lunedì 28 ottobre 2013

400 indagati del Pd da quando Bersani è segretario. - Riccardo Ghezzi



L’ultimo caso, per la verità persino pacchiano e surreale, di un consigliere comunale di Pomezia che si fa beccare con le mani nella marmellata, o per meglio dire nella bustarella, riporta in auge il dibattito sulla “questione morale” all’interno del Pd. 
Un partito che, nonostante i sondaggi sembrano orientati a far credere il contrario, appare sempre più allo sbando. 
Non solo per la disaffezione della base e per un segretario come Pier Luigi Bersani la cui popolarità è ai minimi, ma anche e soprattutto per le inchieste giudiziarie che colpiscono il partito. 
Per un Pd diventato improvvisamente forcaiolo e giustizialista pur di avallare la persecuzione giudiziaria nei confronti dell’ex premier Berlusconi, non deve essere una bella pubblicità quella di essere invischiato un giorno sì e l’altro pure in qualche inchiesta giudiziaria. 
Gli elettori, divenuti forcaioli e giustizialisti pure loro, cominciano a manifestare insoddisfazione. 
E’ la legge del contrappasso.
Un articolo uscito oggi sul quotidiano Libero, a firma Andrea Scaglia, parla di ben 35 arrestati e circa 400 indagati tra esponenti nazionali del Pd a partire dal 9 novembre 2009, ossia da quando Bersani è stato nominato segretario. Un vero e proprio record, ovviamente ignorato da organi di stampa sempre pronti a cavalcare il giustizialismo anti-destra come Il Fatto Quotidiano e L’Unità, senza voler neppure nominare i giornali di De Benedetti.
In un post pubblicato lo scorso 19 agosto abbiamo già tracciato un elenco degli esponenti del Pd arrestati, imputati e condannati pubblicato sul settimanale Panorama. Risultavano 101. Dal novembre 2009, però, pare esserci stata un’escalation straordinaria, con alcuni casi pure eclatanti. 

Quello di Renzo Antonini, il consigliere comunale arrestato in flagranza di reato mentre era intento ad intascarsi una bustarella di 2.500 euro, è solo l’ultimo caso. 
Viene dopo quelli di ben più noti di Filippo Penati, ex vicepresidente del Consiglio regionale lombardo indagato per concussione e corruzione; 
Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno indagato per abuso d’ufficio; 
Alberto Tedesco, senatore indagato sulla gestione della sanità pugliese e salvato dall’arresto nello stesso giorno in cui la Camera ha dato il via libera all’incarcerazione del parlamentare Pdl Papa; 
Mario Morcone, candidato sindaco di Napoli indagato per abuso d’ufficio, turbativa d’asta e truffa;
Vittorio Casale, immobirialista emiliano finito in carcere con l’accusa di bancarotta fraudolenta; 
Vincenzo Morichino, co-proprietario della barca a vela “Ikarus” con D’Alema, accusato di frode fiscale e false fatturazioni; 
Gaspare Vitrano, deputato regionale siciliano arrestato per aver intascato una mazzetta da 10.000 euro da un imprenditore del fotovoltaico; 
Franco Pronzato, consulente e manager amico di Bersani, ex responsabile nazionale per il trasporto aereo del Pd, arrestato per tangenti nell’ambito degli appalti all’Enac (“La tangente? Pensavo fosse un regalo di Natale”, una delle sue dichiarazioni che farebbero impallidire il tanto vituperato Scajola).
E poi c’è Massimo D’Alema, in persona, indagato anch’egli nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti all’Enac: avrebbe usufruito di cinque passaggi aerei gratuiti. 

