giovedì 13 giugno 2013

E se il movimento si facesse un proprio referendum interno, lanciando la "stagione della glasnost italica"? - Sergio Di Cori Modigliani



Finita la festa, gabbato lo santo.
Tradotto vuol dire che ci troviamo in una situazione nella quale esistono diversi elementi positivi che possono -e devono- essere sfruttati nella maniera migliore possibile, dato che, adesso che la festa è finita, ci si può rimettere a lavorare. Cioè, tentare di "fare politica".
La festa è stata quella elettorale, diventato unico obiettivo dei partiti, dato che sono tutti appiattiti nel loro essere privi di programmi diversificati, privi di soluzioni adeguate per fronteggiare la crisi, incapaci di essere efficienti, inabilitati e inetti nel riuscire ad affrontare il disagio sociale collettivo. Essendo sia il PD che il PDL auto-referenziali, perchè è nella loro natura e struttura, vivono di elezioni, numeri e cariche il cui fine consiste nel garantire a se stessi la rendita di posizione, derivata dall'occupazione territoriale di una classe di funzionari e burocrati che ha come scopo quello di garantire la sopravvivenza, il lavoro e la tenuta delle famiglie, gruppi, consorterie, lobby, clan, bande, fondazioni, enti, associazioni, liste, che garantiscono ai colossi finanziari internazionali, da una parte, il prosieguo della svendita e l'abbattimento dell'industria italiana, dall'altra la difesa dello status quo, sapendo che l'italiano medio è conservatore e non ama il rischio.
La "festa elettorale" dunque è finita. Ed è venuta fuori la questione della senatrice Gambaro, che risponde a Grillo "io non me ne vado, Grillo mi deve delle scuse ufficiali", evento sul quale venti giorni  fa si sarebbero fiondati dal trampolino pretendendo anche la partecipazione del Washington  Post, mentre invece, adesso, avvicinandosi "la realtà" (toh! che sorpresa: esiste) della imminente tragedia economica che incombe, lasciano perdere.
C'è ben altro in ballo, nelle prossime tre settimane che ci attendono.
La questione posta dalla senatrice Gambaro però resta, e -a mio avviso- è davvero una occasione ghiotta per portare chiarezza, serenità ed entusiasmo democratico all'interno del movimento a cinque stelle.
Al di là dell'attacco personale contro Grillo, la posizione della senatrice Gambaro rivela un sintomo reale.
Che diventa sostanziale e fondamentale.
Eluderlo sarebbe un grave errore.
Perchè va a toccare la spina dorsale della identità del movimento a cinque stelle.
La Gambaro parla del Parlamento come se si trattasse di un luogo ameno all'interno del quale si confrontano opinioni diverse, si promulgano leggi che cambieranno l'Italia, si fanno varare dei provvedimenti tesi a modificare l'assetto funzionale del sistema. Immaginiamo e diamo per scontato che sia in buona fede, chiarendo così che, per poter aspirare a parlare di cambiamento, bisogna prima abbattere gli stereotipi usuali del sistema che si intende abbattere per modificarlo. Diceva Giulio Andreotti che a pensar male la si indovina sempre. Una espressione che viene citata spesso, con una fibrillazione emotiva degna di miglior causa, essendo questa la spina dorsale del cinismo e dell'indifferenza che stanno mettendo in ginocchio la nazione. Va capovolto e lanciato un nuovo mantra: "a pensar bene ci si guadagna sempre" e questo lemma va incorporato da chiunque, senza bisogno di spiegazioni.
Partendo da questo assunto, il sottoscritto dà per scontato che la Gambaro sia in buona fede e che stia rappresentando delle istanze e delle esigenze reali all'interno del movimento che non vanno sottovalutate.
Esistono, in questo momento, due linee, che non sono parallele, bensì perpendicolari.
Questa è la loro geometria politica, ed è per questo che si provoca confusione: nel punto in cui si incontrano la comunicazione svanisce e avviene lo scontro. E' inevitabile, dato che la matematica non è una opinione soggettiva ma segue regole oggettive.
Per poter disinnescare la conflittualità e la confusione, dando quindi l'avvio a un nuovo ed entusiasmante processo di eugenetica interna, è necessario prendere atto dell'esistenza delle perpendicolari, chiudere questo capitolo e passare alle rette parallele, l'unico panorama che consente l'affermazione delle proprie idee e dei propri programmi anche con dissimili e diversi: si viaggia sullo stesso binario.
Le due rette perpendicolari sono, secondo me, le seguenti: una è basata sul principio che "dobbiamo collaborare con il sistema dei partiti vigenti perchè siamo -nei fatti- diventati un partito, approfittando del fatto di essere il primo partito italiano alle elezioni del 25 febbraio e quindi abbassare i toni, pacificare i rapporti, lavorare insieme ad altri esponenti politici facendo fronte comune, dotandosi di strumenti partitici e prendendo atto della nuova condizione". Questa, diciamo che è la Linea A.
Poi c'è la linea B, la quale, invece, sostiene che "noi siamo in contrapposizione al PD e al PDL non perchè abbiamo una ideologia, quanto piuttosto per il fatto che noi -come logica strutturale attuale- siamo un movimento e quindi dinamici (tengo volutamente fuori da questo discorso la contestazione, per così dire politica, a questi due partiti). Data questa natura è impossibile "lavorare insieme ai partiti" a meno che non venga rispettata e salvaguardata la nostra struttura di movimento che, come tale, è  priva di apparato, burocrazia, tecnocrazia centrale perchè privilegia il concetto di comunità collettiva rifiutando la delega di rappresentanza".
La Linea A è, diciamo così "la linea partitica".
La Linea B è, diciamo così "la linea movimentista".
Sono perpendicolari.
Se si va avanti così si finisce come il PD: frantumati senza identità. Il PD è andato a sbattere perchè aveva Bersani che alle 12 diceva "Monti è una risorsa" e poi alle 17 diceva (da un'altra parte e con un altro pubblico) "Monti è una jattura". Alle 12 appariva insieme a Enrico Letta e alle 17, invece, si faceva vedere con Nichi Vendola.
Pensava di essere furbo.
Non aveva capito che l'Italia era cambiata e gli italiani, in un singulto di ritrovato Senso della dignità etico-sociale, avevano deciso che non ne potevano più dei furbi.
Idem per Berlusconi e il PDL. Alle 12 a Varese  si faceva vedere con Maroni e Salvini dicendo "privilegiamo la questione settentrionale" e poi alle 17 con Miccichè e Nitto Palma a Benevento per dire "privilegiamo la questione meridionale".
Un'altra furbata, pensando che o gli italiani sono scemi oppure gli italiani amano i furbi.
La realtà è un'altra.
Gli italiani non sono mai stati scemi e hanno "inventato" il M5s proprio perchè si sono stancati di amare i furbi.
E così hanno penalizzato entrambe le fazioni furbe.

