lunedì 18 giugno 2012

Processo Mediaset, pm chiede 3 anni e 8 mesi per Berlusconi. -


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“Ci sono le impronte digitali di Silvio Berlusconi sui soldi dei fondi neri”. Il pubblico ministero Fabio De Pasquale ha chiesto che Silvio Berlusconi venga condannato a 3 anni e 8 mesi per frode fiscale. La richiesta come di rito è avvenuta al termine della requisitoria del processo Mediaset che si sta svolgendo a Milano, sulle presunte  irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi da parte del gruppo del Biscione. Oltre all’ex premier ci sono 10 imputati, fra cui Fedele Confalonieri. Tutti sono accusati di frode fiscale, mentre per i cittadini di Hong Kong c’è un’altra accusa: il riciclaggio. Per Confalonieri, presidente del gruppo, l’accusa ha chiesto una condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione.
Le impronte digitali, alle quali il pm fa riferimento sono conti bancari svizzeri dove sono stati versati i fondi neri che, “sono riconducibili a Silvio Berlusconi“. Il rappresentante della pubblica accusa ha molto insistito sulla circostanza che Berlusconi è stato “l’apice della catena di comando dei diritti fin dal 1998″ e che questo ruolo è stato da lui mantenuto anche dopo la discesa in campo nella politica. Confutando la tesi difensiva secondo la quale Berlusconi avrebbe lasciato il comando delle sue società dopo aver assunto l’impegno politico, De Pasquale ha detto che questa argomentazione “fa a pugni con quello che leggiamo sui giornali ogni giorno”. Per il presunto “socio occulto di Berlusconi, l’imprenditore di origine egiziana Frank Agrama, sono stati chiesti tre anni e otto mesi di carcere. Stando alla ricostruzione della procura, le società della galassia Fininvest e poi Mediaset avrebbero acquistato a prezzi gonfiati i diritti dei programmi televisivi dalle major americane e poi, tramite il mediatore Agrama, il sovrappiù sarebbe stato accantonato in fondi neri messi a disposizione di Silvio Berlusconi e sottratti al fisco italiano.
In quattro anni tra il 1994 e il 1998, questa la tesi dell’accusa, attraverso “catene di vendite fittizie” sarebbero stati gonfiati i costi dei diritti televisivi per un totale di circa 368 milioni di dollari. Per quanto riguarda gli anni compresi tra il 2001 e il 2003 invece i bilanci della società televisiva sarebbero stati gonfiati di 40 milioni di euro, grazie all’aggiunta di costi fittizi. De Pasquale durante la requisitoria ha  fatto riferimento alle consulenze della società di revisione Kpmg che, a suo dire, “sono già metà della sentenza”. Infatti il pm, grazie a questa consulenza ha ricostruito, “l’artificiosità dell’organizzazione delle vendite fittizie per gonfiare i costi”, dei diritti televisivi acquistati da Mediaset per creare, secondo l’accusa, fondi neri. Il magistrato ha spiegato inoltre che nell’ambito delle indagini è emerso che su conti bancari svizzeri “girava la cresta”, ossia i fondi neri dei costi gonfiati, “attraverso transazioni illegali”. Le presunte irregolarità, secondo il pm, avrebbero riguardato “circa 3mila titoli di film che hanno dato origine a 12 mila passaggi contrattuali, ogni titolo dunque aveva 4 passaggi commerciali”.
Il pm ha descritto il meccanismo dei costi gonfiati come “un inferno di spezzettamenti” delle transazioni tra società, puntando il dito soprattutto sul “rapporto ambiguo” tra Mediaset e Paramount. Nella parte iniziale, inoltre, il magistrato ha parlato dell’ormai noto “gruppo B Fininvest’’, ossia “di tutte quelle società di carta” di cui era proprietario, secondo l’accusa, Silvio Berlusconi. Alcune di queste società, soprattutto quelle maltesi, secondo il pm, avrebbero avuto un ruolo fondamentale nel meccanismo di maggiorazione dei costi dei diritti tv. Queste società nascoste di Fininvest, secondo il Pm, “è stato dimostrato che erano di Berlusconi come persona fisica”. Il Pm ha anche fatto riferimento a due società Century Onee Universal One, al centro secondo l’accusa della compravendita dei diritti tv, che “erano formalmente di proprietà dei figli di Berlusconi, di Marina e Pier Silvio”.
De Pasquale ha chiesto inoltre condanne pluriennali per tutti gli imputati. La pena più alta per il banchiere e fondatore della Arner Bank Paolo Del Bue, accusato di riciclaggio (sei anni più 30mila euro di multa); 3 anni per Marco Colombo (frode); 3 anni e 30mila euro per Manuela De Socio (riciclaggio); 2 anni e mezzo per Gabriella Galetto (frode); 5 anni e 30mila euro per Erminio Giraudo (riciclaggio); 3 anni e 8 mesi per Daniele Lorenzano (frode); 4 anni e 30mila euro perCarlo Scribani Rossi (riciclaggio). 

