giovedì 14 giugno 2012

Violenza omofoba nella Capitale quattro aggressioni in pochi giorni. - Marco Pasqua


Violenza omofoba nella Capitale quattro aggressioni in pochi giorni

Il volto di Guido Allegrezza dopo l'aggressione 


Una coppia lesbica a Velletri accerchiata, minacce a una transessuale a Ardea , un attivista preso a sassate all'Eur, un gay picchiato a Campo de' Fiori: dilaga per le vie di Roma l'intolleranza e la violenza. Preoccupazione nella comunità Glbt: "Servono pene esemplari".


ROMA - Tre aggressioni, tra Roma e provincia, ai danni di una coppia lesbica, una transessuale e un noto attivista omosessuale. Tutte contraddistinte dalla ferocia omofoba dei protagonisti, spesso giovanissimi convinti di poterla fare franca. Una vera e propria escalation che, nei giorni scorsi, era già stata segnata dagli insulti e dalle botte a un ragazzo gay 1, nella zona di Campo de' Fiori e dal ferimento alla testa di una ragazza lesbica, nella Gay Street. 

In tutti i casi, le vittime hanno avuto il coraggio di rivolgersi alle forze dell'ordine, sporgendo denuncia. Ora sono assistite dalle associazioni che si battono per i diritti delle persone omosessuali e che hanno dato la loro disponibilità ad assisterli legalmente, oltre che a costituirsi parte civile nei processi che saranno istruiti a carico dei violenti. Ma nella comunità omosessuale, intanto, cresce la preoccupazione.

Le reazioni 2

I primi due casi vengono denunciati dal Gay Center e da Arcigay Roma, che hanno ricevuto la segnalazione delle vittime alla Gay Help Line (800713713). Ad Ardea, una transessuale ha subito ripetute minacce, ingiurie e danneggiamenti, all'inizio di giugno. Poco meno di 50 anni, originaria della Serbia (da dove è fuggita per salvarsi dalla pulizia etnica messa in atto dall'esercito croato), Stefania - il nome è di fantasia - stava prendendo il sole, sulla spiaggia libera. "Ero sdraiata - racconta a Repubblica.it - e leggevo un libro. A un certo punto, senza alcun motivo, si sono avvicinati a me quattro ragazzi, intorno ai 20 anni di età". 

L'hanno insultata e umiliata, pubblicamente, con espressioni come "fai schifo, noi i travestiti li uccidiamo" e per metterle paura l'hanno minacciata con dei racchettoni, arrivando quasi a colpirla. A quell'ora  -  erano circa le 14  -  quel tratto di spiaggia era poco frequentata, e in zona non c'erano altre persone. "Sono stata colpita - prosegue - dalla loro tranquillità, impressionante. Sono venuti da me a freddo, soltanto per intimidirmi e offendermi. Volevano anche sapere se fossi straniera". 

Da quel momento è iniziata una vera e propria persecuzione. Il giorno dopo, uscendo di casa, Stefania si accorge che la sua auto è stata danneggiata: le era stato rotto lo specchietto. "Segno che mi avevano seguita fino a casa", osserva. Nulla a confronto di quello che le accade il giorno dopo, quando sulla stessa auto vengono rovesciate feci e banane. "Non ho mai avuto problemi -  racconta Stefania, che ha sporto denuncia ai carabinieri della locale stazione  -  di questo tipo. L'ultima volta che sono stata insultata in questo modo vivevo ancora in Serbia".  

Dal mare ai Castelli, la seconda aggressione è avvenuta a Velletri. Due giovani lesbiche sono state insultate da alcuni ragazzi mentre si trovavano all'interno di un pub. Sono state notate, perché non avevano nascosto il fatto di essere una coppia: una mano che stringe l'altra, forse anche un abbraccio. Dimostrazioni d'affetto come se ne vedono tante, sul versante eterosessuale. Costrette a uscire, sono state inseguite e minacciate con calci e pugni sulla loro auto, al grido di "sporche lesbiche". 

