lunedì 30 aprile 2012

Disoccupazione al 9,7% ma tasso reale più alto.



Una manifestazione di disoccupati


Allarmante il livello di chi non studia e non lavora.


ROMA  - La disoccupazione in Italia nel quarto trimestre 2011 ha raggiunto il 9,7%, il tasso più alto dal 2001 ma "il tasso reale potrebbe risultare superiore poiché ai quasi 2,1 milioni di disoccupati si aggiungono 250.000 lavoratori in cig". Lo afferma l'Ilo - l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia delle Nazioni Unite - nella sua scheda sull'Italia definendo "allarmante" il livello dei Neet.

Nel quarto trimestre 2011 - sottolinea l'Ilo - il tasso di occupazione si è attestato al 56,9%, sempre sotto i livelli pre crisi. Per lo stesso periodo il tasso di disoccupazione è passato al 9,7% segnando un aumento dell'1,9% in rapporto all'anno precedente. "Tuttavia - afferma l'Organizzazione - il tasso reale di disoccupazione potrebbe risultare superiore, poiché ai quasi 2,1 milioni di disoccupati si aggiungono 250.000 lavoratori in cassa integrazione. Le categorie più colpite sono quella dei giovani e quella dei disoccupati di lunga durata. La disoccupazione giovanile, salita al 32,6% durante il quarto trimestre del 2011, è più che raddoppiata dall'inizio del 2008. Allo stesso modo, i disoccupati di lunga durata rappresentano il 51,1% del totale dei disoccupati. Inoltre, molti lavoratori escono completamente dal mercato del lavoro: nello scorso anno, il tasso dei lavoratori che non cercano più lavoro ha raggiunto il 5% del totale della forza lavoro. Il numero dei NEET (giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione) ha raggiunto il livello allarmante di 1,5 milioni".

MISURE AUSTERITA' RISCHIANO ALIMENTARE RECESSIONE
  - Le misure di austerità "rischiano di alimentare ulteriormente il ciclo di recessione e di rinviare ancora l'inizio della ripresa economica e il risanamento fiscale": lo afferma l'Ilo nella sua scheda sull'Italia a proposito dell'aumento della pressione fiscale per ridurre il deficit che dovrebbe raggiungere il 45% nel 2012.

L'Ilo segnala che in Italia la ripresa viene frenata dalla contrazione del consumo privato e che "tale contrazione è aggravata dal fatto che gli stipendi crescono meno velocemente rispetto all'inflazione". Il debito pubblico - sottolinea l'Organizzazione internazionale del lavoro - "é schizzato dal 103% del Pil nel 2007 al 120% nel 2011. A seguito dell'aumento dei tassi di interesse nazionali sono anche sorti dubbi sulla tenuta delle finanze pubbliche. Per ridurre il deficit, il governo ha aumentato la pressione fiscale che dovrebbe raggiungere il 45% nel 2012. Queste misure di austerità rischiano di alimentare ulteriormente il ciclo della recessione e di rinviare ancora l'inizio della ripresa economica e il risanamento fiscale". L'Ilo sottolinea anche le difficoltà soprattutto delle piccole e medie imprese nell'accesso al credito e i problemi tradizionali della "pesantezza amministrativa". La priorità - afferma l'organizzazione - è "trovare un equilibrio sostenibile tra risanamento fiscale e ripresa dell'occupazione". Con il secondo debito pubblico più alto dell'Unione Europea, l'Italia non può sottrarsi alle misure di risanamento di bilancio. Tuttavia, afferma l'Ilo, "anche gli investimenti pubblici sono importanti per stimolare la domanda interna e compensare gli effetti negativi delle misure di austerità".

L’Onu: “L’austerity non serve a niente L’occupazione continua a peggiorare”. - Matteo Cavallito



lavoro interna nuova


Il rapporto dell'International Labour Organization delle Nazioni Unite: "Per i Paesi che hanno cercato la deregolamentazione, soprattutto quelli dell'Europa meridionale, la crescita non è migliorata". In Italia "il precariato è aumentato".

