giovedì 20 settembre 2012

Mille euro per andare in tv ecco il listino dei politici. - Laura Serloni


Mille euro per andare in tv ecco il listino dei politici


"Vuoi parlare in televisione? Paga". Lo scandalo delle interviste a pagamento nelle emittenti locali. Il caso del patron dei rifiuti, Cerroni. A trovare i clienti è l'agenzia pubblicitaria Arcus Multimedia di Paolo Berlusconi.


Tutto ha un prezzo. Anche le interviste giornalistiche che valgono ben mille euro. Perché si sa, la pubblicità è l'anima del mercato. E quale miglior mezzo per i politici municipali, comunali e regionali per mettersi in mostra? Soprattutto se viene messa a disposizione una troupe, uno studio, un giornalista e nessun contraddittorio, al massimo un ospite in diretta. 

La pratica è conosciuta da tutti. Assolutamente trasversale. Va avanti da anni. E non sembrerebbe un caso se ci sono consiglieri che non sono mai stati chiamati, mentre altri hanno l'appuntamento fisso. Tutti sanno chi va e chi non va, tanto che tra i politici di ogni ordine e grado girano delle vere e proprie brochure. Sono dei dépliant a volte rilegati con cura con copertina trasparente, altre spediti via mail che contengono oltre ad una dettagliata descrizione di come si svolgeranno le puntate anche i relativi costi. RomaUno Tv ha un listino prezzi con diverse opzioni. L'offerta d'ingresso è di minimo un mese quindi 4 puntate e può essere strutturata con 2 formule: la prima senza break pubblicitari è di tremila euro più iva per appunto 4 puntate, quindi 750 cadauna; la seconda è con break pubblicitari per un totale di quattromila euro più iva sempre per 4 puntate, ergo mille euro ognuna con inclusi 72 spot, 18 ogni 45 minuti. Il politico di turno se vuole può fornire eventuali sponsor "amici", altrimenti sarà l'emittente a vendere gli spazi. 

Insomma, non si parla di spiccioli, ma di decine di migliaia di euro che i politici di volta in volta versano alle tv locali. Un vero e proprio contratto scritto. Nonostante le regole deontologiche vietino questo tipo di pratica. L'Emilia Romagna fa scuola. E ora lo scandalo delle interviste a pagamento si allarga anche al Lazio.

Così fan tutte. O quasi. Certo è che RomaUno tv, del patron dei rifiuti Manlio Cerroni, è la regina dei piccoli canali: "L'unica televisione romana "all news"  -  si legge sul sito web  -  È la "tv dei romani" che dal 2003 diffonde un palinsesto interamente dedicato alle notizie da Roma e dal Lazio. Visibile su Sky al canale 518 e sul digitale terrestre al canale 11". La visibilità, dunque, è garantita. Chi procaccia i "politici clienti" è la Arcus Multimedia, l'agenzia pubblicitaria di Paolo Berlusconi nata nel 1994 come concessionaria per le edizioni locali de "Il Giornale" che negli anni ha arricchito il proprio portafoglio prendendo nella sua scuderia importanti mezzi stampa, tv e radio.

Il servizio viene costruito ad hoc. Lo spazio è assicurato all'interno della trasmissione "Ditelo a RomaUno". In più nel programma dove gli ospiti sono consiglieri comunali e municipali, nonché presidenti e assessori, sono a disposizione le linee telefoniche per gli interventi dei cittadini oltre al servizio sms, chat e video chat. Non solo. Si aggiungono i servizi filmati già realizzati sul territorio che possono essere inseriti nel programma e commentati dall'ospite nonché segnalazioni e confronto con i cittadini. 

La mission è dichiarata nella brochure con tanto di costi. "Il progetto mira ad offrire un canale di pubblicizzazione sull'attività della giunta municipale utilizzando un meccanismo televisivo di partecipazione ed interazione diretta con il pubblico all'interno di un palinsesto già targettizzato e fidelizzato che costituisce un plus rispetto ad un progetto costruito ex novo", si legge nel dépliant. Alla presenza in studio viene abbinata la realizzazione di servizi realizzati sul territorio per documentare con immagini l'attività di minisindaci, assessori e consiglieri. "E per questo mettiamo a disposizione del progetto una troupe Eng che possa seguire con la massima presenza quanto necessario alla completezza del programma", così è scritto nel listino prezzi. 

Ma c'è di più. Se non bastassero le immagini e le parole, se i commenti del presidente o del consigliere municipale e comunale non fossero abbastanza convincenti allora "come migliorativo all'effetto credibilità del contenuto proponiamo anche di lasciare aperte le linee telefoniche per consentire al pubblico il dialogo diretto e la possibilità di ricevere informazioni e spiegazioni dirette". Altro che informazione imparziale e obiettiva, siamo al cospetto di autentica pubblicità mascherata però da servizio giornalistico.


http://roma.repubblica.it/cronaca/2012/09/20/news/mille_euro_per_andare_in_tv_ecco_il_listino_dei_politici-42876072/

Mediobanca paga il conto del salotto buono e l’utile crolla del 78%. - Mauro Del Corno


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L'istituto di Piazzetta Cuccia distribuisce 43 milioni di dividendi contro i 146 del 2011. La linea è non vendere partecipazioni che assicurano potere (ma non profitti) come Generali, Telecom o Rcs.

