GRASSO CHE COLA SUL COLLE.


DAGOREPORT
E' davvero il caso di citare uno dei più noti saggi di Primo Levi: "I salvati e i sommersi".
NICOLA MANCINONICOLA MANCINO
Nella palude palermitana affondano il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, il suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio e il Procuratore Generale della Cassazione Gianfranco Ciani.
Chi è invece l'unico che si salva? Il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso che dice no alla richiesta di avocazione - cioé il passaggio di una inchiesta dal Pm titolare al suo superiore - sollecitata dal Quirinale alla Procura Generale della Cassazione per salvare Nicola Mancino dai magistrati di Palermo che indagano sulla trattativa Stato - Mafia.
E perché l'astuto Grasso dice no? Forse perché ha voluto difendere a tutti i costi la magistratura dalle ingerenze del Quirinale?
NICOLA MANCINO E MOGLIE resizeNICOLA MANCINO E MOGLIE RESIZE
O forse perché la sua enorme e nota stima nei confronti del Pm di Palermo, Antonio Ingroia, lo ha indotto a sbarrare la strada ad ogni interferenza?
Può essere. Ma di certo un aiutino gli sarà arrivato da qualche solerte servitore della DIA che nel più stretto riserbo - e in largo anticipo - lo avverte delle intercettazioni in corso su Nicola Mancino e Loris D'Ambrosio.
NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANONICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO
E quando sarebbe arrivato questo aiutino? Forse il giorno dopo che Nicola Mancino, sempre più agitato e preoccupato, chiama D'Ambrosio e dice: "Ho visto Grasso in una cerimonia, stava davanti a me. Mi ha detto: ‘Quelli lì (probabilmente i pm della Procura di Palermo) danno solo fastidio. Ma lei lo sa che noi non abbiamo poteri di avocazione"". Mancino prosegue: "E io gli ho detto: ‘Ma poteri di coordinamento possono essere sempre esercitati'

mancino interno nuovaMANCINO INTERNO NUOVA
A quel punto Grasso l'astuto che fa?
Il procuratore sa che l'inchiesta di Palermo con le imbarazzanti intercettazioni è alle battute finali. E sa bene che subito dopo, i 120 faldoni che contengono i contenuti di quelle telefonate, saranno presto pubblici.
MANCINO NICOLAMANCINO NICOLA
E così in attesa della tempesta che sta per abbattersi sui giornali, Grasso tenta di sfilarsi: nell'incontro in gran segreto che si svolgerà il 19 Aprile a Piazza Cavour con il Procuratore generale della Cassazione dice no all'avocazione e da Ciani pretenderà che il suo rifiuto venga messo nero su bianco nel verbale della riunione.
MANCINO NICOLA E SIGNORA resizeMANCINO NICOLA E SIGNORA RESIZE
Loro sommersi e l'astuto Grasso che cola, salvato.

Lusi: investimenti per conto della corrente rutelliana.



'Dal 2007 in poi patto fiduciario su miei acquisti immobiliari'.