“Nei Paesi che hanno maggiormente cercato l’austerity e la deregolamentazione, soprattutto quelli dell’Europa meridionale, la situazione relativa alla crescita economica e all’occupazione ha continuato a peggiorare. Le ragioni principali del fallimento consistono nell’incapacità di queste politiche di stimolare gli investimenti privati”. E’ questa la dura sentenza emessa dagli analisti dell’Ilo, l’International Labour Organization dell’Onu, nel rapporto presentato oggi.
Nel corso del 2012 il numero dei disoccupati nel mondo aumenterà ancora raggiungendo la cifra di 202 milioni di persone contro i 196 attuali. L’anno successivo, il tasso di disoccupazione a livello mondiale segnerà quindi il 6,2% a causa soprattutto del peggioramento delle condizioni di accesso al mercato da parte dei lavoratori più giovani. In Italia nell’ultimo trimestre 2011 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 9,7%, il livello più alto dal 2001. Il tasso reale, tuttavia, potrebbe essere più alto considerando anche i 250mila lavoratori in cassa integrazione.
I dati, insomma, sono impietosi. Un po’ ovunque. Dal 2008 ad oggi, in pratica, la crisi ha bruciato da sola circa 50 milioni di posti di lavoro che mancano ancora all’appello. Nei prossimi due anni, almeno 80 milioni di giovani si affacceranno per la prima volta sul mercato dal lavoro ma, alle attuali condizioni di crescita, è assai improbabile che possano essere facilmente collocati. La situazione, precisa il report, è particolarmente preoccupante in Europa “dove dal 2010 la disoccupazione è aumentata in due terzi dei Paesi”.
Ma i problemi si registrano anche in Giappone e negli Stati Uniti, dove si assiste a una ripresa molto lenta, così come in Africa e nei Paesi arabi. Ma il vero problema non è solo nelle cifre. L’impressione, segnala l’Ilo, è che la situazione stia assumendo un carattere strutturale: “alcuni gruppi, specialmente i disoccupati di lungo periodo, sono a rischio di esclusione dal mercato del lavoro. Il che significa che potrebbero non essere in grado di ritrovare un nuovo impiego nemmeno nel caso di una forte ripresa economica”.
A far riflettere, inoltre, c’è il tema della qualità del lavoro. Mentre nei Paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo il peso degli impieghi informali continua ad essere piuttosto evidente, nelle economie avanzate continua ad aumentare il lavoro temporaneo e precario che interessa soprattutto i giovani e le donne. E qui si torna al fallimento delle politiche anti crisi visto che in Europa la situazione sembra riguardare soprattutto le cosiddette periferie. “In Grecia, Italia e Spagna – si legge – il part time non volontario (la sottooccupazione, ndr) è relativamente alto, attorno al 50%. In Grecia, Spagna e Portogallo, il tasso di lavoro temporaneo ha raggiunto l’80%”. In sostanza, in alcune nazioni europee, tra cui l’Italia, “il livello di occupazione non è migliorato mentre il lavoro precario è in realtà aumentato”. Alla faccia del vecchio adagio “più flessibilità uguale più occupazione”.
Dal 2008 al 2012, 40 Paesi (su 131 presi in esame) hanno modificato la propria legislazione sul lavoro. Nel 60% dei casi queste riforme hanno ridotto la protezione dell’impiego per i lavoratori a tempo indeterminato. Nelle economie più forti, la percentuale sale al 76%. Come a dire che tre nuovi provvedimenti su quattro hanno implicato un aumento della precarietà. In almeno 26 Paesi, ma i dati sono disponibili solo per 40 nazioni, la percentuale dei lavoratori coperti da un contratto collettivo è diminuita dal 2000 al 2009 e il processo “ha subito un’accelerazione con l’avvio della crisi globale”. La via d’uscita dalla crisi, spiega infine l’organismo Onu, passa dunque attraverso tre strategie: il “rafforzamento delle istituzioni del mercato” (ovvero l’aumento dei salari minimi), il miglioramento delle condizioni del credito, la combinazione investimenti pubblici/protezione sociale. Esattamente l’opposto rispetto ai processi tuttora in atto.

Per Beppe Grillo la politica strangola, Cosa nostra no. “Parole da mafioso “. - Giuseppe Pipitone



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L'uscita del comico genovese durante un comizio di Palermo. Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione vittime della strage di Firenze ricorda che "i boss strangolarono il piccolo Di Matteo".

