venerdì 2 novembre 2012

Lazio e Lombardia, i partiti temono il boom-Grillo. - Mattia Feltri.



A Roma è già al 15%, senza aver fatto campagna. Alle comunali il Pd teme il ballottaggio.


ROMA
Preparate i sacchi di sabbia: il diluvio è appena cominciato. Il sindaco a Parma, il quindici per cento e primo partito di Sicilia sono stati niente perché è nei prossimi mesi che il Movimento 5 Stelle promette di far ballare tutti. Si rinnovano i consigli regionali del Molise ma soprattutto del Lazio e della Lombardia (forse il 27 gennaio), da dove il centrodestra esce dal governo dopo un finale imbarazzante, fra ostriche trangugiate, vacanze caraibiche, soprattutto fra predazioni furibonde e apparentamenti con la ’ndrangheta.  

Subito dopo bisognerà eleggere il sindaco di Roma, nello stesso giorno in cui si voterà per le Politiche. Non c’è istituto demoscopico, come molti sanno, che a livello nazionale quoti sotto il venti per cento i grillini (siccome non amano essere chiamati così, propongono il terribile acronimo Am5s, attivisti eccetera, oppure “cittadini”). Sono percentuali su cui si trasecola e su cui si imbastiscono teorie sociologiche. Ma fin qui si è un po’ trascurato quello che rischia di succedere localmente. 

Nel Lazio, oggi il Movimento è già ai livelli siciliani. Ipr Marketing venti giorni fa lo dava al quattordici per cento, un punto sopra il Popolo della Libertà. Gli ultimi rilevamenti di Ipsos (un’indagine cominciata meno di una settimana fa) lo innalzano al quindici abbondante. I “cittadini” si accreditano già del sedici e mezzo. Tutto questo senza che Beppe Grillo abbia varcato con una sola ruota del suo camper i confini laziali. Per capire di che si sta parlando, basta tenere conto che gli ultimi sondaggi, prima che il comico traversasse a nuoto lo Stretto, attribuivano al M5S Sicilia l’otto per cento. Il tour indefesso e gutturale di Grillo ha portato quasi al raddoppio. Non significa che nel Lazio si toccherà il trenta, ma significa che il margine di crescita è ampio e imprevedibile. In più - spiegavano i sondaggisti la scorsa settimana - molto sarebbe dipeso dal risultato di Palermo: se i grillini avessero fatto il botto, e lo hanno fatto, ne avrebbero goduto un po’ ovunque. 

Sondaggi su Roma città non ce ne sono. Salvatore Pirozzi, attivista della capitale, è una pasqua: «Noi qui andiamo dal tredici al venti per cento», dice citando sue fonti. Dato vago, ma non tranquillizzante per i partiti tradizionali. Che infatti sono piuttosto preoccupati. Non tanto il Pdl, che ha deciso di affidare a Gianni Alemanno la questione della sconfitta, che è inevitabile, e che nessuno si è offerto di intestarsi presentandosi al posto del sindaco. Di certo è inquieto il Partito democratico, che non ha ancora scelto il suo campione e già intravede scenari parmensi. L’eventualità che a Roma vadano al ballottaggio il Partito democratico e il Movimento non è così vaga. E proprio Parma (ma non solo) dimostra che i ballottaggi sono brutte bestie.  

Nemmeno i “cittadini” hanno ancora scelto i loro candidati, né per il Lazio né per Roma né per la Lombardia, dove però le procedure sono cominciate e a fine novembre sono previste le primarie on line. Ma non è il nome del pretendente a scaldare o annacquare le passioni: quello che conta, almeno finché si parla di sondaggi, è la sigla grillesca. Uno di qualche giorno fa, di Gpg-Sp, stila per la Lombardia la seguente classifica: Pd ventidue, Pdl diciotto, Lega Nord diciassette, M5S quindici e naturalmente in rimonta e naturalmente in crescita. È il nubifragio, ed è solo all’inizio. 