"Tutti gli investimenti immobiliari dal 2007 in poi li ho fatti per conto della corrente rutelliana. C'era un preciso patto fiduciario". Luigi Lusi, l'ex tesoriere della Margherita accusato di associazione per delinquere finalizzata all'appropriazione di almeno 25 milioni di euro, aveva annunciato che quello di ieri sarebbe stato il giorno della sua verità. E quello sulla corrente rutelliana è uno dei passaggi più significativi del lungo interrogatorio, sette ore e mezzo, al quale è stato sottoposto dal gip Simonetta D'Alessandro nel carcere di Rebibbia.
Nell'interrogatorio fiume del senatore Luigi Lusi davanti al gip di Roma è stata prodotta anche una documentazione che riguarda in particolare due lettere di Francesco Rutelli all'ex tesoriere Dl e due mail, 10 pagine in tutto all'ex presidente della Margherita. Le missive di Rutelli dirette a Lusi sono, una scritta di pugno dall'ex leader Dl e una invece al computer. La prima, molto breve, circa 10 righe, farebbe riferimento ad alcuni meccanismi relativi a fondi e finanziamenti. La seconda, quella scritta al computer, invece, riguarderebbe sempre meccanismi legati ai fondi ma verte sulla distribuzione dei soldi.
Le due e-mail del senatore a Rutelli sono datate 2009, cioé dopo lo scioglimento della Margherita e quando, ha rilevato ieri lo stesso Lusi nell'interrogatorio, il suo controllo sui conti del partito "non era più puntuale ed accurato ma solo formale". In queste e-mail Lusi fa presente a Rutelli che il meccanismo di distribuzione dei fondi non era più virtuoso "perché i soldi sono destinati a singole persone". Lusi propone nelle due e-mail all'ex presidente della Margherita di destinare i fondi "ad associazioni e fondazioni", una modalità che riteneva più corretta. Meccanismo che in effetti venne successivamente utilizzato per la distribuzione dei fondi di partito.
Nel corso del lungo atto istruttorio, il senatore, difeso dagli avvocati Luca Petrucci e Renato Archidiacono, ha ripercorso puntualmente tutta la sua attività di tesoriere della Margherita ed ha fatto molti nomi, anche se su questi, a quanto si apprende, non ci sarebbero riferimenti penalmente rilevanti. Ha precisato che "dal 2001 al 2007" il controllo che operava sui bilanci del partito era "regolare e rigoroso e riguardava una verifica accurata di tutte le entrate e le uscite". Dal 2007 in poi, ovvero da quando il partito si scioglie, ha precisato Lusi, il suo controllo sui bilanci "é stato solo formale e non ha riguardato le entrate e le uscite", quindi "era meno accurato".
L'ex tesoriere ha ribadito che dopo il 2006, con la fusione con i Ds e la costituzione del Pd, all'interno della Margherita fu raggiunto un accordo, del quale lo stesso Lusi era il garante, per la ripartizione dei fondi e delle spese tra Popolari (60 per cento) e Rutelliani (40 per cento), ma ha aggiunto "che tutti gli investimenti immobiliari" da lui compiuti, tracciabili e riconducibili appunto alla sua persona, "sono stati fatti per conto della corrente rutelliana e in virtù di un patto fiduciario con tale corrente per fare rientrare i soldi in questa maniera". Allo stesso tempo Lusi ha anche ammesso che in questo meccanismo di gestione poco accurata dei bilanci si è appropriato di somme di denaro.
Non si è fatta attendere la replica di Francesco Rutelli che in una nota, riferendosi alle indiscrezioni sull'interrogatorio ha affermato che "Se è vero che ha detto di aver concordato con la 'corrente rutelliana' le operazioni di ladrocinio a beneficio personale e dei suoi familiari, significa che Lusi vuol fare la fine di Igor Marini". Marini fu condannato a 10 anni di carcere anche per calunnia a danno di Rutelli. Giampiero Bocci ha a sua volta dichiarato: "Se ha detto questo, é proprio andato fuori di testa".
Per i magistrati "il quadro accusatorio" è uscito rafforzato dal lungo interrogatorio tenutosi a Rebibbia ed al quale hanno preso parte anche il procuratore aggiunto Alberto Caperna ed il sostituto Stefano Pesci. "Quadro - si afferma in ambienti giudiziari - rinforzato e corroborato da dettagli che ora dovranno essere esaminati". "Luigi Lusi - hanno commentato gli avvocati Petrucci e Archidiacono - ha detto ai magistrati come funzionava il sistema. Sarà ora la Procura a fare i dovuti riscontri". "L'interrogatorio - hanno aggiunto - è stato completo, Lusi ha risposto a tutte le domande ed è sereno".

Rutelli replica alle accuse di Lusi "Mente e diffama, quanto durerà?".


Rutelli replica alle accuse di Lusi " Mente e diffama, quanto durerà?"


L'ex leader della Margherita, accusato da Lusi di correponsabilità nella gestione fraduolenta  dei rimborsi elettorali, critica anche al stampa: "Troppo spazio alle parole di un bugiardo".


ROMA - "Egli sa di poter diffamare e mentire: le sue palesi menzogne saranno comunque amplificate. Il suo percorso di uomo libero si è fermato. Ma quanto a lungo durerà il tormento delle sue vittime?". A chiederlo, in una nota, è l'ex leader della Margherita, Francesco Rutelli, dopo le nuove indiscrezioni sull'interrogatorio di Luigi Luisi in carcere. Rutelli critica anche l'informazione che dà ampio spazio alle parole o presunte dichiarazioni dell'ex tesoriere della Margherita. 