E ancora: Luca Bianchini, il coordinatore di un circolo condannato per tre violenze sessuali; le indagini in Piemonte sulle presunte irregolarità della lista “Pensionati e Invalidi” che appoggiava la candidata alla presidenza Mercedes Bresso; l’inchiesta giudiziaria sulle presunte infiltrazioni della Camorra alle primarie del Pd a Napoli
Andrea Lettieri, sindaco di Gricignano d’Aversa indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. 
O il Comune di Nicotera, a maggioranza Pd, sciolto per infiltrazioni della n’drangheta. 
Ciro Caravà, il sindaco “anti-mafia” di Campobello arrestato proprio per associazione mafiosa.
E poi l’ultimo scandalo umbro, culminato nell’arresto del vice-presidente del consiglio regionale ed ex sindaco di Gubbio Orfeo Goracci, accusato di abuso di ufficio e addirittura violenza sessuale aggravata, in un’inchiesta che ha coinvolto altre nove ordinanza di custodia cautelare.
Senza dimenticare il terremoto giudiziario in Basilicata, che ha coinvolto l’intera classe dirigente regionale del Pd. 

Dal deputato dalemiano Antonio Luongo al sindaco di Anzi Giovanni Petruzzi
dal governatore lucano Vito De Filippo al presidente del Consiglio regionale Vincenzo Folino;  
dall’ex assessore regionale Erminio Restaino al sindaco di Potenza Vito Santarsiero
dal consigliere regionale Pasquale Robortella al presidente della provincia di Matera Franco Stella, fino al consigliere provinciale di Matera Nicola Montesano
Tutti esponenti del Pd, accusati dei più svariati reati nell’ambito di diverse inchieste: dalla corruzione alla turbativa d’asta, fino alla truffa sui fondi europei. Potete leggere tutto su questo articolo pubblicato sul Giornale.it.
E sono solo alcuni dei 400.
Insomma, da quando c’è Bersani il Pd ha spiccato il volo. Sì, ma solo nelle inchieste giudiziarie.


http://www.qelsi.it/2012/400-indagati-del-pd-da-quando-bersani-e-segretario/

Turchia: scoperta Porta Inferno, Cerbero fa la guardia. - Di Francesco Cerri

Il cerbero scoperto da archeologi italiani a Hierapolis
Il Cerbero scoperto da archeologi italiani a Hierapolis

Archeologi italiani scoprono statua cane-mostro a tre teste.

(ANSAmed) - ANKARA - Restano ormai pochi dubbi sul fatto che la grotta scoperta dal team di archeologici italiani guidato da Francesco D'Adria a Hierapolis, l'antica citta' sacra della Frigia, oggi Pamukkale, nella Turchia nord-occidentale, sia la mitica 'Porta degli Inferi', meta di pellegrinaggio, anche di Vip di allora come Cicerone o il grande geografo greco Strabone, nell'Antichita' greco-romana.

Lo stesso D'Adria ha annunciato oggi all'Ansa il ritrovamento all'ingresso della grotta del 'Ploutoniom' di Hierapolis di una statua in marmo di Cerbero, il cane a tre teste che la mitologia greca aveva posto a guardia dell'ingresso dell'Ade, il Regno dei Morti. Accanto a quella di Cerbero - il mostro che solo Ercole era riuscito a sottomettere, facendogli mangiare una pagnotta con semi di papavero che lo aveva addormentato - e' stata scoperta anche la statua in marmo di un enorme serpente, altro animale guardiano per gli antichi greci dell'Oltretomba. L'annuncio durante un convegno in marzo a Istanbul sulle missioni archeologiche italiane in Turchia della scoperta della Porta degli Inferi aveva suscitato enorme interesse in tutto il mondo. Il team di archeologi dell'Universita' del Salento guidato da D'Adria aveva individuato l'antica Porta dell'Ade grazie ai cadaveri di alcuni uccellini, ritrovati morti davanti a una sorta di grotta da dove uscivano fumi mefitici di anidride carbonica. Nei racconti dei suoi viaggi in Asia Minore nel I secolo AC, Strabone aveva descritto la Porta degli Inferi come una apertura ''di dimensioni sufficienti'' per fare passare un uomo ''riempita di un vapore fitto e scuro, cosi' denso che il fondo difficilmente puo' essere individuato''.

Gli animali che entrano ''muoiono all'istante. Anche i tori, quando sono portati al suo interno, cadono a terra, morti''.

