mercoledì 26 settembre 2012

Sicilia, pignorati i conti dell’Assemblea regionale: stop agli stipendi. - Giuseppe Pipitone


Sicilia, pignorati i conti dell’Assemblea regionale: stop agli stipendi


I dipendenti del Parlamento più antico d'Europa domani non percepiranno lo stipendio: non era mai successo. Tutto nasce dalla sentenza del tribunale del lavoro che ha dato ragione a 76 dipendenti riconoscendo scatti d'anzianità dal 2005.

Per anni è stato l’obiettivo di ogni siciliano alla ricerca di un lavoro sicuro. Da domani però il mitico “posto fisso alla Regione” rischierà di perdere la simbolica aurea di stabilità eterna. Per la prima, infatti, ai dipendenti dell’Assemblea Regionale Siciliana non verrà, accreditato lo stipendio come accade ogni 27 del mese da 67 anni. A comunicarlo agli oltre trecento dipendenti dell’Ars una striminzita circolare che ha spiegato come i conti correnti del parlamentino siciliano siano al momento congelati e gli stipendi di settembre verranno quindi “differiti”. Come dire che le casse del parlamento più antico e ricco d’Italia sono al momento inaccessibili.
Ieri è stato infatti notificato a Palazzo dei Normanni un decreto ingiuntivo da quasi 24 milioni e trecentomila euro. Il congelamento dei fondi dell’Ars da parte del tribunale è dovuto ad un ricorso presentato da 72 dipendenti della stessa assemblea che lamentavano il mancato avanzamento di carriera. I dipendenti dell’Ars, assistenti parlamentari e amministrativi, hanno diritto ad un aumento di stipendio fisso ogni due anni fino al massimo di quattro mila e cinquecento euro netti.
Alcuni di questi scatti di carriera, e quindi di stipendio, sarebbero però stati ignorati dall’Assemblea regionale. I dipendenti hanno quindi fatto causa al loro datore di lavoro nel 2010 e nel marzo scorso hanno ottenuto una sentenza favorevole. Ma nonostante la sentenza sia divenuta esecutiva l’ente regionale ha continuato a fare orecchie da mercante, ignorando le sollecitazioni dei dipendenti. Che a questo punto hanno deciso di ricorrere alle maniere forti. Il problema è che dopo aver ricevuto il super pignoramento da quasi 25 milioni di euro, all’Assemblea regionale si sono accorti di non avere abbastanza denaro in cassa. E i conti correnti del parlamento più ricco d’Italia sono stati quindi sigillati dal tribunale.
Nel luglio scorso, causa di un errore nei fondi trasferiti dall’assessorato al Bilancio, erano slittati di qualche giorno gli emolumenti degli stipendi da 13 mila euro dei novanta deputati regionali siciliani. In quell’occasione il presidente dell’Ars, il pidiellino Francesco Cascio, aveva protestato animosamente contro il governo di Raffaele Lombardo per il lieve ritardo dell’accredito degli stipendi agli onorevoli. “L’assessore all’Economia, Gaetano Armao, tratta l’Ars alla stregua di un qualunque fornitore o di una partecipata della Regione. Ciò non è consentito” aveva tuonato dallo scranno più alto di palazzo dei Normanni.
Oggi, a proposito del maxi pignoramento, spiega invece di aver già fatto ricorso contro la sentenza che blocca i fondi dell’ente da lui presieduto. “Abbiamo ragionevoli speranza di vincere quel ricorso – racconta – anche perché nel frattempo le regole sugli scatti di anzianità sono state modificate dal Consiglio di presidenza”. Nel frattempo però tutti i 270 dipendenti dell’Assemblea rimarranno senza stipendio. E, ironia della sorte, tra loro ci sono anche i 72 dipendenti querelanti, autori del maxi decreto ingiuntivo, che in pratica hanno causato il blocco dei loro stessi stipendi e di quelli dei loro colleghi.

Sallusti condannato a 14 mesi, Travaglio: «E' quello che voleva».