"Dunque - si legge nella nota - Lusi ha cambiato nuovamente la versione delle sue menzogne: prima ha confessato di essersi impadronito di 12,9 milioni della Margherita per fare operazioni immobiliari ad esclusivo beneficio proprio. Poi ha sostenuto allusivamente di aver fatto queste ruberie nell'ambito di un 'mandato fiduciario' del gruppo dirigente del partito - smentito dalla moglie, che ha ammesso che il disegno era di appropriazione a beneficio della famiglia -. Oggi, ammetterebbe di avere rubato un tot di milioni per sè, ma afferma nientemeno che ville e appartamenti, beni in Canada, a Roma, Genzano, Capistrello, Ariccia, tutti intestati a sè e ai familiari, erano accumulati per conto di una cosiddetta 'corrente rutelliana'. 

In verità - continua Rutelli - la lettura dei titoli di molti giornali pone un problema grave: da ormai 5 mesi, non contano rigorose precisazioni nè analitiche confutazioni basate sui fatti (oltre alle severe autocriche sui controlli dei bilanci); sembra non contare neppure la solidità dell'impianto accusatorio dei Pubblici Ministeri, convalidato dal GIP e dal Tribunale del Riesame. 

Molta stampa - aggiunge ancora Rutelli - continua a dare credito al ladro, ingannatore e calunniatore, evidentemente ignara di doveri deontologici e giuridici. Qualunque cosa dica; in qualunque modo si contraddica; qualunque calunnia profferisca, Lusi ottiene titoli distruttivi per l'onorabilità di persone perbene. Egli non è credibile? La verità finisce comunque schiacciata sotto le menzogne del calunniatore. Egli sa di poter diffamare e mentire: le sue palesi menzogne saranno comunque amplificate. Il suo percorso di uomo libero si è fermato. Ma quanto a lungo durerà il tormento delle sue vittime?"

Sgarbi: sono io l'anti-Grillo, Berlusconi ha detto sì alla mia lista.


Vittorio Sgarbi

ROMA - «Se tutto rimane come ora, il Pdl è in caduta libera e rischia di perdere elettori a favore di Grillo. A meno che non trovi al suo interno un'alternativa a Grillo»: lo dice Vittorio Sgarbi al Mattinosottolineando di essere egli stesso questa «alternativa», «l'ancora di salvezza del centrodestra», e che il prossimo 14 luglio presenterà il suo «Partito della Rivoluzione», con tanto di placet da parte di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere «ha detto di sì - spiega - Ben vengano le liste di Sgarbi, Santanchè, Montezemolo, una diga per fermare la fuga di voti. Si potrebbe arrivare anche al 30% con tutte le liste che gravitano nel centrodestra».

«Renzi bravo ragazzo, ma niente di originale». Per il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, Sgarbi precisa che non c'è nessun "innamoramento": «E' un bravo ragazzo ma non ha niente di originale. È uno di quelli che dividono il mondo in bene e male, con il bene che sta solo a sinistra». Piace invece «a Verdini, Dell'Utri». «È stato un mio uomo che ha presentato questo progetto - spiega Sgarbi - nel quale Renzi diventerebbe il capo dell'area di centrodestra. Ma secondo me non ha senso, l'ho detto al mio amico Volpe Pasini. Il fatto è che nello scontro diretto con gli altri leader, Berlusconi vincerebbe sempre, ma non con Renzi». Per «salvarsi», aggiunge, Berlusconi dovrebbe «fare una riforma proporzionale alla tedesca, perchè così saranno gli elettori a dare un giudizio sulla nomenklatura del Pdl».

Interrogatorio fiume per Lusi e il senatore attacca tutti.


Oltre sette ore di interrogatorio ieri nel carcere di Rebibbia. I pm: quadro accusatorio rafforzato.

TMNews CNN

Roma, 24 giu. (TMNews) - Oltre 7 ore di interrogatorio per cercare di far capire che lui sì ha compiuto fatti, ma al tempo stesso era solo l'anello di una catena, soggetto inserito in un sistema. Luigi Lusi dopo quasi due giorni di carcere, in maniche di camicia e "sereno" - come lo annunciano i suoi difensori - ha ribadito la sua parte di verità davanti al gip Simonetta D'Alessandro ed agli inquirenti della Procura di Roma che hanno chiesto ed ottenuto il suo arresto per l'ammanco da oltre 22 milioni di euro dalle casse della Margherita. Dopo il via libera dell'assemblea di Palazzo Madama l'ordinanza di custodia del 3 maggio scorso è diventata esecutiva e il parlamentare è ora in una cella del carcere di Rebibbia.