Il nuovo motto che rimbomba nelle salette ovattate di Mediobanca deve’essere qualcosa del tipo: “Resistere, resistere, resistere”. Tenere duro senza vendere neppure un’azione delle partecipazioni chiave come Generali, Telecom o Rcs che una volta garantivano potere e profitti mentre oggi assicurano solo il primo. E pazienza se la prova di forza diventa sempre più faticosa per i conti, l’utile crolla del 78% passando da 369 a 81 milioni di euro (con l’ultimo trimestre in rosso di 24 milioni), gli azionisti si trovano in mano un titolo che vale il 22% in meno di un anno fa e il dividendo si rimpicciolisce da 17 a 5 centesimi per azione. Agli azionisti andranno insomma 43 milioni contro i 146 dello scorso anno o i 144 del 2010.
I conti annuali, che per Mediobanca si aprono e chiudono a giugno, confermano una tendenza in atto da tempo: l’attività bancaria tradizionale (prestiti, commissioni, etc) porta fieno nella cascina di Piazzetta Cuccia mentre le partecipazioni azionarie tenute in portafoglio se lo stanno mangiando poco a poco. L’escalation del 2012 fa impressione: per far fronte alla perdita di valore delle varie quote in società chiave per il sistema, nel primo trimestre dell’anno vengono messi da parte 70 milioni di euro, nel secondo trimestre 161, nel terzo 117, nel quarto e ultimo trimestre, quello in cui si fanno le ‘pulizie finali’, altri 256 milioni per un totale di 573 milioni. E’ più del doppio rispetto ai 275 milioni “pagati” nel 2011.
Nel frattempo l’attività bancaria classica non ha mai smesso di macinare ricavi. Un miliardo e 989 milioni gli incassi del 2012 che fa seguito ai risultati solo di poco più bassi registrati negli ultimi quattro anni. Persino nel terribile 2009 la divisione bancaria aveva generato introiti per più di 1 miliardo e 700 milioni. I costi risultano in calo e scendono da 824 milioni del 2011 a 789 milioni. Anche se, a far brillare i conti della divisione bancaria hanno certamente aiutato pure i 7,5 miliardi presi in prestito dalla Banca Centrale Europea con tasso agevolato dell1% annuo nell’ambito delle operazioni LTRO (Long Term Refinancing Operation) varate da Mario Draghi tra il 2011 e il 2012.
Tornado alle società che “scottano”, il valore complessivo delle partecipazioni di Piazzetta Cuccia in società quotate è passato dagli oltre 2,8 miliardi di marzo ai 2,7 di fine giugno . La quota in Telco (la finanziaria che controlla Telecom Italia) è stata svalutata di 113 milioni, ipotizzando un valore del titolo Telecom di 1,5 euro. Oggi l’azione ne vale in realtà 0,8, se le cose non cambiano nei prossimi mesi questa voce è destinata a generare altre perdite. Il valore della partecipazione nella società che controlla il Corriere della Sera,  Rcs (14,3%) è stato invece tagliato di quasi 78 milioni ipotizzando una quotazione del titolo pari a un euro. Svalutazioni per 34 milioni anche su Delmi, la cabina di comando di Edison e quasi 29 milioni sulla partecipazione del 9% in Santé, cliniche privati francesi riconducibili ad Antonino Ligresti, fratello di Salvatore.
Il risultato avrebbe potuto essere ancora peggiore se fosse stato ritoccato il valore della partecipazione più pregiata. Quel 14% di Generali che vale quasi 2,4 miliardi e fa di Mediobanca il primo azionista del gruppo assicurativo triestino. In realtà l’andamento del titolo del Leone alato nel periodo aprile – giugno avrebbe suggerito un comportamento diverso. L’azione è stata quasi sempre al di sotto di quei 10 euro che per Piazzetta Cuccia rappresentano una sorta di linea del Piave. Se i titoli Generali stanno sopra questa soglia la partecipazione di Mediobanca vale di più di quanto è stata pagata, al di sotto si inizia invece a perdere.
Per ora si è preferito far finta di niente confidando in una pronta risalita del titolo Generali che attualmente quota 11,8 euro, non certo in una zona di sicurezza. Una valutazione improntata unicamente a criteri di massimizzazione dei profitti avrebbe consigliato di disfarsi tempo fa almeno di una parte delle partecipazioni. Hanno evidentemente prevalso considerazioni di altra natura e indietro non si può più tornare. Vendere ora vorrebbe dire farlo in perdita, si può solo sperare che la ripresa dei corsi azionari rimetta le cose in ordine. E intanto l’ad di Mediobanca mette le mani avanti. ”Siamo convinti che dovremmo ridurre la nostra esposizione sui titoli azionari perchè danno troppa volatilità al nostro risultato netto. Nei prossimi mesi, quando la situazione dell’euro sarà un pò più chiara, una volta deciso, daremo indicazioni al mercato su cosa vogliamo fare sulla nostra esposizione nell’equity”, ha detto oggi Alberto Nagel agli analisti in risposta a una domanda su una eventuale riduzione della quota in Generali.
Sta di fatto che Mediobanca paga un prezzo sempre più salato per la sua natura da ‘centauro’, metà banca tradizionale, metà cassaforte di partecipazioni. E occupare un posto a sedere in quello che viene ancora considerato il ‘salotto buono’ del capitalismo italiano sta diventando sempre più oneroso. Un anno fa il titolo valeva 5,5 euro oggi ne vale 4,3. Grandi soci come Unicredit, Benetton, Fonsai o Fininvest hanno rettificato il valore delle azioni Mediobanca nei loro portafogli portandole a 6/7 euro e incamerando così perdite per decine o centinai di milioni. E se il titolo non recupera valori più rassicuranti prima o poi dovranno arrivare altre sforbiciate.
Cui prodest?