ROMA - «È quello che voleva Sallusti. L'unica strada decente per chiudere questa partita, come avevo scritto fin dal primo giorno, era che Sallusti chiedesse alla parte offesa di accontentarsi delle sue scuse e del risarcimento e di ritirare la querela. Sallusti ha detto che non aveva commesso nessun reato e non aveva intenzione né di chiedere scusa né di risarcire. Naturalmente il processo è andato avanti». Così Marco Travaglio, vicedirettore del "Fatto quotidiano" commenta la conferma della condanna a 14 mesi di reclusione per il direttore del "Giornale". 

«La legge è uguale per tutti e se la legge fa schifo è colpa di chi l'ha fatta e di chi non l'ha cambiata - prosegue Travaglio- certamente né della Corte di Cassazione, né delle Corte d'Appello, né di nessun altro. Ci sono soggetti politici che usano questa legge sulla diffamazione per ricattare i giornalisti, quelli che scrivono opinioni non gradite e quelli che raccontano balle». «Ci vorrebbe una legge che aiuti a distinguere tra quelli che raccontano balle, mentendo sapendo di mentire e quelli che esprimono opinioni sgradite, che oggi purtroppo -conclude il giornalista- sono nello stesso calderone».

Mercoledì 26 Settembre 2012 - 19:40


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Sallusti, Cassazione lo condanna a 14 mesi Severino: "No comment ma cambiare norma".


Sallusti, Cassazione lo condanna a 14 mesi Severino: "No comment ma cambiare norma"

"La notizia pubblicata da Libero era falsa", spiega la Corte in una nota. Il giornalista ha rifiutato le misure alternative al carcere e ha annunciato le proprie dimissioni entro domani. Dovrà rifondere le spese processuali, risarcire la parte civile e pagare 4.500 euro. Stamane il Pg aveva chiesto uno sconto della pena.


ROMA - I giudici della quinta sezione penale della Cassazione hanno confermato la condanna a 14 mesi per Alessandro Sallusti, attuale direttore de Il Giornale, per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del magistrato Giuseppe Cocilovo. La Corte, presieduta da Aldo Grassi, dopo una camera di consiglio di circa due ore e mezzo, ha respinto completamente il ricorso presentato dalla difesa di Sallusti. Negate anche le attenuanti generiche come richiesto dal Pg Gioacchino Izzo che avrebbero potuto portare a una riduzione della pena. "La notizia pubblicata" da Libero per la quale l'allora direttore del quotidiano Alessandro Sallusti è stato condannato "era falsa". Sottolinea la Corte di Cassazione in una nota. 

L'esecuzione della pena detentiva sarà 'automaticamente' sospesa in quanto risulta non avere cumuli di pena né recidive, lo ha spiegato il procuratore Bruti Liberati.

Il ministro della Giustizia Paola Severino non ha commentato la sentenza: "Prendo atto della decisione della Corte di Cassazione. Non conosco il merito della vicenda e ho troppo rispetto delle sentenze", ha detto. Quanto però "al profilo normativo, confermo quanto oggi detto in Parlamento sulla necessitàma ha ribadito "la necessità di intervenire al più presto sulla disciplina della responsabilità per diffamazione del direttore responsabile omogeneizzandola agli standard europei che prevedono sanzioni pecuniarie e non detentive".

Dopo aver deciso di non chiedere una misura alternativa alla pena come i servizi sociali, per il giornalista si aprono ora le porte del carcere. Sallusti è anche stato condannato alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte. E' stato così confermato il verdetto emesso dalla Corte d'Appello di Milano il 17 giugno 2011. Dopo la decisione della Cassazione, dove e come il giornalista dovrà scontare la pena, passa nelle competenze della magistratura di Sorveglianza di Milano. Ci sarà, invece, un nuovo processo per il cronista Andrea Monticone imputato insieme a Sallusti. 

Dopo avere appreso la notizia della condanna a 14 mesi di carcere, Sallusti ha convocato in riunione straordinaria i caporedattori del Giornale, al terzo piano dell'edificio che ospita il quotidiano. Poi si è dimesso. Sull'edizione online è apparso il titolo a tutta pagina: 'Vergogna' (FOTO 1).