Da una saletta nel padiglione d'ingresso del penitenziaria, Lusi ha spiegato e risposto, portando documenti e lettere d'incarico ricevuto dai suoi ex compagni di partito. Chi è stato presente all'atto istruttorio mantiene il più stretto riserbo ma si lascia filtrare in qualche modo che Lusi ha ammesso di aver operato un controllo rigoroso sui conti, dal 2001 al 2007, poi però ha agito in modo formale ma non sostanziale. L'ex tesoriere ha ricordato il patto spartitorio 60-40, del quale aveva già parlato, ed ha aggiunto "che gli investimenti immobiliari" da lui fatti, e che sono stati scoperti dai pubblici ministeri, tanto da esser stati oggetto di sequestri, erano d'intesa con la corrente che faceva riferimento a Francesco Rutelli.

India, è morta la piccola Mahi. Per oltre 80 ore dentro un pozzo.




Nuova Delhi - (Adnkronos/Ign) - E' stata estratta senza vita. La bimba era caduta nel pozzo mentre giocava con altri bambini nel giorno del suo quarto compleanno. E' rimasta per più di tre giorni a 25 metri di profondità.
Nuova Delhi, 24 giu. (Adnkronos/Ign) - Non ce l'ha fatta la piccola Mahi, la bimba di quattro anni che mercoledì, nel giorno del suo compleanno, era caduta in un pozzo a Manesar, villaggio indiano della provincia di Haryana. La piccola è stata tratta in salvo troppo tardi dai militari impegnati nel difficile recupero. Inutile il trasporto in ospedale, dove i medici non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso, come rende noto l'Hindustan Times.
La storia ha commosso l'intero paese con dirette televisive dei tentativi di raggiungere la bambina, come successe in Italia nel 1981 con la tragedia di Alfredino Rampi, bambino di 6 anni caduto in un pozzo artesiano alla periferia di Roma e morto dopo tre giorni di tentativi di metterlo in salvo. Sei anni fa, invece, fu messo in salvo Prince, un bambino di cinque anni, che era caduto in un pozzo sempre nella stessa provincia indiana.


http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/India-e-morta-la-piccola-Mahi-Per-oltre-80-ore-dentro-un-pozzo_313438796320.html

Cliclavoro, il sito del ministero che agli italiani costa due milioni di euro l’anno. - Thomas Mackinson

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E' una banca dati online che permette l’incontro tra domanda e offerta al pari di altre decine di portali specializzati. Solo la parte di “sviluppo e conduzione” della piattaforma, oggi in fase di aggiornamento, richiede 1,6 milioni di euro più Iva.