Una volta entrate nella macchina sono state accerchiate dal branco, che ha impedito loro di allontanarsi, bloccando la strada con un'altra auto: soltanto l'arrivo dei carabinieri, chiamati pochi minuti prima dalla coppia, ha evitato che la situazione degenerasse ulteriormente.

Il caso più grave, però, dal punto di vista della prognosi, è quello che vede protagonista Guido Allegrezza, noto attivista per i diritti delle persone Glbt, aggredito la notte scorsa nel quartiere dell'Eur, in una zona abitualmente frequentata da gay. Allegrezza, che si trovava nei pressi di un bar, è stato affrontato da quattro ragazzi tra i 25 e i 30 anni, che gli hanno iniziato a lanciare contro delle pietre, ferendolo alla testa e procurandogli la frattura delle costole, oltre a varie contusioni. 

Trasportato al San Camillo, i medici lo hanno giudicato guaribile in 30 giorni (la denuncia è scattata d'ufficio). La vicenda è stata anche segnalata all'Oscad, l'osservatorio contro le discriminazioni della polizia di stato e dei carabinieri, che monitora le violenze omofobe anche al fine di suggerire alle Questure possibili contromisure, a livello di vigilanza e servizi mirati. Nel giugno dello scorso anno 3, tra l'altro, nella stessa zona dell'Eur, un altro ragazzo aveva denunciato di essere stato rincorso da un gruppo di giovanissimi armati di bastoni.

"Siamo di fronte ancora una volta a casi violenti. Quello che ci preoccupa - dicono Fabrizio Marrazzo, di Gay Center e Roberto Stocco, presidente di Arcigay Roma - è il ripetersi quasi quotidianamente di episodi di insulti e aggressioni. E se si pensa che quelli denunciati sono solo una parte dei casi che accadono realmente c'è di che allarmarsi. Occorre che le forze dell'ordine intervengano, che le istituzioni rispondano ma bisogna mobilitare anche l'opinione pubblica. I casi di cui abbiamo notizia sono un forte campanello di allarme che non si tratta di casi isolati ma che c'è una vasta area di disagio e di sottocultura che produce azioni di questo tipo. Secondo i dati di Gay Help Line, solo due casi di aggressioni su dieci vengono  denunciati. Per questo chiediamo a tutti di reagire e di partecipare numerosi alla manifestazione-concerto di Piazza Farnese il 22 giugno, al quale prenderà parte il ragazzo aggredito a Campò dè Fiori. Da quella piazza può venire una significativa risposta collettiva contro l'omofobia". 

"L'aggressione chiaramente omofoba ad Allegrezza si aggiunge a quelle denunciate in questi giorni e sta suscitando allarme e sconcerto in tutta la comunità gay romana. Chiediamo pene esemplari per gli aggressori dopo gli episodi di questi giorni e ribadiamo la necessità di una legge contro l'omofobia: le istituzioni si facciano portatrici di questo messaggio al Parlamento", afferma il Coordinamento Arcobaleno, invitando tutti a partecipare alla manifestazione del 22 giugno. 

Ed è "sdegnato" anche il circolo di cultura omosessuale Mario Mieli. "Chiunque ferisce fisicamente o moralmente le persone omosessuali e transessuali si pone fuori dal consesso civile di un paese. La risposta della comunità gay sarà ferma e decisa. Invitiamo quindi tutti i cittadini romani e non solo a partecipare a tutte le iniziative in programma a giugno nella capitale e che culmineranno nella grande parata del Pride il 23 con lo slogan quanto mai
opportuno "Vogliamo tutto": vogliamo anche una legge contro l'omofobia. 


Prodotti tipici, con l’italian sounding il nostrano sa di bufala. - Gianluca Schinaia

made-in-Italy


Dalla bresaola uruguaiana al pecorino romeno, sono decine i cibi tipici spacciati per italiani ma prodotti all'estero. Un giro d'affari che ruba al nostro Paese 60 miliardi di euro.