La richiesta del pg. Stamane la Procura della Cassazione aveva proposto l'annullamento 2 con rinvio della condanna a 14 mesi di reclusione solo "limitatamente alla mancata valutazione della concessione delle attenuanti generiche". Per il pg della Cassazione, Giovacchino Izzo sarebbe stato necessario "valutare la possibilità di uno sconto di pena". Secondo il pg, il ricorso presentato dai difensori di Sallusti in Cassazione doveva essere dichiarato inammissibile sul punto in cui si contesta che l'allora direttore diLibero fosse l'autore dell'articolo a firma 'Dreyfus' 3, pubblicato nel 2007 e ritenuto diffamatorio nei confronti del giudice tutelare di Torino, Giuseppe Cocilovo. Anche sul diniego della sospensione della pena, il pg Izzo aveva sollecitato il rigetto del ricorso di Sallusti, ritenendo fornita di "tenuta logica" l'argomentazione dei giudici d'appello. 

Unico punto, dunque, da accogliere del ricorso dei difensori, sarebbe stato, secondo Izzo, quello sulle attenuanti generiche. Per il Pg, dunque, sarebbe stato necessario un processo d'appello-bis per valutarne la concessione e, qualora fossero state accolte, queste avrebbero portato automaticamente a una riduzione della condanna. Gli articoli al centro della vicenda riguardavano un caso di aborto di una ragazza tredicenne.

Legale parte civile. Per Monica Senor, che rappresenta Cocilovo, parte civile nel processo a Sallusti, "si tratta di una vicenda che coinvolge un magistrato leso nella sua reputazione. Non possiamo prescindere dal considerare la libertà di informazione come un diritto non assoluto, ma da bilanciare con i diritti del privato cittadino", ha detto nella sua arringa davanti ai giudici. L'avvocato Senor ha inoltre voluto sottolineare i toni "particolarmente violenti" dell'articolo al centro del processo per diffamazione, nel quale mancano i requisiti di "veridicità e continenza". Inoltre, ha osservato, "passaggi molto brutti nei confronti del giudice Cocilovo, che viene definito un abortista, ci sono anche nel ricorso". 

Trattative.
 Nei giorni scorsi erano state avviate trattative 4 per risolvere la questione attraverso il ritiro della querela da parte di Cocilovo. I contatti sono però naufragati, come aveva spiegato ieri Sallusti in un editoriale sul suo quotidiano: "Ho dato disposizione ai miei avvocati di non chiudere l'ipotesi di accordo con il magistrato che mi ha querelato per un articolo neppure scritto da me e che ha ottenuto da un suo collega giudice la condanna nei miei confronti a un anno e due mesi di carcere".  


Reazioni. 
"E' davvero molto grave che si arrivi ad ipotizzare il carcere per un collega su un cosiddetto reato d'opinione", ha detto Ferruccio De Bortoli, "è un momento molto basso della nostra civiltà giuridica", ha sottolineato il direttore del Corriere della Sera. "Questo mestiere non si può più 
fare. Se i giornalisti devono pagare con la propria libertà le opnioni che esprimono, non si può più fare", ha detto il direttore di Libero, Maurizio Belpietro. "La notizia della conferma della condanna a Sallusti è terribile. E' una cosa sbagliatissima e un precedente inquietante. Mi dispiace tantissimo", ha commentato Lucia Annuziata, neo direttore di Huffington Post Italia. "Nessuno dovrebbe andare in carcere per questo reato", ha affermato il direttore di Avvenire Marco Tarquinio. "La vicenda per una volta - ha scritto Famiglia Cristiana sul sito - ha unito i giornali, anche quelli di opposti schieramenti, nella solidarietà a Sallusti in nome di un principio fondamentale: non si manda in galera una persona per un reato a mezzo stampa.

Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, in una nota: "Una sentenza liberticida che segna una delle pagine più buie della magistratura italiana". Per Franco Siddi, segretario della Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi): "E' sconvolgente. In questo momento siamo tutti Sallusti. E siamo pronti a iniziative straordinarie". "Questo Paese fa schifo e spero che gli italiani scendano in piazza perché abbiamo raschiato il fondo. Sono sotto shock", ha commentato Daniela Santanchè, deputata del Pdl. La sentenza è "eccessiva nella pena comminata e quindi sbagliata", ha detto Gad Lerner. "Credo che il Parlamento e il Governo non possano restare inermi di fronte a fatti come questi e debbano porvi immediatamente rimedio", ha dichiarato Ignazio La Russa, coordinatore nazionale del Pdl. "La condanna assume i contorni di una intimidazione inaccettabile", ha detto il segretario del Pdl Angelino Alfano.