I "furbi" e "gli schietti" sono incompatibili: sono rette perpendicolari.
I "movimentisti" e "i partitici" anche.

E' arrivato, dunque, il momento in cui i 163 eletti nelle file del M5s chiariscano agli 8.880.000 votanti quale delle due soluzioni di retta intendono perseguire.

La posizione della senatrice Gambaro rappresenta la "retta dei partitici" in contrasto con la "retta dei movimentisti".

E lo si evince dal fatto che già si insinuano in rete, in diversi siti, e presso diversi blogger, voci che la sostengono e che insistono per una presa d'atto "che siamo diventati un partito e questo siamo".

E' così?

Abbiamo il diritto di saperlo.
Abbiamo il dovere di chiederlo.
Abbiamo il diritto di pretendere chiarezza priva di ambiguità da parte dei 163 eletti.
Abbiamo il dovere di tirar fuori, ciascuno di noi, idee costruttive per trasformare la perpendicolare in una parallela.

Ecco la mia, di idea, che qui formalizzo:
"I 163 eletti lanciano un referendum tra di loro. E' vietata l'astensione. Vince il principio di democrazia a maggioranza relativa. Si vota il seguente principio: "movimentista o partitista?". L'elezione avviene per nomina alfabetica in streaming. Sono sufficienti 84 voti per far passare una delle due linee. La minoranza accetta di aver perso e si mette a disposizione della maggioranza: questo è il senso della democrazia, così si viaggia in parallelo".