Non chiamatela più antipolitica. - Angelo d'Orsi



Comunque si giudichi Grillo e il suo movimento, questa è politica. Nuova nei temi, nei linguaggi, nelle forme, nei luoghi, nelle persone. Ed assai più genuina, o tale ha saputo apparire – come evidenzia il voto siciliano – di quella di larga parte della classe politica: di destra, di centro, e, purtroppo, di sinistra. 

Il termine “antipolitica” sebbene creato dagli studiosi, è diventato un comodo alibi per il ceto politico, la coperta sotto la quale nascondersi davanti alla denuncia delle sue manchevolezze, della corruzione, dell’assenza di senso dello Stato, del vero e proprio mercimonio da troppo tempo perpetrato del ruolo istituzionale al quale cittadini e cittadine inconsapevoli, o male informati, o ingenui, li hanno chiamati. 

In buona sostanza, il termine viene usato per bollare con marchio d’infamia coloro che non ci stanno a prendere per buone le ricette del “Palazzo”, coloro che – volti nuovi, idee non sempre nuove, ma concrete, linguaggi più nuovi delle idee…– o se ne stanno fuori, non votando, non partecipando neppure da spettatori alle competizioni elettorali, oppure tentano di restituire la parola alla piazza, o se preferite, alla “gente”. Antipolitica il Movimento 5 Stelle? E perché mai? Perché denuncia e condanna in blocco la classe politica, ecco la risposta. Certo. Ma quel 53% di siciliani e siciliane che non si sono recati alle urne, ieri, non sono a loro volta alla stessa stregua “antipolitica”? Non è forse il loro distacco dalle cabine elettorali, un segnale di sfiducia radicale verso la classe politica? E non è, anche, delusione per le promesse non mantenute? E, infine, non è disillusione sulla stessa portata del loro voto? A che serve? – insomma, si chiede almeno una fetta di quei non elettori (ai quali va aggiunto anche il cospicuo numero di schede bianche o annullate). A che serve continuare a votare? “Sono tutti uguali”, “pensano solo al loro interesse personale”, “della Sicilia (o della nazione) non gliene frega niente…”. 

La tentazione qualunquista, insomma, affiora, ma l’allontanamento, e anche il diniego di questa politica non significa automaticamente il rifiuto di ogni, qualsivoglia politica. Se qualcuno è in grado di offrirne una diversa, io credo che uomini e donne dell’Isola, ma più in generale del Paese, sarebbero pronti a ritornare al voto. Il Movimento 5 Stelle ha fatto esattamente questo, anche se, nella votazione per la Presidenza regionale, non è andato oltre un certo limite, sia pure assai alto, tanto da diventare improvvisamente, inaspettatamente (ma solo per qualcuno) la prima forza politica isolana. In attesa di diventarla, forse, a livello nazionale. 

Perché, anche davanti all’astensione, il Movimento vince? Perché, innanzi tutto, Grillo ha saputo impersonare il ruolo del leader-capopopolo, ma informato, ossia in grado di parlare con cognizione di causa – benché non sempre in modo adeguato: ma lo sono i leader nazionali degli altri partiti, forse? – di cose che interessano all’elettorato. La prima novità è proprio questa. I temi: invece di fare discorsi astratti e fumosi, Grillo ha parlato di temi concretissimi, che concernono la quotidianità (dai trasporti all’inquinamento ambientale…), temi che hanno a che fare con la complessa problematica della sopravvivenza. La politica di Grillo è una (sacrosanta, bisogna precisare) politica “terra terra”, che riporta insomma il baricentro in basso, rispetto alle grandi discussioni ideologiche, ma affronta i problemi della vita delle persone: una politica della sopravvivenza (si pensi al tema dei rifiuti, dell’energia, dell’acqua,…). 