In mattinata il premier Mario Monti aveva affrontato il caso Sallusti dal punto di vista legislativo. "Ho seguito il problema direttamente, bisogna trovare un equilibrio tra i due beni della società: la libertà di stampa e la tutela della reputazione delle persone. Ci sono - aveva osservato - diverse soluzioni in diversi Paesi, è naturale per noi italiani fare riferimento alle posizioni dell'Unione europea, il ministro della Giustizia Severino avrà occasione oggi alla Camera di illustrare la posizione del governo". "Verrà utilizzato - ha spiegato il premier - uno dei disegni di legge già presentati e arrivare a una formulazione ben chiara anche per quanto riguarda le pene che sia in linea con la Corte di Strasburgo e le legislazioni vigenti" in tutta Europa. 


Del caso nei giorni scorsi si era interessato anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano 5 e appelli affinché Sallusti non finisca in carcere per un reato d'opinione sono arrivati anche da politici su posizioni diametralmente opposte a quelle del direttore del Giornalecompreso il leader dell'Idv Antonio Di Pietro 6.

La motivazione della Corte.
 "La condanna dei giudici del merito riguarda il reato previsto dagli art. 595 cod. pen. e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, la quale prevede la pena della reclusione da uno a sei anni, oltre alla multa". L'articolo contestato si intitolava, ricorda la Cassazione, 'Il dramma di una tredicenne. Il giudice ordina l'aborto'. "Pur essendo necessario - spiega l'ufficio stampa della Corte - attendere le motivazioni della sentenza per verificare le ragioni della decisione adottata, è opportuno precisare aspetti della questione, che non sono stati esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi". "La notizia pubblicata dal quotidiano diretto dal dottor Sallusti era falsa", spiega, dal momento che "la giovane non era stata affatto costretta ad abortire, risalendo ciò a una sua autonoma decisione, e l'intervento del giudice si era reso necessario solo perché, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest'ultimo la decisione presa".

Carlucci, la cresta sul taxi - Melania Lacavalla



L'onorevole dell'Udc cerca di farsi rimborsare dal Comune di cui è sindaco 135 euro per la tratta Fiumicino - Centro di Roma. Che ne costa 40. Beccata dall'opposizione, è stata costretta a restituire il maltolto.

Le missioni dell'onorevole Gabriella Carlucci, per il Comune di Margherita di Savoia di cui è sindaco dal marzo 2010, sono divertenti. 

Ultimamente ad esempio le Iene l'hanno beccata in trasferta da Roma a Lecce per vedere un torneo degli avvocati tennisti italiani. Partecipante: il marito dell'onorevole, appunto un avvocato tennista. Scesa all'aeroporto di Brindisi, l'onorevole sindaco è stata accolta da una Fiat Punto nera, noleggiata a spese del Comune di di Margherita di Savoia, trasportata allo scalo da un addetto del medesimo Comune. Già che c'era ha giocato a tennis anche lei. 

Ma la missione sportiva a carico dei contribuenti non è certo l'unica performance della Carlucci. Un'altra trasferta poco chiara è avvenuta il 27 luglio scorso. 

Da una determinazione di impegno e liquidazione del Comune di Margherita di Savoia si evince un impegno di spesa pari a 149,00 euro in favore del sindaco.Nella richiesta è specificato il luogo della missione, Roma (che è il luogo di residenza di Gabriella Carlucci) ma non se ne comprende lo scopo. 

In allegato alla richiesta c'è anche una ricevuta di 135 euro di un taxi. La ricevuta riporta il percorso 'da aeroporto a centro Roma'. Tariffa un po' alta per una tratta che è fissata in 40 euro da Fiumicino (e 30 da Ciampino) se appunto ci si reca in centro. 