Benvenuti al Bazar Italia, specialità prodotti tipici nati e confezionati all’estero. Vi chiederete: com’è possibile un tale paradosso alimentare? Venghino, siore e siori, a vedere cosa espone la vetrina made in Italy, che di italiano ha solo la faccia (tosta). E’ il fenomeno dell’Italian sounding: prodotti che sembrano nostrani e invece sono elaborati, confezionati e venduti all’estero benché usino nomi italiani.
Ecco un esempio: non suona bene e probabilmente sa di bufala, anche se al primo assaggio si presenta come pecorino romano “Dolce Vita”. Poi assaggiate la bresaola uruguayana, gustate la caciotta rumena o inebriatevi del culatello statunitense: sicuramente più esotico, che tipico.  Una questione che da almeno vent’anni caratterizza le critiche dei piccoli produttori tradizionali che si lanciano nell’export e devono competere con i colossi agro-alimentari. Ma nell’ultimo periodo è stata la Coldiretti a guidare le proteste, accusando una società a maggioranza azionaria pubblica di incentivare le grandi imprese che all’estero vendono prodotti stranieri usando nomi italianissimi. «L’agroalimentare italiano rappresenta oltre il 16% del Pil nazionale», spiega Sergio Marini, presidente di Coldiretti, «l’export del comparto raggiunge quasi 28 miliardi di euro e in questi anni di crisi ha comunque segnato tassi di crescita annuali vicini al 13%: il problema è che i prodotti italian sounding rubano all’economia nazionale oltre 60 miliardi di euro! E soprattutto che lo Stato incentiva questo danno». Come? Secondo Coldiretti attraverso la Simest, società per azioni con il 60% di azionariato pubblico (controllata dal ministero dello Sviluppo economico) e il resto in mano ad associazioni imprenditoriali ed istituti di credito. Impresa nata nel 1991, su proposta dell’allora ministro del Commercio estero Renato Ruggiero, per dotare l’Italia di uno strumento utile a promuovere l’internazionalizzazione delle aziende italiane. Oggi invece, secondo Marini, «la Simest aiuta imprese italiane che usano materie prime, lavoratori e stabilimenti stranieri per realizzare alimenti presentati come nostrani: queste azioni non solo non aiutano il made in Italy ma ledono lo sforzo di chi esporta veramente prodotti tipici».
Possibile allora che una società sottoposta al controllo dello Stato, che usa anche fondi pubblici, lavori contro l’interesse nazionale? A rispondere è l’amministratore delegato della Simest spa, Massimo D’Aiuto: «Per legge, la società che rappresento non può finanziare investimenti in imprese italiane all’estero che delocalizzino le proprie unità produttive o amministrative. Noi finanziamo solo imprese sane appartenenti ai settori tipici del made in Italy, tra i quali l’elettromeccanico, la moda e l’agroalimentare. Nei primi 11 mesi del 2011 abbiamo avviato 64 nuovi progetti (+3% rispetto al 2010) ai quali partecipiamo con 156 milioni di euro (+45% rispetto all’anno scorso): in totale abbiamo 256 partecipazioni societarie che ammontano a circa 330 milioni di euro». Una storia di successo, quella della Simest, incrinata dalle critiche di Coldiretti che si sostanziano in due casi emblematici: la bresaola uruguayana e il pecorino romeno. Secondo le accuse dell’associazione degli agricoltori, il gruppo Parmacotto nel suo punto vendita “Salumeria Rosi” al 283 di Amsterdam Avenue di New York, vende a fianco di prodotti tipici realmente made in Italy come il prosciutto crudo, cotto o lo zampone, anche la bresaola fatta e confezionata in Uruguay. L’accusa di Coldiretti muove dall’investimento di 11 milioni di euro, appena accordato dalla Simest, nella Parmacotto in Italia per lo sviluppo della produzione italiana. Più grave appare il secondo caso citato da Coldiretti, quello di Lactitalia, s.r.l. rumena costituita nel 2005 e controllata dalla Roinvest dei fratelli Pinna di Thiesi (70,5%) e quindi dalla Simest. L’azienda commercializza in Italia e in altri paesi europei formaggi di tradizione italiana col marchio “Dolce vita” (mozzarella, pecorino, mascarpone, caciotta) e di tradizione rumena, tra cui una ricotta chiamata “toscanella”: tutti prodotti in Romania da lavoratori autoctoni, usando materie prime romene. In questo caso, difficile non vedere un chiaro tentativo di confondere il consumatore straniero a prescindere dalla correttezza dell’etichettatura della provenienza del prodotto. Per il made in Italy, oltre al danno anche la beffa visti gli incarichi che i due fratelli Pinna rivestivano fino a qualche tempo fa: Andrea come vicepresidente del Consorzio di Tutela del Pecorino Sardo e Pierluigi come consigliere dell’organismo che certifica ilcontrollo di qualità dello stesso formaggio nostrano.
Un’operazione sfacciata, ai limiti della legalità? Forse, ma esiste un’espressione anglosassone per definire un “colpo ben riuscito”, una frase che richiama il Bel Paese anche se con questo non ha nulla a che vedere, proprio come i prodotti visti prima: the Italian job.