E lo ha fatto cambiando anche il linguaggio: ne ha usato uno adeguato ai problemi, ossia elementare, diretto, spesso volgare, o persino scurrile. Si fa capire, insomma. Non usa il gergo stucchevole dei politici di professione. Né quello finto popolaresco e calcistico del Cavaliere. Ha un lessico basico di poche parole, che tutti sono in grado di intendere. E, qui sta la terza novità, la forma della sua comunicazione è spettacolare. Il guitto Grillo, pur trasformandosi in un leader politico, sa parlare con il corpo, con i movimenti del busto e del bacino, con le braccia, con la testa che scuote e agita al momento adatto. È rimasto, insomma, un uomo di spettacolo; di nuovo, però, non nel senso berlusconiano. Non è il set, del teatro di posa, ingessato e studiato nei dettagli: il suo è il teatro di strada. E in strada – ecco la grande ulteriore arma vincente – si è svolta la campagna di Grillo: ha rifiutato ostinatamente la televisione. Del resto da anni ripete: “La televisione è vecchia”. Al suo posto ha sostenuto la linea del web, ma, paradossalmente (e qui forse davvero nessuno se lo aspettava) ha aggiunto e per certi versi sostituito alla Rete – pur continuandola a usare come supporto della comunicazione – il rapporto diretto, immediato, con la cittadinanza. Come i vecchi politici ha girato in lungo e in largo il territorio nazionale, sfondando anche quella Linea Gotica che separa tuttora il CentroNord dal Mezzogiorno, terra più ostica ed estranea. 

Ora, a quanto dicono gli esiti elettorali, ha saputo anche conquistare la riottosa terra di Sicilia, incuneandosi come irriducibile terzo fra destra e sinistra, una destra spappolata e confusa e una sinistra priva di appeal, che vince da un lato, con l’ottimo candidato Crocetta, e perde, dall’altro, alleandosi con forze che in Sicilia esprimono la conservazione più canonica. Tutti, ahinoi, all’insegna di un rifiuto della “politica ideologica”, quasi che fosse possibile avere una qualsiasi vera politica senza il sostegno di idee-forza, appunto le ideologie, che sono idee che hanno un ruolo pratico, mirano a tradursi in prassi. 

Anche Grillo giudica destra e sinistra categorie obsolete (ed è in buona compagnia): ma sbaglia, come sbagliano tutti coloro che così la pensano. La sua forza, del resto, non risiede certo nel sostrato ideologico, ma nei contenuti, come dicevo, nel linguaggio (verbale e non) e nelle modalità con cui li porge. E vincente, si è altresì rivelata la scelta di associare piazza fisica a piazza virtuale: una grande agorà nella quale il M5S ha saputo parlare dei cittadini e coi cittadini. E, infine, l’ultimo punto di forza, è costituito dalle “facce nuove”, i signor nessuno che si sono affiancati a Grillo: un po’ di tutto, sociologicamente: “ceto medio riflessivo”, artigiani, commercianti, impiegati, studenti, insegnanti, e persino le ormai mosche bianche della sinistra: gli operai! 

Dunque: una politica nuova nei temi, nei linguaggi, nelle forme, nei luoghi, nelle persone. Certo, c’è anche qui il lider maximo, che sospettare di scarsa propensione alla democrazia è ormai consueto, e, temo, non immotivato: ma ora che il movimento ha fatto il grande balzo, ora che punta al parlamento nazionale, dopo quello regionale, e i tanti piccoli comuni nei quali ha piazzato qualche suo rappresentante, ora si è arrivati al bivio decisivo. Se vuole essere davvero un movimento politico nazionale, deve “degrillizzarsi”, ma se lo fa rischia di perdere la sua forza attrattiva. Lo stesso leader, in un tranquillo (direi spento) messaggio video, seduto, davanti a una scrivania, sia pure disordinata, con alle spalle libri e oggetti consueti a uno studio, ha mostrato che se si “normalizza”, perde il carisma. Eppure se aspira a governare, se vuole davvero essere un movimento popolare, il 5 Stelle deve prendere quella strada. Una situazione dilemmatica, dalla quale o l’insipienza deicompetitors politici, o l’estro del “capo”, forse potrà trovare una via di uscita. 