Dopo un'interrogazione dei consiglieri di minoranza del Comune di Margherita di Savoia datata 29 agosto - nella quale si chiede di venire a conoscenza dello scopo della missione - la determina di rimborso è quindi stata revocata al sindaco: «Da un attento esame della documentazione (..) l'ufficio preposto non ha riscontrato l'esistenza di documentazione che supporti la richiesta di rimborso». 

Insomma Gabry ci ha provato, i consiglieri di minoranza si sono magicamente accorti "dell'errore" e la Carlucci ha restituito l'importo. Resta il mistero sullo scopo della presunta missione, domanda alla quale Carlucci non ha risposto, preferendo promettere che «la scrivente (...) eviterà, in futuro, di richiedere costi di missioni, non solo per scongiurare altri incresciosi eventi di tal fatta, ma anche e soprattutto per non gravare sulle riserve finanziarie dell'Ente già in grave crisi». 

In Puglia chiamasi "pezza a colori".


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/carlucci-la-cresta-sul-taxi/2191721

Madrid, il video delle polemiche: poliziotti picchiano un collega infiltrato. - Matteo Cruccu




Le immagini mostrano gli agenti che picchiano un incappucciato fintanto che questi non si fa riconoscere.

Tra le varie code polemiche del giorno dopo i gravi scontri che martedì hanno infuocato Madrid, ce n'è una piuttosto inquietante, se verificata: secondo i manifestanti, gli indignados che volevano occupare il parlamento, sarebbero state le forze dell'ordine, tramite agenti infiltrati, a far esplodere gli incidenti che sono costati 35 arresti e 64 feriti, di cui 16 ricoverati e uno piuttosto grave.
Ed effettivamente un video registrato dal gruppo alacalle e ripreso da diversi media spagnoli sembra confermare questa tesi.
La clip mostra un uomo debitamente incappucciato che viene preso a manganellate dai celerini, fintanto che non grida: «C...o sono un vostro collega». Un altro uomo, anch'egli a viso coperto, si avvicina agli agenti e conferma. Questi smettono e l'infiltrato ( a questo punto si può definire tale) li invita a "darsi una calmata". Legna sul fuoco insomma: per mercoledì sera gli attivisti hanno annunciato una nuova mobilitazione intorno al Parlamento.

Regione Sardegna, diciannove consiglieri rinviati a giudizio per peculato. - Giorgio Meletti


Consiglio Regionale Sardegna

Nel Consiglio Regionale, esponenti del Idv, Pdl, mastelliani, casiniani, sardisti e autonomisti, socialisti, tutti sotto accusa per una "paghetta" di 2500 euro al mese. Nell'ordinamento della regione non c'è alcuna norma sull’obbligo di rendiconto.