Da Penati a Berlusconi, da Tarantini a Papa ecco i processi che saltano se passa la riforma. - Emilio Randacio


Le nuove norme sulla corruzione provocheranno in diversi casi l'accorciamento dei termini di prescrizione. I rischi principali vengono dalla modifica del reato di concussione e dalle nuove pene previste.


DAL CASO Tarantini, al Rubygate. Ma anche altro. Dalla bufera sul Cardarelli e sui primari accusati di taglieggiare i pazienti per operarli, per finire al "Sistema Sesto". L'inchiesta in cui l'ex leader lombardo del Pd, Filippo Penati, è accusato di aver preteso sostanziose mazzette dagli imprenditori. Non è un colpo di spugna la riforma approvata ieri, ma avrà comunque conseguenze su diversi processi importanti. Il principale riguarda proprio Penati, a cui la procura di Monza contesta i reati più gravi fino al 2002. Per la concussione saremmo di fronte a una prescrizione già certa (i processi dovrebbero concludersi entro l'anno e non più nel 2017). E lo stesso criterio verrà applicato per chi ha la medesima accusa. L'introduzione dell'articolo "319 quater", disciplina infatti la "concussione impropria", prevedendo pene fino a un massimo di 8 anni. In questo caso, i tempi di prescrizione si riducono di un terzo rispetto alla vecchia concussione, dando un'importante sforbiciata di tempo soprattutto per i numerosi dibattimenti in corso. 

Il sistema Sesto 
L'approvazione del ddl anticorruzione farebbe saltare un intero pezzo dell'inchiesta sul "Sistema Sesto", su cui indagano i pm della procura di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia: il filone sulla riqualificazione delle aree Falck. Sarebbero coperte da prescrizione le accuse a Filippo Penati, a Giordano Vimercati e agli uomini delle coop rosse: il vicepresidente del Consorzio cooperative costruttori, Omer Degli Esposti, e i due consulenti che sarebbero stati imposti al proprietario dell'area, Giuseppe Pasini. Ma mentre le coop rosse sarebbero totalmente salve - per fatti tra il 2000 e il 2004 - nulla eviterà il processo a Penati per gli altri capi d'imputazione: le presunte tangenti per la terza corsia dell'autostrada A7 e per i finanziamenti illeciti alla sua associazione "Fare Metropoli".  

Il Rubygate 
Cinque anni in meno per celebrare il processo Ruby e un'"insidia" che potrebbe essere utilizzata dai legali del Cavaliere per tentare di smontare l'accusa. È questa la principale conseguenza al Tribunale di Milano del decreto anticorruzione. Per il Rubygate, le modifiche riguardano la concussione. Il processo non rischia uno stop, ma la prescrizione si accorcia al 2020. Potrebbe, però, offrire un'"insidia", spiegano fonti della procura, nel caso i difensori di Berlusconi volessero dare un'interpretazione estensiva alla riforma coinvolgendo anche il funzionario della questura che fece rilasciare Ruby. Per le indagini per concussione, invece, il pool  per i reati sulla pubblica amministrazione teme che l'introduzione di una pena massima di 8 anni di carcere, possa indurre gli imprenditori a evitare di denunciare. 