Ma, per favore, smettiamola di parlare di “antipolitica”. Questa, comunque si giudichi Grillo e il suo movimento, nelle idiosincrasie che riesce a scatenare, specie per la volgarità e talora l’insipienza, non esente qua e là da punte di razzismo e beceraggine, questa è politica. Ed è assai più genuina, o tale ha saputo apparire, di quella di larga parte della classe politica: di destra, di centro, e, ahimé, di sinistra. 


http://temi.repubblica.it/micromega-online/non-chiamatela-piu-antipolitica/

Grecia: assolto l’Assange greco Vaxevanis, che ha diffuso la “lista degli evasori”.

Costas_Vaxevanis

Il tribunale di Atene ha assolto il giornalista Costas Vaxevanis, 46 anni, gia’ ribattezzato ‘l’Assange greco’, accusato di violazione dei dati personali dopo la pubblicazione di una lista di 2059 nomi di persone sospettate di avere conti bancari in Svizzera. Articolo 21 aveva proposto, attraverso un articolo dell’avvocato Domenico D’Amati di chiedere alla Commissione Europea di aprire, nei confronti della Grecia, una procedura di infrazione, applicando pesanti sanzioni, ove Atene persistesse nella persecuzione del giornalista.

http://www.articolo21.org/2012/11/grecia-assolto-lassange-greco-vaxevanis-che-ha-diffuso-la-lista-degli-evasori/

Sul campo da tennis anziché in corsia, medico dirigente denunciato a Bergamo.



Roma - (Adnkronos) - E' stato filmato dai finanzieri ad 'operare' sulla terra rossa, tra racchette e palle da tennis in orario di servizio. Ora dovrà rispondere di falso e truffa aggravata ai danni dello Stato.
Roma, 2 nov. (Adnkronos) - Ufficialmente risultava in servizio, ma i malati, invece di andare in ospedale, avrebbero potuto trovarlo sul campo da tennis. A scoprirlo è stata la Gdf di Bergamo. Il dirigente medico, allontanatosi dal reparto ed indossati i vestiti da gioco, è stato filmato dai finanzieri ad 'operare' sulla terra rossa, tra racchette e palle da tennis. Ora dovrà rispondere di falso e truffa aggravata ai danni dello Stato.
Il dirigente, informa il comando provinciale della Gdf, si assentava dal luogo di lavoro per decine di ore, attestando falsamente, a posteriori, la presenza sul luogo di lavoro utilizzando le indicazioni e le timbrature manuali, invece del badge elettronico, difficilmente alterabile. Tra le attività che svolgeva in quelle ore, anche quella del gioco del tennis in un centro sportivo di Bergamo.
Il dirigente dovrà rispondere dei reati di falso, truffa aggravata ai danni di un ente pubblico e false attestazioni e certificazioni. E' stata anche inviata una segnalazione per danno erariale alla Procura Regionale presso la sezione giurisdizionale per la Lombardia della Corte dei Conti. Verrà inoltre informata la struttura sanitaria che ha il dirigente alle proprie dipendenze.

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Sul-campo-da-tennis-anziche-in-corsia-medico-dirigente-denunciato-a-Bergamo_313853385892.html

Viminale: Procura apre fascicolo su esposto anonimo.