La Sardegna è molto più avanti della Regione Lazio. Non solo perché già domani si svolgerà l’udienza preliminare per il rinvio a giudizio di ben 19 consiglieri regionali accusati, tutti insieme, di peculato. Ma anche perché al Consiglio regionale di Cagliari già da anni si è consolidata la prassi di spendere allegramente i soldi pubblici per farsi gli affari propri, senza rendiconto e in un clima di generale accordo tra tutti i partiti. E dunque la richiesta di rinvio a giudizio pende su due esponenti dell’Italia dei Valori, svariati del Pdl, e poi mastellianicasinianisardisti e autonomisti,socialisti. Tutti accusati di aver utilizzato una paghetta mensile di 2.500 euro assegnata a ciascun consigliere dal gruppo misto e dal gruppo “Insieme per la Sardegna” durante la legislatura 2004-2009, quando era presidente Renato Soru.
GIÀ RINVIATO a giudizio risulta un ventesimo ex consigliere regionale, oggi senatore del Pdl, Silvestro Ladu. Sulla carta di credito assegnatagli dal gruppo dal gruppo è riuscito ad addebitare anche il conto del carrozziere per l’auto di sua moglie. “Per sbaglio”, ha detto al pubblico ministero Marco Cocco, che non gli ha creduto, anche perché ha scoperto che la carta di credito personale di Ladu era scaduta da anni. Il senatore Pdl deve rispondere di 253 mila euro pubblici spesi senza rendiconto. Il caso è esemplare. La prassi della regione Sardegna era che tutti i mesi il capogruppo versava sui conti correnti dei consiglieri la paghetta da utilizzare, come suol dirsi, per l’attività politica.
Non essendoci nell’ordinamento della regione alcuna norma sull’obbligo di rendiconto, è difficile per il senatore rinviato a giudizio dimostrare che, dopo l’errore, ha rimborsato a se stesso come consigliere le spese del carrozziere sostenute da se stesso. L’altro insegnamento che viene dalla Sardegna è che in questo caso qualcuno ha rotto il muro del silenzio e ha innescato l’inchiesta della magistratura. Non un politico, naturalmente, ma una funzionaria del Consiglio regionale, Ornella Piredda, che ha pagato un prezzo salato al suo coraggio.
È stata demansionata e trasferita, ha perso parte della retribuzione, non è più stata in grado di pagare le rate del mutuo e ha dovuto vendere la casa. “Chi prova a rompere il silenzio va incontro a ritorsioni molto pesanti”, ha detto alla “Nuova Sardegna”. Spalleggiata dall’avvocato Andrea Pogliani, ha intrapreso e vinto una causa davanti al giudice del lavoro, che ha condannato a risarcirla l’allora presidente del gruppo misto, il sardista Giuseppe Atzeri. Atzeri a questo punto, oltre alle accuse di peculato, deve fronteggiare un’altra pendenza penale, quella per abuso d’ufficio legata al mobbing inflitto alla Piredda. La quale, paradossalmente, è garantita solo dall’allegria con cui i gruppi consiliari della Regione Sardegna facevano le assunzioni. Insieme ad altri 25 funzionari, è stata assunta dal Consiglio Regionale a tempo indeterminato ma senza concorso, in un rapporto privatistico. In seguito, con gli altri 25, è stata trasferita con una delibera alle dipendenze della Regione, dove oggi si occupa di servizi sociali mentre gli altri sono rimasti ai gruppi grazie al nobile istituto del distacco. Secondo Piredda, che ha lavorato solo per il gruppo misto e per “Insieme per la Sardegna”, si può comunque dedurre che la musica non cambia negli altri gruppi, visto anche l’isolamento subito dopo la denuncia.
LE STORIE ricostruite dalla procura avrebbero richiesto un buon romanziere per essere inventate. A un certo punto il gruppo “Insieme per la Sardegna” si scioglie, e tutti i suoi membri confluiscono nel gruppo misto. Rimangono però in cassa dei soldi, che quattro consiglieri (Sergio Marracini dell’Udc, Salvatore Serra della Sinistra autonomista, Giuseppe Giorico dell’Udeur e Carmelo Cachia della Margherita) decidono di dividersi, secondo l’accusa, con assegni per 17mila euro a testa. E c’è il consigliere dell’Idv Giommaria Uggias, ex sindaco democristiano di Olbia e oggi unico europarlamentare sardo, che è accusato di aver pagato con i soldi della Regione le bollette telefoniche del suo studio legale. Stranezze del partito dipietrista: il suo difensore è un altro esponente idv, Federico Palomba, ex presidente della Regione nella legislatura 1999-2004, che due giorni fa ha attaccato gli attuali consiglieri regionali, chiedendo perentoriamente di “pubblicare subito sul sito istituzionale del Consiglio il rendiconto dettagliato delle spese dei gruppi consiliari, in modo che i cittadini sappiano come sono stati spesi i soldi pubblici”. Ma per adesso l’unico modo che hanno i cittadini di sapere come sono stati spesi i loro soldi è aspettare il processo al suo compagno di partito e cliente. 
da Il Fatto Quotidano del 25 settembre 2012

Madrid, proprietario di un bar protegge manifestanti.



MANIFESTANTI SI RIFUGIANO IN UN BAR, IL PROPRIETARIO LI DIFENDE E CACCIA LA POLIZIA!

Il proprietario di un bar litiga con un agente di polizia mentre i manifestanti cercano rifugio all'interno durante la manifestazione degli indignados di ieri a Madrid.

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Telefonata shock in tribunale: "Ingroia morirà" Rafforzata la scorta al procuratore aggiunto. - Salvo Palazzolo


Telefonata shock in tribunale: "Ingroia morirà" Rafforzata la scorta al procuratore aggiunto


Una chiamata anonima ha fatto scattare misure di sicurezza straordinarie attorno al magistrato che coordina l'inchiesta sulla trattativa mafia-Stato.

