempo, in piena bufera giudiziaria, avrebbe speso un miliardo di euro per ristrutturare e in parte acquistare le due ville intestate alle figlie, con soldi legati al crac della Parmalat, la provenienza sarebbe “accertata documentalmente” aveva specificato la Procura. Prima di finire nel carcere di via Burla, quindi, l’ex patron di Parmalat si permetteva non solo di continuare a fare il manager attraverso altre aziende riconducibili alla moglie, nonostante i centinaia di risparmiatori ridotti al lastrico grazie alla sua bancarotta, o di spendere una montagna di soldi per le figlie proprio con quei soldi. Collezionava anche quadri d’arte, ma soprattutto passava gran tempo al telefono. Ha continuato a influenzare imprenditori e uomini influenti della città, su decisioni per quanto riguarda le nomine di Cda e banche cittadine.
Lo stato d’insolvenza della Parmalat fu dichiarato il 22 dicembre 2003. Secondo Enrico Bondi, non ancora commissario straordinario, ma chiamato al capezzale dell’azienda di Collecchio dallo stesso Calisto Tanzi per un disperato tentativo di salvataggio, dalle casse della multinazionale mancavano quattro miliardi. Era un conto ottimistico, poco meno di un terzo di quello che si sarebbe poi rivelato. Il 26 dicembre l’anima “della più grande fabbrica di debiti del capitalismo europeo”, Tanzi, fu arrestato. In manette finirono anche Francesca e Stefano Tanzi, i figli dell’ex patron, che nell’azienda di famiglia avevano rivestito incarichi direttivi (direttore commerciale e amministrativo, oltre che presidente del Parma calcio, lui, dirigente Parmatour lei), Fausto Tonna ed altri big del gruppo.
Calisto Tanzi non era presente nell’aula Bachelet della Corte d’Appello di Bologna, perchè ricoverato a Parma. Il 6 marzo scorso non mancò alla prima udienza del tribunale di sorveglianza in merito alla richiesta di scarcerazione avanzata dalla difesa. Il 9 gennaio, invece, Tanzi fu presente a una delle udienze di fronte alla terza sezione penale della Corte d’appello di Bologna per il crac Parmalat, e in quell’occasione accusò un lieve malore e abbandonò l’aula anzitempo. Il legale di Tanzi, l’avvocato Fabio Belloni ha già dichiarato di voler fare ricorso in Cassazione, perchè “rimangono ancora nodi irrisolti che devono essere dipanati”. Inoltre il 15 maggio chiederà nuovamente al tribunale del Riesame di concedere gli arresti domiciliari a Calisto Tanzi, perchè in pessime condizioni di salute.
Il crac Parmalat è il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio in Europa. Le difficoltà finanziarie della società emersero all’inizio degli anni Novanta, ma soltanto alla fine del 2003 vennero scoperte. Una bancarotta da 14 miliardi dovuta a bilanci falsificati sin dai primi anni novanta, creando un sistema perverso che portava a ripagare debiti con altri debiti. Calisto Tanzi aveva creato un sistema fatto di convivenze con il mondo bancario e con quello politico, sulle spalle dei risparmiatori che avevano investito nella Parmalat, senza però sapere che da anni aveva accumulato debiti.
Dopo due settimane di camera di consiglio la corte d’assise d’Appello di Bologna, presieduta dal giudice Francesco Maddalo, ha emesso la sentenza di secondo grado per il filone principale del maxi processo per bancarotta fraudolenta nei confronti dell’ex patron della multinazionale di Collecchio. Processo per il crac da 14 miliardi di euro che nel 2003 mise in ginocchio il colosso agroalimentare Parmalat e sul lastrico oltre 30 mila risparmiatori.
Calisto Tanzi, l’ormai ex “Cavaliere” (il titolo gli è stato revocato dal presidente della Repubblica), fino al cinque maggio dello scorso anno, quando è stato arrestato, aveva ancora in mano le chiavi della sua città: Parma. Nonostante tutti i problemi giudiziari, dal 2003 allo scorso anno ha continuato a svolgere attività di impresa. E non solo. Nel frattempo, in piena bufera giudiziaria, avrebbe speso un miliardo di euro per ristrutturare e in parte acquistare le due ville intestate alle figlie, con soldi legati al crac della Parmalat, la provenienza sarebbe “accertata documentalmente” aveva specificato la Procura. Prima di finire nel carcere di via Burla, quindi, l’ex patron di Parmalat si permetteva non solo di continuare a fare il manager attraverso altre aziende riconducibili alla moglie, nonostante i centinaia di risparmiatori ridotti al lastrico grazie alla sua bancarotta, o di spendere una montagna di soldi per le figlie proprio con quei soldi. Collezionava anche quadri d’arte, ma soprattutto passava gran tempo al telefono. Ha continuato a influenzare imprenditori e uomini influenti della città, su decisioni per quanto riguarda le nomine di Cda e banche cittadine.
