Gli Stati Uniti demoliscono il segreto bancario. Gran Bretagna, Germania, Austria e ora Italia vogliono le tasse non pagate dagli evasori che hanno esportato capitali. E un intero sistema, quello della Svizzera, inizia a crollare.
“Sentito che cosa ha detto quella? Qui è finita per tutti. È solo questione di tempo, qualche anno, e poi ci costringono a chiudere bottega. La Svizzera intera può chiudere bottega”. Il cielo cupo sopra Lugano in una domenica di pioggia ispira pensieri tristi, ma il banchiere che si fuma l’ennesima sigaretta seduto a un tavolo con vista lago non ha l’aria, e neppure il curriculum, dell’uomo sentimentale. Se la prende con una donna, la maledice senza neppure nominarla.
La signora in questione si chiama Eveline Widmer-Schlumpf e siede al governo di Berna come presidente e responsabile delle Finanze. È lei, ormai, il nemico numero uno dei banchieri. La ministra svende agli stranieri il futuro della Confederazione, questa l’accusa. Peggio: si è arresa senza combattere di fronte alle pressioni di americani, tedeschi, inglesi, perfino degli italiani, tutti impegnati a dare la caccia al denaro nero degli evasori fiscali nascosto nelle banche elvetiche. Finanza contro politica, mai visto nulla di simile da queste parti, in un Paese che ha sempre visto il governo allinearsi scrupolosamente alle direttive dei signori del denaro. Per la prima volta l’esecutivo di Berna ha osato mettere in discussione il tabù nazionale, l’inviolabile segreto bancario su cui il Paese degli orologi a cucù e del cioccolato ha costruito la sua enorme ricchezza. “La Svizzera lava più bianco”, accusava più di vent’anni fa il sociologo ginevrino Jean Ziegler in un libro che faceva a pezzi la casta del potere elvetico, complice di un colossale sistema di riciclaggio.
Le nuove paure
I tempi cambiano. La Svizzera adesso ha paura. Gli Stati Uniti e l’Europa, travolti da una crisi economica senza precedenti, non possono più permettersi di ignorare il tesoro accumulato nei forzieri di Zurigo, Ginevra e Lugano da milioni di evasori fiscali. Mentre i tagli in bilancio massacrano il welfare, i governi devono dare un segnale d’impegno anche sul fronte delle entrate. E visto che le tasse, nuove e vecchie, finiscono per massacrare i soliti noti, che c’è di meglio di una crociata contro i santuari dell’evasione fiscale? A Berna hanno capito il messaggio.
“Il dovere di diligenza dei banchieri va esteso per evitare che giungano nei nostri istituti di credito fondi stranieri non dichiarati al fisco”. Ecco, testuali, le parole della ministra Widmer-Schlumpf che tre mesi fa hanno acceso le polemiche. Se una simile riforma andasse in porto sarebbe una mezza rivoluzione. Adesso i banchieri hanno il dovere di fare ogni accertamento possibile sulla provenienza del denaro depositato dal cliente. Se c’è il sospetto che i soldi siano il frutto di attività criminale allora scatta l’obbligo di denuncia all’autorità anti-riciclaggio. Il governo di Berna, questa la novità, vorrebbe che le verifiche del funzionario di banca fossero estese anche alle questioni fiscali. Non pagare le tasse diventa un crimine e quindi il cliente sospetto evasore va denunciato, proprio come il riciclatore del denaro della droga. E se un Paese straniero dovesse chiedere assistenza in un’indagine, anche amministrativa, su una presunta evasione tributaria, la banca svizzera sarebbe obbligata a fornire le informazioni richieste.
Sempre meno segreti
Gli ambienti finanziari protestano: fin qui le questioni fiscali erano al riparo da qualsiasi indagine. Il segreto bancario copriva tutto. “Va a finire che ci tocca chiedere la dichiarazione dei redditi ai clienti”, esagera il banchiere ginevrino. I politici però insistono. Il governo di Berna, ha pubblicato un documento, una trentina di pagine, intitolato “Strategie per una piazza finanziaria competitiva e conforme alle leggi fiscali”. É la “Weissgeldstrategie”, la strategia del denaro bianco che serve a tagliare i ponti, almeno a parole, con un passato imbarazzante. Buoni propositi, niente di più. Ma le ipotesi di riforma su una materia tanto delicata hanno mandato in bestia i banchieri. Sentite che cosa ha detto, una decina di giorni fa, il ticinese Sergio Ermotti, l’ex braccio destro di Alessandro Profumo all’Unicredit approdato l’anno scorso sulla poltrona di numero uno di Ubs, colosso del credito elvetico: “Gli attacchi al segreto bancario non sono altro che una guerra economica”, ha dichiarato Ermotti al giornale zurighese SonntagsZeitung.
“Questa guerra mira a indebolire la piazza finanziaria elvetica per favorire i nostri con-correnti” ha aggiunto il capo di Ubs. Insomma, il mondo intero trama per svaligiare i forzieri svizzeri. La posta in gioco è colossale. Si calcola che le 320 banche della Confederazione gestiscano patrimoni per oltre 4.500 miliardi di euro. Più della metà di questo tesoro proviene da Paesi stranieri. La sola Italia avrebbe contribuito con 150 miliardi. Una stima per difetto, probabilmente. I banchieri temono che la semplice possibilità di un accordo sulla tassazione dei capitali esportati illegalmente sia sufficiente a mettere in fuga buona parte dei clienti. E questo sarebbe un problema serio per un’economia come quella elvetica in cui il settore finanziario produce oltre il 10 per cento del valore aggiunto complessivo.
La crisi oltre la finanza
La Svizzera però non è solo finanza. Nel territorio della Confederazione hanno sede migliaia di imprese che fanno business con l’Europa. E allora bisogna mantenere buoni rapporti con i Paesi vicini, altrimenti rischia di affondare l’economia, in gran parte orientata all’export.
Quando era ministro dell’Economia, Giulio Tremonti ha fatto in modo che la Svizzera venisse inserita nella black list dei Paesi non collaborativi in materia fiscale, tipo Cayman e Bahamas. Questa decisione ha creato enormi problemi alle aziende svizzere che lavorano con l’Italia. Per questo Berna non può fare a meno di inviare segnali distensivi. Che cosa succederebbe, per dire, se Londra sospendesse l’autorizzazione delle banche elvetiche a lavorare nella City? Nasce con queste premesse il negoziato per i nuovi trattati fiscali con Germania e Inghilterra. E anche il governo di Mario Monti adesso ha imboccato la stessa strada.
Il conto agli evasori
Una multa pesante, fino al 44 per cento della somma esportata illegalmente, e la promessa di pagare le tasse in futuro. Sono questi gli ingredienti del colpo di spugna per i furboni del fisco. Un regalo agli evasori, protesta l’opposizione socialdemocratica tedesca. E anche in Gran Bretagna l’accordo, deve ancora essere ratificato dal Parlamento. In Italia la trattativa con Berna ripartirà il 24 maggio, come annunciato mercoledì da una nota dei due governi. Trovare l’accordo non sarà facile. A meno che non siano gli svizzeri a mandare tutto a monte. L’Udc, il partito nazionalista di Cristoph Blocher minaccia di promuovere un referendum per bloccare i negoziati. I banchieri approvano.