SISMA EMILIA - Smaltimento macerie, l’illegale diventa legale. Per decreto. - Angelo Venti


FINALE EMILIA - Terremoto che vai, usanze che trovi. L’Aquila e L’Emilia, una ricetta con gli stessi ingredienti: dichiarazione dello stato di emergenza, potere di ordinanza, di deroga, allentamento dei controlli. Finora, per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti e delle macerie, con il sisma in Emilia queste pratiche si sono già spinte oltre - molto oltre - in un tessuto produttivo di gran lunga più delicato di quello aquilano. Un numero impressionante di capannoni - come ad esempio quelli del polo biomedicale - crollati, abbattuti o demoliti con all’interno prodotti e materie prime di ogni tipo. Tutto da smaltire indistintamente con le macerie ed equiparato “ai rifiuti urbani“.
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Quella intrapresa in Emilia è una china pericolosa. Il 6 giugno scorso è stato varato il Decreto-legge n.74(GU n. 131 del 7-6-2012), da convertire in legge entro 60 giorni: gli emiliani farebbero bene ad alzare le antenne e prestare da subito molta attenzione a ciò che sta accadendo nel dopoterremoto.
Il decreto 74 prevede, all’art. 17, la “trasfigurazione” delle macerie da rifiuti speciali in rifiuti urbani. Ma cosa ancora peggiore è che il comma 7 prevede che il trasporto venga effettuato direttamente dalle aziende che gestiscono il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, o anche indirettamente a mezzo di imprese di trasporto anche “non iscritte all’albo” e senza la “tracciabilità dei rifiuti“. Ad essere eliminati, in sostanza, sono anche il FIR e il Registro di carico dei rifiuti.
Proviamo a chiarire meglio di cosa si tratta e quali effetti devastanti può produrre sul territorio.
Intanto, è da notare che il decreto 74 punta a cancellare la tracciabilità non tanto delle macerie giacenti sulle vie e gli spazi pubblici, ma soprattutto di quelle giacenti nei luoghi privati e dei rifiuti derivanti da demolizioni. Le macerie giacenti sulle pubbliche vie, infatti, anche senza l’emanazione di questo decreto erano già equiparate ai rifiuti urbani. Infatti l’art. 184, comma 2, lett. d, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. (il Testo Unico Ambientale) definisce come rifiuti urbani “i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua“.
Diverso è invece il discorso per le macerie che si trovano all’inerno di aree private, tipo i capannoni crollati. Ancor più se parliamo di rifiuti da demolizione di edifici privati, o di capannoni privati. Infatti, tutti i rifiuti dall’attività di demolizione sono sempre considerati “rifiuti speciali“, come specificato nel Testo unico ambientale.
E’ evidente, quindi, che l’estensore del comma 1, nel prevedere la trasfigurazione delle macerie in “rifiuti urbani“, è proprio a quelli su aree private che rivolge la maggiore attenzione. Infatti, sempre l’art. 17, al comma 1 fa riferimento, oltre ai “materiali derivanti dal crollo parziale o totale degli edifici pubblici e privati causati dagli eventi sismici del 20 maggio 2012 e dei giorni seguenti“, cita pure “quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti“.
Occorre prestare molta attenzione alla sintassi usata dal legislatore, quando scrive: “…quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti, disposti dai Comuni interessati dagli eventi sismici…“. Se il “disposti dai Comuni interessati …” lo si intende riferito sia alle attività di demolizione che alle attività di abbattimento, allora vorrà dire che, comunque, il particolare regime disposto per questi rifiuti (che da speciali vengono trasfigurati in urbani) è subordinato ad un provvedimento amministrativo (che dispone la demolizione o l’abbattimento) senza il quale la detta trasfigurazione non sarà possibile. Se, invece lo si intenda riferito alle sole attività di abbattimento - il che sarebbe più logico, perché la demolizione, di solito, è un’attività edilizia che avviene su input del privato, mentre l’abbattimento, è la stessa identica attività, ma disposta da un’autorità pubblica - allora ne consegue che tutte le attività di demolizione disposte dai privati non sarebbero soggette ad un filtro amministrativo di autorizzazione/disposizione, per cui, la deregulation sarebbe totale.
Come già si è avuto modo di vedere nel precedente sisma di L’Aquila, la trasfigurazione da “rifiuti speciali” a “rifiuti urbani” sottende la volontà di eliminare limiti, vincoli e soprattutto la tracciabilità e i controlli sui flussi dei rifiuti.
Nel caso del sisma in Emilia, questa volontà si è spinta anche oltre. Infatti, leggendo il comma 7 dell’art. 17, ci si accorge che, come a L’Aquila, viene espressamente abolita la tracciabilità, poiché è prevista la deroga alla norma che impone i FIR (art. 193 del D.Lgs. 152/2006) e al registro di carico e scarico (art. 190 del D.Lgs. 152/2006). Ma viene introdotta una ulteriore innovazione peggiorativa: viene addirittura prevista la deroga all’obbligo di iscrizione all’albo gestori ambientali (art. 212 D.Lgs. 152/2006). In particolare è previsto che il trasporto delle macerie (giacenti in pubbliche vie ed in aree private) - e dei rifiuti da demolizione e abbattimento di edifici (pubblici e privati) - possa avvenire ad opera di soggetti che svolgono (già) il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani. E possono farlo direttamente, ma anche indirettamente. Cioè “attraverso imprese di trasporto da essi incaricati previa comunicazione della targa del trasportatore ai gestori degli impianti individuati al punto 4 e pubblicazione all’albo pretorio dell’elenco delle targhe dei trasportatori individuati.
Per finire, il penultimo periodo del comma 7, contiene una norma che espressamente prevede che “Le predette attività di trasporto, sono effettuate senza lo svolgimento di analisi preventive“. Quindi i rifiuti da demolizione - soprattutto se provenienti dalla demolizione o abbattimento di un capannone industriale (a meno che non contengano amianto) - non sono soggetti ad analisi chimiche. Significa che tali rifiuti, anche se dovessero contenere sostanze particolarmente inquinanti e/o pericolose, vengono caricati e trasportati come se fossero innocue pietre triturate.