''Noi stessi gettammo dentro dei passeri - racconta Strabone - che immediatamente caddero a terra senza vita''.

Gli scavi a Hierapolis procedono con meticolosa prudenza. La grotta, larga non piu' di due metri, non e' stata ancora investigata e potrebbe riservare altre sorprese. D'Adria ha definito la scoperta della statua di Cerbero un ''unicum'', di straordinaria importanza storica e archeologica. L'equipe archeologica italiana continua intanto il lavoro di restauro dell'eccezionale sito di Hierapolis. Nella chiesa accanto alla tomba dell'apostolo San Filippo, scoperta due anni fa da D'Adria, sono state rimontate 8 grandi colonne di marmo, ed e' quasi completato il lavoro di restauro del teatro, uno degli edifici piu' spettacolari dei siti greco-romani in Turchia. 

Grillo: 'Subito elezioni'. Nuovo attacco al Colle.



Leader M5S in Senato incontra parlamentari e rilancia impeachment. 'Riprendiamoci il Paese'.

ROMA - Beppe Grillo è al Senato per incontrare il gruppo M5S. Il leader del Movimento e' arrivato a palazzo Madama 'a sorpresa', come preannunciato nei giorni scorsi.
Grillo ha scelto una settimana in concomitanza con i lavori parlamentari, in modo da poter incontrare il maggior numero di eletti che non potranno così 'accampare' impegni sul territorio per evitare il confronto.
"Napolitano è un anziano signore con cui abbiamo seri problemi", ha detto Grillo rispondendo ai giornalisti in occasione della sua visita al Senato. "Dobbiamo andare alle elezioni in qualsiasi modo: loro non vogliono farlo per i loro subdoli calcoli". "Tutti i pesci vennero a galla per vedere...", ha ironizzato sulla convocazione dei congressi da parte di Pd e Pdl per l'8 dicembre.
Beppe Grillo conferma l'intenzione di presentare l'impeachment nei confronti del capo dello Stato: "Napolitano è un presidente di parte ed è sconveniente che prenda decisioni senza ascoltare noi che rappresentiamo 9 milioni di persone". E, alla domanda che i cronisti gli rivolgono in Senato se la decisione di disertare l'incontro al Quirinale l'abbia presa lui da solo, risponde scherzando: "Volete che vi faccia contenti? Ho deciso io".
"Questo Paese ce lo dobbiamo riprendere: lo Stato non c'è più", ha detto Grillo in occasione della sua visita al gruppo M5S di Palazzo Madama. "Lo Stato non c'è e quando c'è la gente lo percepisce con ansia. Si rappresenta come Equitalia, la burocrazia, le tasse. Non abbiamo più tempo di giocare".
"Hanno ragione i parlamentari a dire che ci vediamo poco, ma io mi spavento a venire qua", ha spiegato Grillo che, scherzando con i cronisti al Senato, afferma: "Qui c'è la statua di Mazzini che saluta Giovanardi...". "Io - continua Grillo - sono un comico populista e mi domandate come va il mondo... Non so davvero se una risata ci sommergerà, spero che sia solo una risata".
"Se i partiti non ci sono più è grazie al M5s che ha affrettato la loro dissoluzione", ha detto Grillo aggiungendo: "Questo è un movimento diverso ed è molto difficile convivere con gli altri partiti. Se dicono di diminuirsi un po' lo stipendio è grazie a noi".
"Nel 2015 - ha proseguito in conferenza stampa al Senato - qualsiasi governo vada su è già morto perchè dovremo fare una revisione di spesa da 50 miliardi. Uno di noi dovrà andare davanti alla Bce, alla Merkel e al Fmi e dire non ci stiamo più. Rimettiamo in discussione tutti gli accordi che abbiamo firmato". "Secondo i nostri sondaggi Napolitano e' all'ultimo posto di gradimento di tutti i presidenti della Repubblica italiana", ha ancora detto Grillo che torna anche sul successo del M5S: "Siamo il primo movimento in Italia, siamo in salita,abbiamo bisogno di essere considerati".
"Subito il voto. Voglio una prova dagli italiani: se votano di nuovo un governo così ce ne possiamo anche andare, ci sciogliamo. L' Italia e' piena di collusi: la gente si lamenta ma poi vota sempre gli stessi". Lo dice Beppe Grillo che aggiunge: ''se andassimo alle elezioni avremmo la probabilità di vincerle. Le avremmo vinte già se solo avessimo avuto il 28%".
Letta, attacco assurdo a Napolitano - ''Attacco Grillo a Napolitano va respinto con fermezza. Impeachment è assurdo. Grillo vuole solo instabilità. Non di questo ha bisogno l'Italia". Lo scrive su twitter il premier Enrico Letta.