Chi ha votato per il M5s oggi è confuso: ha votato per un movimento e si trova degli eletti che hanno fatto campagna elettorale sostenendo una idea movimentista ma che oggi auspicano la fondazione di un partito.
Queste persone hanno cambiato parere strada facendo? Ma gli elettori hanno il diritto di sapere chi sono e quanti sono coloro che hanno cambiato idea strada facendo, altrimenti si rimane nell'ansia della retta perpendicolare che può incrociarsi in qualunque momento.

Nel caso vinca la retta A, ovvero "quella partitica", allora si passerà ad una fase successiva: trasformazione, modificazione e costituzione del M5s in partito ufficiale con una sua linea politica che dovrà essere chiara, sui diversi argomenti , anche di natura etica, e lì si partirà in rete, attraverso i singoli e molteplici meet up, per elaborare gli strumenti più atti, poichè si prende atto del fatto che è necessario collaborare con i partiti esistenti al fine di trovare una piattaforma comune.

Nel caso vinca la retta B, ovvero "quella movimentista" la fase successiva dovrà chiarire, secondo me, che il M5s è un movimento politico dinamico, dotato di strumenti operativi politicamente efficaci ed efficienti con il dichiarato obiettivo di abbattere il sistema vigente di questi partiti, dando un proprio contributo creativo nelle amministrazioni comunali, provinciali, regionali, parlamentari, su singoli punti che il movimento ritiene utili per venire incontro a esigenze della collettività e non all'interesse dei partiti.

La minoranza perdente si mette a totale disposizione e lavora con entusiasmo per il raggiungimento degli obiettivi della maggioranza, godendo del rispetto di un'idea diversa e del plusvalore che deriva dall'inevitabile apprezzamento nei confronti di chi mostra e dimostra di essere in grado di praticare il senso della democrazia diretta.

Se, tra i 163, c'è qualcuno -nella minoranza- che non intende accettare la vittoria della minoranza, può andare a raggiungere a scelta: A) il gruppo Sel di Vendola (se è di sinistra) oppure B) il gruppo fratelli d'Italia  di La Russa (se è di destra): entrambi hanno la stessa identica struttura, lo stesso linguaggio, la stessa posizione, le stesse parole d'ordine; entrambe queste fazioni hanno fatto campagna elettorale sostenendo lo stesso identico slogan "nè con Monti nè con Berlusconi" ma poichè vivono in uno stato di perdurante confusione furba, hanno scelto di candidarsi con Berlusconi e con chi voleva allearsi a Monti facendo finta di niente: per loro ciò che era importante non era il programma bensì occupare degli scranni in parlamento.
Questa è la realtà dello stato delle cose.

Chi scrive sostene la Linea B, quella movimentista.
Chi scrive è un grande estimatore di Simone Weil, intellettuale di grande caratura, la quale nel 1948 ci regalò un saggio di immemorabile valore nel quale spiegava "perchè i partiti sono morti" e vagheggiava la costituzione degli Stati Uniti d'Europa come una confederazione di movimenti sociali e culturali, gettando i primi semi della "cultura glocal".
Il sottoscritto appartiene a quella tradizione e intende rimanerci fedele.

La confusione della perpendicolare, questa proprio no.
E' il pane quotidiano di chi vuole cancellare il M5s.
Abbiamo bisogno di sapere dai 163 eletti a quale delle due linee rette intendono aderire, nessuno escluso. Per evitare futuri equivoci, ambiguità pericolose.

Sono per l'Azione Parallela e voto la Linea B movimentista.

E voi, che cosa ne pensate?


http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/06/e-se-il-movimento-si-facesse-un-proprio.html