Anche il governo italiano ha il suo Monster, un portale per chi cerca e offre lavoro in Internet. Ma a due anni dal lancio di mostruoso ha soprattutto il costo: due milioni di euro solo per la gestione dell’infrastruttura di rete. Lo si raggiunge digitando l’indirizzo, non proprio intuitivo,www.cliclavoro.gov.it. In soldoni è una banca dati online che permette l’incontro tra domanda e offerta al pari di altre decine di portali specializzati. La differenza è che il costo del servizio è a carico dei contribuenti italiani e non è proprio a buon mercato: solo la parte di “sviluppo e conduzione” della piattaforma, oggi in fase di aggiornamento, richiede 1,6 milioni di euro più Iva. Poi ci sono i costi di sette persone che lavorano a tempo pieno al servizio. Il tutto a fronte di numeri così stringati in termini di accesso e fruizione del servizio da rendere quella spesa un’avventura ad alto rischio di spreco.
Potrebbe cominciare da qui la revisione della spesa dei ministeri che il governo dei tecnici ha annunciato per il prossimo triennio con un obiettivo di risparmio di 30 miliardi. In particolare dalle spese e dagli sprechi di quel Ministero del Lavoro che – tra articolo 18, esodati, e pensioni riformate – ha imposto il rigore al suo esterno senza averlo rivolto verso se stesso. Scovarle non è facile. Alcune voci illuminano ogni tanto l’orizzonte della spesa di struttura. Solo il servizio di pulizia dei locali delle sedi del Ministero, ad esempio, costa più di un milione di euro l’anno. Per l’esattezza 3,9 milioni Iva esclusa per 48 mesi per garantire le pulizie degli stabili di via Flaminia 6, via Fornovo 8 e De Lollis 12. Spese strutturali, si legge nel fitto bilancio del ministero. Così non sembra poi così strano se tra personale e spese varie gli stanziamenti per tenerlo in piedi, con uffici e diramazioni periferiche, ammontano a 529 milioni di euro. Solo la voce “servizi e affari generali per le amministrazioni”, cioè il funzionamento vero e proprio della “macchina ministeriale” pesa per 46 milioni di euro.
Il costo del portale Cliclavoro è dunque una goccia nel mare rispetto al gran calderone delle spese. Ma ha la sua importanza nello spiegare come rivoli di denaro pubblico possano scorrere paralleli e sfociare in un oceano di spese. Il portale governativo dedicato all’intermediazione pagato dai contribuenti, del resto, non è il primo ma l’ultimo. Proprio in questi giorni 300 precari dell’Isfol, la società pubblica di ricerca sul Mercato del lavoro che fa riferimento al ministero, protestano per il loro licenziamento imminente. Isfol, questo il paradosso, ha a sua volta un portale web (www.isfol.it) con tutta l’infrastruttura e le risorse che servono, l’area informativa, l’orientamento, le banche dati. Ma l’ente è avviato sulla via del tramonto mentre il portale gemello Cliclavoro gli fa le scarpe in un dumping tra iniziative pubbliche che fanno capo allo stesso ministero. E non c’è il due senza il tre, perché c’è un altro ente strumentale con portale annesso dedicato al mondo del lavoro. Si chiama Italia Lavoro (www.italialavoro.it) ed è un carrozzone che da tempo naviga in acque mosse sotto il profilo dei conti, soprattutto per via delle assunzioni degli ultimi anni che hanno visto il personale salire di un centinaio di unità (da 319 a ben oltre i 400) e i trasferimenti statali per le iniziative e le spese contrarsi. L’ente è oggi interessato da una profonda revisione della struttura e delle spese (dal 2008 la società ha dovuto organizzare una precipitosa fuga dalle partecipazioni azionarie che stavano facendo colare a picco i bilanci) mentre fa ancora un effetto che in una struttura nata ai piedi del ministero del Lavoro i precari (contrattisti a progetto) siano lì lì per superare i dipendenti.
Comunque sia il governo Monti oggi si ritrova tre portali sul lavoro in un momento in cui il lavoro non c’è. Cosa ne farà non è dato sapere. L’ultimo nato in casa lo ha ereditato dal precedente esecutivo e i suoi numeri non sono incoraggianti. Fortemente voluto dall’ex ministro Maurizio Sacconi, il portale Cliclavoro fluttua nel web dall’ottobre del 2010 portandosi dietro 342mila curricula e 10mila offerte di aziende che cercano personale. Sono segnalati 36mila “messaggi di interesse” scambiati tra imprese e cittadini. Se e quanto l’interesse sia poi diventato contratto non è dato sapere, nonostante l’avviso ai naviganti reciti: “Il lavoro a portata di clic per l’impresa e il cittadino”. I responsabili del servizio insistono sulla bontà del progetto e sulle intenzioni del governo non si sbilanciano. “Al momento non si hanno indicazioni diverse – spiega Grazia Strano, responsabile dei sistemi informativi automatizzati – . Si deve tenere conto che il portale realizza il sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro in ottica europea e che integra tutti i servizi al lavoro sviluppati negli anni a seguito di adempimenti di legge (comunicazioni obbligatorie, prospetto informativo dei lavoratori disabili, albo informatico delle agenzie per il lavoro).
Quanto ai numeri esigui, dal ministero si rivendica che il 7% di candidati e imprese che hanno pubblicato un CV o un’offerta di lavoro hanno poi instaurato un rapporto di lavoro che li coinvolge reciprocamente. Ma se sia avvenuto tramite questo servizio o altro non è chiaro.
Tutt’altri numeri offrono gli operatori da tempo presenti sul mercato nazionale e in rete, a costo zero per lavoratori e cittadini. Il citato Monster, punto di riferimento per il recruiting online, ha una dote di 130mila offerte l’anno e di 45mila cv caricati ogni mese. Anche le agenzie di somministrazione tradizionali con piattaforme in rete staccano Cliclavoro di un bel po’: Obiettivo Lavoro, ad esempio, colleziona 4,3 milioni di cv e 105mila offerte ogni anno. Il sito governativo, a onor del vero, riporta anche studi e statistiche sul mercato del lavoro e un’area news con rassegna stampa che viene costantemente aggiornata. Ma analoga attività realizzano i siti specializzati e gli enti locali deputati alla materia (in particolare le Province che gestiscono gli ex sportelli del lavoro). Per non parlare dei citati Italia Lavoro e Isfol.
L’iniziativa a giudicare dai numeri non ha sfondato. Cliclavoro nasce per il web ma anche in rete sembra non andare lontano. I suoi “amici” su Facebook sono poco più di 5mila e quando lancia un sondaggio la risposta non è proprio da macro campione statistico. Forse è la domanda che non scuote le coscienze: il 9 maggio scorso, ultimo sondaggio pubblicato, a chi cerca lavoro viene chiesto quali errori non bisogna assolutamente fare durante un colloquio. Il campione ha deciso: non bisogna arrivare tardi. E lo hanno deciso in 12 contro i 5 che hanno optato per “passare subito a parlare della retribuzione”. Zero per la terza risposta, presentare un cv troppo scarno o troppo dettagliato. Così l’iniziativa lanciata con entusiasmo due anni fa sembra già naufragare verso il flop, con numeri al palo e costi di gestione che continuano a correre. Lì, come spesso succede nel pubblico, c’è trippa per gatti come dimostra il bando da 2 milioni per gestire l’infrastruttura di rete. E lì, Cliclavoro, qualcuno lo fa lavorare sicuro.