Lunedì mattina una telefonata anonima al centralino del palazzo di giustizia di Palermo ha annunciato: "Ingroia morirà". Un uomo, dal marcato accento siciliano, ha parlato di un progetto di attentato nei confronti del procuratore aggiunto che coordina l'inchiesta sulla trattativa mafia-Stato. L'allarme è scattato immediatamente: la questura ha deciso un rafforzamento delle misure di sicurezza attorno al magistrato, che segue anche le indagini su uno dei clan mafiosi più potenti della città, quello di San Lorenzo-Resuttana.

Secondo quanto risulta a Repubblica, la scorta del procuratore aggiunto sarebbe stata potenziata anche con un apposito servizio di bonifica antibomba. Ingroia ha annunciato ieri pomeriggio di aver chiesto una proroga alle Nazioni Unite, per posticipare ancora di quindici giorni l'inizio del suo incarico in Guatemala: il magistrato resterà in Sicilia sino a fine mese, anche per partecipare alla prima udienza davanti al gup Piergiorgio Morosini, per l'inchiesta trattativa mafia-Stato. Poi, dovrebbe trasferirsi in Sud America per ricoprire l'incarico di responsabile di una unità investigativa che opera all'interno di una commissione Onu.

Presunta estorsione di Dell’Utri a Berlusconi, l’inchiesta va a Milano.


Presunta estorsione di Dell’Utri a Berlusconi, l’inchiesta va a Milano


Il procuratore generale di Cassazione toglie alla Procura di Palermo il procedimento sui pagamenti dell'ex premier al suo braccio destro. Accolta la richiesta dai difensori Ghedini e Longo, basata sul fatto che i pagamenti oggetto dell'indagine sono avvenuti nel capoluogo lombardo o ad Arcore.

Il procuratore generale della Cassazione ha spostato a Milano la competenza dell’indagine sulla presunta estorsione di Marcello Dell’Utri ai danni di Silvio Berlusconi. Una ulteriore ‘sconfitta’ per la procura diPalermo che aveva rivendicato la titolarità dell’inchiesta.
La Procura generale della Suprema Corte, come confermano anche fonti della difesa, ha accolto l’istanza che, nelle scorse settimane, era stata avanzata dai legali di Berlusconi, gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo. Il Pg di Cassazione ha dunque ritenuto che la competenza territoriale sull’inchiesta fosse della Procura milanese, e non dei Pm di Palermo. Anche il procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso aveva espresso, nei giorni scorsi, il suo parere in tal senso.
Nell’istanza accolta, i legali dell’ex premier hanno sostenuto che i versamenti sono avvenuti ad Arcore, dove Berlusconi risiede, o a Milano. Dunque lì si sarebbe consumato il reato di estorsione, che in ogni caso Berlusconi e Dell’Utri hanno sempre negato
“Allo stato delle indagini tutti i bonifici risultano essere pervenuti sui conti correnti accesi da Dell’Utri presso banche di Milano, eccetto due”, scrive infatti la Procura generale della Cassazione. “Il richiamo da parte del pm della sentenza di condanna di Dell’Utri (per concorso esterno in associazione mafiosa, ndr) non appare rilevante ai fini di una eventuale competenza per connessione – scrive il magistrato – come rilevato dal procuratore nazionale non vi è coincidenza temporale tra le vicende, dal momento che la responsabilità penale di Dell’Utri è stata affermata fino al 1992 mentre i fatti per cui si procede sono tutti successivi. Inoltre”, continua il pg, “i due procedimenti si trovano in diverse fasi procedimentali, sicchénessuna connessione è ipotizzabile”.
Nessuna presa di posizione è arrivata dalla Procura di Palermo: “Confermo che c’è questa decisione e ne prendiamo atto. Ma non voglio commentarla”. C’e’ amarezza in procura? “Non dico nulla”.
Nei giorni scorsi, nell’ambito dello stesso filone, era finita nel registro degli indagati la moglie del senatore, Miranda Ratti, con l’accusa di riciclaggio.  Nell’ambito dell’inchiesta sono stati gia’ sentiti Silvio e Marina Berlusconi che hanno respinto lo scenario dell’accusa, ed e’ stata indagata la moglie del senatore, Miranda Ratti, per riciclaggio in quanto avrebbe trasferito i soldi a Santo Domingo.