ROMA - La procura di Roma ha aperto un fascicolo di indagine relativo ad un esposto anonimo inviato nelle scorse settimane al Viminale e nel quale si fa rifermento a presunti illeciti nella gestione di appalti e aste per l'acquisto di impianti tecnologici.
Il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, ha affidato l'intero incartamento, trasmesso dal ministero degli interni, al pool di magistrati che si occupano dei reati nella pubblica amministrazione. In base a quanto si apprende a piazzale Clodio per il momento gli inquirenti hanno avviato una serie di accertamenti preliminari, contestuali all' avvio del procedimento di indagine.
"Io faccio il vice capo della Polizia, mi occupo di sicurezza. Nella gestione degli appalti non c'entro nulla". Così il prefetto Nicola Izzo replica alle accuse del 'corvo' che ha parlato di appalti truccati al Viminale sulla base di "un esposto anonimo - dice Izzo - che si commenta da sé". "Sono sereno - dice all'ANSA Izzo - perché mi trovo ingiustamente accusato di fatti che non mi competono, per giunta in un esposto anonimo". "Una volta chi si nascondeva dietro l'anonimato non aveva credito - commenta Izzo - e chi ha costruito questo esposto si é nascosto utilizzando la mail di persone dell'amministrazione ormai in pensione". "Si tratta di elucubrazioni farneticanti - aggiunge il vice capo della Polizia - che comunque l'amministrazione ha fatto bene a girare ai magistrati perché vadano in fondo alla vicenda". "Nell'esposto, ad esempio - spiega Izzo - si parla di una convenzione con Telecom che probabilmente non è piaciuta all'estensore della denuncia anonima. Peccato che prima di essere siglata sia stato chiesto il parere dell'Avvocatura dello Stato sulla convenzione". Infine sul suo coinvolgimento nell' inchiesta sugli appalti per la realizzazione del Cen (Centro elaborazione dati della polizia) a Napoli, Izzo replica:" sono stato interrogato dai magistrati una sola volta ben due anni e mezzo fa e da allora aspetto sia fatta chiarezza".
La notizia era stata anticipata dal quotidiano 'La Repubblica'  sostenendo che la denuncia - sotto forma di esposto anonimo - è già finita sul tavolo dei magistrati. A trasmettere alla Procura di Roma l'esposto insieme ad una querela contro ignoti sarebbe stato, secondo quanto si apprende, il prefetto Giuseppe Maddalena, fino al settembre scorso a capo dell'Ufficio Logistico del Dipartimento di Pubblica sicurezza. La denuncia, una ventina di pagine molto circostanziate, indica come responsabile delle presunte illegittimità il vice capo della Polizia, Nicola Izzo. Secondo il corvo il malaffare riguarderebbe una serie di appalti e gare per l'acquisto di prodotti: dai software per le centrali operative di tutta Italia ai sistemi di videosorveglianza, dalla gestione del numero unico europeo della sicurezza (il 112) al rilevamento delle impronte digitali da parte della Polizia scientifica. Il capo della polizia ha confermato al quotidiano l'esistenza dell'esposto:"Siamo cercando di capire chi l'ha scritto. L'autore è, comunque, una persona molta informata. Mi auguro che la magistratura faccia al più presto chiarezza sulla vicenda nell'interesse sia del mio vice sia dell'istituzione". L'esposto si chiude con un capitolo dedicato a Salvatore Saporito, il vicequestore suicidatosi in caserma il 31 marzo 2011 e coinvolto nell'indagine della procura di Napoli sugli appalti per la realizzazione del Cen (Centro elaborazione dati della polizia), nell'ambito del piano sicurezza per la città partenopea, e nella quale è coinvolto anche il prefetto Izzo. Secondo il 'corvo', Saporito non si sarebbe suicidato perché preoccupato dall'indagine, ma perché non avrebbe sopportato il mobbing al quale per lungo tempo sarebbe stato sottoposto dai suoi superiori per aver tentato di opporsi al 'sistema-appalti' dell'Ufficio Logistico del Viminale.

Guerriglia ai cancelli Ikea. 5 feriti nello scontro tra operai e polizia. - Gian Marco Aimi



Per sei ore un centinaio di lavoratori ha bloccato l'ingresso dell'azienda contro il licenziamento di 12 colleghi "sindacalizzati", poi sostituiti da altri, e sulle impossibili condizioni di lavoro. La polizia ha caricato più volte davanti al sindaco di Piacenza Dosi e all'assessore al lavoro Rabuffi.