Lo stato d’insolvenza della Parmalat fu dichiarato il 22 dicembre 2003. Secondo Enrico Bondi, non ancora commissario straordinario, ma chiamato al capezzale dell’azienda di Collecchio dallo stesso Calisto Tanzi per un disperato tentativo di salvataggio, dalle casse della multinazionale mancavano quattro miliardi. Era un conto ottimistico, poco meno di un terzo di quello che si sarebbe poi rivelato. Il 26 dicembre l’anima “della più grande fabbrica di debiti del capitalismo europeo”, Tanzi, fu arrestato. In manette finirono anche Francesca e Stefano Tanzi, i figli dell’ex patron, che nell’azienda di famiglia avevano rivestito incarichi direttivi (direttore commerciale e amministrativo, oltre che presidente del Parma calcio, lui, dirigente Parmatour lei), Fausto Tonna ed altri big del gruppo.
Calisto Tanzi non era presente nell’aula Bachelet della Corte d’Appello di Bologna, perchè ricoverato a Parma. Il 6 marzo scorso non mancò alla prima udienza del tribunale di sorveglianza in merito alla richiesta di scarcerazione avanzata dalla difesa. Il 9 gennaio, invece, Tanzi fu presente a una delle udienze di fronte alla terza sezione penale della Corte d’appello di Bologna per il crac Parmalat, e in quell’occasione accusò un lieve malore e abbandonò l’aula anzitempo. Il legale di Tanzi, l’avvocato Fabio Belloni ha già dichiarato di voler fare ricorso in Cassazione, perchè “rimangono ancora nodi irrisolti che devono essere dipanati”. Inoltre il 15 maggio chiederà nuovamente al tribunale del Riesame di concedere gli arresti domiciliari a Calisto Tanzi, perchè in pessime condizioni di salute.
Il crac Parmalat è il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio in Europa. Le difficoltà finanziarie della società emersero all’inizio degli anni Novanta, ma soltanto alla fine del 2003 vennero scoperte. Una bancarotta da 14 miliardi dovuta a bilanci falsificati sin dai primi anni novanta, creando un sistema perverso che portava a ripagare debiti con altri debiti. Calisto Tanzi aveva creato un sistema fatto di convivenze con il mondo bancario e con quello politico, sulle spalle dei risparmiatori che avevano investito nella Parmalat, senza però sapere che da anni aveva accumulato debiti.
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Sicilia, a Pozzallo Pd e Pdl alleati alle elezioni. “Modello Monti”. “No, inciucio”. - Giuseppe Pipitone
La cittadina in provincia di Ragusa è sull'orlo della bancarotta e i due rivali si uniscono in una coalizione di "salvezza comunale", invocando il parallelo con la politica nazionale. Ma non mancano le voci critiche.
Se a Roma la coalizione di “salvezza istituzionale” formata dal Pd e dal Pdl funziona alla perfezione, è possibile provare ad esportarla per le amministrative? È possibile, anzi possibilissimo. Soprattutto in Sicilia dove, in politica più che altrove, può succedere di tutto e il contrario di tutto. A Pozzallo, estremo lembo meridionale dell’isola, il comune in provincia di Ragusa è ad un passo dal crack finanziario. Come fare per salvare la baracca? Semplice, basta unire i maggiori partiti dello scacchiere politico e marciare compatti verso la vittoria. Inciucio? Assolutamente no. Piuttosto una coalizione di “salvezza comunale”.
È con questo leit motiv che a Pozzallo il Pd e il Pdl sostengono uniti lo stesso candidato sindaco alle prossime amministrative di maggio. “C’è un comune da salvare dal dissesto finanziario. Bisogna essere responsabili di fronte a casi del genere e mettere da parte sterili antagonismi” spiegano in coro i dirigenti locali del partito di Silvio Berlusconi intonando lo stesso pentagramma dei neo alleati del Pd.