Stato-mafia: tre domande a Napolitano. - Gianfranco Mascia


Abbiamo posto tre domande al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitanoin merito alla vicenda Stato-mafia.
E speriamo proprio che dal Presidente arrivino risposte convincenti.
Lo abbiamo fatto perchè siamo convinti che nessuno debba essere considerato “più uguale di altri” cittadini. Perché, dopo il periodo berlusconiano, non vorremmo scoprire di essere passati dalla padella alla brace. E, davanti a una richiesta di chiarimento, crediamo che le risposte siano dovute. Senza nascondersi dietro riserbi istituzionali di sorta.
Noi cittadini italiani abbiamo il diritto di sapere se ci sia stata una indebita ingerenza nei confronti del lavoro dei magistrati e le risposte che Napolitano vorrà fornirci serviranno proprio a questo.
Giorgio Napolitano è il Presidente della Repubblica e ha il ruolo di difendere le istituzioni e il loro prestigio. Per questo deve rispondere a queste domande, proprio per dirimere le ombre e i dubbi, allontanando non da sè, ma dal suo ruolo, i sospetti di vicende poco chiare.
Ecco quindi le tre domande:
1. Il presidente Napolitano era o non era al corrente dei tentativi messi in atto dall’ex presidente del Senato Nicola Mancino per evitare un confronto diretto con gli ex ministri Scotti e Martelli in merito alla presunta trattativa Stato-mafia del 1992 e dalle conseguenti pressioni che dal Quirinale venivano esercitate su sua esplicita richiesta?
2. Il Presidente della Repubblica era a conoscenza della lettera indirizzata al Procuratore generale della Cassazione e firmata dal segretario generale del Quirinale Donato Marra per chiedere di adottare “iniziative che assicurino la conformità di indirizzo delle Procure”, e cosa significava questa formula nel caso in questione?
3. Il presidente della Repubblica è mai intervenuto personalmente con il procuratore nazionale antimafia per discutere il caso Mancino, e in caso affermativo con quale finalità?
Attendiamo, fiduciosi, una risposta.

Trattativa Stato-mafia, 20 anni fa per Napolitano il Colle si poteva attaccare. - Giorgio Meletti

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Il presidente della Repubblica attacca i giornali che parlano di sue pressioni nelle indagini sul patto segreto tra istituzioni e Cosa nostra: il Capo dello Stato non va attaccato, è la linea del Quirinale. Ma nel 1991 era lui a scrivere sull'Unità un duro articolo contro il suo predecessore Francesco Cossiga.