Uomini che non devono chiedere mai. - Marco Travaglio


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Da quando abbiamo pubblicato un lungo colloquio con Grillo, riceviamo lezioni di giornalismo dai migliori servi del regime, tutta gente che non ha mai fatto una domanda in vita sua o, se gliene scappava una, correva a chiedere il permesso a Berlusconi o a Bisignani. Alcuni ci spiegano che le domande erano sbagliate, senza peraltro suggerirci quelle giuste; altri addirittura confondono l’intervista a Grillo con l’iscrizione del Fatto al movimento 5 Stelle.
Come dire che, se un giornale intervista B. (non vediamo l’ora di farlo), diventa l’house organ di B. Premesso che siamo orgogliosi di quel colloquio e dell’invidia che ha suscitato in chi vorrebbe ma non può, è ovvio che la cattiveria di un’intervista è direttamente proporzionale alla negatività del personaggio intervistato. Se e quando Grillo sarà coinvolto in qualche scandalo o vicenda tangentizia o mafiosa, ne daremo e gliene chiederemo conto con più cattiveria di quella che riserveremmo ai politici di professione. Al momento, purtroppo per i servi, non risultano né scandali né vicende tangentizie o mafiose a carico di Grillo. Il bello è che la grande e la piccola stampa che dà lezioni a noi si segnala in questi giorni per l’olimpica distrazione su una notiziola da niente: le telefonate di Mancino, appena interrogato a Palermo sulla trattativa Stato-mafia, al consigliere giuridico di Napolitano e il prodigarsi del consigliere e di Napolitano presso il Pg della Cassazione per soddisfare le lagnanze di Mancino, subito dopo indagato per falsa testimonianza. La notizia l’han data due giorni fa Repubblica e il Corriere (entrambi a pagina 22: dev’essere quella riservata agli scandali di Stato). Così, quando abbiamo chiamato il consigliere Loris D’Ambrosio per chiedere lumi, lo immaginavamo assediato dalle telefonate di tutti i giornali, i tg e le agenzie. Invece il D’Ambrosio si è molto stupito per le nostre domande, visto che eravamo gli unici a porgliele. Ieri infatti siamo usciti in beata solitudine con la sua incredibile intervista, in cui non solo ammetteva le ripetute lagnanze dell’ormai indagato Mancino, ma si trincerava dietro l’“immunità presidenziale” su ciò che disse e fece in seguito Napolitano. Nessun giornale, men che meno quelli che avevano dato la notizia, ha pensato di disturbare il Quirinale per saperne di più. La parola “Quirinale”, o “Colle”, viene infatti pronunciata, anzi sussurrata a mezza voce nelle migliori redazioni con sacro timore, anzi tremore riverenziale: un po’ come il nome della divinità che, in alcune religioni, è impronunciabile perché ineffabile. In più il Quirinale, il Colle, è anche infallibile: ogni monito è un dogma, ogni sospiro un soffio di Spirito Santo. Se Ipse dixit, o fecit, avrà avuto le sue buone ragioni e non sta ai giornalisti sindacare. Poi arrivano quei rompiscatole del Fatto, D’Ambrosio risponde e ieri il Quirinale, il Colle è costretto a sputare il rospo: Napolitano trasmise le lagnanze di Mancino, ex ministro, ex onorevole, ex presidente del Senato, ex vicepresidente del Csm, da due anni privato cittadino, al Pg della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare contro i magistrati, per raccomandare – senz’averne alcun titolo, né Napolitano, né il Pg – un fantomatico “coordinamento” fra le indagini di Palermo sulla trattativa e quelle di Caltanissetta su via D’Amelio (fatti diversi, su cui nessuna delle due procure ha mai sollevato conflitti di competenza). Dunque d’ora in poi ogni privato cittadino interrogato in procura che voglia lamentarsi del suo pm potrà comporre l’apposito numero verde del servizio “Sos Colle”, una sorta di ufficio reclami per sedicenti vittime della giustizia. Gli risponderà il consigliere D’Ambrosio in persona, che investirà del caso il Presidente, che attiverà ipso facto il Pg della Cassazione perché metta in riga il pm incriminato. Pare che potranno chiamare anche i giornalisti che danno lezioni al Fatto, sempreché sappiano cos’è una domanda.