Solo che a Pozzallo il candidato sindaco della coalizione di “salvezza comunale” non è assolutamente un tecnico. Il Monti locale si chiama infatti Roberto Ammatuna ed è un deputato regionale del Pd. In passato è stato comunista, popolare e anche primo cittadino di Pozzallo per dieci anni con la Margherita. Logico dunque che l’inedito accordo Pd-Pdl sia stato immediatamente bollato come un inciucio bello e buono.
“Alle polemiche neanche rispondiamo – glissa Nino Minardo deputato nazionale del Pdl – Andiamo con Ammatuna perché stimiamo la persona. I nostri sostenitori di Pozzallo sono d’accordo”. A fargli eco c’è Innocenzo Leontini, capogruppo berlusconiano all’Ars, che tira immediatamente in ballo lo schema romano. “Abbiamo preferito rispondere all’appello dei moderati di Ammatuna, che, tra l’altro, ricalca l’attuale schema nazionale, che vede il Pdl ed il Pd su posizioni comuni. Di fatto non potevamo lasciarci impallinare senza intervenire”.
Soddisfatto per l’anomala alleanza è ovviamente anche il sindaco designato Ammatuna, che chiarisce un concetto fondamentale: “E’ inutile negare che in Sicilia si vince solo con i moderati. Non sono sindaco di Pozzallo dal 2007: in cinque anni l’amministrazione che mi ha sostituito ha fatto danni enormi. Il sindaco uscente Sulsenti non si è neanche ricandidato. L’obiettivo è salvare il comune. Io sono un medico e anche in politica ho sempre fatto il medico. In questo caso la cura per Pozzallo è aprire a tutte le forze possibili.”
La “cura” di Ammatuna però non convince per nulla i suoi concorrenti politici, sia a sinistra che a destra. “Avevamo chiesto le primarie per tempo, Ammatuna però ha tirato per le lunghe e poi ha proposto di aprire a tutti i volenterosi. Non al centrosinistra, ma ai volenterosi. Era evidente che si stava preparando qualcosa”, protesta Gianluca Floridia che con Sel appoggia la candidatura a sindaco di Luigi Ammatuna, solo omonimo del deputato del Pd.
I mal di pancia non sono mancati neanche all’interno dei democratici. “Se c’è un debito da ripianare non capiamo come si possa fare governando insieme alla destra che ha un approccio totalmente diverso da quello nostro sul campo sociale ed economico” rileva Nanni Frasca del Pd di Ragusa.
Le bordate peggiori contro l’ alleanza Pdl-Pd made in Pozzallo sono arrivate però dal centrodestra. “Si vuole solo pescare nel torbido e imbrogliare la gente con una lista civica, facendo analogie con Roma. Ma che c’entra Roma con Pozzallo?” si chiede il candidato sindaco del Movimento per l’Autonomia Emanuele Pediliggieri, che in origine doveva essere sostenuto proprio dal Pdl. “Mi hanno mollato – spiega – a causa dei soliti accordi sottobanco e adesso è scomparso pure il simbolo del partito”.
Per evitare uno shock alla base degli elettori infatti i dirigenti del Pdl hanno preferito non utilizzare il simbolo di partito, ripiegando invece sulla lista civica Il Popolo Moderato. “Nessuna indicazione dai vertici, è stata una scelta tutta nostra, abbiamo deciso insieme ai componenti della nostra lista” ci tiene a specificare l’onorevole Minardo regalando ad Ammatuna la soddisfazione di dire che “alla fine tra le liste che mi sostengono c’è solo il simbolo del Pd”.
Sarà per questo che dai vertici del partito di Pierluigi Bersani nessuno ha voluto mettere il naso negli accordi locali. L’ombra dell’inciucio però è difficile da scacciare. “Mi chiedo se all’Ars Leontini si siederà con Ammatuna per sostenere la legge finanziaria e se Ammatuna sosterrà le dimissioni del governatore Lombardo come chiede da tempo il Pdl”, scherza il candidato sindaco di Grande Sud Gianluca Manenti . Ammatuna però non ha dubbi: “Stimo Leontini come persona, ma politicamente parlando non lo conosco”. Ovviamente soltanto fuori da Pozzallo.
È con questo leit motiv che a Pozzallo il Pd e il Pdl sostengono uniti lo stesso candidato sindaco alle prossime amministrative di maggio. “C’è un comune da salvare dal dissesto finanziario. Bisogna essere responsabili di fronte a casi del genere e mettere da parte sterili antagonismi” spiegano in coro i dirigenti locali del partito di Silvio Berlusconi intonando lo stesso pentagramma dei neo alleati del Pd.