Ha lasciato l’amaro in bocca a parecchie persone l’ultima esibizione di Beppe Grillo per le imminenti elezioni amministrative del 6 e 7 maggio. Il leader del Movimento 5 Stelle, di passaggio a Palermo per sostenere la candidatura a sindaco del giovane Riccardo Nuti, ha infatti tirato in ballo Cosa Nostra utilizzandola come termine di paragone per gli effetti devastanti della crisi economica.
“Noi abbiamo candidato Toto’ u curtu e u Malpassotu come vicesindaco, vediamo come va – aveva detto il comico genovese prima di salire sul palco – . La mafia non ha mai strangolato il proprio cliente, la mafia prende il pizzo, il 10 per cento. Qui siamo nella mafia che ha preso un’altra dimensione, strangola la propria vittima.” Una battuta al vetriolo per criticare la politica e il governo, che ha immediatamente innescato una furiosa polemica, amplificata anche dal fatto che proprio oggi a Palermo si commemora l’anniversario dell’assassinio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, uccisi da Cosa Nostra esattamente 30 anni fa.
“Grillo parla come un mafioso senza essere nemmeno originale. Gli stessi argomenti prima di lui li hanno già utilizzati Vito Ciancimino e Tano Badalamenti. E come l’ultimo dei mafiosi non ha nemmeno il coraggio di confrontarsi pubblicamente sulle sue patetiche provocazioni”, è stato il duro commento di Claudio Fava, figlio del giornalista Pippo Fava (ucciso da Cosa Nostra nel 1984), e ora nella segreteria di Sinistra Ecologia e Libertà .
L’uscita del comico genovese ha costretto il candidato del Movimento 5 stelle a un’immediata replica: “Ancora una volta – ha detto Nuti – abbiamo avuto la conferma che ci sono mezzi di ‘informazione’ che tentano solo di denigrare il Movimento. Beppe Grillo nei suoi interventi utilizza spesso dei paradossi ed estrapolare una frase dal contesto è pretestuoso oltre che ridicolo: la dichiarazione che alcuni hanno contestato, fa infatti parte di un ragionamento molto più ampio e complesso. D’altra parte le nostre azioni parlano chiaro, essendo certi che le mafie siano il cancro che strangola l’economia legale e priva i cittadini di diritti e libertà.”
Questo, però, non è bastato a frenare le reazioni. Durissime, soprattutto, quelle arrivate dal mondo dell’associazionismo antimafia. “Le affermazioni di Beppe Grillo non possono essere giustificate neanche se fatte provocatoriamente. Il sistema di potere mafioso è purtroppo una questione ancora molto seria e in quanto tale non può essere oggetto di speculazioni politico elettorali”, ha fatto sapere l’associazione Addiopizzo.
Cristina Musumeci, dell’associazione Cittadinanza per la Magistratura, ha invece sottolineato il possibile effetto boomerang delle parole pronunciate da Grillo che “denotano una scarsa conoscenza del fenomeno mafioso e danno il fianco a chi continua a perpetrare il mito della mafia buona, la mafia che non minaccia, che non uccide, che si sostituisce allo Stato assente e protegge i suoi sudditi chiedendo in cambio una piccola controprestazione economica.  Grillo – prosegue la Musumeci – si dimentica così della mafia che non si ferma neanche di fronte ai bambini, ma soprattutto dimentica che la mafia è  cointeressi e connivenze  che deturpano l’ amministrazione comunale, l’amministrazione regionale e quella statale togliendo ogni possibilità di sviluppo alla nostra terra”. 
E se il comico genovese aveva fatto cenno al “pizzo”, una replica è arrivata anche da Pina Maisano, vedova di Libero Grassi, l’imprenditore ucciso da Cosa Nostra proprio per essersi ribellato al racket delle estorsioni. “Grillo dice che la mafia non ha mai strangolato i suoi clienti limitandosi a prendere il pizzo? Forse dimentica che ha anche ucciso le persone che il pizzo non hanno voluto pagarlo”.
”Come si permette Grillo a fare l’elogio della mafia in una città che gronda sangue di vittime innocenti? Perchè non era in piazza con noi il 21 marzo scorso, nella sua Genova, per la Giornata della memoria organizzata da Libera in ricordo di tutte le vittime della mafia?”. Si chiede invece Angela Ogliastro, sorella di Serafino Ogliastro, poliziotto ucciso dalla famiglia mafiosa di Brancaccio nel 1991.
Critica anche la reazione di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione familiari vittime della strage di via dei Georgofili. “Non so quanto Grillo e altri abbiano preso coscienza delle stragi del 1993, non so se Grillo ricorda che mentre il paese saltava in aria l’argomento principale era il debito pubblico – ha detto la Chelli a ilfattoquotidiano.it – . Non capisco perché adoperare espressioni di questo tipo che fanno tanto bene alla mafia e non a noi. Grillo poi dimentica che la mafia ha strangolato un sacco di persone, penso per esempio al piccolo Giuseppe Di Matteo. Grillo dovrebbe rileggersi quegli atti processuali, e capirebbe cosa è in grado di fare la mafia alla gente per bene e forse allora proverebbe a tacere su argomenti di questo tipo”.

Nelle banche svizzere, i cinquanta miliardi che Monti non vuole. - Stefano Feltri


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Il governo continua a dire no all’accordo con Berna sui 150 miliardi di capitali evasi che tassati potrebbero finanziare lo sviluppo. Germania, GB e Austria lo hanno già fatto. L’Europa dice sì e ora anche il Pdl apre.