Il caso Cardarelli 
La riforma della concussione potrebbe avere effetti anche sull'inchiesta in corso a Napoli nei confronti del primario di Ortopedia Paolo Iannelli. Il nucleo centrale delle contestazioni si riferisce all'ipotesi secondo la quale il primario (che nega) avrebbe indotto degenti dell'ospedale Cardarelli a lasciare il presidio sanitario pubblico per la clinica privata Villa del Sole. Bisognerà vedere adesso come, dopo l'approvazione definitiva del nuovo testo, le condotte configurate dai pm Curcio e Woodcock come concussione dovranno essere riformulate e con quali conseguenze sul procedimento. In Procura, dove ieri si è insediato il nuovo capo, non si sbilanciano e attendono il testo definitivo. 

La P4 
A Napoli è in corso il processo di primo grado nei confronti del deputato del Pdl Alfonso Papa, imputato di concussione e altri reati nel giudizio originato dall'inchiesta denominata P4.
Al parlamentare, che respinge le accuse, viene contestato di aver imposto a tre imprenditori il pagamento di alcune utilità (soggiorni in albergo, regali) in cambio di notizie e interventi su vicende giudiziarie. Anche in questo caso le nuove norme attualmente allo studio delle Camere potrebbero avere effetti negativi sul procedimento, tenuto conto ad esempio che il pacchetto introduce la nuova figura di reato del "traffico di influenze". Secondo fonti della Procura, a Napoli dal 2007 al 2011 sono state iscritte nel registro degli indagati con l'accusa di concussione circa 1700 persone, ben 592 nel 2008.

La sanità pugliese 
C'è anche un filone della maxinchiesta sul "sistema Tarantini" fra i processi a rischio prescrizione, con l'approvazione del ddl sulla nuova concussione. Ed è quello relativo agli "affari" del noto imprenditore barese con il primario di Neurochirurgia del Policlinico di Bari, Pasqualino Ciappetta. Secondo l'accusa, tra il 2006 e il 2009, Tarantini avrebbe accontentato il primario mettendo a disposizione auto e autista, pagando viaggi e persino il conto di salumerie o di cene consumate in rinomati ristoranti. A spese di Tarantini anche i 15 ricorsi che il professor Ciappetta voleva presentare per chiedere l'annullamento di multe. In cambio il neurochirurgo avrebbe favorito Tarantini scegliendo, sulla base del principio dell'infungibilità, le protesi da lui fornite.

Le nomine Asl 
La nuova concussione, quella che fino ad oggi era definita "per induzione", influirà anche nel processo per lo scandalo sulla cosiddetta "cupola Tedesco". Secondo la Procura di Bari, la struttura guidata dal senatore Alberto Tedesco, tra il 2005 e il 2009 avrebbe pilotato le nomine di dirigenti di Asl pugliesi e la nomina di quelli amministrativi e sanitari, in modo da dirottare gare di appalto e forniture verso imprenditori a lui legati da interessi economici ed elettorali. Tedesco, che insieme agli altri imputati potrebbe ora ottenere sconti dalla nuova normativa, sarebbe intervenuto "attivamente sui direttori generali e sui dirigenti per nominare quali primari persone di sua fiducia e destituire persone che non obbedivano ai suoi ordini". 



http://www.repubblica.it/politica/2012/06/14/news/processi_a_rischio-37162396/?ref=HREA-1  

Dal barbiere...



Ricevo e trasmetto... per farmi sentire e per condividere un sorriso. In
questi tempi ogni tanto fa bene!
Frate Pietro Sorci


 

Una mattina un fiorista andò dal barbiere per un taglio di capelli. Alla
fine, chiese il conto, ma il barbiere rispose: “non posso accettare denaro
da lei, questa settimana sto facendo servizio alla comunità”. Il fiorista
ringraziò delle gentilezza e uscì. E il mattino successivo il barbiere trovò
un biglietto di ringraziamento e una dozzina di rose alla porta del suo
negozio. 