Si infiamma la protesta all’Ikea di Piacenza, con nuovi scontri e feriti iniziati alle 6 di questa mattina e durati per ore, tra gli operai in protesta e le forze dell’ordine in assetto antisommossa. Il picchetto che ha bloccato per l’intera mattina i cancelli dello stabilimento di Le Mose ha tenuto per oltre sei ore alle cariche di polizia e carabinieri, un centinaio in tutto, che hanno cercato di liberare la strada per far entrare i mezzi.
Diversi i feriti tra i manifestanti, sostenuti dai Cobas e da Rifondazione comunista. Sono almeno cinque le persone che hanno avuto la peggio – portati via dalle ambulanze – nel tentativo di sgombero, molti altri i contusi, visto che da una parte le forze dell’ordine hanno provato a forzare il blocco trascinando via i manifestanti, dall’altro si è registrata la decisione a continuare.
Non sono mancate le prove di forza, da parte delle forze dell’ordine che invece di riuscire a riportare la calma hanno scatenato la folla assiepata al cancello numero nove dello stabilimento Ikea, avamposto degli scontri.
Verso mezzogiorno, finalmente è arrivato sul posto il sindaco, Paolo Dosi che ha cercato di imbastire una trattativa (supportato dall’assessore comunale al Lavoro, Luigi Rabuffi) che però è fallita quasi subito. Il primo cittadino ha chiesto ai manifestanti, rappresentati da Aldo Milani, segretario nazionale Cobas, di sbloccare i cancelli per permettere la produzione e ha promesso un tavolo di trattativa nel pomeriggio, al quale sarebbe stato convocato anche il Consorzio Cgs che ha in appalto da Ikea la gestione dei lavoratori.
Niente da fare, scottati dalle precedenti promesse mancate, i facchini hanno tenuto duro e il questore, Calogero Germanà ha avviato immediatamente le procedure di sgombero. Così si sono svolte vere e proprie scene di guerriglia urbana, con cariche delle forze dell’ordine, manganellate per staccare i lavoratori che cercavano di rimanere uniti, lancio di fumogeni e, naturalmente altri feriti.
Scene mai viste a Piacenza, soprattutto sotto gli occhi di un sindaco e di un assessore al lavoro che, collegati a filo diretto con i rappresentanti delle cooperative non sono riusciti a farle smuovere di un passo dalle loro posizioni. “Vi chiedo un atto di fiducia, andiamo al tavolo e trattiamo” ha detto Dosi ai lavoratori. “Non ci fidiamo, o entriamo tutti o nessuno” la loro risposta. E l’epilogo è stato caratterizzato solo dalla violenza. 
“Chiediamo il rispetto dell’equità delle ore lavorate da tutti” ha spiegato un altro rappresentante Cobas, Edoardo Petrantoni che è poi tornato sulla trattativa arenatasi nei giorno scorsi con le cooperative: “Sembrava avessero accettato alcune richieste, facendo presagire un’apertura, invece dall’ultimo incontro in Provincia l’azienda è tornata al muro contro muro. Così siamo decisi ad andare avanti con la protesta”.
Tutto è nato dopo l’esclusione di 12 lavoratori dall’Ikea, iscritti al sindacato Cobas, che sarebbero stati i primi a chiedere condizioni di lavoro eque tra tutti gli operai. Ora sono in 14 sulla “lista nera”della ditta svedese e altri 70 rischiano il posto. “I problemi sorgono dalla disparità sulle buste paga – continua Petrantoni – che per alcuni sono di 400 euro e per altri di mille e 200 euro”.Cobas e cooperative sono parecchio distanti. Il sindacato chiede l’entrata da parte di tutti gli operai, anche gli esclusi, dall’altra le cooperative (San Martino, Euroservice e Crystal) vogliono che i cancelli siano liberati senza però dare garanzie ai lavoratori.
Dispersi i  manifestanti non si sono però calmati gli animi. Sempre Milani ha infatti annunciato per martedì “uno sciopero generale di tutti i lavoratori delle aziende di Piacenza. Non solo Ikea ma anche Tnt, Gls e tanti altri stabilimenti che vivono le stesse condizioni di ricatto da parte delle cooperative”. Insomma, si preannuncia un autunno rovente per la Primogenita, scossa dai venti di protesta provenienti dal Polo Logistico.