I soldi sono lì, a portata di mano, facili da incassare. E tutti in una volta, senza stare a racimolare un miliardo qua e uno là tra accise sulla benzina e i blitz utili, e spettacolari, come quello di ieri della Guardia di Finanza negli agriturismi in vista del ponte del Primo maggio. Nelle casse delle banche svizzere si stima ci siano almeno 150 miliardi di euro degli evasori italiani e lo Stato potrebbe prendersene fino a 50. Ma al governo non sembrano interessare.
“Full compliance”, piena conformità. È questa l’espressione che toglie ogni alibi al governo Monti. Nella conferenza stampa di mezzogiorno del 17 aprile il commissario europeo alla Fiscalità, Algirdas Šemeta, spiega ai giornalisti che gli accordi di Gran Bretagna, Germania e Austria con la Svizzera sono compatibili con il diritto comunitario . E quindi nel 2013 produrranno i loro effetti.
Partiamo dalla fine: il 13 aprile l’Austria firma l’accordo con la Svizzera. Funziona così: nei forzieri elvetici ci sono almeno 20 miliardi di euro austriaci frutto di evasione. I residenti austriaci titolari dei conti o i beneficiari dei trust e degli altri strumenti giuridici per nascondere le tracce, se vogliono mantenere i loro capitali in Svizzera dovranno pagare una sanzione una tantum del 30 per cento, modulata poi a seconda della durata dei depositi, che può nella pratica oscillare tra il 15 e il 38 per cento. È una specie di condono fiscale, è vero, ma di entità ben diversa da quel 5 per cento applicato da Giulio Tre-monti ai suoi tempi. E soprattutto gli effetti continuano: tutti i proventi dei capitali e degli altri strumenti finanziari (dai dividendi ai capital gain) saranno tassati al 25 per cento ogni anno. La Svizzera si accolla il ruolo di esattore per conto dell’Austria e in cambio conserva il segreto bancario, l’unico vero strumento che le è rimasto per attirare i capitali nel Paese (visto che spesso derivano da evasione fiscale o altre pratiche illecite). Il governo di Berna si trova infatti sotto pressione, soprattutto dagli Stati Uniti, per rivelare i segreti dei conti bancari (celebre il caso di Ubs, che è stata costretta a farlo, in piccola parte).
Preferisce quindi agire da sostituto d’imposta, ma tenere un po’ di riservatezza. Da mesi ci sono trattative tra Berna, la Germania e la Gran Bretagna che hanno raggiunto accordi simili. L’applicazione si stava complicando perché la Commissione europea temeva gli effetti distorsivi di provvedimenti che, di fatto, sanano le posizioni illecite del passato. “Ma si è trovato un escamotage, i pagamenti una tantum vengono presentati come l’acconto di quanto verrà chiesto a chi ha soldi in Svizzera dopo l’approvazione di un accordo complessivo tra i 27 Paesi Ue che il commissario Šemeta continua ad auspicare”, spiega Rita Castellani, una delle animatrici dell’iniziativa “Operazione Guardie Svizzere” per fare pressione sul governo italiano. In Germania la Spd, il partito socialdemocratico, si è opposta all’accordo negoziato dal governo di Angela Merkel e ha ottenuto condizioni ancora più punitive per gli evasori: un prelievo una tantum tra il 21 e il 41 per cento (invece che tra il 19 e il 34) e una patrimoniale colossale del 50 per cento per chi eredita un conto svizzero e non lo dichiara al fisco tedesco. Le associazioni dei contribuenti in Germania, all’inizio scettiche, ora sono entusiaste della formulazione dell’accordo e chiedono la sua immediata applicazione. I l flusso di denaro verso Berlino comincerà nel 2013.
Pochi giorni fa il ministro delle Finanze elvetico, Eveline Widmer-Schlumpf, ha detto in un’intervista che “la Svizzera sta portando avanti con Italia e Francia il tema della tassazione degli asset detenuti in conti svizzeri da cittadini dei due Paesi, ma un negoziato formale deve ancora iniziare”. Il ministro del Tesoro Giulio Tremonti aveva concentrato, con un certo successo, le sue attenzioni soprattutto su San Marino. E il governo Monti ha chiarito la sua posizione all’inizio del mandato: favorevole agli accordi con la Svizzera per far pagare gli evasori ma nel quadro di un’intesa comunitaria, anche per non incorrere nel rischio di sanzioni da parte della Commissione Ue. La quale però adesso ha dato il via libera. E l’accordo fatto dall’Austria toglie ogni alibi all’Italia. A cui un po’ di gettito in più, nel 2013, farebbe comodo visto che la recessione farà diminuire le entrate attese su cui è stata impostata l’ultima manovra Salva Italia.
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