Scoperta la galassia più antica. - Chiara Arnone


BOLOGNA, 20 SETTEMBRE - All’interno di un ammasso di galassie chiamato MACS1149+2223 gli scienziati dell’Istituto nazionale di astrofisica hanno scoperto una galassia antichissima che permetterebbe di spiegare le prime fasi della vita dell’Universo.
Secondo gli scienziati, si sarebbe formata 460 milioni di anni dopo il Big Bang. Distante 13,5 miliardi di anni luce da noi, la galassia potrebbe incoraggiare gli astrofisici a svelare i segreti dell’Età oscura dell’Universo, una fase in cui il cosmo era avvolto da una nebbia di idrogeno neutro, diradatasi con la formazione delle prime stelle.
‘Quella presentata nel nostro lavoro è la più convincente osservazione di una galassia a distanze così elevate (circa 13,2 miliardi di anni luce) fatta fino ad oggi’ afferma Mario Nonino dell’Osservatorio astronomico di Trieste che con Massimo Meneghetti, ha coordinato la ricerca: ‘La scoperta di una galassia, che sulla base delle nostre osservazioni è stata scorta quando l’universo è verso la fine dalla cosiddetta Cosmic Dark Age, mostra come l’approccio di sfruttare l’amplificazione degli ammassi sia estremamente efficiente per osservare l’universo primordiale’.
Grazie alle teorie di Einstein sappiamo che la traiettoria dei fotoni, le particelle di cui è composta la luce, vengano deviate dalla massa dei corpi celesti. Un raggio di luce fa una curva quando incontra un oggetto abbastanza grosso da avere un campo gravitazionale.
L’ammasso in cui è stata trovata la galassia è di 2,5 milardi di volte più grande di quella del sole, dunque, abbastanza per deviare e amplificare la luce prodotta dalla galassia. Questo effetto di lente gravitazionale ha permesso ai telescopi spaziali Hubble e Spitzer di percepire la luce della galassia e di fotografarla.
La ricerca, maturata nell’ambito del progetto internazionale ‘Clash Cluster Lensing And Supernova survey with Hubble’ verrà pubblicata dal prossimo numero di Nature.

Caso Aldrovandi, la Cassazione: “Gli agenti furono sproporzionatamente violenti”. - Antonella Beccaria


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Lo si legge nelle motivazioni che la Suprema Corte ha depositato oggi confermando la sentenza a tre anni e mezzo per i quattro poliziotti colpevoli di omicidio: "le condotte incaute e drammaticamente lesive sono state individuate da un lato nella serie di colpi sferrati, dall'altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo".

Gli agenti agirono esercitando un’azione “sproporzionatamente violenta e repressiva” su Federico Aldrovandi causandone la morte. Lo si legge nelle motivazioni che la IV sezione della corte di Cassazione ha depositato oggi confermando la sentenza a tre anni e mezzo per Paolo ForlaniMonica SegattoEnzo Pontani e Luca Pollastri, i quattro poliziotti della questura di Ferrara che il 25 settembre 2005 intervennero in via dell’Ippodromo e che nei tre gradi di giudizio sono stati ritenuti colpevoli dell’omicidio colposo del diciottenne.
Quarantatré pagine che, dopo la sentenza 36280 dello scorso 21 giugno, pongono l’ultima parola ancora mancante a un iter giudiziario i cui esiti si sono espressi sempre negli stessi termini: l’incontro di sette anni fa tra il ragazzo e gli agenti, mandati sul posto da una telefonata che avvertiva della presenza di un giovane in stato di agitazione, è degenerato fino al punto da diventare un pestaggio che non lasciò scampo a Federico. Inoltre “le condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive sono state individuate da un lato nella serie di colpi sferrati contro il giovane, dall’altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo, accompagnate dall’incongrua protratta pressione esercitata sul tronco”.
Già il procuratore generale Gabriele Mazzotta, nella sua requisitoria, aveva sottolineato l’efferatezza di quell’intervento, effettuato da “schegge impazzite dello Stato”. “I poliziotti”, aveva aggiunto alla vigilia del pronunciamento della Cassazione, “non avevano davanti un mostro eppure si sono avventati in quattro contro un ragazzo solo. Le condotte assunte dimostrano un grave deficit di diligenza e di regole precauzionali. L’agire dei poliziotti ha trasceso i limiti consentiti”. E ancora, come già scritto anche nelle motivazioni della Corte d’Assise d’Appello di Bologna che confermavano le parole del giudice di primo grado, Francesco Caruso, venne effettuato un “tentativo di depistare le indagini” nonostante i due manganelli spaccati addosso a Federico Aldrovandi e le cinquantaquattro lezioni riscontrate sul suo corpo.
Di fatto, rispetto alla pena stabilita dalla sentenza che non ha riconosciuto attenuanti, in forza dell’indulto del 2006 agli agenti erano rimasti sei mesi e alla fine dello scorso luglio era giunta la notizia che alcuni di loro avevano fatto richiesta di essere assegnati a servizi socialmente utili. Questo nonostante gli insulti rivolti via Facebook da uno di loro, Paolo Forlani, ai genitori di Federico Aldrovandi. La vicenda era accaduta qualche giorno dopo il pronunciamento della Cassazione e aveva portato il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri a etichettare come “frasi vergognose” quelle state scritte sulla bacheca digitale dell’associazione Prima Difesa e ad annunciare “l’immediato avvio di un procedimento disciplinare per sanzionare l’autore del gravissimo gesto”.
Infine adesso si guarda al concerto del prossimo 25 settembre nell’anniversario della morte di Federico e alla creazione di un’associazione in sua memoria che “nasce dalla volontà di proporre qualcosa di bello e costruttivo, di legare il nome di Federico alla positività e alla necessità di mettere le persone al centro di tutto”. Ma rimangono alcuni capitoli giudiziari aperti. Sono quelli della diffamazione e per uno si resta in attesa dell’udienza che ci sarà a Mantova il prossimo 2 ottobre.
Imputati Patrizia Moretti, madre di Federico, e i giornalisti Marco Zavagli di Estense.com (è anche collaboratore del fattoquotidiano.it), Paolo Boldrini e Daniele Predieri  (entrambi della Nuova Ferrara) mentre parte lesa è il pubblico ministero Mariaemanuela Guerra, la prima che indagò sull’omicidio del giovane. Si tratta dello stesso magistrato che a fine agosto ha visto archiviare dal gip di Ancona Alberto Pallucchini un procedimento analogo contro due funzionari della questura di Ferrara, accusati di averne leso l’onorabilità professionale quando formularono dubbi sulle modalità con cui Guerra indagò ai tempi del processo di primo grado. Per un terzo era stato chiesto un supplemento d’indagine.

