Il Consiglio dei ministri ha deciso che lo Stato, come invocato da più parti e con forza nei mesi e nelle settimane precedenti, si costituirà parte civile nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia. La scelta arriva pochi giorni all’inizio dell’udienza preliminare davanti al giudice di Palermo Piergiorgio Morosini che dovrà decidere se rinviare a processo gli imputati. La prima udienza è prevista lunedì 29 ottobre.
Il 24 luglio scorso i pm di Palermo aveva chiesto il rinvio a giudizio i dodici personaggi indagati per il presunto patto che, secondo la Procura di Palermo, portò pezzi delle istituzioni a trattare con Cosa nostra, che a colpi di stragi e bombe, voleva spezzare le catene del carcere duro cui erano sottoposti i boss. Un “invito” violento a sedersi allo stesso tavolo della mafia nel periodo che videro i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, gli uomini della scorta e tanti altri innocenti a Milano e Firenze morire.
”La costituzione di parte civile del Governo può essere un segnale importante di effettiva attenzione alla ricerca della verità su cosa accadde in uno dei periodi più oscuri della nostra storia recente”, commenta il pm di Palermo Nino Di Matteo, titolare dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia insieme al procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Poco dopo è arrivata anche la dichiarazione del procuratore capo del capoluogo siciliano Francesco Messineo: ”E’ un fatto positivo perché rapporta la nostra determinazione nel cercare la verità in questa vicenda”.
Sul fronte politico, interviene il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, da sempre sostenitore della scelta: ”A forza di martellare siamo riusciti a far ammorbidire le pietre che stanno al governo, anche se abbiamo dovuto aspettare fino all’ultimo minuto”. Alla fine, sottolinea Di Pietro, “la decisione dell’esecutivo è arrivata a ridosso dell’udienza preliminare. E’ una scelta che ci sta bene e sta bene agli italiani, ma rimane l’amarezza di quanto abbiamo dovuto lottare, con i denti e con le mani, per una decisione che in realtà era ed è doverosa”.
Nel momentaneo silenzio del centrodestra, la polemica resta confinata nel centrosinistra: ”E’ una scelta positiva che noi abbiamo sostenuto e sulla quale, del resto, il governo aveva dato ampie rassicurazioni”, replica Laura Garavini, capogruppo del Pd in commissione Antimafia. “La campagna di Di Pietro non è stata utile, ha solo creato molto caos, un metodo ben poco costruttivo quando si affrontano temi così delicati”.
Intanto uno degli imputati, l’ex ufficiale dei carabinieri Giuseppe De Donno, ha presentato istanza di ricusazione del gup di Palermo Piergiorgio Morosini. Gli altri imputati sono i mafiosi Salvatore Riina, Nino Cinà, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca; gli alti ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni; senza dimenticare gli esponenti politici Calogero Mannino, Marcello Dell’Utri e Nicola Mancino, ex ministro dell’interno e già presidente dl Senato. Per tutti l’accusa è di attentato a corpo politico dello Stato, tranne che per Mancino, accusato di falsa testimonianza dopo la sua audizione al processo Mori-Obinu del 24 febbraio scorso. Secondo gli inquirenti palermitani, guidati dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, agirono “per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato”. Secondo la stessa richiesta di rinvio a giudizio tutti coloro che parteciparono alla trattativa agirono “in concorso con l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi e il vice direttore del Dap Francesco Di Maggio, deceduti”: loro avrebbero ammorbidito la linea dello Stato contro la mafia, revocando centinaia di 41 bis.
Da Palazzo Chigi la nota è di sole poche righe, ma la vicenda giudiziaria, per le sue implicazione, è una delle più importanti degli ultimi: “Il Consiglio dei ministri ha deliberato la costituzione di parte civile del governo all’udienza preliminare del procedimento penale davanti al Tribunale di Palermo a carico di Bagarella Leoluca Biagio e degli altri 11 imputati per i capi di imputazione di interesse dello Stato“.
Solo due giorni fa Mancino ha chiesto che fosse stralciata la sua posizione per essere giudicato dal Tribunale dei ministri. Il politico, che si era rivolto al Quirinale per chiedere aiuto, si è sempre dichiarato “estraneo, lo dimostrerò. Dimostrerò la mia estraneità ai fatti addebitatimi ritenuti falsa testimonianza, e la mia fedeltà allo Stato” aveva detto subito dopo la richiesta della Procura di Palermo. Le telefonate con il presidente della Repubblica, considerate irrilevanti dalla Procura, sono oggetto un conflitto sollevato dal capo dello Stato davanti alla Corte Costituzionale che dovrà decidere se la Procura di Palermo poteva intercettare una conversazione del capo dello Stato che però era stato captato casualmente perché parlava con l’indagato Mancino. Agli atti anche le conversazioni tra l’es ministro e il consigliere di Napolitano, Loris D’Ambrosio, poi morto per infarto.
Secondo la ricostruzione del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dei sostituti Antonino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, il primo contatto con Cosa Nostra sarebbe stato cercato da Mannino, che dopo l’omicidio di Salvo Lima era spaventato dall’aggressione di Cosa nostra nei confronti dei politici, incapaci di non aver saputo bloccare le sentenze del maxi processo. La trattativa sarebbe stata poi avviata dai carabinieri del Ros Mori e De Donno che incontrarono più volte don Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, per arrivare a Riina. Il dialogo tra mafia e Stato sarebbe poi proseguito fino al novembre del 1993 quando l’allora Guardasigilli Giovanni Conso non rinnovó oltre 300 provvedimenti di 41 bis per detenuti mafiosi. L’apice dei contatti tra Stato e anti Stato sarebbe invece stato raggiunto nel 1994 quando Bagarella e Brusca, luogotenenti di Riina (arrestato un anno prima) manifestarono al nuovo premier Silvio Berlusconi “per il tramite di Vittorio Mangano e Dell’Utri” una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura. Secondo i magistrati sarebbero stati reticenti anche Conso e l’ex capo del Dap Adalberto Capriotti, accusati di false informazioni al pm. Per loro peró il codice prevede che il reato contestato rimanga “congelato” fino al primo grado di giudizio dell’indagine principale.