La casta dei prefetti: mai rimossi, sempre promossi. Anche dopo gli scandali. - Thomas Mackinson


La casta dei prefetti: mai rimossi, sempre promossi. Anche dopo gli scandali


De Gennaro assurto al governo nonostante il G8. Ubaldi reclutato al ministero dell'Interno dopo una condanna per peculato. Gallitto a presiedere i "Cavalieri" dopo tanti guai giudiziari. Gli alti dirigenti non pagano mai, tranne quando si scontrano coi politici. Come Carlo Mosca, troppo "morbido" coi rom, e Fulvio Sodano, che a Trapani si è permesso di denunciare collusioni mafiose.

E’ assurto, suo malgrado, a emblema dell’intoccabilità prefettizia l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, già prefetto. Un anno fa veniva assolto in Cassazione dall’accusa di istigazione alla falsa testimonianza, ma il suo nome resta indelebilmente legato ai drammatici fatti del G8 di Genova. E tuttavia il governo lo ha nominato sottosegretario di Stato, per di più delegandolo alla sicurezza della Repubblica.
Sparsi per l’Italia ci sono tanti altri episodi che, in sedicesimo, raccontano dell’impunità prefettizia. Il più recente è quello dell’ex prefetto di Verbania Riccardo Ubaldi che nel 2009 ha pensato bene di farsi scarrozzare con l’auto blu e due agenti armati al mare. Non proprio dietro casa, ma a Positano, a 929 chilometri di distanza. Il procuratore capo Giulia Perrotti gli contesta anche tre viaggi a Roma in giorni in cui era in ferie. Ubaldi viene condannato per peculato a sette mesi di reclusione, pena sospesa e beneficio della non menzione della condanna (ancora non definitiva). Ma dov’è Ubaldi a fronte di tutto questo? Sbaglia chi si immagina che l’abbiano trasferito nell’ultima provincia d’Italia o in un ufficio a timbrare visti. E’ stato trasferito dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni al Viminale, all’ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari, dove oltre allo stipendio percepisce un’indennità di posizione aggiuntiva. Dal primo novembre sarà trasferito agli Affari Interni e territoriali e con la qualifica, niente meno, di vice capo Dipartimento. Insomma, condannato, protetto e premiato due volte. Un prefetto, è per sempre.
Vincenzo Gallitto. Digitando questo nome su Google saltano fuori una serie di articoli che raccontano le plurime condanne dell’ex prefetto di Livorno, concorso in corruzione in atti giudiziari per gli abusi edilizi sull’Isola d’Elbapeculato per aver portato la moglie a Montecatini Terme sulla solita auto blu. Nel 2003 la Corte dei Conti lo interdice dai pubblici uffici, ma Gallitto non demorde. Per tutti, del resto, è sempre il “signor prefetto”. E infatti lo ritroviamo quest’anno a benedire, in qualità di presidente onorario della sezione perugina, il convegno dell’Unci Cavalieri d’Italia, associazione nata per riunire cavalieri del lavoro, grand’ufficiali, commendatori e “tutti coloro che sono insigniti di onorificenze cavalleresche al fine di mantenere alto il sentimento per il riarmo morale, di tutelare il diritto e il rispetto delle istituzioni cavalleresche e di rendere gli insigniti esempio di probità e correttezza civile e morale”. Appunto.
Ma i requisiti di moralità dei prefetti, chi li verifica? Dopo la vicenda di Napoli, assurta a emblema dell’arroganza della casta prefettizia, vale solo la pena ricordare che De Martino ha preso il posto di Carlo Ferrigno, ex commissario nazionale antiracket che ha patteggiato 3 anni e 4 mesi per millantato credito e prostituzione minorile. Ferrigno chiedeva (e otteneva) prestazioni sessuali da ragazze, tra cui una minorenne, in cambio di permessi facili e posti di lavoro. Come se non bastasse, il suo nome compare anche nell’inchiesta sul caso Ruby e le bollenti serate di Arcore. A Milano il dominus prefettizio è Gian Valerio Lombardi. Il suo nome compare regolarmente nelle cronache cittadine e non sempre per meriti: l’ultima volta nell’inchiesta sulle tangenti per le Case vacanza del Comune. Lombardi, secondo i pm di Milano, era parte dello schema della “cerchia” che dispensava e consumava favori, tanto che il figlio poteva godere di un appartamento in centro a prezzi stracciati gentilmente messo a disposizione dall’Istituto dei Ciechi.
Lombardi si attiva anche per piazzare persone e favori, forte dei rapporti politici derivanti dal suo ruolo istituzionale (non a caso il suo nome era già comparso nel Ruby-gate). Dopo aver parcheggiato in uno spazio riservato ai disabili, Lombardi pensa bene di fare ricorso a se stesso (guarda il documento) per annullare un verbale da 78 euro. Per una vicenda simile il vice prefetto di Torino Roberto Rosio è stato indagato per abuso di atti d’ufficio. L’alta burocrazia di Stato è così alta che fa spesso storia a sé. 
Ma non sono tutti così, i prefetti d’Italia. Tanti hanno lasciato segni importanti nelle comunità in cui hanno operato, altri hanno pagato un prezzo altissimo per la loro resistenza alle interferenze della politica. Tre esempi, tre epiche battaglie. Nel 2009 a Venezia il prefetto Michele Lepri Gallerano finisce nel mirino della Lega perché ritenuto troppo morbido con i rom. La sua colpa? Non aver impedito il trasloco della comunità dei sinti di via Vallenari nel nuovo villaggio nella notte del 24 e 25 novembre. Il Ministro Maroni non la prende bene e lo rimuove un mese dopo. Per punizione, in accezione leghista, andrà a occuparsi della Sicilia.
Stesso destino per il prefetto di Roma Carlo Mosca destituito nel 2008 perché si era rifiutato di schedare i minori della comunità rom di Roma. Il terzo è un esempio di fermezza contro la collusione tra criminalità e politica. Fulvio Sodano, prefetto di Trapani, fu cacciato dal governo Berlusconi nel 2003 perché, nel denunciare collusioni e mala gestione dei beni confiscati alla mafia, incappò nelle ire del senatore Pdl Tonino D’Alì, allora indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Il tutto fu raccontato in una memorabile puntata di Annozero del 2006 e il senatore citò tutti in giudizio, compreso l’ex prefetto. Il tempo ha dato torto a lui e ragione agli altri. E anche se fiaccato dalla Sla, Sodano è rimasto il simbolo di un certo modo di essere prefetto. Un signor prefetto.