Bei tempi quando al Quirinale c’era Francesco Cossiga. Politici e giornalisti potevano dire di tutto sul Presidente, e quando qualcuno provava a fare il corazziere di complemento veniva travolto da autorevoli padri della Patria, schierati come un sol uomo in difesa della libertà di opinione e di stampa. Il Fatto Quotidiano non c’era ancora, purtroppo. C’era invece Giuliano Amato, vicesegretario socialista, braccio destro di Bettino Craxi. A lui nemmeno allora andava giù che si criticasse il Colle. Disse un giorno: “Il capo dello Stato è oggetto di un’autentica campagna che, a ondate successive, persegue l’esplicito scopo di destabilizzare le istituzioni”.
DUE GIORNI FA Napolitano ha rispolverato la formula utilizzata 21 anni fa dall’amico socialista: “Si è alimentata una campagna di insinuazioni e sospetti nei confronti del presidente”. E ancora ieri sera l’Ansa ci segnalava che “i collaboratori del presidente si interrogano su chi possa esserci dietro, sulla regia dell’operazione”. Stesse parole, contesti simili. Nella primavera del 1991 la Prima Repubblica agonizzava sotto i colpi dell’antipolitica (Lega Nord, referendum elettorali di Mariotto Segni), i partiti strologavano di riforme istituzionali in senso presidenziale e l’inquilino del Quirinale era nervoso. E se oggi Napolitano parla di “insinuazioni”, Cossiga, che era più scoppiettante, parlava di “miserabili insinuazioni”. Sarà forse per quell’aggettivo di troppo, e perché l’insulto era rivolto a lui, che Eugenio Scalfari parlò di “attentato alla libertà di stampa”. Ma erano altri tempi. Amato, ancora craxiano, era in minoranza. Le sue accuse contro le strategie destabilizzanti facevano inorridire i difensori della democrazia. Così il cronista politico de l’Unità Pasquale Cascella (oggi portavoce di Napolitano) intervistò il presidente dei senatori Dc, Nicola Mancino, e gli alzò la palla con maestria: “Qui girano sospetti di un complotto…”. E Mancino, che allora al Quirinale non si poteva neppure avvicinare, perché Cossiga quando invitava i maggiorenti Dc lo lasciava fuori, schiacciò la palla come compete a un vero democratico : “Allora, Amato farebbe bene a fare nomi e cognomi dei complottatori. Per quanto ci riguarda l’idea di una nostra compartecipazione al complotto è semplicemente ridicola”. L’intervista uscì sul giornale fondato da Antonio Gramsci il 2 maggio 1991. E quel giorno lo scontro diventò incandescente.
A fianco di Mancino, e contro Amato, scese in campo, ebbene sì, Giorgio Napolitano, firmando un duro articolo destinato alla prima pagina de l’Unità. La sua linea su Cossiga ipotizzava tre strade: l’impeachment, le dimissioni volontarie, o la decisione del presidente della Repubblica di “astenersi da interventi impropri”. L’altezza del Colle non lo intimoriva certo. E per l’amico socialista furono sonori schiaffoni. Scrisse il futuro sacerdote dell’intoccabilità del Colle (se occupato da lui): “C’è da chiedersi a chi possa giovare il sempre più ostentato schierarsi del Psi come ‘partito del presidente’, contro tutti i supposti protagonisti e complici di un presunto complotto contro il capo dello Stato”.
E ANCORA: Cossiga, “è purtroppo attivamente coinvolto in una spirale di quotidiane polemiche, di difese e di attacchi di carattere personale e politico, fino alla sconcertante e francamente inquietante distribuzione di etichette e di voti a giornali”. Poi il colpo finale al povero braccio destro di Craxi: “Perché Amato non confuta nel merito le tesi di chiunque tra noi, come sarebbe legittimo, anziché emettere indistinte denunce, riferendosi a una campagna contro il capo dello Stato che sarebbe stata promossa non si sa bene da chi e per quali calcoli, e di cui sarebbe partecipe il Pds? Non ci si risponda con la facile formula del ‘partito trasversale’”. E infatti Amato non evocò il partito trasversale, ma si limitò a evocare, con 21 anni di anticipo, l’asse Napolitano-Mancino: “Ho parlato di campagna, non di complotto. Spiace dover constatare che prima Mancino, poi Napolitano ritengano che si tratti della stessa cosa”. 
Proprio come oggi. Campagna, complotto, notizie, tutto uguale, tutto sbagliato, tutto vietato. Che nostalgia dei tempi di Cossiga, quando la libertà dei giornalisti era difesa da Napolitano.