Il buon Beppe.



Rai1, Rai 2 e Rai 3 sono occupate dai partiti, Canale 5, Italia 1 e Retequattro sono di proprietà di Berlusconi, a capo di un partito, la7 appartiene a Telecom Italia. La Repubblica è di De Benedetti, tessera numero uno del Pdmenoelle, La Stampa è della famiglia Agnelli, gli azionisti di riferimento del Corriere della Sera sono le banche e Confindustria. Siamo manipolati dai partiti, dalle banche e dalle industrie che, attraverso i media, stravolgono la realtà. 
Partecipate all'iniziativa "Intervistiamo i giornalisti":http://goo.gl/rhmVc !


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Giancarlo Cancellieri. Movimento 5 stelle.



"Noi portiamo la nostra esperienza fuori parlando con la gente, non abbiamo bisogno della televisione: è la televisione che ha bisogno di noi. Per cui qual è la morale? La morale è che i partiti hanno paura di confrontarsi con i cittadini, hanno paura di confrontarsi con il m5s. I partiti sono tutti MORTI e ai morti si portano i fiori: http://goo.gl/9RrrJ "
Giancarlo Cancelleri Portavoce a 5 Stelle


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Rosso (Pdl): “Un mio amico consigliere si è fatto rimborsare 5000 euro per le vacanze”



‘La Minetti sfila e il magna magna continua’ è il titolo del talk tv Iceberg andato in onda lunedì sera su Telelombardia. Scontato il tema: lo scandalo sui fondi pubblici ai gruppi regionali che ha portato alle dimissioni del governatore del Lazio Renata Polverini. Il deputato Pdl Roberto Rosso, ex sottosegretario prima al Lavoro e poi all’Agricoltura del governo Berlusconi  e rinviato a giudizio per un’inchiesta su presunti finanziamenti illeciti per la sua campagna elettorale, racconta con toni da barzelletta una storia sulle “caste regionali“. Ma c’è poco da ridere. “Tutti si concentrano sul Lazio. Ma ora vi racconto una vicenda che mi è capitata personalmente – sorride il deputato -. Ospito a casa mia a Sestriere un consigliere regionale del Piemonte. Ero in settimana bianca e vedo questo qui che tutti i giorni si fa firmare un documento, un foglio, da un consigliere comunale del paese. Poi aggiunge: “Alla fine della settimana bianca questo mi fa capire che ha guadagnato 5mila euro in più. E gli chiedo: ‘Ma come hai fatto a guadagnare 5mila euro se sei stato ospite in settimana bianca a casa mia?’. Alla fine scopro l’arcano. Grazie al suo amico si è fatto pagare l’indennità, come se avesse lavorato e pure quella di missione a costo chilometrico giornaliero. In pratica, questa persona ha guadagnato quasi 1000 euro al giorno per essersi fatto una settimana bianca a casa mia. Che fogna sono le Regioni”. Nello studio televisivo nessuno ride, neanche un imbarazzato Davide Boni, consigliere regionale leghista della Lombardia. Ma Rosso continua: “Noi in Parlamento ci siamo tagliati il 40% dello stipendio, io ad esempio prendo 10mila euro al mese con le indennità, ci hanno tolto anche i vitalizi. In Piemonte – conclude – era stato varato un regolamento per cui venivano raddoppiate le liquidazioni per i consiglieri”. Rosso è pronipote di San Giovanni Bosco ed è uno dei 26 deputati o ex deputati che hanno contestato le nuove norme previdenziali che da gennaio hanno soppresso i vitalizi e introdotto il sistema contributivo. Con le vecchie regole avrebbero ricevuto il vitalizio al compimento dei 50 anni, adesso dovranno aspettare i 60 o i 65 anni, se eletti per un solo mandato.

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http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/09/25/casta-rosso-pdl-racconto-come-amico-consigliere-piemonte-ruba-sulla-settimana-bianca/205643/