Ferdinando Imposimato

Ferdinando Imposimato

La legge contro la corruzione è un inganno in danno degli onesti per la parte che riguarda il delitto di concussione fraudolenta prima punito da quattro a dodici anni e oggi da 3 a otto anni. Si tratta del delitto più odioso perchè il pubblico ufficiale induce il cittadino a pagare la tangente senza una minaccia palese ma con un comportamento univoco che intralcia la pratica, con ritardi e pretesti burocratici, fino a quando il povero cittadino capisce che deve pagare e paga altrimenti non ottiene ciò che gli spetta. E' un ricatto , una estorsione commessa dal Pubblico Ufficiale. Molti processi per gravi delitti di concussione, che hanno comportato lo sperpero del pubblico denaro, si prescriveranno perchè la pena è ridotta. E' una amnistia camuffata a favore dei ladri di denaro pubblico più pericolosi. No a questa amnistia mascherata.

https://www.facebook.com/FImposimato

Giancarlo Cancelleri Portavoce a 5 Stelle.



Abbiamo già mantenuto la prima di promessa. Abbiamo portato avanti la campagna elettorale senza i finanziamenti pubblici, non toccando in questo modo le tasche dei cittadini. Abbiamo raccolto con libere donazioni ben 32.000 €, ma ne sono serviti solo 25.000 € per diventare la prima forza politica in Sicilia.
Se togli i soldi dalla politica, questa diventa passione, e quando hai migliaia di cittadini motivati, non ci sono battaglie troppo grandi per essere vinte. 
Spiegatelo ai nostri avversasi che hanno eserciti di mercenari.


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