Sovranità monetaria.



NOTATE la differenza tra le due banconote:

* sul biglietto da 5 dollari c'è scritto (in alto sopra la testa) "UNITED STATES NOTE",

* su quello da 2 dollari "FEDERAL RESERVE NOTE".


La scritta "UNITED STATES NOTE" non la trovate più, infatti quello è un biglietto del 1963 fatto stampare dal presidente Kennedy, il quale tramite l'Ordine Esecutivo 11110 firmò l'emissione di 4.292.893.815 dollari in banconote
statunitensi attraverso il tesoro anziché usare il tradizionale sistema della Federal Reserve.

"Kennedy infatti riteneva che, ritornando alla costituzione, la quale afferma che solamente il congresso può coniare e regolare moneta, il crescente debito nazionale poteva essere ridotto smettendo di pagare interessi ai banchieri del
sistema della Federal Reserve, che stampava cartamoneta e la prestava al governo contro interessi."

Il 4 giugno 1963 il presidente John Fitzgerald Kennedy firmò l'ordine esecutivo numero 11110 che ripristinava al governo USA il potere di emettere moneta senza passare attraverso la Federal Reserve.

Kennedy venne assassinato il 22 Novembre dello stesso anno.
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Se avete tempo leggetevi questo documento, illuminante:


http://www.gambelli.org/download/banche%20-%20finanza/La%20moneta.pdf

Spese folli Pdl, Fiorito e Battistoni Sogni, passioni e colpi bassi. - Nino Cirillo

Fiorito e Battistoni

ROMA - Sono due vite così, due vite di quelle che solo la provincia profonda ti può regalare. Due vite spese a scalare lo scalabile, a sgomitare lo sgomitabile, a sognarsi una Bmw nera con i vetri oscurati e poi ad averla,e dopo la Bmw le cene elettorali, e dopo le cene i megaposter ai caselli dell’autostrada e via via sempre più su, a ricamare trame di potere, a cambiare e ricambiare alleanze, a sopravvivere ai colpi bassi e poi a restituirli.

Queste sono state, almeno fino all’altro giorno, le vite di Francone e Franchino: Franco Fiorito da Anagni -l’unica città al mondo che è riuscita a vedere nascere tra le sue mura quattro Papi- e Francesco Battistoni da Proceno, provincia di Viterbo ma praticamente Toscana, un borgo di seicento anime, di accertata origine etrusca. Francone lo sappiamo perché, con quella stazza da tenore, e quel barbone, e i modici spicci che non gli sono mai mancati (e lasciate stare er Batman, perché ad Anagni nessuno lo conosce così). Franchino, invece, solo perché con quella sua aria algida e spocchiosa, molto sicura, quel suo procedere con modi un po’ curiali anche quando si tratta di affondare il colpo, beh, risulta la versione ingentilita del primo. Ma giusto un po’.

Così uguali così diversi, insomma. Uguali perché appartengono alla stessa indecifrabile generazione - 41 anni lo straripante Fiorito, 45 l’impeccabile Battistoni - perché vengono dallo stesso partito -il pdl- e perché sono stati prima l’uno e poi l’altro capogruppo consiliari alla Regione Lazio (e Battistoni lo è ancora). Ma soprattutto, al di la delle forme, hanno la stessa propensione a spendere e spandere, e ora sono chiamati a provare di non averlo fatto con il pubblico denaro.

A Franchino, per esempio, qualcuno prima o poi dovrà chiedere come ha fatto a stipare 120 invitati -tanti ce ne sarebbero in una ricevuta che lui comunque non riconosce come sua- nelle anguste salette del PepeNero, ristorante piuttosto chic di Capodimonte, con vista mozzafiato sul lago di Bolsena. Il sito internet non lascia dubbi: «40 coperti, chiuso il lunedì».

A Francone gli si potranno chiedere lumi sulle 14 smart che affittò per l’ultimo campagna elettorale, con il suo nome scritto grosso sulle portiere e sui trenta ragazzi che andarono a occuparsi del suo comitato elettorale in una ex fabbrica di costumi da bagno di Anagni, la California. Da dove venivano tutti quei soldi? Ed è vero che dalle sue parti, come sostengono i detrattori «i buoni di benzina fischiano»?

Da quel che si capisce -ma siamo pronti a ricrederci- non hanno mai lavorato in vita loro, né l’uno né l’altro. Nel senso che, politica a parte, non hanno imparato alcun mestiere, esercitato alcuna professione. Di Franco Fiorito, studente di altalenante profitto al Liceo classico Dante Alighieri di Anagni, non si riesce a sapere se questa benedetta laurea in giurisprudenza alla fine l’abbia davvero conseguita oppure no. Di Francesco Battistoni la biografia ufficiale dice abbiamo di fronte un «giornalista pubblicista», mancano i giornali per i quali avrebbe lavorato.