Gasparri scrive ai vigili: “Toglietemi le multe, non ho tempo per certe cose”. - Paolo Zanca

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Con carta intestata del Senato scrive all'ufficio contravvenzioni del Comune di Roma: “L'autovettura oggetto della contravvenzione era temporaneamente sprovvista dell'autorizzazione al transito, che non mi è stato possibile rinnovare tempestivamente a causa di continui e ripetuti impegni in diverse parti d'Italia".

Io sottoscritto Sen. Maurizio Gasparri, Presidente del Gruppo Parlamentare ‘Il Popolo della Libertà’ presso il Senato della Repubblica…”. La lettera comincia così, piena zeppa di maiuscole. Ma non ha niente a che vedere con il ramo del Parlamento che ha sede a Palazzo Madama o con il partito che alloggia in via dell’Umiltà. Riguarda una Mercedes classe A, che viaggia per le strade della Capitale ed è intestata ad Amina Fiorillo. La moglie del senatore Maurizio Gasparri. La lettera è datata 22 marzo 2012 e indirizzata all’ufficio Contravvenzioni del Comune di Roma.Gasparri e famiglia abitano nel centro storico e hanno preso alcune multe perché si sono dimenticati di rinnovare il pass per la zona a traffico limitato. Hanno chiesto l’archiviazione dei verbali e fatto valere il loro diritto di residenti autorizzati. Ma il senatore ha preferito non procedere come un cittadino qualsiasi. Ha scritto ai vigili su carta intestata del Senato, ha illustrato lo scranno su cui sedeva e ha tenuto a precisare che “l’autovettura oggetto della contravvenzione era temporaneamente sprovvista dell’autorizzazione al transito, che non mi è stato possibile rinnovare tempestivamente a causa di continui e ripetuti impegni in diverse parti d’Italia correlati al mio mandato istituzionale”. Talmente avvezzo alla tiritera da metterla in mezzo anche quando non ce ne sarebbe bisogno.
Lui, Però, al telefono non capisce il punto. Spiega e rispiega com’è andata la vicenda: “Sono residente in centro storico, la macchina è di mia moglie, io a volte la uso a volte no: il permesso era scaduto, mi sono arrivate le multe, adesso aspetto di capire quanto e come bisogna pagare…”. Nessuno gli contesta la dimenticanza, ma lui insiste: “I residenti hanno un permesso che viene rinnovato con scadenze anomale, tipo ogni tre anni, quindi non è come l’assicurazione, o il bollo… quando scade non c’è neanche un avviso al titolare. Mia moglie non l’ha rinnovato, può capitare, e quindi, in attesa di pagare…”. Il senatore ha fatto ricorso, come avrebbe fatto chiunque. Su questo siamo d’accordo: “Non c’entra niente il fatto di essere parlamentare, non ho il permesso in qualità di parlamentare, ho il permesso come residente. Non è che non ne avevo il diritto, è che non l’avevo rinnovato”. Il punto è chiarissimo, ma perché usare la carta intestata del Senato? “Non è questo il problema, quello che mi chiederanno di pagare pagherò , quella lettera non è tesa a procacciarsi un ingiusto vantaggio: se uno voleva fare una cosa non regolare non è che si metteva a fare una lettera, giusto no?”. Sarebbe bastato presentarsi come Maurizio Gasparri, residente in via tal dei tali… “Io sono quello che sono, mica mi devo vergognare di quello che sono né devo chiedere un privilegio per la mia posizione. Sono un senatore, uso la carta intestata, che devo fa’? Non credo che per questo faranno valutazioni di alcuna natura, guardi… la procedura è assolutamente corretta, la risposta potrà essere negativa, ci atterremo a quello che sarà”. In attesa di vedere come andrà a finire, non resta che affidarsi al presagio del senatore: “Non credo che mi daranno una risposta perché sono Gasparri”.
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