Solo che a Pozzallo il candidato sindaco della coalizione di “salvezza comunale” non è assolutamente un tecnico. Il Monti locale si chiama infatti Roberto Ammatuna ed è un deputato regionale del Pd. In passato è stato comunista, popolare e anche primo cittadino di Pozzallo per dieci anni con la Margherita. Logico dunque che l’inedito accordo Pd-Pdl sia stato immediatamente bollato come un inciucio bello e buono.
“Alle polemiche neanche rispondiamo – glissa Nino Minardo deputato nazionale del Pdl – Andiamo con Ammatuna perché stimiamo la persona. I nostri sostenitori di Pozzallo sono d’accordo”. A fargli eco c’è Innocenzo Leontini, capogruppo berlusconiano all’Ars, che tira immediatamente in ballo lo schema romano. “Abbiamo preferito rispondere all’appello dei moderati di Ammatuna, che, tra l’altro, ricalca l’attuale schema nazionale, che vede il Pdl ed il Pd su posizioni comuni. Di fatto non potevamo lasciarci impallinare senza intervenire”.
Soddisfatto per l’anomala alleanza è ovviamente anche il sindaco designato Ammatuna, che chiarisce un concetto fondamentale: “E’ inutile negare che in Sicilia si vince solo con i moderati. Non sono sindaco di Pozzallo dal 2007: in cinque anni l’amministrazione che mi ha sostituito ha fatto danni enormi. Il sindaco uscente Sulsenti non si è neanche ricandidato. L’obiettivo è salvare il comune. Io sono un medico e anche in politica ho sempre fatto il medico. In questo caso la cura per Pozzallo è aprire a tutte le forze possibili.”
La “cura” di Ammatuna però non convince per nulla i suoi concorrenti politici, sia a sinistra che a destra. “Avevamo chiesto le primarie per tempo, Ammatuna però ha tirato per le lunghe e poi ha proposto di aprire a tutti i volenterosi. Non al centrosinistra, ma ai volenterosi. Era evidente che si stava preparando qualcosa”, protesta Gianluca Floridia che con Sel appoggia la candidatura a sindaco di Luigi Ammatuna, solo omonimo del deputato del Pd.
I mal di pancia non sono mancati neanche all’interno dei democratici. “Se c’è un debito da ripianare non capiamo come si possa fare governando insieme alla destra che ha un approccio totalmente diverso da quello nostro sul campo sociale ed economico” rileva Nanni Frasca del Pd di Ragusa.
Le bordate peggiori contro l’ alleanza Pdl-Pd made in Pozzallo sono arrivate però dal centrodestra. “Si vuole solo pescare nel torbido e imbrogliare la gente con una lista civica, facendo analogie con Roma. Ma che c’entra Roma con Pozzallo?” si chiede il candidato sindaco del Movimento per l’Autonomia Emanuele Pediliggieri, che in origine doveva essere sostenuto proprio dal Pdl. “Mi hanno mollato – spiega – a causa dei soliti accordi sottobanco e adesso è scomparso pure il simbolo del partito”.
Per evitare uno shock alla base degli elettori infatti i dirigenti del Pdl hanno preferito non utilizzare il simbolo di partito, ripiegando invece sulla lista civica Il Popolo Moderato. “Nessuna indicazione dai vertici, è stata una scelta tutta nostra, abbiamo deciso insieme ai componenti della nostra lista” ci tiene a specificare l’onorevole Minardo regalando ad Ammatuna la soddisfazione di dire che “alla fine tra le liste che mi sostengono c’è solo il simbolo del Pd”.
Sarà per questo che dai vertici del partito di Pierluigi Bersani nessuno ha voluto mettere il naso negli accordi locali. L’ombra dell’inciucio però è difficile da scacciare. “Mi chiedo se all’Ars Leontini si siederà con Ammatuna per sostenere la legge finanziaria e se Ammatuna sosterrà le dimissioni del governatore Lombardo come chiede da tempo il Pdl”, scherza il candidato sindaco di Grande Sud Gianluca Manenti . Ammatuna però non ha dubbi: “Stimo Leontini come persona, ma politicamente parlando non lo conosco”. Ovviamente soltanto fuori da Pozzallo.
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