I soldi sporchi di sangue della mafia. - Giorgio Bongiovanni

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Il fallimento della Sicilcassa, la seconda banca della Sicilia, apre un preoccupante scenario che in qualche modo si collega con lo storico rapporto che Stato e mafia hanno da sempre coltivato, tornando indietro fino alle stragi del '92 dove morirono Falcone e Borsellino e a quelle del '93 a Roma, Firenze e Milano, alla strage Chinnici, all'attentato al generale Dalla Chiesa e agli altri delitti eccellenti perpetrati da Cosa nostra.
Lo scandalo, scoppiato nel 1997 e quindi qualche anno dopo la trattativa, è un segno chiarissimo che la mafia ha voluto dare alle istituzioni. Il movente che più ha spinto Cosa nostra a scatenare una guerra contro lo Stato è il timore che quest'ultimo arrivi a confiscare i suoi patrimoni, vera linfa vitale del potere mafioso. Per quieto vivere era quindi indispensabile trovare un accordo: “Facciamo la guerra per poi fare la pace” disse Totò Riina nel corso di una riunione della Cupola ad Enna.
Da parte sua, la mafia siciliana dava la sua disponibilità a compiere il “lavoro sporco” per conto dello Stato-mafia si trattasse di far saltare in aria un'autostrada o mettere a tacere chi veniva percepito come una minaccia. Nel momento in cui, nei primi anni '90, questa pacifica convivenza si incrina, attraversa una fase di crisi e di transizione, ecco che si verifica il fallimento di una delle banche più importanti della Sicilia. Una banca fortemente controllata da Cosa nostra, che vede coinvolti nomi come Gaetano Graci, Cavaliere del Lavoro di Catania ritenuto vicino agli ambienti mafiosi (in particolare al boss Nitto Santapaola) e sospettato persino di essere il mandante dell'uccisione del giornalista Giuseppe Fava. È proprio il gruppo Graci ad aver creato il più grave deficit patrimoniale della Sicilcassa. I liquidatori hanno potuto recuperare solo 194 milioni di euro dei 640 persi. Alcuni di questi si trovano ancora oggi all'estero, intestati agli eredi Graci e quindi intoccabili.
Negli ultimi anni la mafia siciliana ha subito confische patrimoniali del valore di centinaia di milioni di euro. Le forze dell'ordine in Sicilia sono riuscite a mettere le mani su imperi economici nel campo del gas (il sequestro di 48 milioni di euro agli eredi di Ezio Brancato, socio di Gianni Lapis) per non parlare del capitale del valore di ottocento milioni a Michele Aiello, prestanome di Provenzano. Anche il patrimonio del boss latitante Matteo Messina Denaro è stato minato dalle recenti operazioni, come nel caso della confisca di beni nel settore dell'eolico (un miliardo e trecento milioni gestiti dal presunto prestanome di Matteo Messina Denaro, Vito Nicastri), o il sequestro, richiesto dalla Dia di Palermo, dell'azienda turistica Valtur che Messina Denaro gestiva attraverso Carmelo Patti, stretto collaboratore del boss, del valore di cinque miliardi di euro. Resta comunque il fatto che i sequestri compiuti hanno solo scalfito il potere economico che i capimafia di Cosa nostra gestiscono, siano in carcere o ancora latitanti come nel caso del boss di Castelvetrano. Possiamo dire che sono loro i veri padroni della Sicilia dato che gestiscono investimenti, società, traffici di denaro contante investiti in banche italiane e straniere per decine di miliardi di euro, ed esercitano un forte controllo sulla politica e sugli investimenti nell'isola grazie alla complicità di colletti bianchi e prestanome. Una ricchezza tale che rende possibile il ricatto di grossi esponenti della classe dirigente finanziaria e politica italiana.
L'immagine che ci viene dipinta di Cosa nostra è quindi quella di una mafia tutt'altro che debole dal punto di vista economico. Nonostante abbia perso il potere militare che aveva un tempo, si sta riorganizzando anche grazie ai proventi derivati dal traffico di stupefacenti, che fruttano alla mafia siciliana centinaia di milioni di euro l'anno, in società con la 'Ndrangheta, la quale è, senza dubbio, padrona del business della droga in tutto il mondo occidentale.
Un giro d'affari che declassa l'estorsione o la richiesta del pizzo a semplici attività “di contorno”, volte soprattutto a mantenere il controllo del territorio e del tessuto sociale, oltre che per provvedere al mantenimento delle famiglie i cui affiliati si trovano in carcere. Una sorta di “copertura” grazie alla quale diventa più difficile quantificare il reale ammontare dei patrimoni mafiosi, sia per lo Stato che per gli stessi picciotti di Cosa nostra, che dei miliardi accumulati dai boss vedranno solo pochi spiccioli.