Franco Fiorito fa saltare il banco nell’anno di grazia 2001. Ricorda Aurelio Tagliaboschi, consigliere comunale del pd di Anagni, una specie di memoria storica dell’opposizione: «Noi governavamo da 15 anni, e anche bene. Ma negli ultimi tempi ci facemmo prendere da indecisioni, da leggerezze. Così si presentò lui, Fiorito, e cambiò subito le carte in tavola: manifesti, volantini, polemiche. Lo sosteneva Storace e ne approfittò: la Regione Lazio commissariò il Consorzio di bonifica diretto da Alberto Cocchi, il suo avversario in campagna elettorale. Un gran polverone poi finito nel nulla. Ma sul momento il suo effetto lo fece».

Eh sì, è Storace a guidare le prime mosse di questo trentenne ex missino, ma Fiorito non è mai stato tipo da affezionarsi troppo. Quando Storace imbocca un’altra strada lui si guarda bene dal seguirlo, fosse solo per gratitudine, e va dove soffia il vento. Di lui dicono oggi che si sia avvicinato ad Alemanno (e non si sa quanto Alemanno si sia avvicinato a lui), di sicuro il senatore Giuseppe Ciarrapico non gli ha fatto mai mancare il suo paterno sostegno in questi anni, soprattutto in tempi di campagna elettorale.

Di Battistoni, invece, si ricordano gli albori democristiani e, i più anziani, anche lo zio prete, don Alfio, una figura carismatica nel Viterbese, un personaggio che ha lasciato il segno nella cultura locale. Franchino non deve averla imparata proprio tutta la sua lezione: nel ’94 ha già un incarico importante nella Federazione degli Universitari cattolici, nel ’97 è consigliere provinciale di Viterbo, nel 2005 rimedia la prima vera scoppola quando si presenta come candidato presidente e viene sconfitto. Ma non si rassegna, anche perché su di lui vegli un personaggio del calibro di Antonio Tajani, oggi commissario europeo ai Traporti. E’ Tajani che rimette insieme i cocci di una carriera politica balbettante e lo rilancia in pista alle Regionali del 2010. Franchino non fallisce: novemilaottocento voti, grazie all’infaticabile opera di ricucitura che Tajani ha fatto all’interno del partito.

Algido sì, ma per niente pacifico questo Battistoni, perché prima di diffondere il famoso elenco di spese che ha dato il via a tutto questo putiferio, ne aveva combinata un’altra: aveva denunciato alla magistratura una sua compagna di partito, Angela Birindelli, assessore regionale all’ Agricoltura, accusandola di aver sovvenzionato con il soldi della Regione dei quotidiani locali. Risultato: il pdl di Viterbo è in pezzi, tutti contro tutti, esposti e accuse sulla pubblica piazza, e il sindaco Marini praticamente costretto alle dimissioni.

Dall’alto dei suoi77 anni, Rodolfo Gigli, personaggio di primo piano della Democrazia cristiana dei primi anni ’90, presidente della Regione Lazio e poi deputato, non riesce ad accanirsi su Franchino: «Che vuole che le dica. L’ho conosciuto da ragazzo, adesso sarà cresciuto». Eppoi, con un accenno di perfidia: «E’ ambizioso, certo...».

Si parla e si sparla di questi due. Di Fiorito si cita una famosa variante al Piano regolatore di Anagni che trasformò l’area sulla Casilina in una pepita d’oro, preparando il terreno all’invasione dei centri commerciali. Da Battistoni, invece, i suoi nemici vorrebbero sapere qualcosa di più di certe discariche che ha aperto lassù, al suo paese. Ma sono giorni di malevolenze, magari passerà.

E’ un peccato che in queste ore difficili, ore da mors tua vita mea, nessuno possa consolare l’altro, magari solo dirgli: «A Fra’ che te serve?».


http://www.ilmessaggero.it/roma/campidoglio/fiorito_battistoni_pdl_spese_folli_protagonisti/notizie/219909.shtml

La barca a forma di balena che pulisce l’acqua dei fiumi.


Physalia è il nome di una medusa ma è anche l’epiteto scelto per la nuova creazione dello stravagante architetto belga Vincent Callebaut, noto per diversi progetti premiati a livello internazionale per il loro innovativo carattere green.
Questa volta il prototipo realizzato si distingue per la sua caratteristica forma di balena, una sorta di ecosistema galleggiante mandato in missione alla salvezza delle acque. Physalia è ricoperta di pannelli fotovoltaici capaci di fornire all’intera struttura tutta l’energia di cui ha bisogno, insieme all’azione di apposite idro-turbine poste nella parte inferiore. L’imbarcazione è rivestita di TiO2, la quale reagendo ai raggi ultravioletti è in grado di assorbire e riciclare le sostanze inquinanti rilasciate dalle altre navi. Il doppio scafo consente di raccogliere l’acqua, purificarla in modo biologico e poi rimetterla in circolazione.
L’intera struttura è lunga 80 metri e ospita al suo interno quattro giardini tematici, uno per ogni elemento del pianeta: il Giardino dell’acqua è situato all’ingresso principale e sarà destinato alle mostre espositive; il Giardino della terra è posto nella zona centrale e ospiterà i laboratori scientifici; il Giardino del Fuoco è posto nella zona inferiore, immerso nell’acqua, e sarà destinato alle mostre sugli ecosistemi acquatici; infine il Giardino dell’Aria sarà inserito all’aperto come punto di ritrovo e di dibattito.
Insomma, Physalia ha tutte le caratteristiche di una stazione mobile di depurazione e noi non vediamo l’ora che il prototipo si trasformi in realtà per vederlo navigare sulle acque dei nostri mari e dei nostri fiumi.

Finanziamenti ai gruppi parlamentari, la Camera ci ripensa: sì a controlli esterni.