"La riapertura dei lavori della Camera dopo la pausa estiva ha visto incrementare i flussi di lavoro in alcuni settori, per questo torniamo a chiedervi professionalità specifiche nelle materie". E' l'annuncio che compare sulla sezione dei lavori parlamentari del blog di Beppe Grillo e che alcuni parlamentari M5S rilanciano sui social network. "Siamo in guerra abbiamo bisogno di voi!" scrive, ad esempio, il deputato M5S Angelo Tofalo su Twitter. Il gruppo della Camera del M5s cerca infatti personale per materie che vanno dalla giustizia agli affari costituzionali, dal lavoro pubblico e privato al bilancio (dello Stato), all'economia e finanza. "Professionalità che non sono state rilevate nei curricula precedentemente ricevuti' chiariscono i Cinque Stelle che precisano: "Le figure che stiamo ricercando devono avere capacità di drafting normativo e/o conoscenze specifiche e certificabili nei settori indicati".
Che c'è di tanto disdicevole in ciò che datto Grillo? Lui non ha fatto altro che riferire e palesare ciò che tutti noi, italiani onesti, pensiamo.

Carceri sovraffollate? E’ perché l’Italia non rimpatria gli stranieri. Nonostante la legge. - Thomas Mackinson

Carceri sovraffollate? E’ perché l’Italia non rimpatria gli stranieri. Nonostante la legge

Lo prevede la convenzione di Strasburgo del 1983 che il nostro Paese ha sottoscritto. Con l'attuazione di questa norma si risparmierebbero anche 500 milioni. Ma a distanza di 24 anni dalla ratifica nessuno incentiva questo strumento. In più, non ci sono accordi bilaterali con Marocco, Tunisia e Romania che sono in cima alla classifica delle presenze.