 
  
Più tardi un poliziotto entrò a farsi tagliare i capelli e quando chiese di
pagare il barbiere disse anche a lui: “non posso accettare denaro da lei,
questa settimana sto facendo servizio alla comunità”. Il poliziotto ne fu
felice e il mattino successivo il barbiere trovò un biglietto di
ringraziamento e una dozzina di ciambelle alla porta del suo negozio. 



 

Venne quindi un Membro del Parlamento per il taglio dei capelli e quando
passò alla cassa, anche a lui il barbiere ripeté: “non posso accettare
denaro da lei, questa settimana sto facendo servizio alla comunità”. Molto
contento il Membro del Parlamento se ne andò. La mattina successiva, quando
il barbiere andò ad aprire il negozio, trovò una dozzina di Parlamentari in
fila per il taglio dei capelli. 



 

Questo, cari miei, chiarisce la differenza fondamentale tra cittadini e
politici. 

RICORDIAMOCELO: POLITICI E PANNOLINI VANNO CAMBIATI SPESSO E PER LA STESSA RAGIONE!



Ricevuta tramite mail.

Esodiamo la Fornero. - Gianfranco Mascia


Gli esodati alla Fornero


Le menzogne di Berlusconi non le abbiamo mai sopportate. Le abbiamo sempre denunciate senza mai perdonargliele neanche una. 
Perchè con il governo Monti la cosa dovrebbe essere diversa?
Tra l’altro nel governo c’è un ministro specializzato in bugie: la Fornero.
Aveva dichiarato: “La riforma della pensioni è pensata per restituire ai giovani speranza e futuro”.  Ed è la prima bugia.
A sei mesi dalla riforma pensionistica in realtà la disoccupazione giovanile è salita dal 30 al 36%. Logica conseguenza del mancato turn-over con padri costretti al lavoro fino a 67 anni.
La seconda bugia arriva con la promessa di una “paccata di miliardi”, a patto che i lavoratori avessero accettato la sua riforma. L’articolo 18 è stato formalmente cancellato, ma i soldi promessi per gli ammortizzatori e per l’occupazione giovanile non sono mai arrivati. Completamente scomparsi dal tavolo di concentrazione.
Ed eccoci alla terza – e forse più grande e in malafede – menzogna. Riguarda gli esodati, quei lavoratori che hanno accettato di interrompere il proprio rapporto di lavoro contando di andare in pensione con le vecchie norme (vigenti al 31 dicembre 2011) e che invece, a causa della riforma delle pensioni (voluta dalla Fornero), rischiano di vedere la data di pensionamento slittare. In pratica, rischiano di trovarsi senza stipendio e senza pensione anche per 5-6 anni ancora.
La Fornero aveva ‘quantificato’ gli esodati in 65mila e calibrato gli aiuti del governo su questa cifra. Ma conosceva già il loro numero esatto, 390.200, perché contenuto nella relazione che l’Inps aveva inviato al ministero del Lavoro prima della firma del decreto che fissava appunto in 65mila il numero dei cosiddetti salvaguardati.
In un Paese normale, il ministro del lavoro constatato l’errore avrebbe chiesto scusa e lasciato la sua lettera di dimissioni sul tavolo di Monti. Ma questa è la Repubblica delle Banane, bellezza. Dove l’arroganza è di casa. E così la Fornero sgrida l’Inps, anzichè ringraziare per aver detto le cose come stanno.
Ecco perchè il Popolo Viola ha lanciato una petizione online per chiedere le dimissioni della Fornero. 50mila firme per esodarla in 2 giorni.

Cessione Siremar, si riparte da zero aperta indagine sulla gara annullata. - Antonio Fraschilla


Cessione Siremar, si riparte da zero aperta indagine sulla gara annullata


Il Tar del Lazio ha bloccato il trasferimento della compagnia regionale alla cordata capeggiata da Lauro con la Regione socia: mistero sulla fideiussione da 30 milioni garantita dagli uffici del Bilancio.