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Volubilità italica, o mediterranea se preferite; i gruppi parlamentari dopo il no categorico di ieri al controllo esterno sui propri bilanci oggi, miracolosamente, cambiano idea votando all’unanimità il provvedimento che consentirà una verifica esterna. Le polemiche, evidentemente, non sono passate inosservate, così come l’auspicio del presidente Fini, per cui i bilanci dei gruppi della Camera saranno valutati da società di revisione esterne come deciso dalla giunta per il Regolamento di Montecitorio.
Durante la riunione, da quel che si è appurato, è stato scelto di approvare il testo dei relatori Giancluadio Bressa (Pd) e Antonio Leone (Pdl) ed unirlo al principio del controllo dei bilanci dei gruppi mediante una società esterna. La riunione della giunta è stata interrotta dopo circa un’ora e aggiornata alle 15 e 30 per redigere il nuovo testo implementato del regolamento. L’obiettivo sarebbe quello di designare un’unica società esterna per il controllo dei conti e dovrebbe essere scelta dall’ufficio di presidenza della Camera attraverso una gara d’appalto.
”Ho apprezzato molto questa nuova posizione di trasparenza che ha intrapreso il presidente Fini. Penso però  - ha detto il deputato del Pdl, Guido Crosetto - che il percorso verso la trasparenza passi non attraverso la certificazione dei bilanci dei gruppi, ma attraverso una cosa più seria: la pubblicazione su internet di tutte le spese anche della stessa Camera e dei gruppi. Così magari tutti i cittadini e gli stessi parlamentari, ai quali oggi non è consentito, potranno verificare singolarmente ogni spesa effettuata con denaro pubblico”.
Il provvedimento votato, tuttavia, non ha convinto proprio tutti, qualcuno ha provato a storcere il naso “ sono nettamente contrario. Per quale motivo dobbiamo farci controllare dall’esterno?” dichiarava questa mattina il senatore del PdlAltero Matteoli. .“Noi dobbiamo dimostrare di saperci controllare da soli, senza bisogno di metterci nelle mani degli altri. Non facciamo demagogia. Fini sbaglia a dire che – spiega al fatto quotidiano – ci devono controllare gli altri. Dobbiamo controllare da soli e dimostrare alla pubblica opinione che i soldi che percepiamo per il funzionamento della politica sono spesi bene e proprio per questo fine”.
La Lega, ancora provata per lo scandalo sui fondi usati dalla famiglia Bossi, d’altro canto avrebbe preferito spingersi anche oltre la verifica esterna. Non è sufficiente, infatti, un controllo semplicemente contabile dei bilanci dei partiti parlamentari da parte di una società di certificazione esterna, ma occorrerebbe anche un “codice di principi con le spese ammissibili” stabilito dalla Corte dei Conti secondo il capogruppo del Carroccio, Giampaolo Dozzo.


Commento del senatore FERNANDO ROSSI:

Ieri alla Camera avevano rifiutato i controlli su come i gruppi parlamentari spendono io milioni di € del finanziamento pubblico, oggi pare abbiano cambiato idea.
La mia brutta esperienza al gruppo PDci
-VerDsi quando chiesi di conoscere le spese del gruppo, la capogruppo, prima farfugliò che con i finanziamenti al gruppo dovevamo pagare tutto il personale, mezz'ora dopo tornai a dirle che non era vero e mi disse che lei non sapeva nulla e che facevano tutto al partito. 

Chiesi ai Questori e mi dissero (DS e PDL) che i gruppi erano autonomi e loro non c'entravano nulla. 

Tre mesi dopo vennero al pettine altri nodi, dalla politica estera alla massoneria, quindi uscii dal PDci senza avere risposte. 

Le recentissime vicende LUSI (PD, tesoriere area Margherita) e Belsito (Lega Nord), come quella Fiorito, capogruppo- amministratore del contributo regionale al gruppo Consigliare PDL- LAZIO, confermano due cose ELEMENTARI : TUTTI i tesorieri dei partiti hanno armadi (e forse scantinati) pieni di abusi e irregolarità; mentre TUTTI i gruppi parlamentari e regionali hanno "deviato" da compiti e "funzioni" istituzionali a cui quel denaro pubblico (comunque eccessivo) era destinato. Ma nessuno controlla !!! Bersani, dice che ora il bilancio PD è controllato da una società privata che per mestiere "certifica i bilanci"; Fini dice che da oggi alla Camera si avvia un iter per arrivare ad incaricare una società privata che "certifichi i bilanci" dei gruppi parlamentari .
Molti italiani tirano un sospiro e dicono: " Dovrebbero restituire il maltolto, ...comunque ... meglio di niente !".
Ci illumina l'ex tesoriere DS dichiarando ..."Anche i bilanci di Parmalat erano certificati !!"
Te capì ??!! La cleptocrazia non demorde !!


 (postato da Giuseppe Bruzzone su fb)

Varese, blitz a sorpresa della Finanza. Un negoziante su due non rilascia scontrini.


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Su 113 controlli compiuti dalla Guardia di Finanza nella provincia della città lombarda sono emerse infatti 58 violazioni che vanno ad aggiungersi alle 913 già individuate nei primi otto mesi dell'anno. Sequestrati anche cinquemila pezzi con falso marchio 'Ce". A Battipaglia (Salerno) scoperto evasore da 10 milioni di euro.