Mentre ancora si parla di indulto e amnistia, l’Italia spende un miliardo all’anno per tenere nelle patrie galere detenuti stranieri che in buona parte potrebbero scontare la pena nei loro paesi d’origine. Il piano è pronto da decenni. Gli accordi per lo scambio ci sono, multi e bilaterali, stretti con quasi tutti i Paesi del mondo. Ma nessuno incentiva questo strumento per svuotare le carceri e i detenuti trasferiti, alla fine, sono così pochi che non vengono neppure conteggiati nelle statistiche sulla giustizia italiana. Percorrendo tutte le vie “ufficialissime” dei ministeri competenti – Interno, Giustizia ed Esteri – è materialmente impossibile avere un dato su quanti abbiano usufruito di questa possibilità e diritto, come prevede la convenzione di Strasburgo del 1983, che l’Italia ha ratificato e inserito nel proprio ordinamento dal 1989 e via via allargato con una serie di accordi bilaterali.
Una beffa. Perché questa strada avrebbe potuto, almeno sulla carta, segnare la svolta sulla questione carceri prima che diventasse emergenza nazionale. Lo dicono i numeri. Nelle celle italiane, secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), si contano oggi 22.770 detenuti stranieri, un terzo della popolazione carceraria. Tanti, troppi. E ci sarebbero motivi di mera convenienza, oltre che di civiltà, per incentivare a diminuirne il numero. Il costo medio per detenuto calcolato dalla Direzione bilancio del Dap è di 124,6 euro al giorno. Lo Stato, nel 2013, spenderà dunque 909 milioni di euro, quasi un miliardo l’anno. Ma quanto risparmierebbe se desse seguito agli accordi di rimpatrio? Per saperlo bisogna moltiplicare quel costo unitario per i 12.509 detenuti stranieri che scontano una condanna già definitiva, i soli sui quali può ricadere l’ipotesi di un trasferimento. Il costo reale del mancato rimpatrio, o se si vuole il conto del risparmio virtuale, arriva dunque a 568 milioni di euro l’anno, un milione e mezzo al giorno.  Un bella cifra nel conto dello Stato che potrebbe essere destinata a costruire nuove strutture, ammodernare quelle esistenti, incentivare forme di rieducazione e reinserimento. Per contro, i detenuti italiani all’estero non superano le tremila unità. Una differenza che rende evidente quanto il saldo degli “scambi” sarebbe a favore dellItalia (e degli italiani). “Non si possono fare deportazioni di massa”, ammoniscono gli esperti di procedura penale, mettendo in guardia da operazioni di macelleria detentiva.
Ma a chi oppone a ogni ragionamento questioni di ordine etico-morale va ricordato che dal 2002 nessuno ha sbarrato la strada ai voli di Stato per il rimpatrio dei clandestini che la Bossi-Fini ha reso – almeno per le modalità operative – del tutto simili alla deportazione coatta, per di più espulsi non per aver commesso un reato penale ma amministrativo (l’ingresso in Italia senza permesso di soggiorno o contratto di lavoro a supporto del reddito). Idem per il reato di clandestinità introdotto nel 2009 col decreto sicurezza. Ci sono poi ragionevoli argomenti per ritenere che in quel terzo di popolazione carceraria composta da stranieri ci possa essere chi preferirebbe – vista anche la condizione dei penitenziari nostrani – ricongiungersi ai propri parenti e scontare la pena nel proprio Paese. Peccato che non succeda mai, salvo rarissimi casi. A 24 anni dalla convenzione di Strasburgo gli accordi sul trasferimento sono rimasti lettera morta, con buona pace del tempo e delle risorse che l’Italia ha dedicato per dibattiti parlamentari, mandati esplorativi di funzionari della giustizia, riunioni e servizi d’ambasciata da una capo all’altro del mondo. 
Il paradosso degli accordi all’italiana Il paradosso è che incentivare lo scambio e la detenzione all’estero non sarebbe una politica di destra o di sinistra ma di buona amministrazione, per di più ancorata e supportata nella sua applicazione da convenzioni e accordi. Con alcune bizzarrie e illogicità di fondo, però. L’Italia, si è detto, ha aderito alla convenzione di Strasburgo dell’83 insieme a 60 Paesi (gli ultimi sono la Russia e il Messico nel 2007). Ha poi stretto accordi bilaterali con altri sette che erano rimasti  fuori dalla convenzione. Ma – attenzione – non con quelli che più pesano sul conto delle carceri. Ricapitolandoli: nel 1998 abbiamo firmato un accordo con l’Avana quando i detenuti cubani sono una cinquantina e poco più, nel 1999 con Hong Kong a fronte di popolazione carceraria prossima allo zero, nel 1984 con Bangkok (ancora oggi si contano due soli detenuti thailandesi). Mancano all’appello, per contro, proprio i Paesi che per nazionalità affollano maggiormente le