La mafia siciliana, così come 'Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita, possiede quindi una enorme disponibilità di denaro che muove nelle borse di tutto il mondo, grazie alla quale sarebbe capace, se volesse, di mettere ancora una volta un paese come l'Italia sotto scacco. Può essere questa la ragione del perchè lo Stato voglia convivere con la mafia piuttosto che annientarla? Può essere questa la ragione per la quale tutti i governi italiani del centro destra e sinistra, dal '92 ad oggi, non hanno potuto (per non dire voluto) annientare le organizzazioni criminali mafiose? Ed infine, la trattativa mafia-Stato, condotta in due tempi per conto di uomini di potere tramite  Nicola Mancino prima e Marcello Dell'Utri poi, forse nascondeva un movente tanto spaventoso quanto cruciale per parti dello Stato italiano e centri occulti di potere?
Dopo le stragi di Capaci, via D'Amelio e quelle del '93 a Roma, Firenze e Milano che provocarono morte e distruzione, i giudici e le forze dell'ordine ottennero dei risultati mai raggiunti. La mafia militare, con gli arresti e le condanne di quasi tutti i boss, era in ginocchio, e la Nazione avrebbe dovuto dare il colpo di grazia alla mafia siciliana, ma non lo diede. Lo Stato si ritirò, e il Governo di centro sinistra abbandonò a loro stessi i giudici in trincea, iniziando seriamente a pagare così il prezzo della trattativa. Era pronto un attentato con missili terra aria per il procuratore Caselli, che fortunatamente non venne mai messo in atto. Intanto, il lavoro dei pm antimafia come Scarpinato, Ingroia, Tescaroli, Di Matteo, Gozzo, Teresi ed altri, fu ostacolato da leggi e cavilli burocratici. L'Italia doveva essere salvata dalla bancarotta. Forse la mafia, grazie alla sua immensa liquidità di denaro, ne garantì la permanenza in Europa?
Non sono pensieri partoriti dalle nostre menti deliranti, ma ipotesi logiche e plausibili. Se il patrimonio nazionale delle mafie ammonta ad oltre mille miliardi di euro, se il suo fatturato in nero in Italia è di oltre 150 miliardi di euro l'anno, è logico pensare che la mafia ricatti lo Stato, e che il movente che sta dietro le nostre terribili stragi riguardi la stabilità economica e politica della nazione. Le parole pronunciate da Riina “Facciamo la guerra per poi fare la pace” forse possono tradursi in “Ricattiamo lo Stato e ricordiamogli che lui (lo Stato) sopravvive soprattutto grazie alla Sicilia e ai nostri soldi”. E, se non cede al ricatto, allora scoppieranno bombe. Lo Stato, che oggi è governato da Berlusconi e dalla sinistra, ha ceduto. Ne è una dimostrazione l'intenzione di ammorbidire le pene relative al concorso esterno in associazione mafiosa. Matteo Messina Denaro risulta ancora imprendibile, e la mafia continua ad arricchirsi.
Nell'agenda rossa di Paolo Borsellino è molto probabile che il giudice abbia scritto i nomi dei padroni dell'Italia di oggi, degli assassini del suo amico fraterno Giovanni Falcone, della vera ricchezza della mafia. Borsellino aveva capito che c'era un “gioco grande”, nel quale lui e Falcone erano entrati, dove mafia e Stato-mafia erano diventati una cosa sola, con un potere tale, grazie al denaro investito nelle nuove forze politiche, nelle tv e nelle banche, da superare quello dello Stato-Stato e metterlo così sotto scacco. Potrebbe essere per questo che l'agenda rossa era così pericolosa per lo Stato-mafia, tanto da farla sparire subito dopo la morte di Borsellino?

Blogging Day contro il gioco d'azzardo.



BRESCIA, 41ENNE SUICIDA NELL'AZIENDA DOVELAVORAVA. "MALATO DI GIOCO D'AZZARDO" 

BRESCIA - Un uomo di 41 anni si è ucciso nell'azienda dove lavorava aGussago, in provincia di Brescia.
A scoprire il corpo sono stati i colleghi, entrati nella ditta questa mattina per iniziare una nuova giornata lavorativa.
Secondo una ricostruzione dei carabinieri, l'uomo si è ucciso a causa di una sua dipendenza dal gioco d'azzardo: una vera e propria malattia che lo aveva portato a spendere ingenti somme di denaro.


http://www.leggo.it/NEWS/ITALIA/gussago_suicidio_gioco_d_azzardo/notizie/291564.shtml

http://www.vita.it/noslot/no-slot-la-rete-si-mobilita.html