Lo scontrino questo sconosciuto. Un esercente su due, in provincia di Varese, dimentica di rilasciarlo. Su 113 controlli compiuti dalla Guardia di Finanza nel Varesotto sono emerse infatti 58 violazioni che vanno ad aggiungersi alle 913 già individuate nei primi otto mesi dell’anno. Tutto il mondo è paese in materia di evasione. E così anche nella provincia culla della Lega e di proteste contro il Meridione d’Italia.
Per quanto riguarda il contrasto all’abusivismo commerciale e alla vendita di prodotto pericolosi le Fiamme Gialle hanno sequestrato poi oltre cinquemila articoli con marchio ‘CE’ contraffatto. Segnalato alla Camera di Commercio di Varese, il marocchino che li vendeva. Risultati che vanno ad aggiungersi ai sequestri di prodotti contraffatti (17.500), e alla denuncia di 94 soggetti, già effettuati dalle Fiamme Gialle nei primi otto mesi del 2012 sul territorio dell’intera provincia. Come accaduto nei mesi scorsi in altre importanti città turistiche italiane, anche in questo caso il blitz a sorpresa dei finanzieri si inquadra “in consolidate metodologie d’azione, sistematicamente attuate anche nella specifica prospettiva di utilizzare i dati ‘caldi’ acquisiti sul campo per integrare e attualizzare le attività di monitoraggio ed analisi del tessuto economico-finanziario”. 
Sempre i finanzieri hanno scoperto a Battipaglia (Salerno) un’attività di arti grafiche il cui titolare ha evaso il fisco per circa dieci milioni di euro e non ha versato l’iva per circa un milione di euro. Il proprietario della tipografia, nel corso del 2009 aveva dichiarato formalmente la cessazione della sua attività e per truffare l’erario creato una srl ad hoc per fare da schermo nei rapporti commerciali con clienti e fornitori. Le fiamme gialle di hanno inoltrato le richieste per sequestro preventivo delle disponibilità finanziarie e degli immobili riconducibile all’indagato per un ammontare pari a circa due milioni e mezzo di euro.
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Il secondo tragico Marchionne. - Marco Travaglio


C’è un che di irresistibile nel dialogo (si fa per dire) a distanza fra il duro Sergio Marchionne e gli omuncoli gelatinosi del governo, dei partiti e dei sindacati moderati (Cisl e Uil). Lui, il duro che non deve chiedere mai perché viene ubbidito prim’ancora che dia gli ordini, annuncia che dei 20 miliardi di investimenti promessi, col contorno di 1 milione e 400 mila auto e altre supercazzole che potevano essere credute solo in Italia, non se ne fa più nulla. Perché? Perché no. E gli impavidi ministri, sindacalisti e politici che fanno? Gli chiedono di “chiarire”. I più temerari aggiungono “subito”, ma sottovoce, vedimai che s’incazzi e li prenda a sberle. Ora, tutto si può rimproverare a questo finanziere scambiato per un genio dell’automobile, tranne la carenza di chiarezza: è dal 2004 che dice ai quattro venti che dell’Italia non ne vuole sapere, molto meglio i paesi dell’Est, dove la gente lavora per un tozzo di pane e non chiede diritti sindacali perché non sa cosa siano, e gli Usa dove Obama paga e Fiat-Chrysler incassa.
Ma quelli niente, fingono di non capire, chiedono chiarimenti, approfondimenti, spiegazioni, aprono tavoli, propongono patti, invocano negoziati, lanciano penultimatum, attendono il messia dei “nuovi modelli” naturalmente mai pervenuti. Ma in quale lingua glielo deve spiegare, Marchionne, che dell’Italia e dell’auto con bandierina tricolore non gliene frega niente? In sanscrito? Sentite Passera: “Voglio capire meglio le implicazioni delle sue dichiarazioni”. Un disegno di Altan potrebbe bastare. Sentite la Fornero, quella col codice a barre in fronte: “Non ho il potere di convocare l’amministratore delegato di una grande azienda” (solo quello di entrare con la scorta armata ai gran premi di F1), però vorrebbe “approfondire con Marchionne cosa ha in mente per i suoi piani di investimento per l’occupazione”. Ma benedetta donna: niente ha in mente, te l’ha già detto in musica, che altro deve fare per cacciartelo in testa? Infilare l’ombrello nel coso di Cipputi? Sentite Fassino: “L’ho sentito, mi ha dato rassicurazioni”. Ci parla lui. Sentite Bonanni, quello con la faccia da Bonanni che firmò tremante gli accordi-capestro a Pomigliano e Mirafiori: “Marchionne ci convochi subito e chiarisca se il Piano Fabbrica Italia lo mantiene e lo utilizza quando riprende il mercato o no”. Ma certo: i 20 miliardi li tiene lì sotto il materasso in attesa che la gente si compri tre Cinquecento e quattro Duna a testa, poi oplà, li sgancia sull’unghia per la bella faccia di Bonanni.
Ma che deve fare quel sant’uomo per far capire che i 20 miliardi non esistono e ha preso tutti per i fondelli? Fargli una pernacchia sarebbe un’idea, ma poi quelli replicherebbero: “Vorremmo capire meglio il significato profondo del gesto, Marchionne apra al più presto un tavolo per fornirci le necessarie e ineludibili delucidazioni atte a chiarire il senso recondito, anche tra le righe, della pernacchia”. Se non ci fossero di mezzo decine di migliaia di famiglie, ci sarebbe da scompisciarsi per queste scenette da commediola anni 80, dove il marito trova la moglie a letto con un altro e la interroga tutto compunto: “Cara, esigo un chiarimento sulla scena cui ho testè assistito”. O da film di Fantozzi. La sua Bianchina, con a bordo la signorina Silvani, viene affiancata dall’auto di tre energumeni che afferrano un orecchio del ragioniere. La Silvani li insulta. Quelli estraggono dall’auto Fantozzi a forza e lo massacrano di botte, mentre lui li apostrofa con fierezza: “Badi come parla!”. Pugno in faccia. “Vorrei un momento parlamentare con voi”. Setto nasale. “Lo ridichi, se ha il coraggio”. Spiaccicato sul tettuccio. “Badi che se osa ancora alzare la voce con me…”. Giacca squarciata. “Bene, mi sembra che abbiamo chiarito tutto, allora io andrei…”. Lo finiscono a calci e lo lanciano come ariete nel parabrezza. Ora Fantozzi fa il ministro tecnico e il sindacalista moderato. Tanto le botte le prendono i lavoratori.