nostre celle: il Marocco, su tutti, visto che con 4.249 detenuti occupa il secondo posto nella classificazione delle presenze straniere (18,7%). LRomania che occupa il secondo con 3.674 detenuti (16,1%). La Tunisia, al terzo posto, con 2.774 (12,2%). Altri sono pronti da vent’anni, ma per l’inerzia del Parlamento restano lettera morta. Emblematico il caso del Brasile, dove l’accordo è firmato e manca solo il passaggio in aula. Siamo riusciti invece ad accordarci con l’Albania (2.787 detenuti, 12%). Quando è stato sottoscritto, nel 2002, nelle carceri italiane c’erano 2.700 detenuti albanesi, di cui 960 condannati in via definitiva. Trecento dovevano scontare una pena residuale superiore ai tre anni e sarebbero stati i primi a lasciare l’Italia per scontare la pena nelle patrie galere. Un modello che doveva essere, secondo il Guardasigilli di allora Roberto Castelli, esportato in Marocco, Algeria e Tunisia. Cosa mai avvenuta, a distanza di un decennio. Ma quanti albanesi sono stati  poi trasferiti? Impossibile saperlo, come per tutti gli altri detenuti stranieri in Italia.  
Il mistero sui numeri: “Non abbiamo il sistema informatico” I trasferimenti autorizzati  sulla base di quegli accordi sono irrilevanti al punto che non vengono neppure monitorati a fini statistici. Sapere quanti siano è un’impresa impossibile. Le interrogazioni parlamentari sulla questione non hanno mai avuto risposta e anche per le fonti giornalistiche la strada porta dritto a un muro di gomma che fa rimbalzare da un ministero all’altro. Dovrebbe averli il ministero degli Interni ma non è così. “Sono numeri molto modesti a fronte di procedure complesse, per questo non sono sottoposti a monitoraggio statistico e vanno a finire nelle diciture “altro” degli annali giudiziari”, premettono imbarazzati i funzionari del Viminale. “Il detenuto fa domanda al direttore del carcere che la gira al magistrato di sorveglianza che fornisce il suo giudizio e lo trasmette al ministero. Dovrebbero però averli al ministero di Grazia e Giustizia che amministra le pene”. Ma si bussa lì senza maggior fortuna. Il direttore dell’ufficio Affari penali Antonietta Ciriaco fa sapere che il suo ministero non ha neppure il sistema informatico necessario a estrapolarli quei dati, che non si tratta di estradizioni, per cui “una volta che c’è l’accordo internazionale e una sentenza favorevole della Corte d’Appello al trasferimento, è materia del Dap”. Ma anche al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria cadono dalle nuove. “Noi abbiamo solo dati rispetto a detenzione e scarcerazione, questa storia di chi ha i dati sui trasferimenti va avanti da anni e alla fine le richieste arrivano sempre qui, ma noi non li abbiamo. Avete provato al ministero degli Interni?”. E si ricomincia.
Il saldo delle carceri: 20mila restano, 200 (forse) vanno
Qualche barlume, alla fine, illumina almeno il passato. A margine di uno dei tanti trattati bilaterali il ministero degli Interni nel 2008 fornì, con parsimonia, qualche cifra: nel 2005 il trasferimento delle persone straniere condannate è stato pari a 216, 46 nel 2006, 111 nel 2007 e 87 nel 2008. Si presume che da allora le cose non siano cambiate e che a prendere la frontiera per la carcerazione all’estero siano grosso modo un centinaio di detenuti all’anno. Numeri che rendono bene l’idea di come siano stati tradotti nel nostro Paese la convenzione di Strasburgo e tutta la congerie di accordi bilaterali che negli ultimi vent’anni sono stati annunciati, sottoscritti e celebrati in pompa magna tra convegni, delegazioni e voti in Parlamento.
Alla fine del giro tocca chiedersi anche se la resistenza a fornire dati sul trasferimento – insieme al disinteresse per tracciarli, recuperarli e renderli pubblici – sia del tutto casuale, il frutto accidentale della sovrapposizione di competenze e burocrazie, o se sotto ci sia altro. Il sospetto è che non vengano divulgati perché la loro stessa inconsistenza sarebbe fonte d’imbarazzo per le istituzioni italianeRivela come per vent’anni lo stesso ceto politico che alzava la voce sull’emergenza carceri non è stato capace di utilizzare lo strumento del rimpatrio per alleggerirle. Ancora oggi, del resto, sembra baloccarsi con fantomatici “piani carceri” per i quali non riesce a reperire le risorse e alla fine – messo con le spalle al muro dalla condizione ipertrofica delle celle – si affida all’unico “svuotacarceri” che non comporta costi diretti: un atto di clemenza che consenta alla politica di non fare i conti con la propria storica inerzia. E poco importa se amnistia e indulto alimentano il senso di ingiustizia tra i cittadini incensurati.