La Procura di Roma indaga sull'operazione Siremar portata avanti dalla Regione e adesso bloccata definitivamente dal Tar del Lazio perché si configura l'ipotesi di aiuti di Stato. La Guardia di finanza ha sequestrato documenti e hard disk di funzionari e dirigenti del dipartimento regionale Bilancio coinvolti nella gara per l'acquisizione della Siremar, aggiudicata in un primo momento proprio alla cordata della Compagnia delle Isole guidata da Palazzo d'Orleans. Gara appena annullata dal Tar perché a sostegno dell'offerta vi era una fideiussione da 30 milioni di euro emessa da Unicredit ma garantita in prima battuta solo dalla Regione. Da qui il ricorso presentato dalla Navigazione siciliana spa della famiglia Franza e di Vittorio Morace, che hanno chiesto e ottenuto lo stop della gara per aiuti di Stato alla Compagnia delle Isole.

Ma rischia di avere anche uno strascico giudiziario il flop dell'avventura di Palazzo d'Orleans nel settore dei trasporti marittimi. Un'avventura voluta fortemente dal governatore Raffaele Lombardo, che prima ha rifiutato di ricevere la Siremar gratuitamente dallo Stato perché in questo caso si sarebbe dovuto accollare debiti per quasi 100 milioni di euro. E, successivamente, ha messo in piedi in poche settimane attraverso un avviso pubblico lampo una cordata di armatori a lui graditi per rilevare la Siremar ripulita dalla zavorra dei debiti. Un affare che avrebbe consentito a Palazzo d'Orleans di entrare direttamente nella gestione di un'azienda da 500 marittimi.
La cordata della Compagnia delle isole grazie alla fideiussione garantita in un primo momento dalla Regione ha vinto la gara con un'offerta da 60 milioni di euro: la Compagnia è composta dalla Mediterranea Holding, dall'armatore campano Salvatore Lauro, dalla Acies che ha come amministratore delegato l'imprenditrice proprietaria dello stabilimento della Coca-Cola a Catania, Maria Cristina Busi. E, ancora, dalla Davimar eolia navigazione e dalla Nvg, guidate da un gruppo di piccoli imprenditori di Milazzo e Messina (dalla famiglia Taranto a Massimo La Cava) e, infine, dalla Isolemar che vede socio di riferimento e presidente del cda l'imprenditore sardo Franco Del Giudice, coinvolto lo scorso anno in un giro di fatture false scoperto in Sardegna.

Il governatore ha sempre sostenuto che tutta questa operazione era "a costo zero" per la Regione. Invece, dopo il ricorso presentato dall'altra cordata di armatori guidata dai Franza e da Morace, i giudici amministrativi hanno scoperto che la fideiussione c'era, eccome. E che proprio grazie a questa garanzia di Palazzo d'Orleans la Compagnia delle Isole ha potuto fare un'offerta più elevata: "Non vi è dubbio  -  si legge nella sentenza del Tar  -  che l'impegno di garanzia assunto da Unicredit in favore della Compagna delle Isole abbia consentito alla società di presentare un'offerta conforme alle prescrizione della lettera d'invito e la formulazione di un'offerta decisamente superiore al prezzo minimo d'acquisto. Con la conseguenza che il peso reale dell'offerta ricadeva tutto sulla Regione". A nulla è servita la giustificazione dell'amministrazione "del ritiro della garanzia" dopo la presentazione delle offerte. 

Ma come ha fatto la Regione a garantire 30 milioni di euro senza una delibera di giunta o una norma votata all'Ars? Con quali soldi? L'assessore all'Economia Gaetano Armao a Sala d'Ercole ha dichiarato di non essere a conoscenza di alcuna fideiussione. Dichiarazione, questa, utilizzata dai legali della Navigazione siciliana nel ricorso al Tar. Ma la stessa domanda adesso, annullata la gara, se la stanno facendo i magistrati romani che hanno inviato la Guardia di finanza per recuperare al dipartimento Bilancio tutta la documentazione sulla gara Siremar.



http://palermo.repubblica.it/cronaca/2012/06/11/news/cessione_siremar_si_riparte_da_zero_aperta_indagine_sulla_gara_annullata-37023085/