La moglie di Dell’Utri accusata di riciclaggio: “I magistrati sono impazziti”. - Beatrice Borromeo


berlusconi dell'utri e la moglie


La moglie del senatore del Pdl Miranda Ratti: "Non mi risulta che ci sia nulla di male a comperare una casa all’estero. Che reato è? Con i miei soldi faccio quello che voglio. E Marcello è un ostaggio politico: è l'uomo più straordinario che abbia mai incontrato".


“Io indagata? Sono impazziti. È una cosa talmente folle che la prendo come tutte le follie di questo mondo”. Miranda Ratti, moglie di Marcello Dell’Utri, risponde con gentilezza al telefono. Col tono di chi, dopotutto, se l’aspettava. E sull’accusa di riciclaggio aggravato per quei 15 milioni di euro transitati sul suo conto e poi partiti (quasi tutti) alla volta di Santo Domingo, proprio alla vigilia della sentenza di Cassazione che avrebbe potuto mandare in carcere il marito per 7 anni, risponde: “Non mi risulta che ci sia nulla di male a comperare una casa all’estero. Che reato è?”. Solo che lo shopping della signora Ratti – sospettano i pm – è stato fatto con soldi estorti a Silvio Berlusconi e mirava pure a garantire una latitanza dorata al marito.
Secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, la nuova villa dei Dell’Utri si trova nel complesso turistico Casa De Campo: un lussuoso resort a quattro chilometri dal centro La Romana, nella Repubblica Dominicana. Una località che si estende lungo le bianchissime spiagge che costeggiano il sud-est dell’isola, con alberghi, ville in affitto, abitazioni private, campi da golf e tennis, piscine e pure una pista d’atterraggio privata. Dove Marcello Dell’Utri, appena sceso da un volo charter di Air Italy, è stato avvistato lo scorso 29 luglio, cioè poco dopo la fine dei lavori di ristrutturazione della nuova dimora, costata svariati milioni di dollari.
Ora i pm di Palermo stanno preparando una rogatoria internazionale per scovare il tesoretto caraibico, incuranti della signora Ratti che ribadisce : “Con i miei soldi faccio quello che voglio”. Soldi che però – stando alla Procura – sono stati estorti a Silvio Berlusconi gonfiando di almeno 10 milioni il prezzo della casa di Torno in cambio del silenzio di Dell’Utri sui rapporti tra l’ex premier e Cosa Nostra. L’altra lettura è che il senatore avrebbe fatto da tramite per pagare i mafiosi: 40 milioni di euro in 10 anni. Anche perché regalare 40 milioni solo per “stima e riconoscenza a Marcello”, questa la versione di Berlusconi, sembra un po’ eccessivo. Non a Dell’Utri, che mentre difende la consorte(“stiamo subendo una vessazione giudiziaria”), dice: “Che ragionamenti del cavolo fa? Chi lo dice che 40 milioni sono troppi?”.
Ma la signora Ratti, nata a Monza nel 1950, architetto dall’età di 31 anni, più che dall’indagine sembra infastidita da Berlusconi, che ha giustificato quei bonifici apostrofandola come una “spendacciona”: lei, telegrafica, avverte che “anche di questo si occuperanno i miei avvocati”. Di più non dice, e non è una novità. Da sempre riservata (per altri è solo snob), viene descritta da chi la conosce bene come una donna colta, intelligente, e soprattutto molto innamorata. Tanto che nel 2006 è stata condannata per aver diffamato i magistrati (sempre) di Palermo che avevano allora chiesto l’arresto del marito. Definirli “omuncoli bisognosi di perizia psichiatrica” le costò 20mila euro per ognuno dei sei pm (tra cui Gian Carlo Caselli) che le avevano fatto causa.
“Marcello è un ostaggio politico. É l’uomo più straordinario che abbia mai incontrato. E ho avuto la fortuna di sposarlo”, diceva la Ratti al Corriere all’indomani dell’arresto di Dell’Utri, poi condannato per false fatture ed evasione fiscale. L’ha difeso davanti ai pm di Torino che indagavano sui conti gonfiati di Publitalia ed è andata a prenderlo nel penitenziario di Ivrea quando l’hanno scarcerato. Sempre all’ombra del marito, per quanto possibile. Caratteristica , questa, che sta alla base della sua storica amicizia con Veronica Lario, con la quale passò pure qualche guaio. “Se la signora Palli si è venduta le sue amicizie con me e Veronica, millantando un possibile nostro interessamento per i suoi affari, io non ne so nulla”, disse deponendo a un processo per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.
Processo in cui era imputata l’imprenditrice milanese Daniela Palli (poi prescritta), che aveva aiutato il latitante Vito Roberto Palazzolo a stabilire un contatto con Dell’Utri proprio tramite la consorte. In odore di mafia anche un altro personaggio vicino ai Dell’Utri, Filippo Rapisarda, finanziere discusso (ora morto) e amico dei boss. Nel 1989 la Ratti fa la madrina al battesimo della figlia di Rapisarda, Cristina. Berlusconi liquiderebbe l’incidente dicendo che “a Palermo è difficile distinguere i mafiosi dalle persone perbene”. Ora però la storia di Miranda Ratti, sempre più intrecciata a quella (anche processuale) del marito, la vede, suo malgrado, protagonista. Col rischio, in caso di condanna, di passare in carcere dai 4 ai 12 anni.

Casa de Campo La Romana